II
tra uomo e animale ma soprattutto tra corpo umano e
macchina. Quest’ultima è considerata infallibile,
prevedibile, a differenza della ragione umana sottoposta
ai vincoli e ai legami ambientali.
E se il corpo è una macchina, nulla esclude che
possa essere replicato artificialmente e la figura
dell’uomo artificiale diviene protagonista
dell’immaginario collettivo settecentesco. La macchina
che si congiunge con la replica materiale del corpo
umano serve anche ad esorcizzare e vincere la morte,
nonostante la sua deteriorabilità nel tempo. La statua (il
corpo replicato) ha però bisogno dell’intervento e
dell’immaginazione di chi la osserva, anche se poi si
autonomizza e acquista un proprio funzionamento.
Il corpo umano è alla base di queste nuove
possibilità della tecnica, ma il corpo in quanto macchina,
in quanto organismo biologico da riprodurre
artificialmente nel costante tentativo di dominare la
natura. Il sogno dell’uomo industriale di poter dare vita a
prodotti con caratteristiche che replicano le potenzialità
umane, non può non influenzare anche l’immaginario
collettivo il quale spesso, per riflesso, crea gli spunti per
la prosecuzione dell’ambizioso progetto. Ecco allora il
diffondersi di una certa letteratura del fantastico la quale,
III
ispirandosi alla nuove realtà tecnologica, crea immagini e
personaggi che da essa non si discostano di molto.
La nascita di questo nuovo genere letterario ci aiuta
a comprendere quanto forte deve essere stato l’impatto
nel sociale delle nuove scoperte della tecnica e della
industrializzazione di massa. Dalle immagini fantastiche
e irreali appartenenti alla letteratura più antica e al mito,
l’uomo si ritrova dinnanzi ad oggetti reali che hanno una
loro autonomia e una vita propria e che gli assomigliano
in molti particolari.
L’uomo, dapprima soggetto principale di questa
trasformazione della tecnica, si ritrova sopraffatto dalle
proprie creazioni, ma soprattutto si ritrova a doversi
confrontare con un esercito di “corpi replicati” col rischio
di confondere la propria identità di essere umano. Lo
stupore verso questa macchina in grado di sostituirlo,
incute nell’uomo atteggiamenti ambivalenti verso la
nuova realtà: si va dall’assoluto rifiuto verso ogni forma
di tecnologia fino all’entusiasmo e al pieno credo nello
sviluppo della tecnica.
Non dev’essere stato certamente facile per l’uomo
confrontarsi con una realtà così diversa e stupefacente, in
velocissima mutazione: l’abitudine a vivere pienamente e
armonicamente la propria fisicità e la propria dimensione
intellettiva, seguendo ritmi di certo molto meno frenetici
IV
di quelli imposti dalla industrializzazione, viene spezzata
dall’avvento della massificazione. Mente e corpo
subiscono una frattura: il corpo è la perfezione in quanto
macchina infallibile e prevedibile; la mente umana è
sottoposta ai vincoli e all’incertezza dell’ambiente
circostante e quindi impossibile da replicare
artificialmente. Per dominare la natura è chiaro come
l’entità da riprodurre sia quella fisico-biologica, il corpo
come macchina. L’uomo è ridotto alle sue capacità
fisiche e la sua utilità dal punto di vista pratico è
fondamentale.
Un simile sconvolgimento nei rapporti tradizionali
è la causa principale del riproporsi a gran voce di uno dei
grandi dilemmi dell’umanità: quello del rapporto tra
naturale e artificiale, cioè tra le forme impresse alla
materia dalla natura e quelle create dall’uomo, e
conseguentemente tra uomo e macchina, tra mente e
corpo, tra individuo e società. L’uomo si ritrova dinnanzi
a qualcosa che lui stesso ha creato ma che non sente più
suo: è qualcosa di esterno, un’entità con cui fare i conti e
confrontarsi. La tecnologia che inizialmente si serve
dell’uomo come modello da seguire, successivamente se
ne stacca, togliendo all’uomo stesso molte delle attività
che un tempo erano di sua esclusiva.
V
Il corpo è, fino a tutto il secolo scorso e per una
parte del Novecento, un modello perfetto di macchina da
replicare e moltiplicare. Questo fino all’avvento della
Cibernetica e poi dell’Intelligenza Artificiale, quando si
fanno strada i primi interrogativi riguardo alla possibilità
o meno che le macchine possano pensare. La macchina
pensante diviene la conseguenza inevitabile di tutta la
tradizione di corpi artificiali degli anni precedenti,
emblemi della massificazione della società e dell’identità
fra uomo e animale.
