5
Il cognitivismo è stato per molti anni un programma di ricerca molto seguito e
approvato in particolar modo per l'interessante nonché spaventevole, accostamento di mente e
calcolatore. Il funzionamento della mente è stato, infatti, letto, alla luce di quello di una
macchina deduttiva, che si serve di simboli per elaborare l'informazione proveniente
dall'ambiente esterno. Questo programma ha dato molte speranze nel campo dell'Intelligenza
Artificiale. A questo proposito è molto interessante il lavoro di Jackendoff, che affronta i
rapporti problematici tra coscienza, mente e sé; in effetti, il cognitivismo ipotizzando un
modello di mente computazionale, teorizza dei processi cognitivi che non possono essere
portati a livello cosciente, in quanto perderebbero la loro velocità e efficacia. Una tale
impostazione liquida il concetto stesso di coscienza come infondo "inutile" per la conoscenza.
Come sottolinea lo stesso Varela, la sfida cognitivista consiste allora, non solo
nell'impossibilità di trovare il sé come sede della coscienza, ma nel postulare la non
necessarietà di questo medesimo sé per la cognizione!
Il connessionismo si è presentato come possibile indirizzo di ricerca più complesso del
precedente; io tenterò di analizzare le critiche che rivolge al cognitivismo e le conseguenti
proposte alternative, che vedono la mente come rete caratterizzata dall'interagire di proprietà
emergenti.
Questo modello permette la visione di un sistema di neuroni auto-organizzantisi, a
differenza del precedente, dove la manipolazione dei simboli avveniva in modo lineare-
sequenziale. Mi servirò della regola di apprendimento di Donald Hebb, per esplorare questo
indirizzo che per certi versi arriva a spiegare in modo esemplare il sistema di relazioni
neuronali nel funzionamento del cervello stesso.
Questa visione del cervello come sistema altamente cooperativo, che va strutturandosi
via via e mai in modo definitivo, attraverso le relazioni e la collaborazione tra neuroni, è ben
descritta ne La società della mente di Marvin Minsky.
6
E' interessante la caratterizzazione che Minsky propone per il Sé con la S maiuscola,
visto come identità personale: quest'ultimo non è un'attività centralizzata, ma appunto una
società di idee, ciascuna delle quali svolge una funzione nei confronti dell'altra.
Egli presenta molti esempi tesi a dimostrare come ogni comportamento, dal più
semplice al più complesso, possa essere scomposto in componenti dotate di specifiche e
vicendevoli funzioni. Ma queste funzioni ineriscono ad un quid? La risposta di Minsky è
negativa, sebbene come lui stesso afferma siamo in un certo qual modo costretti a credere in
un qualcosa che sappiamo non vero.
E giungiamo così all'indirizzo enattivo, che si presenta come via di mezzo e che tenta
di recuperare un legame tra scienza ed esperienza attraverso la filosofia buddista, con il
primato che essa attribuisce alla sfera pratica; approfondirò da qui, le critiche che Varela
rivolge ai due indirizzi precedenti, principalmente riguardo al concetto di rappresentazione e
alla centralità che viene ad acquisire il corpo.
E' filosoficamente denso di conseguenze il tentativo di superare la tradizionale
impasse di realismo e idealismo; in questa direzione, l'enazione si propone come via
intermedia, che pone in risalto il concetto di conoscenza come embodiment, come
incorporamento, mettendo in dubbio la visione di un mondo con qualità prestabilite e di una
mente anch'essa prestabilita.
La condizione di essere-nel-corpo, di cui Varela si dichiara debitore verso Merleau-
Ponty, diventa locazione cruciale e decisiva per l'orientamento cognitivo. Centrali sono poi, i
concetti di accoppiamento e di origine codipendente di corpo e ambiente, che condizionano
fortemente la teoria evoluzionistica.
Una tale impostazione scientifica, vuole sottolineare e far emergere l'importanza e la
complessità del concetto di materialità strutturale, in quanto lo stesso processo cognitivo, si
sviluppa proprio dagli accadimenti materiali in cui si viene a trovare.
