3 
Introduzione 
 
Il counseling, pur avendo origini antiche, è ancora un‟attività 
emergente nel panorama delle professioni, e in Italia non ha 
ancora ottenuto una precisa collocazione disciplinare.  
In quasi tutto il resto d‟Europa, invece, la consulenza ha una 
personalità ben delineata, con figure professionali accreditare 
e inserite pienamente nel mercato dei servizi alla persona.  
Nel nostro paese si ritiene che le attività di informazione, 
formazione, orientamento, bilancio delle competenze e sostegno 
nelle scelte personali e professionali dell‟individuo, siano 
già “incluse”, come funzioni secondarie, nel servizio offerto.  
Il counseling approccia invece in modo diretto proprio tali 
attività formative “secondarie”, ovviamente senza uscire da 
ambiti di lavoro specifici (per cui esiste una consulenza 
scolastica, familiare, filosofica, psicologica, ecc.), ma 
dandosi la mission di sostenere la persona nell‟affrontare 
oggetti da lui stesso identificati come problematici. Ad 
esempio – in ambito lavorativo – il problema prioritario da 
risolvere per un soggetto potrebbe non essere lo stato di 
disoccupazione, ma decidere se lanciarsi in un‟attività in 
proprio piuttosto che cercare un impiego dipendente; o 
effettuare un‟analisi dei rischi/benefici di un cambio di ruolo 
all‟interno della propria ditta. Sono bisogni che richiedono 
informazione, bilancio di competenze, orientamento. Ma i Centri 
per l‟Impiego non si fanno carico di affrontare questi bisogni 
particolari, in quanto non sono direttamente implicati con la 
ricerca di un lavoro, vero obiettivo del servizio in questione. 
Lo stesso discorso si potrebbe estendere a tutti gli altri 
servizi che tendono ad occuparsi di un problema specifico e si 
occupano di attività educative e formative solo a un livello 
marginale.
4 
Il counseling non si pone altri obiettivi che l‟accrescimento 
del consultante: in termini culturali, di risorse, di capacità 
di fronteggiare i problemi, di consapevolezza di sé e dei 
propri bisogni. Pura formazione insomma, collegata al contesto 
sociale, ma strettamente legata alla dimensione dell‟individuo. 
Per queste ragioni il counseling si colloca perfettamente 
nell‟ambito formativo trattato all‟interno di Scienze 
dell’educazione permanente e della formazione continua. La 
formazione permanente, gli interventi di formazione culturale, 
i percorsi educativi per una cittadinanza attiva e più 
consapevole, la formazione non solo professionale ma anche 
relazionale, sono ambiti professionali di cui il counseling si 
occupa pienamente, e molti paesi stranieri lo hanno già 
riconosciuto, inserendo corsi universitari sulla consulenza 
proprio in quest‟area.  
 
Spostando l‟attenzione al versante professionale, è sempre più 
elevata la richiesta di nuove tipologie di servizi – e di 
operatori formati – in grado di aiutare categorie sociali che 
solo in apparenza non risultano bisognose di aiuto. Soprattutto 
l‟ambito familiare è quello che attualmente richiede più 
attenzione da parte di formatori ed educatori. In un welfare di 
tipo assistenzialistico come quello italiano, la famiglia è 
infatti la categoria su cui si appuntano più numerosi gli 
interventi di semplice risposta al disagio. Eppure il compito 
genitoriale (insieme alla dimensione lavorativa), è percepito 
come l‟ambito prioritario degli adulti, e ha una grande 
rilevanza nella costruzione dell‟identità personale e nella 
cura del Sé.  
 