La Cibernetica si pone così l’ambizioso obiettivo di
raggiungere con macchine artificiali le stesse prestazioni
del cervello umano. Il modello di base si sposta
radicalmente: dal corpo come entità biologica e come
pura forza fisica, dal corpo macchina in grado di svolgere
attività e mansioni di tipo pratico e utilitaristico, al
cervello in quanto sede delle capacità intellettive e
razionali.
Molti dei sistemi informatici non fanno che
riprodurre le caratteristiche bio-fisiche del cervello nel
tentativo di dare vita a macchinari in grado di pensare,
analizzare, ragionare come un cervello umano. L’uomo
rimane sempre il riferimento di base, la sua struttura
fisica e biologica è l’architettura modello, ma i sistemi
ricreati poi artificialmente vengono posti al di fuori di
VI
esso con la pretesa di poter generare indipendenza dai
vincoli dell’ambiente.
E’ un rapporto quello tra l’uomo e i suoi prodotti
artificiali di continua ambiguità: un rapporto strettissimo
da un lato, poiché è il corpo umano la base di ogni ricerca
tecnologica; dall’altro, la tecnologia acquista una propria
autonomia, diviene una realtà con cui l’uomo non riesce a
costruire un rapporto chiaro e lineare. La tecnologia
finisce per sostituire l’uomo in ambiti finora a lui
riservati, lo sovrasta, si impone a lui dal di fuori, in alcuni
casi lo costringe a mettersi da parte. All’utilità sociale e
pratica delle nuove scoperte, si affianca il senso di
panico, di inferiorità, di strumentalizzazione nell’uomo.
Ci si chiede se ne è valsa la pena di abbandonarsi ad un
tipo di comunicazione fredda, mediata tecnologicamente,
disumanizzante per il bene del progresso.
Lo sviluppo della tecnica, così veloce e così
impetuoso, ha dato vita ad innumerevoli correnti di
pensiero, estremamente contrastanti tra loro; uno sviluppo
invasivo e poco lineare che ha creato benefici ma anche
tanta confusione. E l’uomo, di questo processo, è il
fulcro, l soggetto e la vittima principale: quello che
colpisce è la progressiva fuoriuscita dell’uomo dal
proprio corpo, attraverso il suo raddoppiamento
artificiale, l’invasione nel corpo stesso della tecnologia, la
VII
mediazione tecnologica nella comunicazione. L’uomo del
ventesimo secolo sembra quasi irriconoscibile: è un uomo
che ha perso il contatto con la propria natura fisica e
quindi col suo corpo oppure è un uomo nuovo alla ricerca
della sua nuova identità corporea?
E’ difficile darne una interpretazione chiara e
univoca: da una parte il dominio della natura e la
costruzione di realtà artificiali e di realtà virtuali portano
l’uomo verso lo straniamento e la perdita del senso;
dall’altra parte, la scienza e la tecnologia rispondono ad
un bisogno innato nell’uomo, quello di ampliare le
proprie conoscenze e di migliorarsi.
Il riduzionismo tipico della modernità ma anche
della prima Cibernetica, il tentativo cioè di ridurre l’uomo
o a mera corporalità o a pura entità mentale, viene
superato grazie all’avvento delle tecnologie di
simulazione digitale, note più come Realtà Virtuale.
All’atteggiamento dualistico, alla tradizione che tiene
rigorosamente separati anima e corpo, si affianca e
prende vita un atteggiamento in cui le due entità
convivono e si integrano fra loro: da una comunicazione
mediata tecnologicamente ad un rapporto con la
tecnologia non più di alienazione, ma di convivenza e
integrazione. Non è più l’uomo a estroflettersi nel mondo
VIII
attraverso la tecnica, ma è la tecnologia a rifluire dentro il
suo corpo.
La fusione tra interno ed esterno, la nostalgia per il
passato di essere umano e il sogno di tornare al corpo
naturale, sono le vie che portano all’ibrido tra uomo e
macchina. Alla base di tutto ciò ritroviamo la protesta
verso una civiltà che esalta il sistema nervoso e reprime la
dimensione globale della fisicità. Con l’avvento delle
tecnologie virtuali il corpo umano si fa portabandiera di
una vera e propria lotta per la rivalutazione dei sensi e
delle facoltà non solo mentali ma anche fisiche. Il corpo
non è più un modello da riprodurre artificialmente, ma è
il terreno delle nuove sperimentazione, è la materia
prima. È il soggetto protagonista del nuovo modo di
essere e comunicare.
