4
Si è poi proceduto alla disamina della situazione politica italiana nel
medesimo periodo, cercando di individuare i collegamenti sociali,
economici e politici, che li correlassero a quanto stava succedendo a
livello internazionale. Particolare attenzione si è riservata all’esame
delle origini e delle condizioni che hanno dato vita alla soluzione di
centro sinistra: coalizione politica che diede poi vita alla legge di
unificazione della scuola media.
Abbiamo inoltre ritenuto appropriato isolare in un capitolo la
trattazione di uno dei maggiori eventi dell’Italia del dopoguerra: il
boom economico, che, come vedremo, avrà non poche ricadute sul
modello formativo creando nuove esigenze del tutto sconosciute sino
ad allora.
Infine si è inteso inquadrare anche il mondo dell’informazione italiana
di quel decennio: le evoluzioni del modo di fare giornalismo, i
mutamenti delle testate più importanti, le implicazioni stampa–potere,
le modalità di trattazione degli argomenti e le linee editoriali
ricorrenti.
Nella seconda parte si è invece concentrato l’attenzione sulla scuola:
prima attraverso una sintetica ricostruzione dell’evoluzione del
sistema scolastico italiano sino alla riforma, poi cercando di
approfondire le diverse tendenze e posizioni che animarono il dibattito
intorno alla scuola.
5
Abbiamo parlato dei principi che animarono i partiti della sinistra e gli
intellettuali marxisti, alla ricerca di una scuola democratica e aperta
“veramente” a tutti.
Abbiamo indagato la posizione articolata e complessa degli ambienti
cattolici che racchiudeva al proprio interno diverse modalità di
rappresentazione e diverse teorie applicative dell’educazione cristiana:
salvaguardare la libertà di insegnamento e nello stesso tempo lavorare
per una scuola pubblica per tutti, concepire una cultura incentrata
sull’asse umanistico e contemporaneamente assecondare le esigenze
di un mondo del lavoro in piena evoluzione, fornire un valido
appoggio alle proposte governative ed insieme sviluppare un
atteggiamento critico; tutti elementi che contribuirono a delineare una
situazione di non facile lettura.
Si è inoltre tracciato un quadro delle opinioni del mondo laico,
raccolto intorno a quella che fu uno dei principali laboratori della
cultura “terzoforzista”: Il Mondo. Ne abbiamo scoperto il vivo
interesse sulle questione scolastica e il vivace dibattito che il giornale
di Pannunzio animò, dando spazio a voci difficilmente inquadrabili in
questo o in quello schieramento ideologico.
Infine, analizzando la posizione liberal-democratica, si è affrontato
l’argomento “latino”, elevato a simbolo di tutte le dispute: culturale,
ideologica e politica, che hanno contraddistinto il travagliato cammino
della legge 1859.
6
Nella terza parte l’osservazione si è spostata sul Corriere della Sera.
Ne abbiamo delineato la storia, nel decennio a cavallo tra gli anni
cinquanta e sessanta, cercando di scoprirne gli aspetti più
caratterizzanti e mettendone in risalto i rapporti con il nascente centro
sinistra.
Il lavoro è proseguito attraverso una ricerca condotta in archivio che,
pur senza la pretesa di essere esaustiva, ha individuato l’interesse,
tradotto in articoli pubblicati, in merito al dibattito sull’educazione e
sulla sua riforma. Oltre a citare ampiamente gli articoli di cronaca e di
commento delle varie posizioni politiche e delle categorie sociali
interessate, abbiamo provato ad intuirne la linea editoriale mettendola
in luce attraverso i pezzi più caratterizzanti.
Infine abbiamo ritenuto interessante replicare il lavoro di ricerca
svolto sulle pagine del Corriere della Sera anche su quelle
dell’edizione pomeridiana (Corriere d’Informazione), evidenziandone,
se presenti, le differenze di “taglio”.
In ultimo abbiamo deciso di inserire l’intero testo della legge 1859 del
31 dicembre 1962 a completamento dell’analisi svolta.
