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studio del corpo in psicologia. Identificare la psiche, l’ anima, la res extensa o la mente 
come “sostanza” nobile, equivale a dire che è l’unica che meriti di essere indagata. 
Non a caso la psicologia è per etimologia un “discorso sulla psiche”, come se parlare 
di corpo fosse improprio; non a caso, nella storia della psicologia, è possibile 
rintracciare solo delle “tracce” del corpo e non un corpo “intero” che venga studiato 
come materia e come veicolo di significati. Le tracce identificate vengono fatte risalire 
a Schilder, il primo a parlare di schema corporeo, a Freud, alla sua teoria delle pulsioni 
e alla bioenergetica di Reich; ma è soprattutto nei confronti della fenomenologia, di 
Husserl e Merleau-Ponty, che si è sviluppato un debito. La distinzione fenomenologica 
tra organismo e corpo, tra Körper, mero corpo fisico e Leib, corpo vivente, è stata una 
preziosa guida teorica in questo lavoro. 
Il secondo capitolo rispecchia l’intenzione, dichiarata in precedenza, di mantenere 
uno sguardo terreno nello studio del corpo. Si è scelto di muoversi nel territorio della 
comunicazione non verbale, prima di tutto perché è impensabile trascurarlo in un 
progetto che voglia disegnare i contorni di un nuovo approccio al corpo nella psicologia 
e, in secondo luogo, perché lo si ritiene un settore in grado di restituire un’ immagine 
“intera” e non parziale del corpo. Il corpo è così analizzato nella sua concretezza, nel 
suo essere carne ed ossa, ma anche nella sua potenzialità simbolica ed espressiva di 
produrre messaggi che non siano solo un supporto alle parole ma che siano, poiché 
spesso è ciò che accade, più forti di qualsiasi parola.  
Infine, il terzo capitolo, vuole proporre una personale visione del fenomeno del 
riconoscimento dell’altro, dove un ruolo decisivo spetti alla dimensione corporea 
definita secondo i termini dei primi due capitoli. Lo scopo è evidenziare come la 
concezione del corpo che emerge possa essere inclusa e possa influenzare, in un 
reciproco scambio, la definizione che la psicologia dà di un processo tipicamente 
umano come il riconoscimento dell’identità altrui. Inoltre, poiché una nuova definizione 
implica sempre degli aggiustamenti all’interno di un apparato teorico, si spera che da 
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queste pagine si sviluppino dei suggerimenti validi e in grado di arricchire posizioni 
teoriche già esistenti, in vista dell’applicabilità degli stessi e per non sottovalutare mai 
che la psicologia è fatta dall’uomo per l’uomo. 
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1. TRACCE DEL CORPO IN PSICOLOGIA 
“Dal momento che all’occhio solo il corpo si 
manifesta, la speranza dell’innamorato è che 
l’anima sia fedele al suo involucro, che il 
corpo possieda una psiche ad esso adeguata, 
che ciò che la pelle rappresenta riveli davvero 
ciò che è. Non amavo Chloe per il suo corpo, 
io amavo il suo corpo per la promessa di ciò 
che lei era” (Alain de Botton, Esercizi 
d’amore). 
 
1.1 PREMESSA  
 
“Discorso sulla psiche”. Queste tre parole hanno permesso alla psicologia di 
ritagliarsi il proprio spazio come disciplina autonoma ed indipendente. Queste stesse 
tre parole costituiscono il terreno sul quale la psicologia è potuta nascere e crescere 
come scienza. Tuttavia, il debito sviluppato nei confronti della definizione che si è data, 
ha fatto in modo che la psicologia rimanesse inchiodata nella propria etimologia. 
L’espressione greca psyche (soffio, respiro) o quella latina anima (vento), 
rimandano al polo di una delle dicotomie più antiche del mondo: anima-corpo o, se si 
preferisce, psiche-soma. Ne segue che la psicologia, in quanto discorso sulla psiche, 
se vuole essere coerente con se stessa e con la propria definizione, non può parlare 
del corpo se non impropriamente, se non per un’infedele atto nei confronti del suo 
statuto scientifico. 
In accordo con le altre discipline, anche in psicologia, il corpo ha assunto il negativo 
di ogni valore. Scrive Galimberti 
 
 9
“Da centro di irradiazione simbolica nelle comunità primitive, il corpo è diventato in Occidente il 
negativo di ogni ”valore”, che il sapere, con la fedele complicità del potere, è andato 
accumulando. Dalla “follia del corpo” di Platone alla “maledizione della carne” nella religione 
biblica, dalla “lacerazione” cartesiana all’ “anatomia” ad opera della scienza, il corpo vede 
concludersi la sua storia con la sua riduzione a “forza-lavoro” nell’economia, dove più evidente 
è l’accumulo del valore nel segno dell’equivalenza generale, ma dove anche più aperta diventa 
la sfida del corpo sul registro dell’ambivalenza” (Galimberti, 1983, p. 12). 
 
