3
Introduzione
Il counseling, pur avendo origini antiche, è ancora un‟attività
emergente nel panorama delle professioni, e in Italia non ha
ancora ottenuto una precisa collocazione disciplinare.
In quasi tutto il resto d‟Europa, invece, la consulenza ha una
personalità ben delineata, con figure professionali accreditare
e inserite pienamente nel mercato dei servizi alla persona.
Nel nostro paese si ritiene che le attività di informazione,
formazione, orientamento, bilancio delle competenze e sostegno
nelle scelte personali e professionali dell‟individuo, siano
già “incluse”, come funzioni secondarie, nel servizio offerto.
Il counseling approccia invece in modo diretto proprio tali
attività formative “secondarie”, ovviamente senza uscire da
ambiti di lavoro specifici (per cui esiste una consulenza
scolastica, familiare, filosofica, psicologica, ecc.), ma
dandosi la mission di sostenere la persona nell‟affrontare
oggetti da lui stesso identificati come problematici. Ad
esempio – in ambito lavorativo – il problema prioritario da
risolvere per un soggetto potrebbe non essere lo stato di
disoccupazione, ma decidere se lanciarsi in un‟attività in
proprio piuttosto che cercare un impiego dipendente; o
effettuare un‟analisi dei rischi/benefici di un cambio di ruolo
all‟interno della propria ditta. Sono bisogni che richiedono
informazione, bilancio di competenze, orientamento. Ma i Centri
per l‟Impiego non si fanno carico di affrontare questi bisogni
particolari, in quanto non sono direttamente implicati con la
ricerca di un lavoro, vero obiettivo del servizio in questione.
Lo stesso discorso si potrebbe estendere a tutti gli altri
servizi che tendono ad occuparsi di un problema specifico e si
occupano di attività educative e formative solo a un livello
marginale.
4
Il counseling non si pone altri obiettivi che l‟accrescimento
del consultante: in termini culturali, di risorse, di capacità
di fronteggiare i problemi, di consapevolezza di sé e dei
propri bisogni. Pura formazione insomma, collegata al contesto
sociale, ma strettamente legata alla dimensione dell‟individuo.
Per queste ragioni il counseling si colloca perfettamente
nell‟ambito formativo trattato all‟interno di Scienze
dell’educazione permanente e della formazione continua. La
formazione permanente, gli interventi di formazione culturale,
i percorsi educativi per una cittadinanza attiva e più
consapevole, la formazione non solo professionale ma anche
relazionale, sono ambiti professionali di cui il counseling si
occupa pienamente, e molti paesi stranieri lo hanno già
riconosciuto, inserendo corsi universitari sulla consulenza
proprio in quest‟area.
Spostando l‟attenzione al versante professionale, è sempre più
elevata la richiesta di nuove tipologie di servizi – e di
operatori formati – in grado di aiutare categorie sociali che
solo in apparenza non risultano bisognose di aiuto. Soprattutto
l‟ambito familiare è quello che attualmente richiede più
attenzione da parte di formatori ed educatori. In un welfare di
tipo assistenzialistico come quello italiano, la famiglia è
infatti la categoria su cui si appuntano più numerosi gli
interventi di semplice risposta al disagio. Eppure il compito
genitoriale (insieme alla dimensione lavorativa), è percepito
come l‟ambito prioritario degli adulti, e ha una grande
rilevanza nella costruzione dell‟identità personale e nella
cura del Sé.
Per trattare gli argomenti citati, questa tesi ha potuto
avvalersi di una abbondante letteratura riguardante l‟utilizzo
5
del counseling in ambito psicologico, filosofico, pedagogico e
formativo, mentre è assai scarsa la letteratura scientifica che
si occupa del counseling come disciplina, analizzandone gli
strumenti e gli obiettivi specifici; le metodologie e l‟utenza
propria. Anche una storia generale del counseling è pressoché
ancora da scrivere e gli studi sono frammentati tra i diversi
approcci, senza una visione unitaria.