Non è chiaro, ancora, quale sarà il nuovo modo di
vivere questa nuova dimensione dei sensi: certo è che il
corpo umano, oltre ad aver subito modificazioni dal punto
di vista genetico negli ultimi secoli, si ritrova a vivere un
rapporto molto complesso e travagliato con l’ambiente
circostante in continua mutazione. Un rapporto di
sottomissione, ma anche di rinnovata vitalità.
Per questo motivo ritengo importante un’analisi sul
rapporto che l’uomo, nella sua dimensione fisica globale,
si è ritrovato ad affrontare nel corso di questi ultimi secoli
IX
con la tecnologia, sottolineando anche l’influsso che
questo rapporto ha avuto ed ha sull’immaginario
collettivo e sull’ambiente circostante, poiché la
tecnologia genera mutamenti non solo in ciò che
facciamo, ma anche nel nostro modo di pensare. Cambia
l’immagine che l’uomo ha di sé e degli altri.
1
1 - IL SECOLO DELL’UOMO-MACCHINA.
1.1 L’uomo e la macchina nella Rivoluzione
Industriale.
E’ con la nascita della fabbrica e del sistema
capitalistico che vede luce la prima vera creatura
artificiale, sino a quel periodo vecchia figura del mito e
del folklore. Questa nuova presenza nella vita dell’uomo
nasce con la nuova organizzazione economica, improntata
sul sistema capitalistico e sull’efficienza delle forze
produttive: prende piede il “mito della macchina” come
bisogno dell’uomo industriale di confrontarsi con
l’enorme mutamento sociale che avviene attorno a lui.
La mentalità del nostro tempo, notevolmente
influenzata dal nostro rapporto coi mezzi di
comunicazione e con le macchine in generale, è dunque
una logica conseguenza dell’atteggiamento sviluppatosi
verso le prime innovazioni tecnologiche durante la prima
Rivoluzione Industriale. L’impatto fu talmente forte da
influenzare in modo decisivo anche una notevole fetta
della produzione letteraria e quindi l’immaginario
collettivo.
E’ perciò importantissimo sottolineare ed
analizzare l’atteggiamento della società verso le
innovazioni scientifiche e tecnologiche, partendo dal
2
XVIII secolo, quando alcuni filosofi e letterati illuministi
iniziarono a parlare nelle loro opere del cosiddetto “uomo
macchina”.
Colui che certamente rappresentò in pieno la
mentalità del Settecento fu Julien Offroy De Lamettrie,
scienziato francese che molto si dedicò allo studio dei
rapporti tra anima e corpo. L’opera più rappresentativa di
quest’autore è senza dubbio “L’uomo macchina”
1
datata
1748, quindi in pieno Illuminismo, movimento
caratterizzato da una grande fede nell’intelligenza e nello
sviluppo umano.
In netto contrasto con le posizioni cartesiane e
leibniziane
2
, due filosofie razionalistiche e conservatrici,
il pensiero di Lamettrie si sviluppa in senso
materialistico, dando un nuovo volto all’Illuminismo di
quel tempo. Il nostro ripudia ferocemente l’ipotesi di un
principio psichico o vitale che presieda ai fenomeni e alle
funzioni della vita e considera il corpo animale come una
macchina, un organismo estremamente complesso ma
governato dalle stesse leggi che governano la natura
cosiddetta inanimata.
1
De Lamettrie J.O., L’uomo macchina e altri scritti, Feltrinelli, Milano 1955
22
Leibniz riteneva che i principi della realtà fossero delle unità sostanziali di
natura spirituale dette monadi.
3
De Lamettrie fu tra i primissimi pensatori che
ebbero il coraggio di sostenere con forza il materialismo
filosofico e scientifico
3
.
Il principio motore attivo della materia diviene la
forza motrice od attiva, contenuta nella materia stessa in
grado di animarla. In contrasto di nuovo con Descartes,
De Lamettrie riconosce un altro attributo alla materia, la
sensibilità, che accomuna uomo e animale. Sono questa
forme concrete che rendono conoscibile la materia e la
realizzano e tra queste forme sostanziali vi è anche
l’Anima.
Nella sua trattazione dell’Anima, De Lamettrie si
rifà alla tradizionale distinzione aristotelica delle tre
anime: vegetativa, sensitiva e razionale, mantenendo in
pratica solo le prime due. Quello che va sottolineato è il
fatto che De Lamettrie riporta tutte le funzioni psichiche
“superiori” (ragionamento, giudizio, volontà, percezioni
intellettuali...) alle sensazioni: esse sono tutte modi di
sentire che mettono in gioco meccanismi fisiologici
complessi. La frase in cui lo scienziato riassume il suo
credo è, quindi, “io sono corpo e penso”. Tra gli animali e
l’uomo non c’è nessuna differenza sostanziale: l’unica
3
Nella sua prima opera filosofica, Storia naturale dell’anima (1745), lo
scienziato francese affronta il problema dei rapporti tra anima e corpo già da un
punto di vista materialistico: dopo una lunga malattia, egli si rese conto della
stretta connessione tra gli stati fisiologici e quelle attività intellettuali che i
cartesiani chiamano anima.
