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deve possedere mezzi finanziari e capacit� di impartire e fare attuare direttive
generali concernenti le scelte industriali e finanziarie.
Con l�era della globalizzazione, le imprese vivono in un unico grande
mercato e devono competere contro tutti e tutto. Non a caso, il dibattito sul
corporate governance si � riacceso proprio in questi ultimi anni a seguito del
susseguirsi delle crisi aziendali, le quali hanno interessato tutti i contesti
economici.
Perch� le aziende sono in crisi? Perch� nei modelli capitalistici, in cui c��
separazione tra propriet� e controllo, si verificano situazioni a volte
compromettenti per la sopravvivenza?
In questo lavoro, il filo conduttore � la separazione tra propriet� e controllo:
le motivazioni, gli effetti, le conseguenze.
Partendo dall�individuazione degli stakeholders, abbiamo fatto particolare
riferimento alla fattispecie dei proprietari (gli azionisti) e dei controllanti (i
manager). Coloro che apportano risorse finanziarie (proprietari), spesso, non
hanno le competenze necessarie per gestire un sistema aziendale complesso e,
quindi, demandano la gestione ad una classe manageriale con conoscenze e
capacit� tecniche per farlo.
Concettualmente il sistema non dovrebbe comportare grossi problemi, ma la
realt� economica presenta situazioni complesse, gravi crisi aziendali.
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Questo spinge una parte del dibattito sul corporate governance, alla ricerca di
un modello corporativo �ideale� tra quelli in cui si manifesta la separazione tra
propriet� e controllo (public company, gruppo a forte partecipazione bancaria e
gruppi piramidali). La soluzione non � facile, giacch� ognuno di questi presenta
particolari peculiarit� dettate sia dal background storico che da motivi d'ordine
economico ed organizzativo.
Abbiamo, successivamente, analizzato questi modelli capitalistici, ed �
emerso come ogni approccio presenta, accanto ai non trascurabili vantaggi, dei
limiti, ostacoli alla crescita e alla sopravvivenza aziendale.
Questi modelli capitalistici possono essere metaforicamente assimilati a delle
bilance, nei cui piatti si �pesano� i guadagni offerti e i sacrifici richiesti agli
azionisti. Basta trovare quel giusto equilibrio dei vari trade-off che la separazione
tra propriet� e controllo comporta.
Per questo, si � passati ad una disamina, nei vari modelli societari, dapprima
delle motivazioni e poi degli effetti della suddetta separazione.
Elemento comune a tutte le imprese � che esse oggi, per essere competitive,
conquistare quote di mercato ed essere capaci di mantenerle, devono specializzarsi
ed acquisire tutte quelle conoscenze necessarie per essere al passo con i tempi. E�
necessario avere una classe dirigenziale capace di �aggredire�, �difendere�,
�anticipare�. Queste conoscenze possono essere acquisite, oltre che con
l�esperienza, con investimenti in capitale umano. I manager sono gli unici
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destinatari di tali investimenti e saranno disposti ad assumere il ruolo di guida, di
collettori tra le diverse esigenze degli stakeholders, solo se hanno la certezza che
manterranno la gestione dell�impresa per un certo periodo. Dall�altro lato, i
proprietari saranno disposti a �finanziare� tali investimenti solo se questi
comporteranno un�adeguata remunerazione del capitale investito, accompagnata
da garanzie sufficienti contro eventuali perdite patrimoniali causate da questi
ultimi.
La �naturale� separazione tra propriet� e controllo comporta dei trade-off, tra
allocazione del controllo e distribuzione della capacit� e della tecnologia, e tra
certezza del controllo e tutela dei finanziamenti. E� emerso che la soluzione
ottimale va ricercata in quel �punto� in cui i proprietari e i controllanti, coscienti
della reciproca necessit� (vale a dire, i primi di soggetti capaci di far fruttare il
proprio capitale, e i secondi di finanziatori per l�attivit� d�impresa), rinunciano ad
una parte delle loro �certezze� per il benessere aziendale.