Questo quadro teorico penalizza moltissimo, a mio parere, la
costruzione di un‟identità solida del counselor, perché non
permette di dare una collocazione e una definizione chiara alla
sua professione, troppo spesso ridotta a semplice tecnica, di
cui varie discipline si contendono l‟esclusivo utilizzo.
Parlare di counseling in modo integrato, senza frammentarlo
nelle sue molteplici possibilità di specializzazione e
utilizzo, permetterebbe invece di percepire i veri tratti
distintivi di questa professione, che è autonoma, anche se
trasversale a molte altre.
Questa tesi cerca di contribuire, nel suo piccolo, a questo
sforzo e pur soffermandosi su alcuni approcci, cerca di
inserirle in un quadro unitario della consulenza, sottolineando
come tale pratica sia una nuova – e allo stesso tempo antica -
frontiera della formazione e cura alla persona.
Nei primi quattro capitoli cerco di delineare il più
chiaramente possibile i confini e gli ambiti applicativi di
questa professione.
Un focus specifico, approfondito nei capitoli cinque e sei,
riguarda gli approcci filosofico e pedagogico alla consulenza,
che sono quelli maggiormente usati negli interventi formativi,
sia per i singoli individui che per le famiglie.
6
Infine, nel settimo capitolo, analizzo alcune applicazioni
pratiche della professione, secondo i diversi approcci,
approfonditi e calati in differenti scenari: dall‟utilizzo
della scrittura creativa, alle vacanze formative, passando per
le consulenze in “piazza”. Le testimonianze dei counselor
professionisti intervistati – esperti di varie tipologie di
interventi: dalle dipendenze, agli adolescenti, alla
genitorialità – rendono chiaro quante possibili applicazioni di
questa disciplina si possano progettare nei servizi di cura
alla persona.
7
1 Perché il counseling e possibili definizioni
Il bello e il brutto, il letterale e il metaforico, il sano e
il folle, il comico e il serio... perfino l'amore e l'odio,
sono tutti temi che oggi la scienza evita. Ma tra pochi anni,
quando la spaccatura fra i problemi della mente e i problemi
della natura cesserà di essere un fattore determinante di ciò
su cui è impossibile riflettere, essi diventeranno accessibili
al pensiero formale.
Gregory Bateson, Dove gli angeli esitano
1.1 Il counseling come risposta ad un bisogno attuale
L‟arte si evolve nel tempo, a seconda del particolare sentire
dell‟uomo di una data epoca. Quasi come una terapia, l‟arte
permette di esternare la visione del mondo non solo di un
essere umano particolare, ma dell‟essere umano universale, che
attraverso tematiche eterne – come l‟amore, la passione, l‟odio
o la solitudine – si rispecchia nella visione particolare
dell‟artista, che dà vita a uno stile, a una tecnica precisa. A
un suo modo di interpretare il mondo.
Ma se l‟arte rappresenta tematiche universali ed eterne, non si
può dire che lo faccia sempre con lo stesso stile o finalità.
Lo stile, per l‟appunto, evolve, cambia, perché pur mettendo in
scena gli stessi sentimenti di sempre lo fa a partire da
esigenze molto diverse.
Potremmo dire che il Classicismo ben metteva in scena la
bellezza con la finalità di dare piacere agli occhi, di
rasserenare gli animi, di elevare lo spirito alla
contemplazione del Bello, dell‟Armonico, di qualcosa di così
8
bilanciato ed equilibrato da sfiorare la perfezione, e quindi
l‟estasi.
Il Romanticismo, rappresentando la stessa bellezza che cercava
di realizzare il Classicismo, aveva la finalità di cogliere lo
stato d‟animo personale dell‟autore, solitamente profondamente
turbato dalla impetuosità del Bello, che quindi trasmetteva
inquietudine, disarmonia, sorpresa; qualcosa di così
conturbante e più grande di noi da sopraffare lo spettatore, e
sfiorare così l‟estasi.