Per trattare gli argomenti citati, questa tesi ha potuto 
avvalersi di una abbondante letteratura riguardante l‟utilizzo
5 
del counseling in ambito psicologico, filosofico, pedagogico e 
formativo, mentre è assai scarsa la letteratura scientifica che 
si occupa del counseling come disciplina, analizzandone gli 
strumenti e gli obiettivi specifici; le metodologie e l‟utenza 
propria. Anche una storia generale del counseling è pressoché 
ancora da scrivere e gli studi sono frammentati tra i diversi 
approcci, senza una visione unitaria.  
Questo quadro teorico penalizza moltissimo, a mio parere, la 
costruzione di un‟identità solida del counselor, perché non 
permette di dare una collocazione e una definizione chiara alla 
sua professione, troppo spesso ridotta a semplice tecnica, di 
cui varie discipline si contendono l‟esclusivo utilizzo. 
Parlare di counseling in modo integrato, senza frammentarlo 
nelle sue molteplici possibilità di specializzazione e 
utilizzo, permetterebbe invece di percepire i veri tratti 
distintivi di questa professione, che è autonoma, anche se 
trasversale a molte altre.  
Questa tesi cerca di contribuire, nel suo piccolo, a questo 
sforzo e pur soffermandosi su alcuni approcci, cerca di 
inserirle in un quadro unitario della consulenza, sottolineando 
come tale pratica sia una nuova – e allo stesso tempo antica - 
frontiera della formazione e cura alla persona. 
 
Nei primi quattro capitoli cerco di delineare il più 
chiaramente possibile i confini e gli ambiti applicativi di 
questa professione.  
Un focus specifico, approfondito nei capitoli cinque e sei, 
riguarda gli approcci filosofico e pedagogico alla consulenza, 
che sono quelli maggiormente usati negli interventi formativi, 
sia per i singoli individui che per le famiglie.
6 
Infine, nel settimo capitolo, analizzo alcune applicazioni 
pratiche della professione, secondo i diversi approcci, 
approfonditi e calati in differenti scenari: dall‟utilizzo 
della scrittura creativa, alle vacanze formative, passando per 
le consulenze in “piazza”. Le testimonianze dei counselor 
professionisti intervistati – esperti di varie tipologie di 
interventi: dalle dipendenze, agli adolescenti, alla 
genitorialità – rendono chiaro quante possibili applicazioni di 
questa disciplina si possano progettare nei servizi di cura 
alla persona.
7 
1 Perché il counseling e possibili definizioni 
 
Il bello e il brutto, il letterale e il metaforico, il sano e 
il folle, il comico e il serio... perfino l'amore e l'odio, 
sono tutti temi che oggi la scienza evita. Ma tra pochi anni, 
quando la spaccatura fra i problemi della mente e i problemi 
della natura cesserà di essere un fattore determinante di ciò 
su cui è impossibile riflettere, essi diventeranno accessibili 
al pensiero formale. 
Gregory Bateson, Dove gli angeli esitano 
 