4
differenza sta nel fatto che per la sua conformazione
anatomica l’uomo può parlare.
Le idee di De Lamettrie, così evidentemente
materialistiche, sono lo specchio della realtà in cui viveva
ed operava: una società in pieno fermento tecnico e
scientifico. E De Lamettrie si trova sempre in linea con il
partito del progresso, sostenitore della fisiologia del
sistema nervoso contro lo spiritualismo, seguace del
meccanicismo contro il vecchio vitalismo
4
. Il suo
pensiero resta decisamente disordinato e immaturo, ma i
suoi scritti contengono la straordinaria intuizione
destinata ad avere nei secoli successivi i più grandi
sviluppi.
E’ qui che arriviamo alla sua opera più
rappresentativa, L’Uomo Macchina, in cui aleggia uno
spirito decisamente laico, moderno ed innovatore. In
questo trattato De Lamettrie sviluppa a pieno la sua
critica allo spiritualismo e vede nell’esperienza scientifica
la <<...sola guida per la conoscenza dell’uomo>>
5
. Il
parallelismo tra uomo e animale è quasi totale, a parte le
dimensioni del cervello, maggiori per quello umano. Ma
per entrambi gli esseri vale la regola per cui i diversi stati
dell’anima sono sempre correlativi a quelli del corpo.
4
I vitalisti credevano nel dualismo tra mente e corpo, a differenza delle posizioni
monistiche dei meccanicisti.
5
De Lamettrie J.O., Op. Cit., p.15
5
L’unica differenza, come ho già detto, tra uomo e animale
è il linguaggio: De Lamettrie ipotizza che gli uomini
abbiano adoperato il loro sentimento e il loro istinto per
avere l’intelligenza e infine la loro intelligenza per
procurarsi delle conoscenze.
Tutte le facoltà dell’anima dipendono dalla
organizzazione particolarissima del cervello e da quella di
tutto quanto il corpo: per questo motivo, conclude De
Lamettrie, l’uomo non è altro che una macchina e l’anima
non è che un termine vano e astratto di cui non si ha
alcuna idea. L’anima è solo una parte del corpo che ci
permette di pensare e non può essere mai distaccata da
esso: <<Il corpo non è che un orologio>>
6
, afferma De
Lamettrie, e la materia si muove da sé proprio come un
sistema meccanico, non solo quando è organizzata, ma
anche quando l’organizzazione è distrutta. Certo anche
per Descartes l’uomo in quanto corpo è una macchina, ma
solo lui è in grado di pensare e possiede la ragione. Ciò
che distacca il radicalismo di De Lamettrie dalle posizioni
cartesiane è proprio il fatto di considerare la perfetta unità
tra uomo e animale; l’uomo è un animale, o una
macchina, che pensa.
De Lamettrie è quindi pienamente figlio del suo
tempo, del ‘700 come secolo di progresso economico,
6
De Lamettrie,Op. Cit., p.60
6
culturale ma soprattutto tecnico. Proprio in questo secolo
si ha lo sviluppo delle comunicazioni e del commercio,
con la nascita della fabbrica e le fondamentali invenzioni
di macchinari sempre più rapidi e precisi, indipendenti
dell’energia e dall’abilità dell’uomo. La scoperta della
nuovissima energia del vapore, i progressi nella
fabbricazione e lavorazione del ferro e l’importantissima
invenzione della locomotiva, sono solo alcune delle basi
che portarono poi ad una radicale mutazione della
mentalità scientifica e collettiva. La cultura del
Settecento, che ebbe nell’Illuminismo la manifestazione
più alta, si distaccò dalla matrice religiosa, irrazionale e
magica con la quale aveva convissuto fino ad allora e
divenne laica, atea e materialista. Il Settecento fu anche il
secolo in cui si affermò definitivamente lo spirito
scientifico inteso come ricerca libera da ogni presupposto
dogmatico, fondata sulla verifica sperimentale, dettata
soprattutto dal desiderio di penetrare le leggi che
governano la natura e le società umane.
Il gigantesco mutamento sociale che sconvolse
l’Occidente con la nascita della società industriale, portò
con sé innumerevoli riflessioni riguardo, appunto, alla
natura dell’uomo e alla sua posizione nei confronti della
natura.