Nonostante l‟obiettivo fosse lo stesso, l‟arte di questi due
periodi storici cercava di soddisfare bisogni molto diversi,
perché partiva da necessità diverse. Pur accettando la
presenza, in seno ai romantici, di amanti del Classicismo, è
innegabile che il sentire comune fosse cambiato, e altrettanto
naturalmente cambiò il tipo d‟arte che forniva risposte.
Potremmo in un certo senso dire che per l‟uomo dell‟Ottocento
il Classicismo ha fallito, nella sua finalità di rappresentare
la bellezza. Perché l‟uomo romantico aveva altri bisogni, altri
sentimenti, in merito alla questione.
Questa parentesi artistica potrebbe essere una buona metafora
per capire perché sia nato il counseling, e come mai abbia
generato tanta confusione all‟interno delle arti della cura
alla persona. Può sembrare un parallelo curioso, ma del tutto
pertinente, se pensiamo che ogni disciplina si sviluppa e muta
in corrispondenza ai bisogni di un‟epoca. E l‟arte di cura non
fa eccezione.
Ripercorrendo brevemente le discipline che si sono occupate
dell‟uomo e dei “mali dell‟anima”, noteremo infatti che
all‟origine era la filosofia, tra i suoi vari intenti, a
cercare di dare ordine al disagio individuale. Lo faceva
attraverso la ricerca del vero, dell‟oggettivo, occupandosi non
9
tanto dei problemi quotidiani e personali, ma piuttosto delle
domande sull‟esistenza comuni a tutti gli esseri viventi,
quindi astratte e generali, la cui risposta poteva sollevare da
quel malessere generato dall‟incertezza.
Non molto differentemente dalla filosofia, la religione ha
sopperito per molto tempo alla stessa identica esigenza,
placando il malessere interiore con risposte trascendentali e
sempre universali per l‟individuo. Che tramite regole chiare e
precise su chi fossimo, a cosa fossimo destinati e perché,
leniva a sufficienza quel dubbio esistenziale comune in ogni
epoca.
Per comprendere il balzo verso la psicologia, all‟inizio del
secolo scorso, potremmo considerare molte ragioni: un
secolarismo avanzante, stili di vita improntati
all‟individualismo, il dubbio sull‟autorità assoluta della
volontà umana, e una necessità impellente di trovare dentro se
stessi il proprio senso, e non più fuori da sé. E così il
malessere si sposta, viene collocato dentro meccanismi mentali,
che si formano da traumi e impulsi inconsci ma sempre comuni a
tutti, e pertanto guaribili con pratiche mediche, analitiche,
disciplinate e ferree; che con grande precisione organizzano
l‟inquietudine umana in categorie specifiche di malattie,
ciascuna con una cura adeguata: alcune traggono più benefici
dai farmaci, chi dall‟analisi dei sogni, chi dall‟idroterapia.
Se però per la religione si è tutti peccatori, e per la
psicologia tutti nevrotici
1
, la filosofia ha dato un taglio
decisamente diverso all‟argomento, che è stato poi ripreso
anche in ambito educativo e formativo; un taglio che sembra
1
Freud arrivò a dire che la religione è la “nevrosi ossessiva dell‟umanità”,
e se per il padre della psicologia siamo tutti nevrotici, si capirà ancor
meglio come religione e psicologia rispondessero tutto sommato allo stesso
identico problema.
10
essere ritornato in auge nella nostra epoca di relativismo e
accento sull‟unicità della persona. Dal punto di vista
filosofico ed educativo, infatti, il dubbio, la diversità, il
malessere, non coincidono necessariamente con una patologia
deviante dalla norma. Per questa discipline si è semplicemente
tutti “impigliati” nelle problematiche esistenziali, in quanto
tutti cerchiamo di dare un senso alle nostre domande. Non più
“peccatori”, “malati” o “pazienti”, quindi, ma semplicemente
uomini e donne con dubbi, pensieri, interrogativi, insiti nella
nostra stessa natura, giacché esistiamo in quanto pensiamo, e
il dubbio è originato dallo stesso pensiero
2
.