Per quanto riguarda la bibliografia, ci siamo avvalsi del supporto di
testi il più possibile accreditati, completi e attinenti all’argomento
7
trattato, non rinunciando ad una selezione degli stessi anche in base
alla propria origine culturale ed ideologica.
Gli articoli del Corriere della Sera e del Corriere di Informazione
riportati in bibliografia sono tutti quelli pubblicati dai giornali tra il 1
ottobre 1960 ed il 31 ottobre 1963, che a nostro avviso, potevano
aggiungere significato al nostro lavoro e documentare al meglio il
dibattito in corso ed il clima sociale, culturale e politico del tempo.
8
1. IL CONTESTO STORICO
1.1 Il mutato contesto internazionale
Negli Stati Uniti, nel gennaio del 1961 succede a Dwight D.
Eisenhower il democratico John F.Kennedy che, con il 50,1% dei voti,
supera in un’accesa e controversa disputa il rivale Richard Nixon.
L’elezione di J.F.Kennedy – primo cattolico ad insediarsi alla Casa
Bianca - fu salutata favorevolmente da gran parte dell’opinione
pubblica occidentale, non solo filostatunitense, la quale nutriva forti
speranze di rinnovamento e di avvio di un nuovo corso in politica
internazionale
1
.
Tali speranze erano alimentate dal carisma del personaggio ma anche
dal programma così fortemente impregnato di innovazione e
modernità.
“[…] Io vi dico che noi ci troviamo di fronte alla Nuova
Frontiera, che lo vogliamo o meno. Al di là di questa frontiera
si estendono i domini inesplorati della scienza e dello spazio,
dei problemi non risolti della pace e della guerra, delle sacche
dell’ignoranza e dei pregiudizi non ancora domate, e le
questioni lasciate senza risposta dalla povertà e dagli sprechi.
Ritengo che il nostro tempo esiga innovazione, immaginazione e
1 Lo stesso Vittorio Foa in Questo Novecento, (Einaudi Editore, Torino, 1996) ricorda le
aspettative che i “ fautori del cambiamento” nutrivano nel nuovo Presidente.
9
decisione. Vi chiedo di essere i pionieri di questa Nuova
Frontiera”.
2
J.F. Kennedy inaugurò un nuovo stile di gestione del potere: l’ufficio
presidenziale si popolò ben presto dei migliori giovani intellettuali
harvardiani fedeli alla linea riformatrice del Presidente ai quali venne
affidato un ruolo di alta consulenza, non solo sulle questioni di
politica interna ed internazionale, ma anche sul modello di gestione e
organizzazione dell’amministrazione.
Durante il primo semestre di presidenza vennero redatti numerosi
studi preparati dai più brillanti intellettuali del Paese su tutti gli aspetti
cruciali della politica mondiale.
Si costituirono ventisette commissioni di studio (prima e dopo
l’elezione) per preparare il programma; di queste più della metà si
occuparono di politica internazionale. Ed è proprio in politica
internazionale che Kennedy lasciò maggiormente il segno del proprio
breve mandato.
Lanciò un massiccio piano economico - la cosiddetta “Alleanza per il
Progresso” - a favore dei paesi dell’America Latina al fine di
prevenire l’eventuale diffusione del castrismo, e parallelamente diede
il via ad un piano di “contenimento” armato del regime cubano
avvallando l’intervento della Baia dei Porci.
2 Dal discorso per l’accettazione dell’investitura da parte del Partito Democratico – Luglio 1960.
10
In Europa si oppose fermamente a Kruscev denunciando la minaccia
sovietica sull’Occidente ma non poté nulla contro la costruzione del
muro nell’agosto del 1961
3
.
Di contro fu promotore di una fondamentale iniziativa economico-
politica – il Kennedy round – con il quale, allo scopo di favorire la
collaborazione e l’integrazione tra Europa Occidentale e Stati Uniti, si
costituirono le basi per un abbassamento delle tariffe doganali tra il
MEC e gli stessi Stati Uniti.