Teoricamente, l�equilibrio aziendale � facilmente individuabile, ma la realt�
economica presenta quotidianamente gli effetti di tale separazione: i takeovers e i
conflitti d�interesse, i quali sono stati illustrati e analizzati nei vari modelli
capitalistici.
Il dibattito sul corporate governance, molto attivo in tutti i contesti
economici, ha dato vita a diversi interventi legislativi, ognuno dei quali � stato
portatore di modifiche nell�ambito societario. Sommariamente sono stati indicati
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quegli interventi pi� significativi, sia a livello internazionale (Cadbury Report,
Hampel Report, Hampel Report), sia a livello nazionale (Legge �Draghi�, Codice
�Preda�, Codice �Mirone�).
L�ultima parte del lavoro � stata dedicata ad un particolare settore, oggetto,
nel corso di quest�ultimo decennio, di significative modifiche in tema di corporate
governance: il sistema creditizio italiano.
La globalizzazione lo ha reso vulnerabile ed ha mostrato l�obsolescenza della
struttura esistente e il necessario intervento strutturale. I significativi interventi
legislativi, sia comunitari (recepimento della I direttiva nel 1985 e della II nel
1992) che nazionali (Legge �Amato�, Legge �Dini�, Legge �Ciampi�), hanno
comportato una �rivoluzione� della situazione esistente, finalizzata, anche in
questo settore, alla competitivit�.
In modo particolare, ci soffermeremo sulla privatizzazione delle banche
pubbliche, sulla nascita delle �fondazione bancarie� e sulle prospettive di sviluppo
del terzo settore, quale conseguenza della legge �Ciampi�.
Tutte le imprese, comprese le banche, oggi pi� che ieri, devono sopravvivere
con le proprie forze, ma all�uopo si rendono necessari degli interventi legislativi
che creino situazioni pi� congeniali alle nuove esigenze.
Il fermento sulla questione �corporate governance�, oggi, ha un unico
comune denominatore: creare solide strutture per una sana concorrenza, in un
unico mercato, quello globale.
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CAPITOLO I
IL CORPORATE GOVERNANCE
1.1. Nascita del dibattito sul corporate governance
in Italia
Le crisi aziendali che si sono succedute negli ultimi anni con preoccupante
frequenza, hanno messo in luce numerosi elementi di debolezza del
funzionamento delle imprese e del loro rapporto con i soggetti esterni, in primo
luogo con gli investitori del mercato finanziario. Vale subito evidenziare come
l'informativa societaria offerta al mercato si sia rivelata insufficiente ed
inadeguata; in tal senso i meccanismi di controllo interni (i sindaci) ed esterni
(societ� di revisione) alle societ� si sono rivelati inefficaci. Le crisi in questione
sono troppo numerose e hanno coinvolto paesi troppo diversi per non essere
considerati veri e propri fallimenti di mercato. Da qui la riapertura in tutti i paesi
del dibattito sul tema generale del corporate governance (governo delle imprese).
Il motivo per cui esiste tale dibattito �, quindi, l'imperfetto funzionamento dei
meccanismi di mercato. Dopo l'ondata delle scalate ostili della prima met� degli
anni '80, � subentrata l'attenzione al rafforzamento degli istituti di controllo
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interno ed esterno all'impresa, sempre per� nella prospettiva del mantenimento
dell'autonomia del management e del miglioramento della capacit� del mercato di
valutare, in modo efficiente, l'utilizzo di tale autonomia.
Le aziende italiane, ben attrezzate a competere in tutto il mondo per produrre
e vendere i loro prodotti, non risultano altrettanto ben attrezzate a competere per
acquisire i capitali che sono destinati a diventare sempre pi� strategici in un
sistema capitalistico, e in particolare il capitale di rischio. In passato le aziende,
che avessero avuto bisogno di capitale, bastava che andassero all�indirizzo giusto
e avrebbero avuto l� la garanzia di raccogliere tutti i soldi necessari
(S.BRAGANTINI, 1996).