In psicologia, la scissione fra anima e corpo ha fatto in modo che il secondo si 
riducesse a mero contenitore anatomico, privo di quella possibilità di significare 
concessa solo alla psiche. Diventa impellente il bisogno che la psicologia restituisca al 
corpo la sua capacità di essere “significato fluttuante”. 
Scopo di questo primo capitolo è quello di illustrare gli approcci psicologici che 
hanno prestato particolare interesse allo studio del corpo. Altro scopo, decisamente più 
ambizioso, è quello di sostenere come la psicologia debba allontanarsi da quella logica 
di separazione che ha creato una distanza a prima vista incolmabile tra psichico e 
corporeo. Poiché la psicologia ha fondato la propria nascita come scienza su questa 
logica della separazione è necessario che la disciplina riveda se stessa dalle radici; 
solo in questo modo potrà parlare propriamente del corpo facendo di quest’ultimo un 
oggetto di indagine legittimo, che non spaventa e che non contraddice per forza la 
definizione nella quale si riconosce. 
Solo così la psicologia potrà “appropriarsi” del corpo.  
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1.2 RETAGGIO FILOSOFICO 
 
La logica di separazione che caratterizza la psicologia ha origine nella filosofia 
antica di Platone e nella sua disgiunzione tra corporeo e ideale. La psicologia non è 
ancora sembrata in grado di superare questa antica separazione che, molti secoli dopo 
la sua nascita, nell’età moderna, ha trovato forza e sostegno nel pensiero cartesiano. 
La scelta di affrontare un’analisi, seppur superficiale, del dualismo corpo-mente non 
vuole essere l’espressione di uno sterile astrattismo filosofico. Al contrario, vuole 
essere solo il punto di partenza per spingersi poi verso una posizione che testimoni 
l’importanza dello studio e dell’utilizzo del corpo in psicologia. Il pensiero scientifico 
moderno stesso si è costantemente dibattuto in questo problema, si veda la più che 
mai attuale polemica tra psicoterapia e cura farmacologia delle malattie mentali. O si 
presti attenzione alla moda del momento: da un lato il fiorire di gruppi spiritualistici del 
“benessere mentale” stile new age, dall’altro il culto spropositato del “benessere 
corporeo” stile aerobica, fitness, body-building. Numerosi sono gli esempi che 
dimostrano come la questione del dualismo non solo non sia risolta e non sia di 
pertinenza strettamente filosofica, ma anche che rappresenta un problema concreto e 
verso il quale la psicologia ha molto da dire. 
 
 
1.2.1 IDEALISMO PLATONICO 
 
Con Platone la psiche diventa ufficialmente il luogo di riconoscimento dell’unità del 
soggetto, della sua identità. La specificità dell’uomo è sottratta in modo netto 
all’ambivalenza delle sue espressioni corporee. 
 11
Ripercorrere le tappe dello sviluppo del pensiero platonico è un compito complesso 
e non strettamente collegato a questo lavoro. Per questo, non soffermandosi sulle 
opere di carattere etico e politico, ci si limita a sottolineare solo alcuni concetti, quelli 
inerenti alla teoria delle idee. 
Le premesse alla teoria delle idee sono fondamentali per capire la dinamica della 
teoria stessa: Platone crede nella verità, nell’essenza trascendente della verità e non 
vuole negarne all’uomo l’accesso. Se all’uomo non è negato l’accesso alla verità, 
immateriale e trascendente, è perché è dotato di uno “strumento” che, immateriale 
come la verità, può avvicinarlo ad essa: l’anima. Il concetto di anima introdotto dal 
filosofo greco non deriva dall’osservazione della realtà umana, non è confortato 
dall’esperienza; è piuttosto un effetto del pensiero platonico che vede come realtà 
unica e vera l’ordine trascendente e immateriale. Si può affermare che il concetto di 
anima è figlio delle premesse stesse della teoria delle idee, ne è la conseguenza logica 
ed è ciò che la sua filosofia richiede. 
 