Il counseling, senza differenze di approcci, riprende
quest‟assunto della filosofia e dell‟educazione stessa che vede
ogni essere umano legittimato a dubitare senza essere relegato
nella categoria dei malati; suggerendoci quindi una nuova
esigenza, quasi la stessa che l‟arte contemporanea sembra
sottoporci, se vogliamo utilizzare ancora una volta questo
paragone. Se la filosofia postduchampiana ci dice che ogni
oggetto può diventare arte, il counseling ci dice che ogni
domanda può diventare legittima e ricca di senso. Anche la più
banale, circoscritta e quotidiana domanda può essere oggetto di
riflessione, anzi: proprio quelle domande devono essere oggetto
di riflessione da parte dell‟individuo, e non altre estranee
suggerite nel rapporto di cura.
In questa sede non si vuole certo suggerire che come il
Classicismo abbia fallito per l‟uomo romantico anche la
religione o la psicoanalisi abbiano dato dei segni di
stanchezza per l‟uomo contemporaneo. Tutt‟altro. Ma forse il
2
AGOSTINO, La città di Dio, XI, 26: «Si enim fallor sum. Nam qui non est,
utique nec falli potest, ac per hoc sum si fallor [Se infatti mi sbaglio,
vuol dire che esisto: chi non esiste non può nemmeno sbagliarsi; dunque,
siccome mi sbaglio, esisto]».
http://www.augustinus.it/latino/cdd/cdd_11.htm (dicembre 2010).
11
grande interesse che si va sempre più sollevando intorno a
forme di supporto “leggero” - non giudicanti o inquadranti in
una patologia - come il counseling ma anche il coaching, il
mentoring e il ruolo del facilitatore, è dovuto a un‟evoluzione
delle esigenze dell‟uomo moderno, a un cambiamento nel definire
ciò che è normale e ciò che è deviato, a un cambio di
prospettiva su ciò che ci si aspetta in una relazione di aiuto.
Ciò che oggi l‟individuo sembra chiedere è un accompagnamento
in un percorso di crescita personale di cui esso può tenere
saldamente le redini, dove può avere un ruolo attivo, e dove la
chiave di lettura è data dalle proprie lenti con cui si guarda
il mondo. E non con quelle suggerite dalla società viennese dei
primi del Novecento. E tutte le relazioni di cura, di qualsiasi
scuola e approccio, se vogliono rimanere efficaci e gradite ai
propri interlocutori devono fare i conti con questo cambio di
rotta.
Il counseling lo fa, dal momento che, inteso nel suo concetto
più ampio, ha proprio l‟ambizioso tentativo di riportare
l‟attenzione iniziale all‟interno del soggetto, alle sue
specificità, per offrirgli un supporto e un confronto che lo
conduca poi all‟esterno, allarghi le sue visioni e il suo modo
di pensare, e gli lasci una maggiore consapevolezza non solo di
se stesso, ma anche di ciò che è diverso da sé. Il counseling,
per tanto, può essere visto come lo sforzo di comprendersi,
analizzare il proprio stile di pensiero e analisi della realtà,
e farlo evolvere verso una visione più ampia, più profonda. È
quasi assimilabile al “doversi dare uno stile” espresso da
Nietzsche nella Gaia scienza, per cui la meta finale dell‟uomo,
anzi dell‟Übermensch, sarebbe proprio cercare una sintesi
concettuale di se stessi, una riflessione sul proprio modo di
essere, di pensare e di rapportarsi al mondo, che è “un‟arte
grande e rara, l‟esercita colui che abbraccia con lo sguardo
12
tutto quanto offre la sua natura in fatto d‟energie e
debolezze”
3
. Un tentativo di creare se stessi, nella visione
nietzschiana, proprio come si dovesse creare un‟opera d‟arte;
pertanto non con il fine di ricercare il Vero, o il Giusto, ma
il proprio sentire, il proprio essere. Allo stesso modo, il
counseling non si pone l‟obiettivo di raggiungere una verità
assoluta; ma di far luce, a chi si rivolge ad esso, sulle
proprie domande, il proprio modo di pensare e agire, e
confrontarli con altre visioni del mondo.