1.1 Il counseling come risposta ad un bisogno attuale 
 
L‟arte si evolve nel tempo, a seconda del particolare sentire 
dell‟uomo di una data epoca. Quasi come una terapia, l‟arte 
permette di esternare la visione del mondo non solo di un 
essere umano particolare, ma dell‟essere umano universale, che 
attraverso tematiche eterne – come l‟amore, la passione, l‟odio 
o la solitudine – si rispecchia nella visione particolare 
dell‟artista, che dà vita a uno stile, a una tecnica precisa. A 
un suo modo di interpretare il mondo. 
Ma se l‟arte rappresenta tematiche universali ed eterne, non si 
può dire che lo faccia sempre con lo stesso stile o finalità. 
Lo stile, per l‟appunto, evolve, cambia, perché pur mettendo in 
scena gli stessi sentimenti di sempre lo fa a partire da 
esigenze molto diverse. 
Potremmo dire che il Classicismo ben metteva in scena la 
bellezza con la finalità di dare piacere agli occhi, di 
rasserenare gli animi, di elevare lo spirito alla 
contemplazione del Bello, dell‟Armonico, di qualcosa di così
8 
bilanciato ed equilibrato da sfiorare la perfezione, e quindi 
l‟estasi. 
Il Romanticismo, rappresentando la stessa bellezza che cercava 
di realizzare il Classicismo, aveva la finalità di cogliere lo 
stato d‟animo personale dell‟autore, solitamente profondamente 
turbato dalla impetuosità del Bello, che quindi trasmetteva 
inquietudine, disarmonia, sorpresa; qualcosa di così 
conturbante e più grande di noi da sopraffare lo spettatore, e 
sfiorare così l‟estasi. 
Nonostante l‟obiettivo fosse lo stesso, l‟arte di questi due 
periodi storici cercava di soddisfare bisogni molto diversi, 
perché partiva da necessità diverse. Pur accettando la 
presenza, in seno ai romantici, di amanti del Classicismo, è 
innegabile che il sentire comune fosse cambiato, e altrettanto 
naturalmente cambiò il tipo d‟arte che forniva risposte. 
Potremmo in un certo senso dire che per l‟uomo dell‟Ottocento 
il Classicismo ha fallito, nella sua finalità di rappresentare 
la bellezza. Perché l‟uomo romantico aveva altri bisogni, altri 
sentimenti, in merito alla questione. 
Questa parentesi artistica potrebbe essere una buona metafora 
per capire perché sia nato il counseling, e come mai abbia 
generato tanta confusione all‟interno delle arti della cura 
alla persona. Può sembrare un parallelo curioso, ma del tutto 
pertinente, se pensiamo che ogni disciplina si sviluppa e muta 
in corrispondenza ai bisogni di un‟epoca. E l‟arte di cura non 
fa eccezione. 
Ripercorrendo brevemente le discipline che si sono occupate 
dell‟uomo e dei “mali dell‟anima”, noteremo infatti che 
all‟origine era la filosofia, tra i suoi vari intenti, a 
cercare di dare ordine al disagio individuale. Lo faceva 
attraverso la ricerca del vero, dell‟oggettivo, occupandosi non
9 
tanto dei problemi quotidiani e personali, ma piuttosto delle 
domande sull‟esistenza comuni a tutti gli esseri viventi, 
quindi astratte e generali, la cui risposta poteva sollevare da 
quel malessere generato dall‟incertezza. 
Non molto differentemente dalla filosofia, la religione ha 
sopperito per molto tempo alla stessa identica esigenza, 
placando il malessere interiore con risposte trascendentali e 
sempre universali per l‟individuo. Che tramite regole chiare e 
precise su chi fossimo, a cosa fossimo destinati e perché, 
leniva a sufficienza quel dubbio esistenziale comune in ogni 
epoca. 
Per comprendere il balzo verso la psicologia, all‟inizio del 
secolo scorso, potremmo considerare molte ragioni: un 
secolarismo avanzante, stili di vita improntati 
all‟individualismo, il dubbio sull‟autorità assoluta della 
volontà umana, e una necessità impellente di trovare dentro se 
stessi il proprio senso, e non più fuori da sé. E così il 
malessere si sposta, viene collocato dentro meccanismi mentali, 
che si formano da traumi e impulsi inconsci ma sempre comuni a 
tutti, e pertanto guaribili con pratiche mediche, analitiche, 
disciplinate e ferree; che con grande precisione organizzano 
l‟inquietudine umana in categorie specifiche di malattie, 
ciascuna con una cura adeguata: alcune traggono più benefici 
dai farmaci, chi dall‟analisi dei sogni, chi dall‟idroterapia. 
Se però per la religione si è tutti peccatori, e per la 
psicologia tutti nevrotici
1
, la filosofia ha dato un taglio 
decisamente diverso all‟argomento, che è stato poi ripreso 
anche in ambito educativo e formativo; un taglio che sembra 
                                                        