7
“La realtà non è un dato; essa dipende dal percepiente, non perché si costruisce per
capriccio, ma perché ciò che conta come un mondo rilevante, è inseparabile da ciò che è la
struttura del percepiente” scrive Varela; in questa sua affermazione si ritrova tutta l'influenza
del filosofo francese Maurice Merleau-Ponty, che con il concetto di “corpo proprio e corpo
vissuto”, tematizza l'in-divisione tra senziente e sensibile nell'esperienza percettiva.
“Il mondo è inseparabile dal soggetto, ma da un soggetto il quale non è altro che il
progetto del mondo; il soggetto è inseparabile dal mondo, ma da un mondo che egli stesso
progetta” ; Merleau-Ponty presenta in questo modo, la relazione tra corpo e mondo.
Il corpo proprio risulta come il punto zero, che è sempre qui dove sono io, veicolo
dell'essere-al-mondo, che mi permette di avere presa sul mondo, e che permette al mondo di
avere presa su di me. La sensazione è nascita e produzione, di un atto comune tra soggetto
senziente e ambito sensibile.
Nella duplice ambiguità del corpo come struttura biologica e del corpo come struttura
vissuta, Merleau-Ponty coglie tutta la complessità della dimensione corporea, dissolvendo la
separazione lineare operata da Cartesio, tra res cogitans e res extensa. Il corpo vissuto è infatti
nella sua ambiguità costitutiva, permeato dall'anima che a sua volta non può trovarsi fuori
dalla corporeità soggettiva.
Sottolineando questo aspetto nucleare della filosofia di Merleau-Ponty, (si pensi agli
esempi proposti da quest'ultimo sui colori, che ricorrono in modo rigorosamente scientifico
nei loro scritti), l'indirizzo enattivo giunge a delle conseguenze filosofiche molto significative
per quanto riguarda la dimensione stessa del sé e del mondo.
Parlare infatti di un sé, non come di una cosa, ma di un processo, che acquista senso
nella sua dimensione incarnata, porta ad un sé non più riconducibile ad uno statuto
sostanziale, ma addirittura frammentario. Ciò succede anche per il mondo, che perde le sue
qualità prestabilite, che una presunta mente unitaria dovrebbe fedelmente rispecchiare, e
8
viene lui stesso a configurarsi come sfondo in stretta connessione con la nostra esperienza
percettiva.
Nel percorso che cercherò di tracciare, sarò portata io stessa, alla luce delle
considerazioni precedenti, a seguire una strada che va facendosi all’interno del processo di
conoscenza.
Mi soffermerò sul Trattato della natura umana di David Hume, sottolineando
l'intuizione geniale del filosofo, nell'individuare la scissione provata dall'uomo, tra un forte
senso di identità nell'esperienza e la mancanza di questo sé nella riflessione filosofica. Questo
scarto porta ad ipotizzare un flusso di percezioni, che non ineriscono ad alcunché, sia esso sé
o io o coscienza o anima. Il soggetto conoscente perde la sua centralità costitutiva, all'interno
del processo conoscitivo, in quanto anch'egli insieme al mondo(i) va modificandosi. Hume
tenterà di uscire da questo labirinto, postulando un'identità fittizia, che si impone come
necessaria per fondare una scienza “aristotelica”; ma la difficoltà intrinseca con cui si viene a
scontrare è per noi un indizio rilevante della varietà non solo della natura umana, ma dello
stesso individuo singolo.
Di fronte a queste conseguenze, che per un verso possono apparire poco rassicuranti,
si giunge a quell'infondatezza tipica del nichilismo. Tenterò di approfondire la critica che
Varela rivolge al nichilismo occidentale, critica che lo porta a ripiegare sulla tradizione
orientale; il nichilismo della tradizione occidentale è infatti bollato dal biologo cileno, come
inautentico e figlio dell’oggettivismo; quello orientale al contrario, è considerato come il solo
possibile superamento dell'attaccamento ad un fondamento.
Attraverso alcune delle pagine niezschiane più significative e con l'ausilio dei suoi
critici ed interpreti contemporanei, analizzerò fino a che punto la critica di Varela può
considerarsi fondata.
