2
risposta ai numerosi problemi suscitati da una malattia che agisce su più aspetti profondi
del Sé: il Sé corporeo per le implicazioni della mutilazione chirurgica e dei trattamenti sulla
propria femminilità, sulla sessualità e sulla maternità, il Sé psichico ossia l’identità
personale, il Sé sociale e quindi il proprio ruolo all’interno della famiglia e delle relazioni
interpersonali e infine il Sé temporale perché tocca il futuro e la propria morte
5
.
Generalmente la situazione di crisi è considerata in modo riduttivo un evento
negativo e inusuale, mentre l’etimologia del termine dal greco Ν Υ Λ Θ Η Λ Θ - decidere, giudicare
-, conduce al significato di occasione per scegliere, ossia svolta in seguito alla quale
avviene un cambiamento
6
. Se è vero che la persona in crisi prova tensione, incapacità,
disperazione e tende a essere più debole e suggestionabile, è anche vero che questo
implica un aspetto positivo nel senso di una maggiore disponibilità al cambiamento.
Sono state individuate alcune fasi fondamentali della crisi che vive una donna cui
viene diagnosticato un tumore al seno. Nella fase iniziale chiamata di shock o siderazione,
la paziente permane in uno stato confusionale che è stato paragonato “ai secondi
successivi a una scossa di terremoto”, in cui tutti gli sforzi sono finalizzati al controllo delle
emozioni. La donna si protegge da una realtà troppo dolorosa mettendo in atto
meccanismi di difesa quali ad esempio negazione e proiezione
7
. Una volta che si
sottopone ai trattamenti di cura, la donna riesce a prendere gradualmente contatto con la
realtà e a reagire a questa. In questa seconda fase le reazioni più frequenti sono
ansia e paura, accompagnate spesso da rabbia, amarezza, afflizione e senso di
abbandono, evocate dal pericolo di annientamento, dalla perdita di controllo e dal senso
d’invulnerabilità. La gestione di questi vissuti comporta un notevole dispendio di energia
psichica, ed è facile che possano mancare alla paziente le abituali risorse per l’attività
quotidiana, la famiglia e le relazioni. La paziente può mettere in atto altri meccanismi
psicologici di difesa, come l’isolamento emotivo che comporta parlare della diagnosi quasi
con indifferenza, come se non la riguardasse, l’intellettualizzazione, la razionalizzazione o
la regressione che designa un ritorno a forme anteriori di sviluppo del pensiero e del
comportamento, e rappresenta una difesa molto primitiva (psicotica) contro situazioni per
la persona intollerabili. La maggior parte delle pazienti, però, attraversano la fase di
reazione con bassa ansietà manifestando una sintomatologia ansiosa solo nei momenti
critici come la notte prima dell’intervento o il giorno prima della chemioterapia o il giorno
dopo l’ultimo trattamento di radio o chemioterapia.
Terminato il periodo attivo dei trattamenti, la donna è lasciata col difficile compito di
comprendere quanto successo e convivere con la sua nuova condizione; è la fase di
elaborazione dell’evento malattia come parte della storia personale, in cui è necessario
avvertire e interiorizzare il cambiamento. Ogni volta che la donna svolge attività con
una dimensione sociale, realizzerà che non è più la stessa persona di prima, e questo
costituirà una sorta di “microcrisi” che la porterà a riflettere su di sé e sul rapporto con gli
altri. La risoluzione di queste microcrisi può portare a potenziare o indebolire il processo di
consolidamento della sua nuova identità.
Inoltre dopo ogni check-up di controllo, la paziente si sente costantemente con una
“spada di Damocle” sulla testa, perché deve vivere con l’incertezza della malattia e con la
perdita dell’illusione del controllo sulla vita. E’ la fase di riorientamento in cui le
5
AQUIARI, D., MAGNANI, K., GRASSI, L., “Implicazioni psicosociali del cancro alla mammella: rassegna
bibliografica internazionale”, in Quaderni di psichiatria pratica, p. 80
6
FRANCESCATO, D., GHIRELLI, G., L’intervento sulla crisi e la gestione dello stress, in FRANCESCATO,
D., GHIRELLI, G. (a cura di), Fondamenti di psicologia di comunità, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1988
7
Negazione è il processo in virtù del quale il soggetto, per difendersi, nega le realtà spiacevoli; Proiezione è
una operazione per la quale il soggetto espelle da sé e localizza nell’altro, persona o cosa, qualità,
sentimenti o desideri che si rifiutano o non si riconoscono come propri; da LAPLANCHE, J., PONTALIS, J.B.,
Diccionario de Psicoanalisis (trad. dal francese), Labor, Barcelona, 1981³
3
manifestazioni psicologiche più frequenti sono sentimenti di perdita, di vuoto, d’incertezza
che possono sfociare in gravi quadri depressivi
8
.
Da un’analisi della letteratura di questi ultimi anni nell’ambito psiconcologico del
cancro al seno, sono emersi studi importanti condotti su diverse aree d’interesse. Un
campo affrontato è l’epidemiologia generale delle conseguenze psicologiche e dei disturbi
psicopatologici secondari al cancro al seno, come i disturbi d’ansia, dell’umore, della
sessualità e psichiatrici su base organica. Altri campi di studio sono nell’ambito degli
effetti dei trattamenti, ossia delle conseguenza psicosociali degli interventi chirurgici e dei
trattamenti adiuvanti e nell’ambito degli interventi psicosociali quali, per esempio,
counseling, psicoterapia individuale e di gruppo, tecniche a mediazione corporea; inoltre è
stata approfondita l’area della relazione tra variabili psicologiche e comportamentali, da un
lato, e decorso della malattia, dall’altro; e in ultimo l’area della prevenzione propriamente
detta, della diagnosi precoce e del counseling genetico per le donne a rischio familiare.
Per quanto riguarda l’area epidemiologica, i vari studi si sono posti l’obiettivo di
valutare le strategie di coping o adattamento che contribuiscono a determinare le
differenze individuali nell’adattamento psicologico alla malattia e, al tempo stesso, di
contestualizzare l’incidenza e la prevalenza dei disturbi psicopatologici nelle donne
operate per carcinoma al seno. Da questi studi emerge che sia la diagnosi sia i trattamenti
del cancro al seno, inducono cambiamenti così importanti nella vita delle donne e delle
loro famiglie, tali da richiedere la messa in atto di strategie di adattamento
9
.
Il tentativo d’individuare queste strategie risponde alla necessità di comprendere e
preservare il punto di vista della paziente e di far emergere i fattori che favoriscano un
buon adattamento. La prospettiva dell’empowerment permette di considerare
l’adattamento alla malattia in termini “proattivi” invece che “reattivi” ossia soffermandosi su
ciò che può favorire l’utilizzo delle risorse personali. L’empowerment è il processo
attraverso cui le persone rafforzano la propria fiducia e il proprio senso di controllo per
mobilizzare le loro risorse e utilizzarle al meglio. Implica una visione positiva dei problemi,
anche se assume forme differenti a seconda degli individui e dei contesti esperienziali.