1
 Freud arrivò a dire che la religione è la “nevrosi ossessiva dell‟umanità”, 
e se per il padre della psicologia siamo tutti nevrotici, si capirà ancor 
meglio come religione e psicologia rispondessero tutto sommato allo stesso 
identico problema.
10 
essere ritornato in auge nella nostra epoca di relativismo e 
accento sull‟unicità della persona. Dal punto di vista 
filosofico ed educativo, infatti, il dubbio, la diversità, il 
malessere, non coincidono necessariamente con una patologia 
deviante dalla norma. Per questa discipline si è semplicemente 
tutti “impigliati” nelle problematiche esistenziali, in quanto 
tutti cerchiamo di dare un senso alle nostre domande. Non più 
“peccatori”, “malati” o “pazienti”, quindi, ma semplicemente 
uomini e donne con dubbi, pensieri, interrogativi, insiti nella 
nostra stessa natura, giacché esistiamo in quanto pensiamo, e 
il dubbio è originato dallo stesso pensiero
2
.  
Il counseling, senza differenze di approcci, riprende 
quest‟assunto della filosofia e dell‟educazione stessa che vede 
ogni essere umano legittimato a dubitare senza essere relegato 
nella categoria dei malati; suggerendoci quindi una nuova 
esigenza, quasi la stessa che l‟arte contemporanea sembra 
sottoporci, se vogliamo utilizzare ancora una volta questo 
paragone. Se la filosofia postduchampiana ci dice che ogni 
oggetto può diventare arte, il counseling ci dice che ogni 
domanda può diventare legittima e ricca di senso. Anche la più 
banale, circoscritta e quotidiana domanda può essere oggetto di 
riflessione, anzi: proprio quelle domande devono essere oggetto 
di riflessione da parte dell‟individuo, e non altre estranee 
suggerite nel rapporto di cura. 
In questa sede non si vuole certo suggerire che come il 
Classicismo abbia fallito per l‟uomo romantico anche la 
religione o la psicoanalisi abbiano dato dei segni di 
stanchezza per l‟uomo contemporaneo. Tutt‟altro. Ma forse il 
                                                        
2
 AGOSTINO, La città di Dio, XI, 26: «Si enim fallor sum. Nam qui non est, 
utique nec falli potest, ac per hoc sum si fallor [Se infatti mi sbaglio, 
vuol dire che esisto: chi non esiste non può nemmeno sbagliarsi; dunque, 
siccome mi sbaglio, esisto]». 
 http://www.augustinus.it/latino/cdd/cdd_11.htm (dicembre 2010).
11 
grande interesse che si va sempre più sollevando intorno a 
forme di supporto “leggero” - non giudicanti o inquadranti in 
una patologia - come il counseling ma anche il coaching, il 
mentoring e il ruolo del facilitatore, è dovuto a un‟evoluzione 
delle esigenze dell‟uomo moderno, a un cambiamento nel definire 
ciò che è normale e ciò che è deviato, a un cambio di 
prospettiva su ciò che ci si aspetta in una relazione di aiuto. 
Ciò che oggi l‟individuo sembra chiedere è un accompagnamento 
in un percorso di crescita personale di cui esso può tenere 
saldamente le redini, dove può avere un ruolo attivo, e dove la 
chiave di lettura è data dalle proprie lenti con cui si guarda 
il mondo. E non con quelle suggerite dalla società viennese dei 
primi del Novecento. E tutte le relazioni di cura, di qualsiasi 
scuola e approccio, se vogliono rimanere efficaci e gradite ai 
propri interlocutori devono fare i conti con questo cambio di 
rotta.  
Il counseling lo fa, dal momento che, inteso nel suo concetto 
più ampio, ha proprio l‟ambizioso tentativo di riportare 
l‟attenzione iniziale all‟interno del soggetto, alle sue 
specificità, per offrirgli un supporto e un confronto che lo 
conduca poi all‟esterno, allarghi le sue visioni e il suo modo 
di pensare, e gli lasci una maggiore consapevolezza non solo di 
se stesso, ma anche di ciò che è diverso da sé. Il counseling, 
per tanto, può essere visto come lo sforzo di comprendersi, 
analizzare il proprio stile di pensiero e analisi della realtà, 
e farlo evolvere verso una visione più ampia, più profonda.  È 
quasi assimilabile al “doversi dare uno stile” espresso da 
Nietzsche nella Gaia scienza, per cui la meta finale dell‟uomo, 
anzi dell‟Übermensch, sarebbe proprio cercare una sintesi 
concettuale di se stessi, una riflessione sul proprio modo di 
essere, di pensare e di rapportarsi al mondo, che è “un‟arte 
grande e rara, l‟esercita colui che abbraccia con lo sguardo
12 
tutto quanto offre la sua natura in fatto d‟energie e 
debolezze”
3
. Un tentativo di creare se stessi, nella visione 
nietzschiana, proprio come si dovesse creare un‟opera d‟arte; 
pertanto non con il fine di ricercare il Vero, o il Giusto, ma 
il proprio  sentire, il proprio essere. Allo stesso modo, il 
counseling non si pone l‟obiettivo di raggiungere una verità 
assoluta; ma di far luce, a chi si rivolge ad esso, sulle 
proprie domande, il proprio modo di pensare e agire, e 
confrontarli con altre visioni del mondo.  
Occorre ovviamente uno sforzo notevole di traduzione del 
proprio sentire, sia da parte del soggetto che del counselor. 
Ma in questo la filosofia, la letteratura, l‟arte, l‟educazione 
e la formazione, vengono in aiuto; perché come tutte le 
discipline che si occupano del benessere umano la chiave è nel 
rapporto dialogico. 
 