Ma il passato � terminato con la globalizzazione, non solo del mercato dei
beni e dei servizi, ma anche del mercato finanziario. A ben vedere il primo �
strettamente collegato al secondo.
Le imprese italiane, inserite, oggi, in un ambiente competitivo di dimensione
internazionale, globale, hanno bisogno d'investimenti assumendo i relativi rischi.
Per questo esse hanno necessit� di essere dotate di mercati finanziari solidi in
grado di favorire il reperimento delle risorse finanziarie, nei tempi e nei modi pi�
adeguati, per soddisfare i fabbisogni derivanti dall�attivit� di business. Orbene le
nostre imprese non dispongono di tali strutture finanziarie, sono ancora ai primi
due stadi, autofinanziamento e indebitamento, che comportano i costi d�agenzia
pi� ridotti possibili. Questo modello di finanziamento, basato
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sull�autofinanziamento e sul debito, costituisce un freno per lo sviluppo delle
nostre imprese impegnate nelle arene competitive internazionali. In questo
contesto, infatti, tutte le imprese devono perseguire uno sviluppo �qualitativo� (in
termini di miglioramento della gestione) che richiede investimenti in competenze
tecnologiche e relazionali, in reputazione, in beni intangibili difficilmente
finanziabili con ulteriori debiti, e talvolta anche uno sviluppo dimensionale per far
fronte all�allargamento dei mercati e dei segmenti in cui l�impresa opera. Ed � in
questo contesto che il mercato finanziario dovr� fare un bel po� di strada in salita
nei prossimi anni per essere il luogo dove le imprese italiane possono continuare a
reperire i capitali di rischio di cui hanno bisogno per la crescita. Esse dovranno
essere consapevoli di essere in concorrenza in tutto il mondo per farsi affidare i
capitali degli investitori di tutto il mondo. Per di pi�, quando si rivolgeranno con
maggiore insistenza al mercato finanziario internazionale, esse si rivolgeranno ad
investitori che richiedono precisi standard di trasparenza di informazione ed, in
generale, di corporate governance. Un inefficace sistema d'informazione al
mercato e di corporate governance pu�, quindi, pregiudicare lo sviluppo del
nostro mercato azionario, perch� mina la fiducia degli investitori, soprattutto
esteri.
All�appuntamento le imprese italiane rischiano, cos�, di arrivare non allineate
rispetto ad una concorrenza estera che cercher� di attingere a quel vastissimo
serbatoio che � il risparmio italiano.
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Ecco perch� bisogna parlare di corporate governance. Perch� se le nostre
prassi operative e i nostri meccanismi non dovessero evolvere nella direzione
giusta, le imprese italiane rischierebbero una sorta di progressivo declino dovuto
ad asfissia da insufficienza di capitali.
L'evoluzione della prassi legislativa italiana, in tema di governo societario, si
fa risalire alla riforma del '74, la quale partiva dalla considerazione che in un
mercato azionario, il socio titolare di diritti di propriet� sull'impresa si sarebbe
inevitabilmente allontanato dalla vita sociale, per esprimere il proprio giudizio
sull'operato degli amministratori attraverso le scelte d'investimento e
disinvestimento. Da qui l'introduzione delle azioni di risparmio e la centralit�
attribuita alla trasparenza della propriet� azionaria e all'informativa societaria,
centralit� affidata all'azione di regolamentazione e vigilanza della Consob.
L'ordinamento si � successivamente evoluto con l'introduzione della disciplina
dell'OPA e dell'insider trading. La riforma dell'74 fu oggetto di critiche dal
momento che molti ritengono che i meccanismi di mercato non funzionano, se
non c'� mercato. Il dibattito italiano sulla corporate governance, oggi quindi,
prende le mosse dalla rivisitazione critica dei meccanismi di mercato, ma si
alimenta di finalit� e suggestioni peculiari. E' di comune accettazione la necessit�
di adottare un efficiente mercato di borsa, agendo contemporaneamente sul lato
dell'offerta (attraverso la privatizzazione di imprese pubbliche e l'incentivazione
alla quotazione di imprese medie e grandi) e sul lato della domanda (attraverso la
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diversificazione del portafoglio delle famiglie, sia direttamente con investimenti
in azioni, sia indirettamente con gli investitori istituzionali).