Vissuti di vulnerabilità, impotenza e alienazione, osservabili spesso durante l’iter
terapeutico del cancro al seno, sono il risultato dell’assenza dell’empowerment e quindi
dell’incapacità di dominare gli eventi della propria esistenza e della mancanza di fiducia
nelle proprie possibilità
10
.
Il concetto di coping permette una miglior comprensione dei percorsi attraverso cui
alcune donne riescono a reagire alla malattia. Secondo l’approccio di Richard S. Lazarus e
Susan Folkman
11
, il termine coping, dal verbo inglese to cope, traducibile in italiano con
«far fronte», designa l’insieme dei tentativi cognitivi e comportamentali, sempre mutevoli,
che vengono messi in atto da una persona per affrontare momenti di crisi o eventi
particolarmente stressanti; e il cancro rappresenta certamente una situazione di estrema
emergenza.
A seconda delle strategie utilizzate, saranno diverse le loro espressioni
comportamentali, ed entrambe sono influenzate da fattori individuali e di personalità, dal
contesto sociale e culturale, dal funzionamento psicologico precedente alla malattia, dalle
esperienze passate, da variabili relazionali, mediche e temporali
12
. Strategie basate sulla
8
CROTTI, N., Cancro: percorsi di cura, pp. 43-50; RUSSO, R., GUERRINI, A., “L’impatto psichico della
malattia: dalla diagnosi alla riabilitazione”, in Quaderni di psichiatria pratica, pp. 36-40
9
HEIM, E., VALACH, L., SCHAFFNER, L., “Coping and psychosocial adaptation: longitudinal effects over
time and stages in breast cancer”, in Psychosomatic Medicine, 1997, 59, pp. 408-418
10
CROTTI, N., Cancro: percorsi di cura, Meltemi, Roma, 1998, pp. 41-42
11
LAZARUS, R.S., FOLKMAN, S., Stress, appraisal and coping, Springer, New York, 1984, pp. 141 e 19
12
HEIM, E., AUGUSTINY, K.F., SCHAFFNER, L., VALACH, L., “Coping with breast cancer over time and
situation”, in Journal of Psychosomatic Research, 1993, 37, pp. 523-542
4
rassegnazione, il fatalismo e l’inermità sono sicuramente poco funzionali, a fronte di
strategie più efficaci che utilizzano la combattività e l’attiva partecipazione ai trattamenti.
13
Nei pazienti oncologici sono stati identificati tre gruppi di strategie a seconda che
queste ultime siano orientate all’azione, al funzionamento emotivo e al funzionamento
cognitivo. Nel primo gruppo rientrano pazienti che agiscono per non pensare, che si
tengono impegnate con lavori, che coltivano le proprie passioni. Ma anche ricordare e
condividere con altri la propria esperienza, è una modalità attiva che permette di gestire
l’ansia, di sfogare i sentimenti e di arginare l’emotività dando un nome a ciò che spaventa.
Le strategie di coping orientate al funzionamento emotivo si riferiscono a reazioni per
ridurre o gestire lo stress come ribellarsi, sfogarsi ed esprimere liberamente i propri
sentimenti, oppure negarli e sopprimerli, rassegnarsi ed essere fatalisti, arrabbiarsi o
prendersela con se stessi. Mentre le strategie di coping orientate al funzionamento
cognitivo centrano l’attenzione sulle abilità che permettono la focalizzazione del problema
e la ricerca di soluzioni per gestire la malattia e le sue conseguenze. Analizzare varie
opportunità, dissimulare o minimizzare, cercare un significato, reinterpretare positivamente
l’evento, fare un piano e organizzarsi sono alcune delle strategie cognitive per aumentare
il proprio senso di controllo
14
.
In riferimento ancora all’area epidemiologica, diversi sono gli studi sui disturbi
patologici nelle donne operate di tumore al seno, che attestano come siano significativi
soprattutto i disturbi depressivi e d’ansia, seguiti dai disturbi della sessualità, con una
prevalenza che varia dal 10 al 40%
15
, a seconda della fase di malattia
16
, di fattori di
vulnerabilità e delle terapie effettuate
17
.
La seconda area d’interesse della psiconcologia valuta gli effetti dei trattamenti del
cancro sulla qualità della vita delle pazienti analizzando le conseguenze psicologiche,
familiari e sociali dei diversi interventi chirurgici e delle terapie adiuvanti. Significative
sono le differenze sulla modificazione dell’immagine corporea e sul senso di desiderabilità
sessuale tra pazienti sottoposte a interventi radicali come la mastectomia e interventi più
conservativi o ricostruttivi
18
. In tutti i casi vengono toccati aspetti così cruciali per l’identità
corporea femminile da comportare un ripensamento generale del proprio ruolo di donna e
della proiezione di sé nel mondo e nel futuro. Si tratta di un processo più o meno lungo e
faticoso che comporta un cambiamento dell’immagine di sé e una ridefinizione delle
motivazioni e delle priorità della persona. Questo tipo di tumore, in particolare,
toccando un organo così carico di significati e intimamente legato all’identità femminile,
provoca numerose e profonde ricadute psicologiche. Nell’immaginario collettivo il seno è
simbolo di seduzione e oggetto di desiderio per eccellenza, tanto che la sua immagine
viene diffusamente usata per attrarre l’attenzione e pubblicizzare gli oggetti più diversi,
anche se non hanno nulla a che fare con tale immagine. Questa funzione pubblica del
13
GRASSI, L., ROSTI, G., LASALVIA, A., MARANGOLO, M., “Psychosocial variables associated with
mental adjustment to cancer”, in Psycho-Oncology, 1993, 2, pp. 11-20
14
HEIM, E., AUGUSTINY, K.F., BLASER, A., BÜRKI, C., KÜHNE, D., ROTHENBÜHLER, M., SCHAFFNER,
L., VALACH, L., “Coping with breast cancer. A longitudinal prospective study”, in Psychother.Psychosom,
1987, 48, pp. 44-59
15
DEROGATIS, L.R., MOROW, G.R., FETTING, D., PENMAN, D., PIASETSKY, S., SCHMALE, A.M.,
HENRICHS, M., & CARNICKE, C.L.M. Jr, “The prevalence of psychiatric disorders among cancer patients”,
in JAMA,1983, 249, pp. 751-757
16
JENKINS, P.L., MAY, V.E., HUGHES, L.E., “Psychological morbidity associated with local recurrence of
breast cancer”, in International Journal of Psychiatry in Medicine, 1991, 21, pp. 149-155
17
TAYLOR, S.E., LICHTMAN, R.R., WOOD, J.V., BLUMING, A.Z., DOSIK, G.M., LEIBOWITZ, R.L., “Illness-
related and treatment-related factors in psychological adjustment to breast cancer”, in Cancer, 1985, 55, pp.