Il rapporto tra Europa Occidentale e Stati Uniti si intensificherà, non
senza motivi di attrito tra le parti
4
, anche nell’ambito dell’Alleanza
Atlantica con l’attuazione della strategia della flexible response
implicante una divisione delle responsabilità e degli investimenti in
merito al rafforzamento dell’apparato militare convenzionale. Questa
strategia se da un lato garantiva maggiori opzioni e livelli di
intervento e allontanava lo spettro della guerra nucleare, dall’altra
offriva più opportunità per una politica di interventi militari.
Per sostenere “la democrazia” contro la “dittatura comunista” infatti,
aumentò i “consiglieri militari” americani a supporto del corrotto
3 “Berlino – Il confine fra Berlino est e Berlino Ovest è stato chiuso questa notte” “ Autocarri
carichi d truppe della Rdt sono stati visti prendere posizione lungo la linea di confine presso la
Porta di Brandeburgo”. “Il Consiglio dei ministri ha deciso di attuare nel settore occidentale di
Berlino i controlli abituali alle frontiere di uno stato sovrano. I cittadini della Germania orientale
potranno entrare a Berlino ovest solo se in possesso di uno speciale certificato” Note Ansa delle
3.20, 3.28 e 4.35 del 13 agosto 1961.
4 Francia e più velatamente Gran Bretagna si opposero all’applicazione di tale strategia che
prevedeva un unico centro decisionale – gli Stati Uniti - di scelta delle eventuali opzioni da
esercitare.
11
governo sudvietnamita di Diem portandone le presenze sul territorio
da un migliaio a quasi trentamila, ponendo di fatto le basi per la
successiva escalation militare.
Nell’ottobre 1962 la crisi dei missili a Cuba condusse il mondo
sull’orlo della catastrofe nucleare e solo la fermezza di Kennedy nei
confronti dei “falchi” della propria amministrazione e l’intelligenza
politica di Kruscev condussero il negoziato fuori dalla profonda
empasse e dal rischio di una guerra dagli esiti incontrollabili.
L’esperienza dell’ottobre 1962, l’evidente riaffermazione del
bipolarismo e l’innegabile clima di distensione che si era venuto a
creare condusse le due potenze alla firma - a Mosca tra agosto e
settembre 1963 - di un trattato per la cessazione degli esperimenti
nucleari non sotterranei.
In politica interna il Presidente agì con estrema risolutezza per
garantire l’integrazione civile dei neri e con un’accorta politica di
investimenti pubblici riuscì a cavalcare l’eccezionale espansione
economica a partire dal 1961.
Non riuscì però a superare l’opposizione conservatrice (a differenza
del suo successore Lyndon B. Johnson che portò a compimento quasi
tutto il programma kennediano in materia) su una serie di iniziative
sociali, quali: la riforma fiscale e scolastica, l’assistenza medica per
gli anziani, le assicurazioni sociali e l’agricoltura.
12
Se indubbiamente l’avvento di Kennedy portò una ventata di
rinnovato dinamismo e facilitò alcuni snodi cruciali nella politica
interna di alcuni stati (compresa l’Italia di cui parleremo più
ampiamente nei successivi capitoli), l’entusiasmo suscitato sembra
non essere stato poi confortato – anche a causa della brevità della
presidenza – da risultati altrettanto evidenti e originali.
“In realtà la rivoluzione kennediana si doveva dimostrare –
come scrive Mammarella – una rivoluzione di tecniche nella
gestione del potere e nell’utilizzazione di una nuova classe
dirigente e non fu o non ebbe tempo di essere una rivoluzione di
idee”
5
.
I primi anni sessanta furono di particolare intensità anche sul fronte
orientale: Nikita Kruscev, diventato segretario del partito alla morte di
Stalin nel 1953, avviò sin da subito un processo di “destalinizzazione”
– dettato dalle mutate condizioni interne al Paese, il profilarsi della
fine della Guerra Fredda e la prossima inevitabile costituzione di un
nuovo equilibrio mondiale basato sulla coesistenza
6
dei due blocchi -
che ebbe il suo primo grande momento e la sua teorizzazione durante
il XX Congresso del PCUS (14-25 febbraio 1956).
5
Giuseppe Mammarella, Europa – Stati Uniti un’alleanza difficile 1945-1985, pag. 225, Editori
Laterza, Roma – Bari, 1996.