Occorre ovviamente uno sforzo notevole di traduzione del
proprio sentire, sia da parte del soggetto che del counselor.
Ma in questo la filosofia, la letteratura, l‟arte, l‟educazione
e la formazione, vengono in aiuto; perché come tutte le
discipline che si occupano del benessere umano la chiave è nel
rapporto dialogico.
1.2 Caratteristiche del counseling e difficoltà di definizione
Il counseling è un‟attività estremamente difficile da
inquadrare, che nel corso della sua esistenza ha toccato più
ambiti e professioni; e questo ovviamente rende difficile anche
darne una definizione univoca, generale e comprensiva di tutti
gli approcci esistenti ad oggi. In realtà si potrebbe
sostenere, in un certo senso, che sia un‟attività antica quanto
la storia stessa dell‟uomo: dallo sciamanesimo alla filosofia,
l‟arte della cura alla persona ha spesso assunto nomi e volti
diversi, fino a specializzarsi in discipline molto precise. Al
limite del confine con la medicina, come abbiamo già accennato,
come la psicologia o la psichiatria; o attraverso la corporeità
3
F. NIETZSCHE, La gaia scienza e Idilli di Messina, Milano, Adelphi, 1965,
pag.76.
13
e la creatività, come la biodanza o il teatro. Il counseling,
per la sua natura di relazione dialogica come strumento di
fronteggiamento dei problemi personali, è una delle forme più
antiche di relazione di cura, anche se la strutturazione più
formale di alcuni dei suoi maggiori filoni è avvenuta in tempi
più recenti. Penso al counseling psicologico di Carl Rogers,
sorto nel 1951; ma bisogna segnalare che di questo termine si
ha traccia ancor prima, già a inizio Novecento, e comprendeva
tutte le attività di orientamento professionale per reduci di
guerra
4
. Come possiamo vedere, quindi, il termine counseling ha
definito attività anche molto diverse tra loro.
Eppure, nonostante il proliferare di differenti scuole,
approcci e metodologie, sono sempre stati mantenuti dei punti
fermi, che hanno aiutato in una sua definizione e collocazione
più precisa. Le diverse definizioni che si vanno ad incontrare
in un primo avvicinamento al counseling, infatti, tendono
proprio a mettere più o meno in luce queste caratteristiche
comuni; che nonostante le possibili differenze di approccio al
sistema - che caratterizzano più che altro chi fa counseling,
piuttosto che il counseling stesso - sono mantenute e
rispettate.
La totale centralità del soggetto e la sua piena autonomia
nella partecipazione all‟attività di aiuto, ad esempio, è una
caratteristica irrinunciabile; e la British Association for
Counseling ha cercato di darle risalto in modo prioritario in
questa definizione: il counselor può indicare le opzioni di cui
il cliente dispone e aiutarlo a seguire quella che sceglierà.
Il counselor può aiutare il cliente a esaminare
dettagliatamente le situazioni o i comportamenti che si sono
rivelati problematici e trovare un punto piccolo ma cruciale da
4
E. RAHM, La storia del counseling in AA.VV. (a cura di) Integrazione nelle
psicoterapie e nel counseling, Roma, ESA, 1999.