2506-2513
18
GANZ, P.A., COSCARELLI SCHAG, A., LEE, J.J., POLINSKY, M.L., TAN, S.J., “Breast conservation
versus mastectomy, is there a difference in psychological adjustment or quality of life in the year after
surgery?”, in Cancer, 1992, 69, pp. 1729-1738
5
seno come simbolo dell’immagine femminile e della donna madre e seduttrice, non è priva
di ricadute. Per la donna il seno è un “elemento fondamentale, componente della propria
immagine corporea, testimone tangibile della propria identità, risultante di molteplici
esperienze di rapporto col proprio corpo che cambia nell’adolescenza e decade in età
avanzata, e con corpi altrui, oggetto di carezze e veicolo di allattamento”
19
.
L’asportazione del seno, totale o parziale, non solo genera ansia per la malattia e
per i cambiamenti estetici, ma provoca anche modificazioni a livello psicologico
conseguenti ai cambiamenti nella propria realtà di donna e madre e alla perdita del senso
d’integrità corporea e psicologica. Per alcune donne la paura di perdere tale integrità è
così forte da vincere il timore della malattia e rifiutare le cure. Inoltre gli effetti collaterali
delle terapie adiuvanti come la perdita dei capelli, la diminuzione della tonicità epidermica,
l’aumento di peso, l’interruzione del ciclo mestruale, si accaniscono ulteriormente contro i
principali aspetti della femminilità e rappresentano momenti anch’essi difficili da superare,
in quanto riducono di molto la soddisfazione per la propria immagine corporea, causando
disagio e sofferenza a livello fisico e psicologico
20
.
Parallelamente a reazioni individuali, compaiono spesso alterazioni nella vita
relazionale. Nel caso in cui erano presenti già prima equilibri precari nella vita di coppia, la
mastectomia può accentuare le difficoltà sia nella sfera sessuale sia nel rapporto affettivo.
Mentre per una donna senza partner stabile, la mutilazione può compromettere eventuali
progetti affettivi. In ogni caso una donna operata al seno vive frequentemente un senso
d’isolamento affettivo e relazionale. Per esempio nel caso in cui sia sopravvenuto il
linfedema, riconoscibile dal gonfiore della mano, la consueta stretta di mano ad amici o
estranei può stigmatizzare ogni volta il dolore e la diversità
21
. Sono reazioni che variano da
donna a donna, ma in ogni caso non sempre facili da esprimere e ancora meno è agevole,
per la famiglia e gli amici, comprenderne le implicazioni profonde. La sofferenza della
malata si ripercuote inevitabilmente sulla famiglia e sulla rete relazionale sconvolgendone
gli equilibri, per questo risulta importante ottenere un coinvolgimento dei familiari e degli
amici in modo che diventino una risorsa terapeutica. Non sempre e mai con facilità, il
contesto familiare riesce a reggere solidarmente e solidamente al duro impatto che un
evento simile provoca. Infatti nell’ambito delle relazioni familiari, la minaccia di morte
colpisce la dimensione dell’etica relazionale, esponendo ogni membro della famiglia a
rivedere la propria disponibilità verso gli altri e se stesso
22
. Molte donne riportano un
atteggiamento di sollecitudine e di protezione da parte del partner, altre una scarsa
disponibilità ad accogliere i loro bisogni, se questo implica qualche rinuncia o sacrificio
personale. Spesso ci si appella a miti come l’iperprotezione della paziente censurando
ogni notizia sulla malattia e il suo decorso, fino a rimuovere del tutto e magari non
chiedendo più alla malata come si senta, di cosa abbia paura o di cosa abbia bisogno.
Altre volte è la donna che, per proteggere i propri familiari dal dolore, finge che tutto
vada bene e si autoisola, o per paura che i figli piccoli si traumatizzino vedendo le cicatrici
o scoprendo la parrucca, comincia a rifiutare qualsiasi contatto corporeo evitando la
19
CROTTI, N., Cancro: percorsi di cura, p. 93
20
KNOBF, M.T., “Physical and psychologic distress associated with adjuvant chemotherapyin women with
breast cancer”, in Journal of Clinical Oncology, 1986, 4, pp.678-684; HOLLAND, J., LESKO, L.,
Chemotherapy, endocrine therapy, and immunotherapy in HOLLAND, J., ROWLAND, J. (a cura di),
Handbook of psychooncology, Oxford University Press, New York, 1989, pp. 146-162
21
CROTTI, N., Cancro: percorsi di cura, pp. 91-95
22
L’etica relazionale rappresenta, secondo la Teoria Contestuale, una delle quattro dimensioni della realtà
relazionale “attinente le dinamiche di equità e giustizia nel reciproco dare e avere cura, protezione e affetto
tra i membri della famiglia, il cui equilibrio consente lo sviluppo della fiducia e della responsabilità
individuale”, in DE FEUDIS, R., “Il tempo dell’esitazione. La relazione di aiuto psicologico con la donna
operata di cancro al seno”, in terapia familiare, 2003, 71, p. 59; BOSZORMENYI-NAGY, I., KRASNER, B.,
Between give and take. A clinical guide to contextual therapy, Brunner/Mazel, New York, 1986
6
vicinanza, i giochi insieme e le coccole. In altre situazioni è la malata a essere considerata
inconsapevolmente colpevole del dolore che causa. Può accadere che venga sminuito il
suo ruolo di donna, moglie e madre e le sue responsabilità vengano ridotte a un “vivere
per curarsi”. Talvolta è la famiglia stessa a impoverire i contenuti relazionali e affettivi,
limitandosi a organizzare i tempi comuni per effettuare le terapie e per non avere tempo e
modo per parlare dell’angoscia, della paura, del dolore
23
.
Su tali basi, l’utilità e l’efficacia d’interventi psicosociali miranti a cogliere il disagio e
a intervenire in senso terapeutico è stata dimostrata da diverse indagini nell’ambito
psiconcologico del cancro al seno
24
. Il counseling costituisce una prima forma d’intervento
per assistere la malata oncologica e la sua famiglia, utile quando è necessario fornire
informazioni, supporto nei momenti di crisi, orientare alla soluzione di problemi, agevolare
il processo decisionale, migliorare il livello di riconoscimento del disagio e favorire un
eventuale invio specialistico psichiatrico
25
. Nelle situazioni di disagio conclamato, gli
interventi specifici sono costituiti dalla psicoterapia individuale o di gruppo e secondo i
diversi modelli teorici di riferimento, che possono essere psicodinamico, cognitivo-
comportamentale, familiare, esistenziale e così via. Già dagli anni ottanta in America e in
Argentina e solo di recente in Italia, si stanno sperimentando tecniche, cosiddette
alternative, a mediazione corporea e non, che migliorino la qualità della vita delle pazienti.