1.2 Caratteristiche del counseling e difficoltà di definizione 
 
Il counseling è un‟attività estremamente difficile da 
inquadrare, che nel corso della sua esistenza ha toccato più 
ambiti e professioni; e questo ovviamente rende difficile anche 
darne una definizione univoca, generale e comprensiva di tutti 
gli approcci esistenti ad oggi. In realtà si potrebbe 
sostenere, in un certo senso, che sia un‟attività antica quanto 
la storia stessa dell‟uomo: dallo sciamanesimo alla filosofia, 
l‟arte della cura alla persona ha spesso assunto nomi e volti 
diversi, fino a specializzarsi in discipline molto precise. Al 
limite del confine con la medicina, come abbiamo già accennato, 
come la psicologia o la psichiatria; o attraverso la corporeità 
                                                        
3
 F. NIETZSCHE, La gaia scienza e Idilli di Messina, Milano, Adelphi, 1965, 
pag.76.
13 
e la creatività, come la biodanza o il teatro. Il counseling, 
per la sua natura di relazione dialogica come strumento di 
fronteggiamento dei problemi personali, è una delle forme più 
antiche di relazione di cura, anche se la strutturazione più 
formale di alcuni dei suoi maggiori filoni è avvenuta in tempi 
più recenti. Penso al counseling psicologico di Carl Rogers, 
sorto nel 1951; ma bisogna segnalare che di questo termine si 
ha traccia ancor prima, già a inizio Novecento, e comprendeva 
tutte le attività di orientamento professionale per reduci di 
guerra
4
. Come possiamo vedere, quindi, il termine counseling ha 
definito attività anche molto diverse tra loro.  
Eppure, nonostante il proliferare di differenti scuole, 
approcci e metodologie, sono sempre stati mantenuti dei punti 
fermi, che hanno aiutato in una sua definizione e collocazione 
più precisa. Le diverse definizioni che si vanno ad incontrare 
in un primo avvicinamento al counseling, infatti, tendono 
proprio a mettere più o meno in luce queste caratteristiche 
comuni; che nonostante le possibili differenze di approccio al 
sistema - che caratterizzano più che altro chi fa counseling, 
piuttosto che il counseling stesso -  sono mantenute e 
rispettate. 
La totale centralità del soggetto e la sua piena autonomia 
nella partecipazione all‟attività di aiuto, ad esempio, è una 
caratteristica irrinunciabile; e la British Association for 
Counseling ha cercato di darle risalto in modo prioritario in 
questa definizione: il counselor può indicare le opzioni di cui 
il cliente dispone e aiutarlo a seguire quella che sceglierà. 
Il counselor può aiutare il cliente a esaminare 
dettagliatamente le situazioni o i comportamenti che si sono 
rivelati problematici e trovare un punto piccolo ma cruciale da 
                                                        