Sono, quindi, necessari interventi legislativi e normativi, non solo sul terreno
dell'informativa societaria, ma anche quello del diritto societario. Tra le societ�
manca una cultura di mercato e tale deficit non pu� essere colmato interamente da
disposizioni di legge. La definizione di norme di comportamento sarebbe un
importante strumento e punto di riferimento per gli investitori istituzionali italiani.
Com'� stato espresso dalle commissioni Cadbury e Dey, la responsabilit� del
sistema di corporate governance delle societ� � condivisa dagli azionisti/soci oltre
che dagli amministratori: "Azionisti informati, responsabili ed attivi sono
essenziali per un miglioramento degli standard di corporate governance".
E' in questo sottile equilibrio tra coloro che hanno potere di gestire l�attivit� e
soggetti per conto dei quali tale attivit� � svolta, che bisogna ricercare le linee di
studio del corporate governance e della riforma che ne deve conseguire.
1.2. Definiamo il corporate governance e il corporate
control
Il tema del corporate governance � stato per lungo tempo analizzato in
un'ottica strettamente specialistica, di carattere tecnico-istituzionale. La crescente
attenzione alla complessit� del funzionamento delle imprese e, soprattutto, i danni
prodotti da molteplici crisi aziendali, spesso di dimensioni rilevanti, hanno
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progressivamente ampliato la portata del dibattito, fino ad investire il problema
generale dell'efficienza sia micro che macro: l'efficienza cio� delle imprese, del
sistema finanziario, dell'intero processo di allocazione delle risorse.
Del corporate governance possiamo identificare almeno quattro definizioni
(FORESTERI e ONADO, 1998):
• "gestionale": sistema mediante il quale vengono gestite e controllate, e
dunque vengono rappresentati e composti i molteplici interessi dei vari soggetti
(stakeholders) che hanno (o possono avere) rapporti economici con l'impresa;
• "manageriale": sistema in base al quale le imprese sono dirette e
controllate. L'attenzione � quindi sul consiglio d'amministrazione e gli altri organi
sociali. Secondo il Cadbury Report (1995), il consiglio � responsabile della
definizione degli indirizzi strategici; dell'identificazione dei massimi dirigenti
responsabili del raggiungimento degli obiettivi; della supervisione del
management nel suo complesso; dell'informativa fornita agli azionisti.
• "istituzionale": insieme di regole e istituzioni rivolte alle imprese da un
lato e al mercato finanziario dall'altro.
In tutte queste definizioni si fa riferimento al compito di tali regole di
conciliare interessi che possono essere in conflitto tra loro. Si fa riferimento in
particolare alle "modalit� con cui si accede all'attivit� d'impresa e con cui le
imprese sono gestite, gli strumenti attraverso i quali vengono risolti i conflitti
d'interesse tra i vari partecipanti al processo produttivo e tutelati produttori e
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finanziatori, i canali di crescita dell'impresa" (BIANCO e CASAVOLA, 1994).
Oppure si fa riferimento "all'insieme di regole e istituzioni volte a conciliare
interessi d'imprenditori e d'investitori al fine di assicurare che il controllo delle
imprese sia allocato con efficienza (cio� agli imprenditori "adatti") in modo il pi�
possibile indipendente dalle disponibilit� finanziarie degli individui" (BIANCHI,
1994).
• "finanziaria" : fa esplicito riferimento a chi possiede diritti (residuali o no)
sull'impresa e al rendimento da questi atteso. Alcuni fanno riferimento all'insieme
dei finanziatori: in questo senso la corporate governance rinvia alle modalit� con
cui i finanziatori si assicurano di ottenere un rendimento dal loro investimento
(SHLEIFER e VISHNY). Altri mettono in primo piano la posizione degli azionisti
e le varie modalit� con cui costoro possono indurre il management a adottare
strategie di massimizzazione del valore (PROWSE).