14
cui sia possibile originare qualche cambiamento. Qualunque
approccio usi il counselor […] lo scopo fondamentale è
l’autonomia del cliente: che possa fare le sue scelte, prendere
le sue decisioni e porle in essere
5
.
Un altro tratto fondamentale, che bene esprime questa volontà
di lasciare il soggetto libero e autonomo, è il rifiuto - da
parte del counseling - di utilizzare un linguaggio che inquadri
i soggetti in ruoli di dipendenza, come abbiamo già visto. I
termini paziente o medico, malato o sano, non fanno parte di
quest‟ottica. Le varie correnti hanno scelto termini diversi,
per designare chi si rivolge al counseling: cliente, persona,
richiedente, consultante, ospite. Ciascuno di questi termini
cerca di mettere in luce il rapporto simmetrico e alla pari tra
due persone che, con competenze e abilità ovviamente molto
diverse, si confrontano e dialogano, in vista di un
arricchimento vicendevole.
Il dialogo è proprio la caratteristica fondamentale del
counseling. L‟Organizzazione mondiale della sanità, nel 1989,
ne ha dato infatti la seguente definizione: un processo
focalizzato, limitato nel tempo e specifico che tramite il
dialogo e l’interazione personale mette in condizione gli
individui di gestire i problemi e rispondere a disagi e bisogni
psicosociali nel modo migliore possibile secondo le loro
potenzialità.
6
Il rapporto di aiuto, infatti, non si realizza attraverso una
diagnosi, o l‟assunzione di farmaci, o l‟analisi da parte di un
esperto dei lapsus e delle rivelazioni che più o meno
5
Tratto da Information Sheet 10, What is Counselling?, in
http://www.bacp.co.uk/education/whatiscounselling.html (dicembre 2010).
6
Tratto da http://www.counselor.ch/interna.asp?idarticolo=6758 (dicembre
2010).
15
consciamente il soggetto produce. Dialogo presuppone un‟analisi
cosciente, partecipata, lucida e razionale, del proprio agire,
sentire e pensare. Le sfere chiamate in causa nell‟analisi non
sono necessariamente solo il proprio vissuto emotivo, o i
comportamenti attivati a date situazioni problematiche.
L‟obiettivo non è semplicemente risolvere un problema infatti,
seppur sia anch‟esso un risultato importante. Tra le ambizioni
principali del counseling vi è quello di potenziare le capacità
del soggetto a comprendersi, a conoscersi, e anche conoscere le
alternative possibili a un dato modo di pensare, agire e
sentire ormai consolidato e involontario. Una risorsa per
cercare di migliorare sé stessi e il proprio percorso di vita.
Da questo punto di vista, la definizione che sicuramente ha
dato maggior spazio a quest‟aspetto è quella che troviamo nel
Dizionario di Counseling: il counseling è un'attività di
competenza relazionale con mezzi comunicazionali per agevolare
l'autoconoscenza attraverso la consapevolezza e lo sviluppo
ottimale delle risorse personali per migliorare il proprio
stile di vita in maniera più soddisfacente e creativo
7
.
Vengono quindi chiamate in causa tematiche molto ampie: non
solo problemi strettamente legati a processi psicologici,
traumi, o difficoltà comportamentali; ma anche dilemmi
esistenziali, conflitti interiori, problematiche quotidiane
come difficoltà lavorative e familiari, di coppia, di perdita
di senso, di interrogazione sul senso della noia o della natura
della felicità. Tematiche spesso sminuite dalla psicologia, per
cui vi è sempre una causa di natura psicologica alla base; o
troppo filosofiche per la formazione, che tende a potenziare le
capacità di risposta in modo pratico ed efficiente ai problemi
che ricadono in ambito per lo più professionale. È quindi un
7
C. FELTHAM, W. DRYDEN, Dizionario di counseling, a cura di Edoardo Giusti,
Roma, Sovera, 1995, p. 83.