Al “Center Support and Educational Center’s” di San Francisco, ad esempio, l’approccio
alla cura del cancro coinvolge in senso olistico la persona con l’utilizzo di tecniche
psicoterapeutiche, immagini guidate, danza-movimento, musica, massaggio e altre
tecniche basate sulla connessione corpo-mente. In Argentina presso la Lega Argentina di
Lotta Contro il Cancro di Buenos Aires sono stati offerti per anni alle donne operate di
tumore al seno, un accompagnamento psicologico attraverso colloqui individuali di
psicoterapia e incontri di gruppo con la metodologia della Biodanza. In Italia sono state
proposte alcune esperienze analoghe all’Istituto dei Tumori di Milano con interventi di
terapia di gruppo centrati sul recupero della funzionalità motoria, e anche si sono
sperimentati cicli d’incontri di riabilitazione esistenziale con la Biodanza presso
l’Associazione “A.N.D.O.S.” di Brescia e l’Associazione “Forti e Serene” di Arona, e con la
Dance/Movement Therapy presso il Servizio di Riabilitazione dell’Ospedale Predabissi
26
.
Nell’ambito della psiconcologia del cancro al seno, alcuni autori si sono interessati
sulla valutazione dell’influenza delle variabili psicosociali nel modulare il decorso della
malattia. L’incidenza di eventi stressanti, la mancanza di supporto sociale, le modalità di
coping di tipo fatalistico-rassegnato sono stati indicati come possibili fattori, anche se non
tutti gli studi concordano.
Un’ultima area di ricerca e clinica psiconcologica riguarda la prevenzione, in
particolare le variabili emozionali insite nella partecipazione ai controlli e alle campagne di
screening mammografico, e le ricerche sulla modalità di trasmissione genetica del cancro
al seno. Lo sviluppo di queste aree rappresenta la sfida per il futuro della psiconcologia
27
.
23
CROTTI, N., Cancro: percorsi di cura, pp. 78-80, 99, 104-108
24
EDELMAN, S., CRAIG, A., KIDMAN, A.D., "Can Psycotherapy increase the survival time of cancer
patients?", in Journal of Psychosomatic Research, 2000, 49, pp. 149-156; SERLIN, I.A., CLASSE, C.,
FRANCES, B., ANGELL, K., "Symposium: support groups for women with breast cancer: traditional and
alternative expressive approaches", in The Arts in Psychotherapy, 2000, vol.27, 2, pp. 123-138
25
MACARDLE, J.M.C., GEORGE, W.D., MACARDLE, CS., SMITH, DC., MOODIE, A.R., HUGHSON,
A.V.M., MURRAY, G.D., “Psychologcial support for patients undergoing breast cancer surgery: a randomised
study”, in British Medical Journal, 1996, 312, pp. 813-816
26
DEANTONI, K., “Una esperienza di riabilitazione con danza movimento terapia”, Quaderni di psichiatria
pratica, p.31-33; DIBBEL-HOPE, S., "The use of dance/movement Therapy in psychological adaptation to
breast cancer", in The Arts in Psychotherapy, 2000, vol.27, 1, pp. 51-68
27
AGUIARI, D., MAGNANI, K., GRASSI, L., “Implicazioni psicosociali del cancro alla mammella: rassegna
bibliografica internazionale”, in Quaderni di psichiatria pratica, p. 80-83
7
Dall’excursus teorico fin qui esposto, si può intravedere la complessità con cui
un’esistenza si confronta con una malattia in alcuni casi mortale. Tuttavia è solo attraverso
le parole delle donne che hanno vissuto in prima persona questa esperienza, che si può
comprendere come una malattia possa uccidere anche senza ammazzare il corpo, come
una diagnosi, l’intervento chirurgico e la terapia adiuvante possano annullare una psiche e
quindi la coscienza di essere vivi e complessi, e come, nonostante tutto, si riesca ad
attingere a una forza interiore che permette di non rassegnarsi e di affrontare gli esami,
l’operazione, le terapie, la gente, la vita.
Il cancro prima di essere un’esperienza biologica, è un’esperienza biografica che
appartiene alla storia delle pazienti, dei loro parenti e amici. La possibilità di comunicare
un’esperienza con parole proprie, alla ricerca di un significato, permette di trasformare
l’esperienza stessa, rendendola nuovamente propria e dunque vivibile, poiché “«meglio
parlare della morte che lasciarla parlare al nostro posto»”
28
.
I contributi che presentiamo, sono stati scritti da due donne operate di tumore al
seno vincitrici della seconda edizione del premio letterario Il prima e il dopo, istituito
dall’Associazione internazionale “EUROPA DONNA”, fondata nel 1991 da Umberto
Veronesi, il cui obiettivo consiste nel diffondere informazioni sulla prevenzione del tumore
al seno.
29
La poesia di Gabriella Giovannini
Foulards
Foulards colorati
A righe a fiori
Bandane
Portavo quell’estate strette legate
Sulla testa spoglia
Sui miei pensieri
Aquiloni
In preda alle correnti
Vedo a volte
Per la città
Girare
Variopinti foulards
In preda alle correnti
Risento come allora
Miei
Tutti quei pensieri.
28
THOMAS, L.V., 1991, La mort en question. Traces de mort, mort des traces, Paris, Harmattan, 1991 citato
in CROTTI,N., Cancro: percorsi di cura, pp.31-32
29
EUROPA DONNA, Il prima e il dopo, Nuovi Autori, Milano, 2001, pp. 24, 33-36
8
Il racconto di Marina Beltrame
Un mondo pelato
Cercai l’indirizzo sulle pagine gialle alla voce “Parrucche e toupets”. Trovai, a pochi
chilometri da dove abitavo, una “Casa della Parrucca” che sembrava fare al caso mio:
l’inserto pubblicitario parlava di “vasto assortimento”, “massima riservatezza e cortesia”,
“parrucche leggere, naturali ed ecologiche” e, persino, “speciali per chemioterapia”.
Telefonai e chiesi con un po’ di imbarazzo se avevano qualcosa di adatto a una donna
giovane: «Qualcosa di scuro…di media lunghezza…né liscio né riccio…». Dall’altra parte
mi risposero che sì, avevano senz’altro qualcosa che poteva fare al caso mio e mi
fornirono una serie di informazioni sulle differenze fra le parrucche di capelli vere e quelle
di capelli sintetici. Ringraziai, dissi che sarai andata da loro nel pomeriggio, e posai il
ricevitore.
I miei capelli, castani e leggermente mossi, erano lunghi fino alle spalle: avrei dovuto
cercare qualcosa di somigliante nella lunghezza, nel taglio, nel colore.
«Vedrai» mi rassicurò mio marito «i bambini non ci faranno troppo caso».
Andammo quel pomeriggio stesso. Il negozio era vuoto. Ci accolse una donna giovane e
gentile che capì immediatamente la situazione. Provai e riprovai parrucche di lunghezza e
colore diversi fino a quando mi decisi per un baschetto castano scuro, con una frangia che
nascondeva l’attaccatura sulla fronte e ciocche regolari che scendevano fin sotto le
orecchie. «Le sta bene» mi disse la commessa. «E’ adatta al suo viso. Consideri che ora
c’è il volume dei suoi capelli a tenerla così alta, ma una volta caduta quelli…».