Da un confronto e un'analisi delle definizioni, qui riportate, si evincono due
parole chiavi nel concetto di corporate governance: propriet� e controllo. Da
questa dicotomia si deve desumere un ulteriore concetto d'ampia portata , quello
del corporate control.
Il controllo dell'impresa (corporate control) � il potere d'indirizzo e di
gestione sulle attivit� d'impresa: un soggetto per esercitarlo deve disporre dei
mezzi e deve avere la capacit� di impartire e fare attuare direttive generali
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concernenti le scelte industriali e finanziarie (BARCA, CASAVOLA e PERASSI,
1994).
Dal concetto di corporate control, a mio avviso, non si pu� prescindere dal
momento che questo � parte integrante di quello di corporate governance, e dal
momento che le definizioni, qui riportate, acquistano la massima valenza in una
situazione in cui si realizza una separazione tra propriet� e controllo. La
problematica che nasce �, quindi, quella degli intrecci d'interessi che si tessono
nell'impresa singolarmente considerata e nel contesto nel quale essa si colloca.
Gli interessi d'imprenditori e d'investitori al fine di assicurare che il controllo delle
imprese sia allocato con efficienza (cio� agli imprenditori "adatti"), in modo il pi�
possibile indipendente dalle disponibilit� finanziarie degli individui.
Per questo il sistema del corporate governance nelle varie accezioni ricordate
� costituito da un insieme di regole che uniscono l'impresa nei vari mercati in cui
opera e la indirizzano verso un uso efficiente delle risorse e la creazione e
massimizzazione del valore. Questa situazione pu� essere raffigurata dalla figura
n.1.
La parte alta della figura identifica quella che potremmo definire "corporate
governance di mercato", vale a dire quella proveniente dai mercati degli input e
output fondamentali (capitale escluso). La parte inferiore rappresenta invece la
funzione specificamente riferibile al mercato finanziario, evidenziata
separatamente perch� non solo si tratta di un input fondamentale, ma anche
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perch�, come suggerisce la definizione "finanziaria", � questo il mercato che
spinge le imprese verso la funzione obiettivo fondamentale, cio� la
massimizzazione del valore. In mezzo stanno le imprese, banche comprese, che
ricevono stimoli da entrambi i livelli.
Figura n.1 - Il sistema del corporate governance nelle diverse
accezioni.
Fonte: Onado e Forestieri, 1998.
Mercato
finanziario
Mercato
dei prodotti
Mercato
del lavoro
( manager )
Banche
Imprese non
finanziarie
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Visto in questa prospettiva, il mercato � un'entit� ampia. Esso include non
soltanto gli investitori di portafoglio, ma i clienti, i fornitori, le banche
finanziatrici, i lavoratori: cio� tutti i soggetti esterni che, con il loro giudizio sul
funzionamento dell'impresa, ne possono influenzare il valore. E' al mercato che
spetta il giudizio sui processi interni all'impresa di governo e di controllo. Esso
resta lo strumento pi� efficiente per armonizzare gli interessi e le aspettative in
contrasto. Il mercato giudica con il metro del valore: della capacit� cio� dei gruppi
dirigenti (azionisti di riferimento e manager) di remunerare stabilmente i capitali
investiti nell'impresa in misura significativamente superiore a quella ottenuta in
impieghi alternativi. Dunque il sistema di corporate governance pu� essere inteso
in due accezioni:
• nell'accezione allargata, esso � comprensivo di tutto ci� che a che fare con
i meccanismi d'allocazione del potere nelle aziende e quindi con tutto ci� che �, o
dovrebbe essere, rivolto ad assicurare che il potere venga attribuito a chi � capace
di esercitarlo in modo appropriato;
• nell'accezione ristretta, si fa riferimento all'assetto proprietario, alla
struttura e alle modalit� di funzionamento del Consiglio d'Amministrazione e dei
rapporti fra i livelli della propriet�, del Consiglio d'Amministrazione e della
struttura manageriale.