16
processo di apprendimento contrattualizzato tra counselor/s e
cliente/i, siano essi individui, famiglie, gruppi o
istituzioni, che affronta in modo olistico problemi sociali,
culturali, economici e/o emozionali
8
.
Altra caratteristica del counseling - che lo avvicina molto
agli interventi educativi e formativi, e lo distingue da quelli
psicologici - è l‟attenzione al qui ed ora del soggetto, alle
sue richieste presenti, e non ai processi profondi che
sottostanno ad essi. Lo scopo è affrontare ciò che il soggetto
che si rivolge al counselor vive come difficoltoso,
problematico. E non ciò che il counselor pensa possa
nascondersi dietro a tale problema. Il tentativo è tradurre il
linguaggio del cliente, ricostruire la sua visione del mondo e
del problema, sulla base dei suoi comportamenti e
atteggiamenti, e sulla base di ciò che comunica. Questo
delimitare, non il problema – che può andare a toccare più
sfere dimensionali ed esistenziali -, bensì l‟area di indagine
del counselor, permette di potersi focalizzare su una tematica
precisa, una difficoltà molto chiara e definita, che non
trascina nella ricerca di ciò che ha di problematico il
soggetto, ma di come tale problema coinvolge il soggetto.
Ultima caratteristica importante, legata all‟analisi del qui ed
ora del soggetto, è la durata di tale attività. Il counseling è
solitamente breve, limitato ai 6/8 incontri, se non meno; in
quanto quest‟attività non avvia percorsi terapeutici, né di
scomponimento o trasformazione della struttura interiore del
soggetto. Si limita ad affrontare, tramite un‟analisi
partecipata col cliente, il problema che il cliente stesso ha
individuato e valutato come prioritario. Gli offre una sponda
di ragionamento per non perdersi; un pensiero altro, diverso,
8
Definizione di counseling adottata dall‟Associazione Europea Counseling EAC
nel 1995, in http://www.eac.eu.com/index.php?/Standards-and-
Ethics/definition-of-counselling.html (dicembre 2010).
17
con cui confrontarsi e quindi capire meglio ciò che si è, e
come si agisce. E avere nuove capacità e risorse per risolvere
da soli il problema che coinvolge in quel luogo e in quel
momento il soggetto.
È forse necessario aprire una piccola parentesi riflessiva su
quest‟ultima affermazione: il counseling non è terapia.
Ricorrerà spesso, tale affermazione, in questa tesi; in quanto
il termine “terapeutico” viene utilizzato nell‟accezione medica
del termine, che prevede il trattamento sistematico di una
malattia, o l’insieme dei provvedimenti e delle medicine atti a
migliorare lo stato di salute
9
. Il counseling non è sicuramente
una terapia, da questo punto di vista, per il semplice fatto
che non ha come oggetto di studio la malattia. Perché essere
talvolta insoddisfatti, o annoiati, o avere dei dubbi sulle
proprie capacità educative come genitore, non sono di certo
malattie. Però quando l‟individuo dubita, o è angosciato, o
preoccupato, o anche solo se non si sente realizzato, sta male:
in quanto il concetto di salute è un completo benessere fisico,
psichico e sociale, e non semplice assenza di malattia, come ci
ricorda l‟Organizzazione Mondiale della Sanità. E il counseling
si fa proprio carico di questi malesseri; infatti è ritenuto, a
ragion veduta da chi ne trae benefici, come terapeutico. Perché
un dialogo di aiuto, un supporto emotivo, un confronto
competente, sicuramente aiutano il soggetto in difficoltà, lo
alleviano dalle sue problematiche, hanno un effetto terapeutico
insomma, comunemente parlando.
Questo termine, così utilizzato, più che rivolgersi all‟ambito
medico sembra piuttosto riferirsi al concetto greco della
therapeia, che rinvia ad un prendersi cura, assistere, essere
9
Tratto da http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/T/terapia.shtml
(dicembre 2010).