4
 E. RAHM, La storia del counseling in AA.VV. (a cura di) Integrazione nelle 
psicoterapie e nel counseling, Roma, ESA, 1999.
14 
cui sia possibile originare qualche cambiamento. Qualunque 
approccio usi il counselor […] lo scopo fondamentale è 
l’autonomia del cliente: che possa fare le sue scelte, prendere 
le sue decisioni e porle in essere
5
. 
Un altro tratto fondamentale, che bene esprime questa volontà 
di lasciare il soggetto libero e autonomo, è il rifiuto - da 
parte del counseling - di utilizzare un linguaggio che inquadri 
i soggetti in ruoli di dipendenza, come abbiamo già visto. I 
termini paziente o medico, malato o sano, non fanno parte di 
quest‟ottica. Le varie correnti hanno scelto termini diversi, 
per designare chi si rivolge al counseling: cliente, persona, 
richiedente, consultante, ospite. Ciascuno di questi termini 
cerca di mettere in luce il rapporto simmetrico e alla pari tra 
due persone che, con competenze e abilità ovviamente molto 
diverse, si confrontano e dialogano, in vista di un 
arricchimento vicendevole. 
Il dialogo è proprio la caratteristica fondamentale del 
counseling. L‟Organizzazione mondiale della sanità, nel 1989, 
ne ha dato infatti la seguente definizione: un processo 
focalizzato, limitato nel tempo e specifico che tramite il 
dialogo e l’interazione personale mette in condizione gli 
individui di gestire i problemi e rispondere a disagi e bisogni 
psicosociali nel modo migliore possibile secondo le loro 
potenzialità.
6
 
Il rapporto di aiuto, infatti, non si realizza attraverso una 
diagnosi, o l‟assunzione di farmaci, o l‟analisi da parte di un 
esperto dei lapsus e delle rivelazioni che più o meno 
                                                        
5
 Tratto da Information Sheet 10, What is Counselling?, in 
http://www.bacp.co.uk/education/whatiscounselling.html (dicembre 2010). 
6
 Tratto da http://www.counselor.ch/interna.asp?idarticolo=6758 (dicembre 
2010).
15 
consciamente il soggetto produce. Dialogo presuppone un‟analisi 
cosciente, partecipata, lucida e razionale, del proprio agire, 
sentire e pensare. Le sfere chiamate in causa nell‟analisi non 
sono necessariamente solo il proprio vissuto emotivo, o i 
comportamenti attivati a date situazioni problematiche. 
L‟obiettivo non è semplicemente risolvere un problema infatti, 
seppur sia anch‟esso un risultato importante. Tra le ambizioni 
principali del counseling vi è quello di potenziare le capacità 
del soggetto a comprendersi, a conoscersi, e anche conoscere le 
alternative possibili a un dato modo di pensare, agire e 
sentire ormai consolidato e involontario. Una risorsa per 
cercare di migliorare sé stessi e il proprio percorso di vita. 
Da questo punto di vista, la definizione che sicuramente ha 
dato maggior spazio a quest‟aspetto è quella che troviamo nel 
Dizionario di Counseling: il counseling è un'attività di 
competenza relazionale con mezzi comunicazionali per agevolare 
l'autoconoscenza attraverso la consapevolezza e lo sviluppo 
ottimale delle risorse personali per migliorare il proprio 
stile di vita in maniera più soddisfacente e creativo
7
. 
Vengono quindi chiamate in causa tematiche molto ampie: non 
solo problemi strettamente legati a processi psicologici, 
traumi, o difficoltà comportamentali; ma anche dilemmi 
esistenziali, conflitti interiori, problematiche quotidiane 
come difficoltà lavorative e familiari, di coppia, di perdita 
di senso, di interrogazione sul senso della noia o della natura 
della felicità. Tematiche spesso sminuite dalla psicologia, per 
cui vi è sempre una causa di natura psicologica alla base; o 
troppo filosofiche per la formazione, che tende a potenziare le 
capacità di risposta in modo pratico ed efficiente ai problemi 
che ricadono in ambito per lo più professionale. È quindi un 
                                                        