9
Il nichilismo occidentale può infatti essere inteso come forma di infondatezza e di
nulla positivi, in quanto privandoci di indicazioni e di Grund, lascia il campo aperto per una
gamma infinita di scelte, privi ormai della sicurezza fondante dell'oggettivismo.
Quello che mi preme comunque mettere in risalto è la modalità attraverso cui è stato
possibile arrivare fino a questo punto, e cioè con il recupero della corporeità, non più scissa
dalla sfera mentale, ma cruciale locazione da cui si avvia il processo cognitivo; solo così
infatti, è stato possibile liberarsi da un lato dallo statuto sostanziale del soggetto pensante
disincarnato, e dall'altro dalla visione di un mondo già dato e predisposto secondo precise
qualità preconfezionate.
10
1. Cognitivismo e connessionismo
1.1 Può la mente diventare un oggetto di studio?
Le scienze della cognizione ritengono possibile e auspicabile che l’indagine sul
funzionamento della mente umana, costituisca di per sé un’attività scientifica degna di
considerazione; in realtà nella storia della filosofia la mente è sempre stata un oggetto
teoretico su cui indagare, basti pensare al dialogo platonico Menone, dove lo schiavo è
condotto da Socrate a scoprire il modo in cui viene a prodursi la sua conoscenza, attraverso un
lungo percorso teoretico.
L’indagine sulla natura della mente, ha così attraversato la storia della filosofia fino ai
giorni nostri, senza però trovare risoluzione, ma stimolando al contrario sempre nuovi
interrogativi.
Howard Gardner
1
ha tentato una ricostruzione storica della scienza della mente, nel
suo testo La nuova scienza della mente: storia della rivoluzione cognitiva, proponendo una
definizione di scienza cognitiva che suona in questi termini:
Definisco la scienza cognitiva una creazione contemporanea, fondata su conoscenze
empiriche, per rispondere ad interrogativi epistemologici di vecchia data: in
particolare a quelli concernenti la natura della conoscenza, le sue componenti, le sue
fonti, il suo sviluppo, il suo impiego.[…] Mi interessa accertare se gli interrogativi che
diedero tanto filo da torcere ai filosofi nostri progenitori possano trovare una risposta
definitiva, […] oggi la scienza cognitiva possiede i mezzi per dare una risposta a
queste domande
2
.
Le affermazioni di Gardner sono molto ottimistiche, e rivolgono piena fiducia a questa
nuova scienza della cognizione; sembra infatti che quest’ultima possa davvero trovare una via
d’uscita di fronte agli interrogativi che hanno impegnato i filosofi nostri predecessori.
1
Gardner insegna Scienza dell’educazione e Psicologia all’università di Harvard.
2
Howard Gardner, La nuova scienza della mente, Milano, Feltrinelli, 1985, p.17-18.
11
Di quali interrogativi si tratta? Tutte le domande riguardano la conoscenza umana e in
particolare: 1) le componenti che la costituiscono, 2) le fonti, 3) lo sviluppo, 4) l’impiego.
La conoscenza viene così considerata una realtà complessa, in quanto costituita da
diverse parti che contribuiscono alla sua formazione; questo primo punto non va
sottovalutato, poiché ci annuncia la ricchezza delle componenti dell’attività conoscitiva
indagata.
Gardner parla poi delle fonti di questa conoscenza, delle sue origini, sollevando così la
questione in termini teologici; chiedersi quali siano le origini è una domanda che vuole andare
ai principi primi, al fondamento della conoscenza. Lo psicologo però parla di fonti, ed è
questa una precisazione non da poco: la pluralità di queste ultime metterebbe infatti in crisi la
teologicità del principio stesso
3
.
Il terzo interrogativo, è il più considerevole perché il concetto di sviluppo presenta una
serie di sfaccettature interessanti. Che la conoscenza umana abbia uno sviluppo, implica una
considerazione di questa in termini di processo, anziché di unità sostanziale priva di
modifiche
4
. Il processo conoscitivo è quindi sottoposto a continui mutamenti e trasformazioni,
che lo privano di uno stato di quiete. Si tratterà di vedere poi, da dove provengano queste
modifiche e dove conducano.