6
Orientamento strategico opposto a quello della Cina che propendeva invece per la
contrapposizione di campo.
13
Se la destalinizzazione procedette internamente senza grossi intoppi
7
,
l’effetto sui paesi del Patto di Varsavia fu invece particolarmente
destabilizzante, soprattutto in Polonia, Germania dell’est ed Ungheria.
Fu però nei primi anni sessanta che cominciarono ad emergere le
ambiguità del programma di Kruscev che, se indubbiamente aveva
favorito la distensione, agevolato la crescita economica e ridato lustro
al mito sovietico (su tutti l’invio del primo uomo nello spazio il 12
aprile 1961), non aveva portato l’Unione Sovietica ai risultati
prefissati.
Gli ambiziosi programmi economici si rivelarono quantomeno
avventurosi, la destalinizzazione non raggiunse mai un livello di
trasparenza rilevante, i rapporti con i paesi dell’Europa orientale si
erano stabilizzati ma non si erano settati su quel livello di parità
propagandato inizialmente, ed infine le relazioni con la Cina Popolare
si stavano inesorabilmente deteriorando.
In ogni caso nei primi anni sessanta Kruscev raggiunse l’apice del
successo e della sua autorità: al XXI Congresso del PCUS, tenutosi
nell’ottobre del 1961, arrivò a proclamare la fine della dittatura del
proletariato in URSS ed il raggiungimento del comunismo nell’arco di
vent’anni.
7 “Il nome di Stalin è stato fatto scomparire da città, quartieri e strade. Le autorità di Stalingrado
hanno deciso di ribattezzare la storica città in Volvograd. A Stalino in Ucraina stesse intenzioni,
si chiamerà d’ora in avanti Donetzk”, Comunicato ANSA del 10 novembre 1961, ore 23:55.
14
“Nel corso del secondo decennio, entro il 1980, il nostro Paese
supererà di gran lunga gli Stati Uniti per la produzione industriale e
agricola pro-capite […]. L’Unione Sovietica per il suo livello
economico supererà i più sviluppati paesi capitalistici ed occuperà il
primo posto nella produzione per abitante; sarà assicurato il più alto
tenore di vita del mondo.”
8
A riprova della demolizione del culto di Stalin fece togliere la salma
dal mausoleo sulla Piazza Rossa
9
. Il passaggio definitivo di Cuba sotto
l’ala sovietica, avvenuto con la rottura dei rapporti diplomatici di
Castro con gli Stati Uniti del gennaio 1961 e la conseguente
dichiarazione della prima repubblica socialista d’America, suggellava
il grande momento del Segretario del PCUS.
Se in Unione Sovietica Kruscev era all’apice del suo potere, in Cina
Mao doveva fare i conti con il fallimento del “grande balzo” e le
prime critiche interne.
Ad un’evidente caduta della produzione agricola si fece seguire lo
smantellamento di fatto delle comuni ed il ritorno alle cooperative
fondate sui gruppi di produzione; vennero chiusi gli altiforni nella
campagne, totalmente improduttivi, e si fece ritorno a forme più
controllabili e razionali di sviluppo economico.
8
Massimo L. Salvatori, Storia dell’età moderna e contemporanea – volume terzo, pag. 1063,
Loescher Editore, Torino, 1990.
9
“Il nome di Stalin è stato tolto in serata dal frontone del Mausoleo della Piazza Rossa, che da
otto anni custodiva la salma di Stalin accanto a quella di Lenin”. Comunicato ANSA del 31
ottobre 1961, ore 19:24.
15
L’Unione Sovietica, non condividendo la politica del “grande balzo”
intanto aveva ritirato i propri consiglieri – avviando di fatto la rottura
con la Cina di Mao – bloccando così numerosi progetti scientifici ed
industriali.
Sotto il peso degli insuccessi in campo economico Mao dovette
avviare un processo di epurazione per salvaguardare il proprio
prestigio, ancora stabile ma pericolosamente minacciato all’interno
dello stesso Comitato centrale del PCC.