7
 C. FELTHAM, W. DRYDEN, Dizionario di counseling, a cura di Edoardo Giusti, 
Roma, Sovera, 1995, p. 83.
16 
processo di apprendimento contrattualizzato tra counselor/s e 
cliente/i, siano essi individui, famiglie, gruppi o 
istituzioni, che affronta in modo olistico problemi sociali, 
culturali, economici e/o emozionali
8
. 
Altra caratteristica del counseling - che lo avvicina molto 
agli interventi educativi e formativi, e lo distingue da quelli 
psicologici - è l‟attenzione al qui ed ora del soggetto, alle 
sue richieste presenti, e non ai processi profondi che 
sottostanno ad essi. Lo scopo è affrontare ciò che il soggetto 
che si rivolge al counselor vive come difficoltoso, 
problematico. E non ciò che il counselor pensa possa 
nascondersi dietro a tale problema. Il tentativo è tradurre il 
linguaggio del cliente, ricostruire la sua visione del mondo e 
del problema, sulla base dei suoi comportamenti e 
atteggiamenti, e sulla base di ciò che comunica. Questo 
delimitare, non il problema – che può andare a toccare più 
sfere dimensionali ed esistenziali -, bensì l‟area di indagine 
del counselor, permette di potersi focalizzare su una tematica 
precisa, una difficoltà molto chiara e definita, che non 
trascina nella ricerca di ciò che ha di problematico il 
soggetto, ma di come tale problema coinvolge il soggetto.  
Ultima caratteristica importante, legata all‟analisi del qui ed 
ora del soggetto, è la durata di tale attività. Il counseling è 
solitamente breve, limitato ai 6/8 incontri, se non meno; in 
quanto quest‟attività non avvia percorsi terapeutici, né di 
scomponimento o trasformazione della struttura interiore del 
soggetto. Si limita ad affrontare, tramite un‟analisi 
partecipata col cliente, il problema che il cliente stesso ha 
individuato e valutato come prioritario. Gli offre una sponda 
di ragionamento per non perdersi; un pensiero altro, diverso, 
                                                        
8
 Definizione di counseling adottata dall‟Associazione Europea Counseling EAC 
nel 1995, in http://www.eac.eu.com/index.php?/Standards-and-
Ethics/definition-of-counselling.html (dicembre 2010).
17 
con cui confrontarsi e quindi capire meglio ciò che si è, e 
come si agisce. E avere nuove capacità e risorse per risolvere 
da soli il problema che coinvolge in quel luogo e in quel 
momento il soggetto. 
È forse necessario aprire una piccola parentesi riflessiva su 
quest‟ultima affermazione: il counseling non è terapia. 
Ricorrerà spesso, tale affermazione, in questa tesi; in quanto 
il termine “terapeutico” viene utilizzato nell‟accezione medica 
del termine, che prevede il trattamento sistematico di una 
malattia, o l’insieme dei provvedimenti e delle medicine atti a 
migliorare lo stato di salute
9
. Il counseling non è sicuramente 
una terapia, da questo punto di vista, per il semplice fatto 
che non ha come oggetto di studio la malattia. Perché essere 
talvolta insoddisfatti, o annoiati, o avere dei dubbi sulle 
proprie capacità educative come genitore, non sono di certo 
malattie. Però quando l‟individuo dubita, o è angosciato, o 
preoccupato, o anche solo se non si sente realizzato, sta male: 
in quanto il concetto di salute è un completo benessere fisico, 
psichico e sociale, e non semplice assenza di malattia, come ci 
ricorda l‟Organizzazione Mondiale della Sanità. E il counseling 
si fa proprio carico di questi malesseri; infatti è ritenuto, a 
ragion veduta da chi ne trae benefici, come terapeutico. Perché 
un dialogo di aiuto, un supporto emotivo, un confronto 
competente, sicuramente aiutano il soggetto in difficoltà, lo 
alleviano dalle sue problematiche, hanno un effetto terapeutico 
insomma, comunemente parlando. 
Questo termine, così utilizzato, più che rivolgersi all‟ambito 
medico sembra piuttosto riferirsi al concetto greco della 
therapeia, che rinvia ad un prendersi cura, assistere, essere 
                                                        
9
 Tratto da http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/T/terapia.shtml 
(dicembre 2010).