Si arriva infine al quarto punto e cioè all’impiego e all’uso che se ne fa della
conoscenza; anche in questo caso mi sembra importante riflettere sulla domanda stessa, sulle
sue implicazioni, che vedono la possibilità dell’utilizzo da parte nostra, che ci rende in un
certo senso padroni della produzione di idee.
L’analisi seppur sommaria di questi interrogativi, porta ad un risultato da considerare
come un compagno che ci seguirà nel corso dello studio: ogni interrogativo ha dato vita ad
altri e numerosi quesiti, non sembra possibile infatti giungere in modo immediato a delle
3
Se infatti sono più fonti non sarà possibile stabilire quale sia l’origine prima, che per definizione è una.
4
Si pensa in particolare alla sostanza pensante di Descartes, che nel Discorso sul metodo è caratterizzata come
indistinta e immortale.
12
risposte esaustive. Ciascuna domanda, prima ancora di indurci a cercare una risposta, ha
richiesto di soffermarci su di essa e ha rifiutato qualsiasi soluzione immediata, perché poco
feconda. La fecondità che forse se ne può ricavare, è la comprensione della complessità di un
tema tanto caro ai filosofi e agli scienziati degli ultimi decenni: costatato ciò, il nostro
atteggiamento non potrà che essere cauto e rispettoso di fronte alle diversissime opinioni in
questo campo.
Gardner, raccontandoci la nascita delle scienze cognitive, attraversa le varie fasi della
sua formazione, soffermandosi sui rapporti che tale scienza instaura con le altre discipline
“forti”, che già godevano cioè di un certo prestigio. Gli scienziati cognitivi provengono infatti
da diverse discipline specifiche e il loro approccio ai problemi cognitivi dipenderà dalla loro
provenienza disciplinare. Uno dei problemi che si pone con la nascita della nuova scienza, è la
ricerca stessa di un campo d’indagine proprio; è così che nel 1978 la Sloan Fondation
5
,
presenta il rapporto Soap in cui si esponeva uno schema delle relazioni tra le discipline che
compongono le scienze cognitive.
Le connessioni tra le varie discipline vengono indicate con linee continue, se sono
connessioni interdisciplinari forti, mentre con linee tratteggiate se sono connessioni deboli.
Abbiamo così legami forti tra filosofia, psicologia e linguistica, tra psicologia,
intelligenza artificiale, neuroscienza e antropologia, mentre più deboli sono le connessioni tra
filosofia, intelligenza artificiale, antropologia e neuroscienza.
Viene poi riportata questa citazione sul rapporto Soap: “ciò che ha determinato la
nascita di questo campo è un comune obiettivo di ricerca : quello di scoprire le capacità di
rappresentazione di calcolo della mente e la loro rappresentazione strutturale e funzionale del
cervello”
6
.
5
Fondazione privata di New York che finanzia programmi “speciali” nel campo scientifico.
6
H. Gardner , La nuova scienza della mente, p.50-51.
13
Il giudizio dato su questo rapporto, che non verrà neppure pubblicato, da parte dei
lettori del tempo non è molto positivo, in quanto sembra che non si sia trovato, un campo
soddisfacente di ricerca comune che indicasse obiettivi chiari e condivisi e metodi altrettanto
validi ed idonei per raggiungerli. Gardner cerca di trovare una sistemazione per il campo
d’indagine, e propone due concetti chiave, che costituiscono il nucleo stesso di questa
disciplina a livello chiaramente generalizzato: la rappresentazione e il computer.
Lo scienziato cognitivo utilizza infatti il livello rappresentativo, come livello primario
di analisi della mente; questa può essere studiata, o meglio deve esserlo, attraverso simboli,
schemi ed immagini. Questo livello viene considerato come separato da tutto il resto, e per
tutto il resto, si intende sia l’organismo sia l’ambiente che lo circonda. La scienza cognitiva in
questa sua forma semplificata, vede la possibilità di scindere la rappresentazione mentale per
analizzarla in modo più appropriato.