Seduta di fronte allo specchio, in un angolo del negozio nascosto alla vista di chi passava
e di chi entrava, mi guardai senza piacermi, osservandomi di fronte e di profilo. La
parrucca era un po’ troppo liscia, un po’ troppo folta, un po’ troppo scura, ma non avevo
tempo per cercarne un’altra: l’indomani avrei cominciato le cure. La tolsi e la posai sulla
mensola che avevo di fronte. Senza alcun sostegno a sorreggerla si afflosciò, gonfia e
morbida, simile a un nido di uccelli. Orribile.
Rimpiansi di non avere il coraggio di portare in giro la mia testa nuda sfidando gli sguardi
degli altri e la loro attenzione indiscreta. Se l’avessi fatto avrei gridato al mondo che ero
malata: la parrucca avrebbe soffocato quel grido.
Arrivai a casa con quel pacchetto sottobraccio e i miei bambini mi corsero incontro
incuriositi.
«Cos’è mamma?».
«Una parrucca» risposi.
«Per chi?».
«Per me».
Vollero vederla e mi chiesero se potevano provarla. Acconsentii ma dettai, ridendo, una
condizione: «Io vi faccio provare la mia se voi mi fate provare la vostra».
Eccitati all’idea di quel gioco, corsero nella loro stanza a cercare nell’armadio la parrucca
azzurra da pagliaccio che tiravano fuori ogni anno a carnevale.
«Tieni mamma, mettitela» . la misi e diedi loro la mia.
La indossarono di sghimbescio, prima una poi l’altro, e corsero a turno a guardarsi nello
specchio del bagno.
Più tardi, mi chiesero perché l’avessi comprata. «Perché» risposi «devo prendere delle
medicine che mi faranno cadere tutti i capelli. Per questo l’ho comprata».
La risposta gli bastò.
I capelli iniziarono a cadere pochi giorni dopo: ne trovai a centinaia sparsi sul cuscino, sui
vestiti, sul pavimento. Alla minima trazione, intere ciocche si staccavano dalla testa. Con
un rasoio affilato misi rapidamente fine a quel supplizio.
9
Le cure si susseguirono a cicli quindicinali per tre mesi e convivere con quell’affanno non
fu facile. C’erano i bambini. Risolutamente, decisi che non avrei permesso alla malattia di
trasformarmi, nemmeno per un giorno, in una madre triste, sconfitta, ripiegata su se
stessa. Dovevo salvaguardarli.
Loro, riparati dall’incoscienza dell’infanzia, parevano non accorgersi di nulla. Troppo
piccoli per capire, intuivano che c’era qualcosa che non andava ma non riuscivano a
metterlo completamente a fuoco.
Solo, il piccolo, che allora frequentava l’ultimo anno della scuola materna, prese a
disegnare persone completamente calve: accanto a case, alberi, fiori, animali,
scarabocchiava figure umane senza un solo pelo in capo.
Non disegnò mai me senza e gli altri con i capelli ma fece un operazione esattamente
contraria: la mamma era pelata, tutto il mondo era pelato, compreso se stesso.
Sei mesi dopo, terminate le cure, i miei capelli cominciarono a ricrescere e, di pari passo,
presero a ricrescere anche quelli della mamma nei suoi disegni: le spuntò dapprima una
zazzeretta incerta e poi, via via, una capigliatura sempre più folta.
In breve, riacquistarono il crine perso anche tutti gli altri.
Faticai a rinunciare alla parrucca quando vivi la mia testa fittamente coperta da sottili
capelli scuri.
«Che ne dici» chiedevo a mio marito «se la porto ancora per un po’? Potrò toglierla più
avanti, quando i capelli saranno un po’ più lunghi…»
ma eravamo ad aprile, vicini ad una Pasqua che mai come quell’anno mi sembrò una
Pasqua di Resurrezione, e l’aria si era fatta tiepida.
Uscii con una testina cortissima, il viso truccato, ciglia e sopracciglia ricresciute. Mi piacqui
talmente con quei capelli così corti che adottai quel taglio per un po’: era di una praticità e
di una spensieratezza assoluta.
Buttai la parrucca, pensando che non ne avrei più avuto bisogno, ma mi sbagliai.
Tre anni dopo ebbi una ricaduta che mi costrinse a cure più potenti e debilitanti delle
precedenti, cure a cui dovetti sottopormi in un grande ospedale del nord.
Vegliata da mia madre, restai lontana da casa per settimane. Sentivo i bambini solo al
telefono. Era Natale.
«Fa freddo mamma lì da te?»
«Abbastanza»
«Quando torni?»
«Presto, torno presto»
«Quando presto?»
«Quando lo dice il dottore»
Tornai per l’Epifania, talmente indebolita da riuscire a malapena a camminare. I capelli
erano nuovamente caduti. Quando fui in grado di uscire, andai a comprare un’altra
parrucca nello stesso negozio dove ero stata tre anni prima. Ne presi una più corta della
precedente, un po’ più chiara, sfilata sulla fronte e ai lati del viso.
Quando la tolsi fui tentata di buttare anche quella ma, all’ultimo momento, cambiai idea e
la chiusi in una scatola che finì in fondo all’armadio.
Da allora, sono passati altri tre anni e la mia vita ha preso l’andamento tranquillo che ho
voluto imporle, mentre la malattia, finalmente regredita, sonnecchia.
«Sssh!» Dico ai miei bambini. «Facciamo silenzio. Lasciamola dormire.»
E, mentre lei dorme, io veglio.
Entrambi i lavori premiati riguardano i capelli, simbolo importante di femminilità.
Perderli durante la chemioterapia costituisce la conseguenza che più rende appariscente
la malattia a sé e agli altri, impedendo di tenerla nascosta. Oltretutto la modalità con la
10
quale più frequentemente accade è traumatizzante: svegliarsi una mattina e ritrovare i
capelli sul cuscino.
Per queste donne la diagnosi ha rappresentato una frattura traumatica nel fluire
dell’esistenza, una linea netta tra un “prima” e un “dopo”. Un “dopo” caratterizzato da
sofferenza, fatica e ripercussioni nella vita sociale e familiare.
La persona la cui vita viene cambiata e stravolta dalla malattia, sente vacillare il
proprio equilibrio psichico sotto la spinta delle paure legate all’incertezza della guarigione,
non è più padrona della propria vita e dei propri tempi, prova un vissuto di tradimento nei
confronti del proprio corpo che viene studiato in modo oggettivo da altri e poi profanato da
mutilazioni, spesso sente di essere accettata non in quanto persona che soffre, ma solo in
quanto portatrice di un organo malato e sente di non essere più se stessa
30
.
E nonostante tutto prevale la voglia di lottare e di vivere.