Il rinascere del moderatismo venne fronteggiato con un ritorno alla
lotta di classe denunciando il fatto che
“la pressione che proviene dall’imperialismo straniero e
l’esistenza delle influenze borghesi all’interno del paese
costituiscono la fonte sociale delle idee revisioniste nel
partito.”
10
I primi anni sessanta videro inoltre l’affermarsi di una nuova modalità
di gestione delle relazioni internazionali e della politica in generale da
parte della Santa Sede: tale cambiamento di visione strategica, oltre
che dal mutato contesto sociale e politico, fu promossa e fortemente
voluta dal Pontefice stesso: Papa Giovanni XXIII.
Eletto al soglio pontificio nel 1958, ebbe per la Chiesa la medesima
funzione rinnovatrice che – ci si perdoni il paragone – Kruscev ebbe
per l’Unione Sovietica: se il secondo avviò un processo di maggior
10
Documento finale dei lavori del X Plenum, Settembre 1962 da Massimo L. Salvatori, pag. 1081,
op. cit.
16
trasparenza ed apertura al mondo oltre cortina, il Papa favorì
l’apertura della Chiesa alle esigenze sociali e contribuì in modo
sostanziale alla costruzione di quel clima di distensione che si stava
creando in quegli anni.
Oltre ad un nuovo attivo spirito nella gestione delle relazioni
diplomatiche (si ricordi tra tutti il tentativo di mediazione nella crisi
dei missili di Cuba), fu con le due encicliche (Mater et magistra del
1961 e Pacem in terris del 1963) che si profilò il nuovo corso in
termini di dottrina sociale della Chiesa.
In esse si faceva appello al riconoscimento di più ampi diritti al
mondo del lavoro e alla necessità di soccorrere i paesi più poveri; si
ripudiava il razzismo e si esaltavano i valori democratici. Inoltre, pur
proclamando a viva voce la verità cattolica, si sottolineava
l’importanza della convivenza tra differenti modi di essere: politici,
religiosi, culturali
11
.
Questo nuovo spirito trovò la sua massima espressione nel Concilio
Vaticano II convocato da Giovanni XXIII nel 1962 e concluso, dopo
la morte di Roncalli, da Paolo VI nel 1965.
Era dai tempi di Pio IX (e prima ancora dal Concilio di Trento) che
non si chiamava a raccolta questa specie di “Parlamento della Chiesa”.
Inoltre lo si indiceva non per arroccarsi su posizioni difensive come
avvenne nel 1870 o ancora per difendere il cattolicesimo dalla sfida
11 Tale atteggiamento, come vedremo più avanti, ebbe una profonda influenza su tutto il mondo
politico italiano, soprattutto su quello di matrice cattolica.
17
luterana, bensì lo si convocava per creare un momento di discussione
e apertura, per proporre la Chiesa cattolica come forza di progresso.
Duemilacinquecento vescovi ed una quarantina di osservatori di altre
Chiese cristiane si riunirono per tre anni di fronte ad un Papa che
rinunciava a parte delle sue prerogative a favore di una maggiore
responsabilizzazione dei vescovi. Si abbandonò l’uso esclusivo del
latino, i cattolici venivano chiamati ad impegnarsi su grandi tempi
della contemporaneità: le differenze sociali, la fame e la pace nel
mondo; si apriva un nuovo capitolo sui rapporti con le altre religioni
secondo uno spirito rinnovato di ecumenismo, si rivendicava il
dialogo come mezzo di proselitismo,
“la fede era definita come un’esperienza di vita, anziché come
un sistema giuridico-dottrinario. I non cattolici, i non cristiani,
gli atei venivano definiti fratelli e meritevoli di un rispetto che
mai la Chiesa cattolica aveva riconosciuto loro.”
12
Le ripercussioni a livello internazionale di tali aperture non tardarono,
tanto che alla vigilia dell’apertura del Concilio ed in occasione del
compleanno di Giovanni XXIII la Tass scrisse: “Il Concilio discuterà
molte questioni riguardanti soprattutto la dottrina teologica, ma non
potrà fare a meno di tener presenti le questioni relative all’odierna
situazione internazionale.
12 Paolo Viola, Il Novecento, pag. 411, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2000.