A questo proposito può essere di aiuto la citazione di Hilary Putnam considerato il
fondatore del funzionalismo
7
: “la materia di cui siamo fatti non impone restrizioni alla nostra
forma intellettuale”
8
; ciò significa che la nostra attività conoscitiva non dipende dal supporto
fisico, ma ne è indipendente e questo è dimostrato dall’invenzione del computer, secondo
concetto chiave che caratterizza la scienza cognitiva. Il computer è diventato un modello
ideale per descrivere il funzionamento della mente umana: si prospetta così la possibilità che
un computer possa pensare.
Sicuramente, come afferma Gardner, non tutte le discipline che si avvicinano al
cognitivismo, prendono come modello principale il computer, ma per la ricerca
dell’Intelligenza artificiale tale modello costituisce di certo il principale riferimento di
interpretazione della mente.
7
Il funzinalismo viene considerato sinonimo del cognitivismo computazionale: per entrambi, il concetto centrale
nell’indagine del funzionamento mentale è la metafora della mente come calcolatore, in cui ciò che conta sono le
funzioni svolte, indipendentemente dal supporto fisico.
8
Marco Salucci , Mente e corpo, Firenze, La Nuova Italia, 1997, p.99.
14
Per la neurobiologia invece, il funzionamento mentale potrà essere meglio spiegato
attraverso lo studio sempre più raffinato del sistema nervoso centrale, che da solo potrà
fornire una soluzione
9
.
Per meglio comprendere le interrelazioni tra le varie discipline che contribuiscono alla
nascita della scienza cognitiva, mi riferisco ad un altro schema proposto da tre studiosi del
funzionamento mentale
10
; viene qui presentato il campo d’indagine delle scienze della
cognizione, in modo un po’ differente rispetto al rapporto Soap
11
; le scienze della cognizione
vengono distinte in tre stadi successivi Cognitivismo-Connessionismo-Enazione; lungo il
cerchio sono collocate le diverse discipline, che ritroviamo anche nello schema della Soap e
che rappresentano il campo di ricerca delle scienze della cognizione.
Questo schema è senza dubbio più chiarificatore anche perché è più recente rispetto a
quello del 1978, periodo in cui la scienza cognitiva non aveva ancora una struttura
determinata. Nel confronto può essere interessante notare due aspetti: 1) le discipline che
costituiscono il campo di studio sono le stesse, nessuna è stata aggiunta e nessuna è stata
eliminata. 2) gli autori indicano tre fasi di evoluzione delle scienze cognitive, da uno stadio
centrale e più primitivo, a uno stadio più raffinato, ma che ha comunque avuto origine dal
primo.
Le discipline su cui si applicano le scienze cognitive, rimangono quindi le stesse; ciò
che invece è cambiato, è la loro evoluzione, che le ha portate a livelli di perfezionamento
sempre maggiore fino ad arrivare all’indirizzo di ricerca dell’enazione. Quest’ultimo, i cui
9
Vedremo poi come oggi un orientamento vivace come il connessionismo, tenti di descrivere i processi mentali
come reti neurali, molto simili nel loro funzionamento, ai meccanismi del sistema nervoso centrale.
10
Francisco Varela, Evan Thompson, Eleanor Rosch, La via di mezzo della conoscenza: le scienze cognitive alla
prova dell’esperienza, Milano, Feltrinelli, 1991. Francisco Varela, dopo aver collaborato a progetti di ricerca in
campo biologico all’università di Santiago del Cile con il suo maestro Humberto Maturana, è attualmente
direttore di ricerca al Centre National de Recherche Scientifique e professore di scienze cognitive all’Ecole
Polytecnique di Parigi; Thompson è docente di filosofia presso l’università di Toronto; Rosch è professore di
psicologia a Berkeley. L’ispirazione per il testo in questione nasce principalmente da un’idea di Varela, a cui si
affiancano successivamente gli studi di Thompson e di Rosch.
11
Può essere utile confrontare i due schemi presenti rispettivamente in Gardner, La nuova scienza della mente,
p.51 e in Varela ,Thompson, Rosch, La via di mezzo della conoscenza, p.29.
15
rappresentanti sono gli autori del testo in questione, è un recente sviluppo di indagine, critico
dei due che lo precedono, ma pur sempre debitore nei loro confronti.