Per questo è importante che nella cura delle donne operate di tumore al seno,
accanto agli aspetti medici e chirurgici, non vengano trascurati gli effetti psicologici
secondari alla malattia, verso un approccio interdisciplinare alla paziente oncologica e alla
sua famiglia. Numerosi studi e ricerche comprovano, infatti, l’influenza dei fattori
psicologici, sociali e familiari sui risultati delle cure mediche,
31
inoltre l’esperienza
accumulata dalle associazioni di “donne operate di tumore al seno” in ambito
internazionale, conferma la validità delle tecniche corporee come ausilio nelle crisi
correlate alla perdita della salute e a mutilazioni della corporeità, per costruire una nuova
relazione col corpo, scoprirlo, ascoltarlo, perché “nella profondità del linguaggio del corpo
e nella profondità della mente è scritta la nuova verità, il progetto segreto del soggetto in
crisi”
32
.
In quest’ottica l’avvicinamento ai propri processi mentali ed emotivi, ai propri vissuti,
permette di dare ascolto e riconoscere i segnali che l’organismo esprime in modi diversi,
per comunicare i suoi bisogni, alla ricerca costante di condizioni che favoriscano una
realtà di benessere. Il lavoro di riabilitazione diventa, in tal caso, un lavoro di
risignificazione esistenziale, nel quale la malattia non costituisce la conclusione, ma il
punto di partenza per la rielaborazione della propria immagine, dei propri comportamenti,
dei criteri e dei valori con cui vivere.
30
KANIZSA, S., “Essere malati”, in Adultità, 2001, 13, pp. 64-65
31
WILLIAMS, G.C., FRANKEL, R.M., CAMBELL, T.L., DECI, E.L., “Research on relationship-centered care
and health-care outcomes from the Rochester biopsychosocial program: a self-determination theory
integration”, in Family, Systems & Health, 2000, 18 (1), pp.79-90; CAMPBELL, T.L., PATTERSON, J.M.,
“The effectiveness of family interventions in the treatment of physical illness”, in Journal of Marriage and
Family Therapy, 1995, 21, pp. 328-545
32
PIETROPOLLI CHARMET, G., Prefazione, in ATTIVECOMEPRIMA (a cura di), … e poi cambia la vita.
Parlano i medici, le donne, gli psicologi, FrancoAngeli/Self-help, Milano, 1998, p. 12
11
CAPITOLO 3
EDUCARE AL CORPO VISSUTO
“Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello,
sta un padrone più potente,
un saggio ignoto che si chiama Sé.
Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo. […]
Ai dispregiatori del corpo voglio dire una parola.
Essi non devono, secondo me,
imparare o insegnare ricominciando daccapo,
bensì devono dire addio al proprio corpo,
e così amutolire”
Friedrich Nietzsche, Così parlò Zaratustra
33
“Il corpo è l’unico mezzo che io ho
per andare al cuore delle cose”
Maurice Merleau-Ponty, 1970
“Solo attraverso il mezzo della corporeità
io sono presente nel mondo ed il mondo
diventa presente a me: solo attraverso questo
mezzo opero nel mondo ed entro nella
molteplice connessione attiva delle cose
e degli uomini nel mondo”
Emerich Coreth, Antropologia filosofica
34
1. Il corpo, vissuto e femminile
Nella malattia e in particolare nel tumore al seno, il corpo assume una centralità
particolare sia per la sofferenza determinata dalla malattia sia perché diviene metafora
concreta di vissuti ed aspettative.
Freud nel 1923 scrive che “[…] dal mondo delle percezioni emerge la percezione
del proprio corpo. Anche il dolore [fisico] sembra svolgervi una certa funzione, e il modo in
cui in determinate malattie dolorose si ricava una nuova conoscenza relativa ai propri
organi è forse paradigmatico per il modo in cui si perviene in generale alla
rappresentazione del proprio corpo. L’Io è anzitutto un’entità corporea, non è soltanto
un’entità superficiale, ma anche la proiezione di una superficie. […] Esso è prima di ogni
altra cosa un Io-corpo”
35
.
In un corpo leso, dunque, s’identificherà un Io non più integro, con conseguenti cali
dell’autostima, che possono arrivare al punto di demandare ad altri ogni decisione,
33
NIETZSCHE, F., Così parlò Zaratustra (trad. dal tedesco), UTET, Torino, 1964, pp. 60-61
34
CORETH, E., Antropologia filosofica (trad. dal tedesco), Morcelliana, Brescia, 1991³, p. 145
35
FREUD, S., L’Io e l’Es (trad. dal tedesco), in Freud, S., Opere, Boringhieri, Torino, 1977, vol. 9, pp. 488,
490
12
soprattutto quando il principale problema è rappresentato dalla perdita del seno e dalla
minaccia alla propria sopravvivenza.
Il processo riparativo del corpo, perché sia compiutamente efficace, deve essere
soprattutto un processo auto-riparativo a partire da un lento e faticoso percorso
ricostruttivo di se stessi
36
. Cominciare a riappropriarsi del corpo, ad abitarlo, a risentirlo
proprio nonostante la mutilazione, in un percorso di risignificazione che trasmuti il corpo da
oggetto a soggetto, da traditore a creatore di guarigione, da vittima ad artefice
compartecipativo di salute.
La trasformazione del corpo per la mutilazione del seno, non comporta solo un
cambiamento esteriore, ma significa mutilare la capacità della persona di esprimere se
stessa e di aprirsi e donarsi al mondo
37
, coinvolgendola nel suo “essere un corpo e nel
linguaggio del «corpo che siamo»”
38
. Nella malattia viene disturbato tutto il modo di
“essere nel mondo” che diventa più fragile, più ansioso, più insicuro e che rende sempre
più ridotta e contratta la vita.
E’ possibile comprendere meglio quest’ultima affermazione se la s’inserisce
all’interno del pensiero di alcuni filosofi fenomenologi, esistenzialisti e personalisti che
hanno approfondito il concetto di corporeità e corpo vissuto.
[…] La Fenomenologia
39
sottolinea il valore “dell’inscindibile unità psicosomatica ed
esistenziale”
40
, in cui il corpo diviene espressione dell’essere vivente investito di significato
umano e simbolico, colto nell’esperienza vissuta dell’esistenza. Considerare il corpo come
Körper
41
, corpo fisico, oggettivato e naturalisticamente inteso come macchina che può
essere studiata e manipolata, significa ridurre il corpo a “cosa” priva di umanità e dignità
esistenziale. Viceversa cogliere il corpo come Leib, ossia corpo-esistenza oltre ogni
riduzione naturalistica, permette sia di considerarlo ricco di significato in quanto valorizza
l’identità e l’autenticità dell’essere umano, sia di rendersi conto dell’unità del corpo-
persona grazie alla quale noi non abbiamo un corpo ma siamo un corpo.
Nella prima accezione, prevale la logica del possesso del corpo, “il corpo che ho”, e
che, quindi, può essere violato, abusato e venduto, nella seconda accezione prevale
l’essere un corpo, implicante “una maggiore consapevolezza, un maggior rispetto perché
quel corpo è espressione della stessa sacralità e inviolabilità della persona umana”
42
.
Siamo a una tesi completamente antitetica rispetto a quella cartesiana che
enunciava la contrapposizione tra res extensa e res cogitans, ossia tra anima e corpo o tra
vita psichica e vita somatica. Nel pensiero fenomenologico, invece, l’uomo non è divisibile
tra due esseri, e la corporeità presenta il duplice aspetto dell’oggettività e della soggettività
a partire dall’organismo esistente.