“L’inconsistenza dei corpi la loro irrilevanza, non è ciò che Platone dimostra, ma ciò che la sua 
filosofia richiede, dopo aver distrutto l’ambivalenza simbolica e aver risolto la realtà nella 
trascendenza del valore” (Galimberti, 1983, p. 55). 
 
La filosofia inaugurata da Platone impone la separazione tra la terra materiale, 
corporea, e il cielo ideale, immateriale e numerale. Il risultato di tale separazione è 
stato quello di identificare il polo negativo di ogni dicotomia con il corpo e il polo 
positivo con l’anima. 
 
“L’ anima è in sommo grado simile a ciò che è divino, immortale, intelligibile, uniforme, 
indissolubile, sempre identico a sé medesimo, mentre il corpo è in sommo grado simile a ciò 
che è umano, mortale, multiforme, inintelligibile, dissolubile e mai identico a sé medesimo” 
(Platone, Fedone, 80 b). 
 
 12
 “Fino a quando noi possediamo il corpo e la nostra anima resta invischiata in un male siffatto, 
noi non raggiungeremo mai in modo adeguato ciò che ardentemente desideriamo, vale a dire la 
verità. […]Pertanto, nel tempo in cui siamo in vita, come sembra, noi ci avvicineremo tanto più 
al sapere quanto meno avremo relazioni con il corpo e comunione con esso.[…] E così, liberati 
dalla follia del corpo, come è verosimile, ci troveremo con esseri puri come noi e conosceremo, 
nella purezza della nostra anima, tutto ciò che è puro: questo io penso è la verità” (Platone, 
Fedone, 66 b-67 a). 
 
Da queste poche parole risulta chiaro come il corpo sia carcere e tomba delle idee. 
“Follia del corpo”, la chiama Platone. 
 
“L’ idea costituisce così la specie universale e anche il puro modello o archetipo che nei 
molteplici casi empirici trova un riscontro soltanto approssimativo: le cose sensibili “partecipano” 
o “somigliano”alle idee. Ne deriva che solo la conoscenza intellettuale delle idee fornisce un 
sapere vero, sottratto alle variabili e contingenti opinioni che caratterizzano il conoscere 
sensibile. L’idea sta pertanto a fondamento della conoscenza concettuale, sicchè Platone le 
assegna uno statuto ontologico proprio, una forma di sussistenza in sé o di esistenza in un 
mondo puramente intelleggibile (“iperuranio”)” ( Vattimo, Ferraris e Marconi, 1981). 
 
La filosofia diventa la disciplina che per eccellenza può liberare l’anima dal corpo. 
Corpo dell’uomo e corpo di tutte le cose, da quelle esistenti in natura a quelle 
realizzate dall’uomo. L’anima vede le idee nell’iperuranio ma, unitasi al corpo, 
dimentica tale sapere, di cui l’esperienza delle cose empiriche le fornisce un mero 
indizio o stimolo a ricordare. 
 
“Di qui la distanza massima tra corpo e verità, quasi un’antitesi, un’impossibilità metafisica di 
composizione” (Galimberti, 1983, p. 43). 
 
Con la teoria delle idee Platone inaugura quel lungo processo di mortificazione del 
corpo che, in Occidente, è riuscito a coinvolgere diverse discipline tra cui la psicologia 
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e che, in età moderna, è stato rialimentato da altre filosofie. Prima fra tutte quella 
cartesiana. 
 