I tre autori sottolineano come lo studio scientifico della mente non abbia ancora
raggiunto lo statuto di “disciplina matura”
12
; viene così paragonato ad “una libera affiliazione
di discipline”
13
, ancora lontano dal raggiungere una propria indipendenza: io non so se questo
sia un desiderio auspicabile, o se invece la fecondità di un tale studio, non provenga proprio
dal gioco dinamico e dall’intreccio delle sei discipline. La natura della mente è complessa; lo
studio sulla natura della mente sarà altrettanto complesso e non sarà riducibile ad una sola
disciplina comune e condivisa all’unanimità.
Gardner nella seconda parte del suo testo affronta le sei discipline separatamente,
considerandole però un giorno come integrate in un’unica scienza cognitiva; la sua posizione,
si colloca a metà strada tra una visione “debole” e una visione “forte” della scienze
cognitive
14
.
Egli propone una collaborazione che però non deve portare ad un annullamento dei
confini tra una disciplina e l’altra; le divisioni poi “non sono le prospettive disciplinari
tradizionali ma piuttosto i contenuti cognitivi specifici.”
15
: le discipline devono vivere e
prendere forza da un continuo dialogo tra loro, e solo questa dialettica potrà portare la scienza
cognitiva ad un livello soddisfacente sia metodologico, che effettuale.
12
F. Varela, E. Thompson, E. Rosch, La via di mezzo della conoscenza, p.27.
13
Ibidem.
14
La prima considera le sei discipline come cooperanti tra loro, ma infondo separate, ognuna dai suoi metodi e
dalle sue finalità specifiche; la seconda invece annulla ogni possibile distinzione tra le sei discipline.
15
H. Gardner, La nuova scienza della mente, p.439.
16
1.2 Il cervello per la prima volta come un computer: il cognitivismo
Nello schema presentato da Varela, Thompson e Rosch il cognitivismo è l’indirizzo
che rappresenta il nucleo delle scienze cognitive e spesso la sua influenza è stata tale, che
ancora oggi si tende ad identificarlo con le scienze cognitive in toto
16
.
I tre autori ne danno una descrizione in termini più precisi, legandone la nascita all’era
“cibernetica”; l’assunto principale di tale orientamento, è che la conoscenza sia
rappresentazione mentale. Il computer resta il paradigma di riferimento, ciò che ha senza
dubbio, insieme alla matematica
17
e alla logica, portato a considerare la mente in questi
termini:
La mente opererebbe manipolando simboli che rappresentano caratteristiche del
mondo o che rappresentano il mondo in un certo modo. Secondo questa ipotesi
cognitivista, lo studio della conoscenza in quanto rappresentazione mentale, delimita
l’esatto dominio della scienza cognitiva, dominio ritenuto indipendente dalla
neurobiologia ad un estremo, e dalla sociologia e antropologia all’altro estremo
18
.
La formulazione originaria del cognitivismo tiene dunque le distanze dallo studio
scientifico del sistema nervoso centrale e dallo studio sociale e culturale della conoscenza;
cerca così un’indipendenza dalle altre discipline, creandosi un proprio livello d’indagine: il
livello rappresentativo.
Le origini storiche vengono fatte risalire all’era cibernetica degli anni 40-50, periodo
in cui le scoperte e i risultati scientifici, sorpresero il campo delle tecnologie. E’ proposta una
lista sommaria
19
di tali successi, e due in particolare saranno quelli utili al cognitivismo: la
possibilità di utilizzare la logica matematica per descrivere le operazioni del sistema nervoso,
e l’invenzione dei computer digitali, macchine in grado di elaborare l’informazione ricevuta.
16
Il connessionismo è un recentissimo indirizzo di ricerca, ma spesso non è considerato come distinto dal
cognitivismo, in quanto per entrambi la mente è un calcolatore; Varela, Thompson e Rosch sottolineano invece
dei punti molto importanti che li differenziano.
17
Cfr. Michele Di Francesco, Introduzione alla filosofia della mente, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1996,
possiamo ritrovare la descrizione degli antecedenti logico-matematici a questo modello della mente.
18
F. Varela, E. Thompson, E. Rosch, La via di mezzo della conoscenza, p.30.
19
Ivi, p.62.