Secondo la lezione fenomenologica, esistenzialista e personalista, la persona deve
essere considerata nella sua interezza ed è identificabile nel corpo che la identifica come
essere al mondo e come condizione della soggettività
43
.
36
DE FEUDIS, R., “Il tempo dell’esitazione. La relazione di aiuto psicologico con la donna operata di cancro
al seno”, pp. 61-62
37
BRESCIANI, C., CATENA, R., RONCHI, L., SACRESTANI MOTTINELLI, M., Il corpo, un dono, un valore,
un compito, Istituto Pro Familia, Brescia, 1997, p. 159
38
IORI, V., “Transiti e processi formativi”, in Adultità, 1997, 5, p. 17
39
La Fenomenologia è la corrente di pensiero che ha luogo nella cultura tedesca negli ultimi due decenni
dell’800, dedita all’analisi e alla descrizione dell’essenze; da REALE, G., ANTISERI, D., Il pensiero
occidentale dalle origini ad oggi, La Scuola, Brescia, 1996¹
8
,
vol. 3, pp. 439-440
40
IORI, V., Educazione degli adulti, p. 36
41
nella lingua tedesca si utilizzano termini diversi per sottolineare la differenza tra Körper, corpo-oggetto e
Leib, corpo-soggetto
42
IORI, V., Educazione degli adulti, p. 36; IORI, V., Filosofia dell’educazione. Per una ricerca di senso
nell’agire educativo, Guerini Studio, Milano, 2000, p. 156
43
IORI, V., Filosofia dell’educazione. Per una ricerca di senso nell’agire educativo, p. 155
13
Abbracciando questa prospettiva, il corpo non può più essere considerato scisso
dall’espressione dell’attività psichica, del proprio mondo interno e della sua sfera
emozionale. La persona è una e interconnessa, la sua esistenza si manifesta attraverso
relazioni umane e nella relazione con il mondo e il corpo è manifestazione vivente della
modalità di essere nel mondo di ogni individuo. Ciascuno di noi si presenta nel mondo con
il proprio modo di essere adottando modalità di movimento prevalenti, per esempio,
camminare sempre di fretta, assumere una postura curva o di petto, muoversi con
leggerezza e senza rumore oppure marcare con forza le parole e i gesti.
In accordo con quanto emerso dagli studi del Mental Research Institute di Palo Alto
(California)
44
, notiamo come attraverso il corpo si privilegia un livello di comunicazione
analogica o non verbale in cui gesti, espressioni del volto, posizioni del corpo e movimenti
assumono il carattere della spontaneità, comunicando il vissuto emotivo sotteso
45
, infatti
“la vita interiore si esprime attraverso movimenti esteriori; il corpo esprime l’interiorità”
46
.
[…] Il corpo, quindi, come radice prima della soggettività, totalità vivente che
incontra nel suo vissuto d’esperienza altri corpi con lui compresenti, e che si comprende
soltanto a partire dal suo mondo, prescindendo dal quale non può darsi vissuto
esperienziale. Corpo vissuto come modalità di essere nel mondo e canale di conoscenza
del mondo, ma anche come modalità di espressione e veicolo di comunicazione
fondamentale dell’interiorità.
Tuttavia la cultura attuale considera il corpo come un oggetto da usare e
possedere, trascurando il vero significato dell’essere un corpo. Anche la scienza ha
ridotto il corpo a mero organismo da studiare e sezionare, e la medicina ne è un lampante
esempio poiché, “defilando la figura umana sullo sfondo, non la vede più come persona
ma come cosa”
47
, per cui un risultato efficace consisterà guarire i singoli organi fisici,
dimenticando la salute dell’integrità della persona.
Le ragioni della dimenticanza si ascrivono ai paradigmi dello scenario socioculturale
del postmoderno caratterizzato da complessità e frammentazione, eccedenza di
opportunità e disponibilità di mezzi che segnalano una diminuzione delle riflessioni sui fini,
deperimento delle evidenze etiche, consolidamento della malattia del senso con
conseguente aporia di significati, che oscurano il senso della malattia e infine
l’onnipotenza del sapere tecnologico e scientifico
48
.
Viviamo in una società che esalta il fisico, la bellezza, l’apparire e che al tempo
stesso calpesta il valore del corpo con la violenza e l’abuso.
Le donne, in particolare, subiscono in misura maggiore degli uomini questa
situazione.
Generalmente la donna non ha un facile rapporto col proprio corpo per via dei
condizionamenti culturali che ancora la ingabbiano in modelli stereotipizzati, dettati per lo
più da una visione androcentrica.
Il corpo femminile, infatti, svolge almeno tre ruoli principali, quello di tramite del
male e della perdizione come oggetto erotico peccaminoso, quello di mediatore tra
l’umano e il soprannaturale come mistero angelico di maternità, e infine quello di essere
strumento d’ispirazione come astratta icona idealizzata. Nel primo ruolo la donna viene
immaginata come Eva, seduttrice per eccellenza e progenitrice universale, al suo opposto
44
cfr. WATZALWICK, P., BEAVIN, J.H., JACKSON, D.D., Pragmatica della comunicazione umana. Studio
dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi (trad. dall’inglese), Astrolabio, Roma, 1971, p. 59
45
SIMEONE, D., La consulenza educativa. Dimensione pedagogica della relazione d’aiuto, pp. 117-118,
120-139
46
VALERIANI, A., Il nostro corpo come comunicazione, La Scuola, Brescia, 1964, p. 124
47
GALIMBERTI, U., Introduzione, in JASPERS, K., Il medico nell’era della tecnica, Cortina, 1995, p.XXII
48
MOZZANICA, C.M., Servizi alla persona. Un’organizzazione (in)compiuta, Monti, Saronno, 1998, pp. 26-
34, 44
14
la donna è vista come Madonna, immagine asessuata, spirituale, disincarnata, angelica,
vergine eppure depositaria del mistero sublime della maternità, e per ultimo, quasi posta a
una certa distanza, la donna come Musa ispiratrice
49
.
In bilico tra Eva, Madonna e Musa, la donna rischia di perdere il proprio essere
corpo per seguire comportamenti che da una parte idoleggiano un corpo sempre giovane,
seducente e attraente e dall’altra anestetizzano pulsioni e desideri.
In un articolo sulla rivista Adultità, Vanna Iori
50
esprime in modo sagace come la
tradizione culturale androcentrica abbia negato da sempre il desiderio femminile,
mostrando le donne oggetto dei desideri maschili ma incapaci di diventare soggetti di
desiderio, tant’è che esiste per gli uomini addirittura un comandamento che vieta di
desiderare la donna altrui, ma non altrettanto per le donne. Nell’immaginario maschile la
donna è resa da un lato oggetto dei desideri altrui, negandole il proprio desiderio, dall’altro
soggetto di desideri che però sono imposti dal sesso maschile e che viaggiano dalla
“mistica della femminilità” alla donna erotica e appassionata, seduttiva e trasgressiva. Così
al corpo femminile viene assegnato o la funzione sessuale-riproduttiva della donna-madre
o l’inquietudine della perdizione della donna-passione o la funzione ispiratrice della donna-
musa.