 
1.2.2 DUALISMO CARTESIANO 
 
Il dualismo platonico non solo trova nuovo nutrimento con Cartesio ma è anche 
radicalizzato.  
Cartesio è il fondatore del razionalismo, ossia di quella corrente della filosofia 
moderna che vede nella ragione il fondamentale organo di verità e lo strumento per 
elaborare una nuova visione complessiva del mondo. 
Le principali conclusioni a cui perviene Cartesio derivano da riflessioni nate al fine 
di trovare il fondamento di un metodo che fosse la guida sicura della sua filosofia. 
L’inizio di una simile ricerca è fatto coincidere con una critica radicale di tutto il sapere 
già dato. Diventa necessario sospendere l’assenso ad ogni conoscenza comunemente 
condivisa ed esercitare il dubbio su tutto ciò che è possibile. Se, persistendo in un 
simile atteggiamento di critica radicale, si giungerà ad un principio sul quale il dubbio 
non può essere esercitato, questo principio dovrà essere ritenuto talmente saldo da 
diventare il fondamento di tutte le altre conoscenze. 
Cartesio pensa che nessuna forma di conoscenza possa sottrarsi al dubbio: dalle 
conoscenze sensibili alle regole matematiche. Ma è proprio dal “dubbio metodico”, dal 
“dubbio iperbolico”, che nasce una prima certezza. L’uomo può ammettere di 
ingannarsi o di essere ingannato ma per essere ingannato l’uomo deve esistere, cioè 
deve essere qualcosa e non nulla. La proposizione io esisto è l’unica che si 
sottrarrebbe al dubbio: può dubitare solo chi esiste. 
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A questa fase di elaborazione del suo pensiero Cartesio si trova costretto a definire 
i termini e le condizioni di esistenza: che cosa sono io che esisto? La risposta a questa 
domanda segna la tappa fondamentale del pensiero cartesiano. Nasce il “Cogito Ergo 
Sum”. “Penso, dunque, sono”. 
Per Cartesio si esiste in quanto sostanza pensante. Non si può dire di esistere 
come corpo perché non si sa nulla dell’esistenza dei corpi intorno ai quali il dubbio 
permane. La certezza dell’esistere concerne solo le determinazioni del pensare: 
dubitare, affermare, negare, volere, immaginare. Le cose pensate possono anche non 
essere reali ma è reale certamente il pensare, il volere. 
Per Cartesio, dunque, la proposizione io esisto equivale a io esisto come spirito, 
intelletto e ragione. 
Accanto alla sostanza pensante, dice Cartesio, si deve ammettere una sostanza 
corporea, materiale, divisibile in parti quindi estesa. E’ questa la dichiarazione del 
dualismo cartesiano, processo che consiste nello spezzare la realtà in due zone 
distinte ed eterogenee: la sostanza pensante, la res cogitans, che è inestesa, 
consapevole e libera e la sostanza estesa, la res extensa, che è spaziale, 
inconsapevole e determinata. La res cogitans è puro intelletto, le sue cogitazioni, 
eseguite con il metodo matematico, esauriscono ogni possibile senso del mondo. 
Cartesio radicalizza il pensiero Platonico perché nel filosofo greco l’anima aspirava 
a liberarsi dal corpo e dal mondo mentre nel filosofo francese la sostanza estesa è già 
separata dal corpo, è una pura astrazione, è un io decorporeizzato che prescinde da 
tutto ciò che è materiale. Il corpo esiste ma solo in quanto pensato dalla res cogitans. 
Scrive Galimberti 
 
“Ma siccome delle due a pensare è soltanto la res cogitans, si ottiene un corpo quale è 
concepito dall’intelletto e non quale è vissuto dalla vita, un corpo in idea e non in carne ed ossa, 
un corpo che ha un male e non che sente un dolore, un corpo anatomico e non un soggetto di 
vita”(Galimberti, 1983, p. 72) 
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E ancora 
 
“Costretto a vivere la vita concepita dall’intelletto, il corpo divenne un fascio di processi in terza 
persona: la vista, l’udito, il tatto, la motilità; per ciascun processo il suo organo, le sue cause, la 
sua scienza specifica”(Galimberti, 1983, p. 73). 
 
La mente umana, l’intelletto, la coscienza, il pensiero sono totalmente indipendenti 
dal corpo; mentre il corpo esiste solo in quanto pensato. Per stabilire una relazione tra 
anima e corpo Cartesio elabora lo stratagemma pseudofilosofico e pseudoscientifico 
della ghiandola pineale, l’unica parte del cervello che, non essendo doppia, può 
unificare le sensazioni che vengono dagli organi di senso che sono tutti doppi. Tuttavia 
questo tentativo è povero e incapace di ricomporre un’unità ormai disfatta. Nemmeno 
tentativi recenti e sicuramente più “scientifici” di quello cartesiano hanno saputo 
rispondere in maniera adeguata alla ricerca di un punto di contatto tra le due sostanze. 
Si pensi a John Eccles
1
 e al suo impegno nell’identificare aree cerebrali come possibili 
siti di comunicazione tra mente e corpo. 
Il primato assegnato da Cartesio al pensiero è evidente e non è pensabile, nel suo 
apparato teorico, una “comunicazione” tra anima e corpo. Tale comunicazione è 
possibile solo uscendo dalla logica disgiuntiva del pensiero cartesiano e dalla 
convinzione che il corpo sia un oggetto solo in quanto prodotto di una mente che lo 
oggettiva. 
  