Dei desideri inappagati e delle fantasie rimosse, secondo Gabriella Buzzati e Anna
Salvo nell’opera Il corpo-parola delle donne
51
, restano memoria in una terra di confine in
cui s’intrecciano psiche e soma. La loro analisi mostra come il corpo femminile sia più
esposto a esprimere e tradurre dolori e conflitti insopportabili, e a rappresentare affetti feriti
e vuoti interiori. Le donne con il loro “arcaico «linguaggio di sofferenza»”, privilegiano il
corpo per rappresentare quei contenuti, che non trovano posto nelle parole proprio perché
legati a desideri arcaici, né riescono a risuonare nello psichico. Il corpo al posto delle
parole e dell’organizzazione simbolica, nella necessità di dare una qualche forma di
visibilità a contenuti psichici, a dolori e affetti feriti, a desideri negati, attraverso la via della
malattia e della sofferenza organica, come l’anoressia, l’isteria, la depressione e le
affezioni della pelle.
Anche il corpo femminile ingabbiato in un oggetto da abbellire, addomesticato
attraverso ripetuti interventi di chirurgia plastica, nella pretesa di perfezione ed eterna
giovinezza, diventa forma e mezzo espressivo di sofferenza. Quando il corpo viene
trasformato in oggetto feticcio, in gioco non è più l’essere né tantomeno l’avere, ma la
sola dimensione dell’apparire. “Il corpo della donna rischia di divenire corpo trasparente
e, in un certo senso, pura fenomenicità del valore, finché le donne, poste come oggetto di
consumo, inabisseranno inevitabilmente verso il mutismo, verso l’afasia. Tutto è
ammantato di un apparente splendore, eppure qualcosa di morto, di nascostamente ma
orribilmente distruttivo si muove sotto l’illusione della «felicità raggiunta»”
52
.
Forse si tratta di un’operazione perversa per cancellare depressione e tristezza e
ridare apparente allegria a un mondo difficile da sopportare nella sua caducità, o forse di
un’operazione che agisce negando spessore ai vissuti emotivi, devitalizzandoli e
anestetizzandoli, per paura di affrontare la forza e l’ambivalenza degli affetti.
Nel “destino che investe il corpo” esiste uno spazio potenziale in cui lo stesso corpo
“si pone come qualcosa che ciascun soggetto si trova a dover conquistare”. Un corpo non
già dato e marcato dal destino anatomico, ma da conquistare
53
.
49
DI CORI, P., La donna rappresentata. Il corpo, il lavoro, la vita quotidiana nella cultura e nella storia,
Ediesse, Roma, 1993, p. 15; IORI, V., Educazione degli adulti, pp. 36-37
50
IORI, V., “Liberare il desiderio”, in Adultità, 1996, 3, pp. 159-164
51
BUZZATI, G., Salvo, A., Il corpo-parola delle donne. I legami nascosti tra il corpo e gli affetti, Cortina,
Milano, 1988, pp. 6-12
52
Ibid., p. 16
53
Ibid., pp. 2-3
15
Nonostante il vissuto corporeo femminile sia stato e sia tuttora influenzato da
comportamenti trasmessi e valori assegnati ad opera della cultura androcentrica e
dell’immaginario collettivo
54
, esiste per la donna la possibilità di conquistare la coscienza
di sé e del proprio essere corpo, attraverso la consapevolezza del valore del corpo-cura
55
.
Dal prendersi cura deriva la capacità di ritrovarsi, di volersi bene, di rispettarsi per essere
rispettate, di valorizzarsi “contro ogni possesso, appartenenza, […] violazione e abuso”
56
.
E la cura di sé può nascere attraverso il risveglio della sensibilità corporea, come
finestra che si apre sul mondo interiore ed esteriore.
I sensi del corpo sono un invito per iniziare un dialogo con se stessi, con gli altri e la
realtà che ci circonda, previa educazione alla corporeità vissuta, che significa ampliare la
percezione cinestesica
57
, ossia la sensazione del corpo in movimento, e intensificare la
cenestesia
58
ovvero sensibilizzarsi alle sensazioni che nascono dal funzionamento del
corpo umano per imparare ad ascoltarle e a rispettarle. In medicina la cenestesia è
definita come sensazione generale e senso dell’esistenza consapevole, oltre che come un
sentimento indeterminato connesso con lo stato generale del corpo e della vita, che viene
avvertito dalla coscienza, più facilmente, solo quando la sua tonalità è turbata. Questo
concetto riporta la nozione di salute alla percezione autonoma del soggetto, all’equilibrio
psico-fisico che non è la somma dei vari equilibri e che solo il soggetto convenientemente
educato riesce a cogliere e a gestire.
Non si tratta di un esercizio narcisistico, ma di un cammino necessario per
avventurarsi nel mondo della propria interiorità, conquistare benessere duraturo,
profondità di relazioni con le persone e scoprire la bellezza della realtà circostante
59
.
E’ inoltre percorso di cura che consente la transizione dal cure, che in inglese
significa guarire, al care, ossia prendersi cura, nella prospettiva dell’unicità e irripetibilità
della persona, nella sua dimensione corporea, affettiva, intenzionale e nel rapporto con sé,
gli altri e la realtà. Dimensioni sempre evocate in ogni itinerario educativo che affidi la cura
stessa agli orizzonti antropologici della persona come orizzonte di senso. Una
antropologia della cura, quindi, che iscriva i percorsi in un quadro ermeneutico e
assiologico di natura antropologica e che, in sostanza, propizi il benessere della persona
definito dal suo bene e si strutturi nel prendersi cura come accompagnamento, sapendo di
non poter mai guarire, ma graduando l’intervento secondo il desiderio e non solo il bisogno
della persona
60
.
54
PINKUS, L., L’identità femminile: prospettive psicodinamiche, in MILITELLO, C (a cura di), «Che
differenza c’è?». Fondamenti antropologici e teleologici della identità femminile e maschile, p. 16
55
IORI, V., Educazione degli adulti, p. 38
56
Ivi;
57
letteralmente è la percezione relativa alle sensazioni provocate dal movimento del proprio corpo o delle
sue parti, dal Vocabolario della lingua italiana ZINGARELLI, 2002
58
cenestesia è il complesso delle sensazioni che nascono dal funzionamento del corpo umano e che si
concreta in un senso di benessere o malessere, dal Vocabolario della lingua italiana ZINGARELLI, 2002
59
per alcuni concetti cfr. BRESCIANI, C., CATENA, R., RONCHI, L., SACRESTANI MOTTINELLI, M., Il
corpo, un dono, un valore, un compito, p. 159
60
MOZZANICA, C.M., Servizi alla persona. Un’organizzazione (in)compiuta, pp. 46-48