 
                                                  
1
 Per maggiori informazioni sul tentativo di Eccles di identificare un area cerebrale come possibile sede di 
comunicazione tra soma e psiche si faccia riferimento a Eccles J., Evolution of the brain: creation of the Self, 
1989, Routledge, London. 
 16
1.3 EMANCIPAZIONE DELLA PSICOLOGIA 
 
La separazione tra anima e corpo operata nell’antichità da Platone e rinvigorita in 
età moderna da Cartesio ha avuto un peso innegabile nella psicologia. Si può 
affermare che la psicologia abbia iniziato la sua emancipazione dall’ambito filosofico, 
in cui era inclusa, proprio partendo dal problema corpo-mente, tentando di cogliere il 
nesso soma-psiche che la filosofia aveva separato con i suoi storici dualismi. Il nesso 
trovato dalla psicologia è riassumibile nella concezione secondo la quale il corpo è lo 
sfondo di tutti i fenomeni psichici. Questa posizione che, al giorno d’oggi, non 
sorprende e non spaventa, è però frutto di un percorso lungo e non facile. Le tappe 
fondamentali di tale percorso sono: 1) l’elaborazione dello schema corporeo di 
Schilder; 2) la teoria freudiana delle pulsioni; 3) la distinzione fenomenologia tra corpo 
e organismo.  
 
 
1.3.1 LO SCHEMA CORPOREO 
 
Scrive Schilder nella sua opera principale “The image and the appearance of the 
human body”:  
 
“Con l’espressione “immagine del corpo umano” intendiamo il quadro mentale che ci facciamo 
del nostro corpo, vale a dire il modo in cui il corpo appare a noi stessi”(Schilder, 1935, p. 18). 
 
Il concetto di “schema” o “immagine” del corpo era già stato adottato prima di 
Schilder. A coniarlo fu Bonnier (1905) che lo diffuse durante la fine dell’Ottocento e i 
primi anni del Novecento. La novità introdotta da Bonnier nello studio del corpo è stata 
 17
quella di aver indicato come fondamentale il criterio topologico. Per Bonnier il corpo ci 
è dato come “sens d’espace” (Bonnier, 1905). In altre parole, noi, noi in carne ed ossa, 
sappiamo di occupare un certo nostro luogo. E’ grazie a questo schema che ci si 
orienta oggettivamente nel mondo e soggettivamente sulla localizzazione delle diverse 
parti del nostro corpo. 
Non trascurabile è pure il contributo di Pick (1908; 1915) che traduce il criterio 
spaziale per lo studio del corpo in criterio topognostico. Secondo questo autore noi 
disponiamo di una sorta di funzione conoscitiva che ci permette un sapere continuo, 
una specie di consapevolezza topografica del nostro corpo. Grazie a questo 
dispositivo possiamo essere continuamente informati sulla situazione del nostro corpo. 
Accanto a Pick va infine citato Henry Head (1920) che adotta in proposito il criterio 
estesiologico. Secondo tale studioso gli stimoli che dalla periferia convergono ai centri 
cerebrali non possono risultare consci se prima non vengono valutati da un dispositivo 
cerebrale che li elabora, li compone e scompone in un processo di continua 
integrazione. Head chiama questo dispositivo “model” o “standard”. 
Questi tre autori segnano le basi sulle quali Schilder si appoggia fino ad elaborare 
una teoria e degli studi indipendenti che superano di gran lunga il contributo dei suoi 
predecessori.  
E’ necessario premettere che Schilder usa in tutta la sua opera entrambi i termini 
“immagine” e “schema”, non preferendone mai uno rispetto all’altro ma lasciandoli 
coesistere in una reciproca contaminazione semantica. 
Secondo Schilder noi riceviamo delle sensazioni, percepiamo parti della nostra 
superficie corporea, abbiamo impressioni termiche, tattili, dolorose, informazioni 
provenienti dai muscoli e dalle guaine muscolari, sensazioni di origine viscerale. 
 
“[…]ma al di là di tutto questo vi è l’esperienza immediata dell’esistenza di un’unità corporea 
che, se è vero che viene percepita, è d’altra parte qualcosa di più di una percezione: noi la 
definiamo schema del nostro corpo o schema corporeo…”.