Genesi del Copernico
Il primo annuncio delle Operette morali si può scorgere nei Disegni letterari del 1819-20:
Dialoghi Satirici alla maniera di Luciano, ma tolti i personaggi e il ridicolo dai costumi
presenti o moderni […]; insomma piccole commedie, o Scene di Commedie […]: le
quali potrebbero servirmi per provare di dare all’Italia un saggio del suo vero linguaggio
comico che tuttavia bisogna assolutamente creare, e in qualche modo anche nella Satira
ch’è, secondoch’io sento dire, nello stesso caso. Potrebbero anche adoperarsi delle
invenzioni ridicole simili a quelle che adopera Luciano ne’ suoi opuscoli per deridere
questo o quello […].
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Poco più avanti ci si imbatte in una lista di possibili titoli e tra questi compare il
primo riferimento all’operetta avente come protagonista lo scienziato polacco: “Il sole e
l’ora prima, o, Copernico”. Nel 1827, anno in cui a Milano esce una prima edizione delle
Operette morali a cura dell’editore Stella, Leopardi scrive due operette che non avranno
facili rapporti con la censura: queste sono il Dialogo di Plotino e Porfirio e Il Copernico.
A causa delle tematiche in esse espresse (la possibilità del suicidio e una poco velata
requisitoria contro il cristianesimo nella prima, il rovesciamento del sistema tolemaico
operato dalla rivoluzione copernicana e le conseguenti ripercussioni metafisiche nella
seconda) vedranno la luce soltanto in un’edizione postuma delle Opere di Giacomo
Leopardi a cura di Ranieri, dopo essere state escluse dall’edizione Piatti del 1834. Lo
stesso Leopardi aveva avvertito la pericolosità delle due opere:
Ho bensì due dialoghi da essere aggiunti alle Operette, l’uno di Plotino e Porfirio sopra
il suicidio, l’altro il Copernico sopra la nullità del genere umano. Di queste due prose
voi siete il padrone di disporre a vostro piacere […]. Esse non potrebbero facilmente
pubblicarsi in Italia. (Lettera a Luigi de Sinner, Firenze 21 giugno 1832)
L’interesse di Leopardi per la figura di Copernico è di antica data e va fatto risalire
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Per tutte le citazioni tratte dalle opere di Giacomo Leopardi, ad eccezione dello Zibaldone, si fa
riferimento a Tutte le opere, a cura di Walter Binni con la collaborazione di Enrico Ghidetti, vol. I, Firenze,
Sansoni, 1989.
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alla precoce erudizione del poeta, indirizzata verso ogni ramo del sapere scientifico
2
. Un
primo accenno a questo personaggio, destinato a divenire paradigmatico per il pensiero
leopardiano, si trova nella giovanile Storia della Astronomia del 1813: in quest’opera
Leopardi riprende il Leitmotiv illuministico del superamento dell’errore e della
rivelazione della verità, adottando “una prospettiva espressamente eroica, focalizzata
sull’esaltazione degli uomini grandi che hanno fatto sviluppare tale scienza, presentati in
una carrellata di medaglioni”
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. In uno di questi Copernico viene celebrato come colui che
per primo costruisce un sistema astronomico alternativo a quello tolemaico:
Il famoso Copernico fu quello, che pose in chiaro la ipotesi di Pitagora, di Aristarco di
Samo del Cardinale di Cusa, e rese finalmente manifesta la verità. Il sistema di
Ptolomeo avea bene avuti degli inimici. Ma la loro opposizione non avea forse servito
che a maggiormente stabilire il suo impero. Essi erano stati de’ sediziosi impotenti e la
vittoria riportata sopra di essi dai Ptolemaici avea sempre più consolidato il trono di
Ptolomeo. Questo fu rovesciato da Copernico. Ad onta del suo assoluto dominio
continuato per tanti secoli, ad onta della persuasione quasi di tutto il mondo, Copernico
si accinse all’impresa, e le difficoltà stesse accrebbero il suo coraggio. Convenia
convincere di errore tutti gli uomini, mostrar loro che il credere la terra immobile e
mobili gli astri , era un inganno, e persuaderli a negar fede ai loro sensi. Copernico
disprezzò tutti quei ostacoli, e ne trionfò. Egli fu un fortunato conquistatore, che fondò
il suo trono sulle ruine di quello di Ptolomeo. Egli fu, giusta l’espressione di Fontanelle
e di Algarotti, quell’ardimentoso Prussiano, che fe’ man bassa sopra gli epicicli degli
antichi, e spirato da un nobile estro astronomico, dato di piglio alla terra, cacciolla lungi
dal centro dell’Universo ingiustamente usurpato, e punirla dal lungo ozio, nel quale
aveva marcito, le addossò una gran parte di quei moti, che venivano attribuiti a’ corpi
celesti, che ci sono d’intorno.
Sin da queste prime osservazioni troviamo indicati quelli che saranno i temi
dell’operetta, che verranno espressi attraverso una rielaborazione fantastica all’interno di
un impianto teatrale.
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A questo proposito si veda Gaspare Polizzi, Leopardi e le ragioni della verità: scienze e filosofia della
natura negli scritti leopardiani, Roma, Carocci, 2003.
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Ivi, p. 18.
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Rappresentazione teatrale
L’origine teatrale della maggior parte delle “prosette” delle Operette morali può essere
desunta dalla struttura dei componimenti, i quali poggiano principalmemte su ciò che è la
base del testo drammatico: il dialogo. Ecco allora che sulla scena del testo leopardiano
appaiono due personaggi uniti momentaneamente da un problema, etico, morale,
gnoseologico, che li porta ad esporre il proprio punto di vista sull’argomento.
Tale dibattito si risolve spesso in una disfida retorica nella quale entrambi i
contendenti producono una serie di argomentazioni a favore della propria tesi o cercano
di mettere in dubbio i presupposti dei ragionamenti avversari; alla fine di questo duello
dialettico, però, non è realmente possibile stabilire un vincitore perché, sebbene uno dei
due sia riuscito a far vacillare le convinzioni dell’altro, non vi è una definitiva resa e la
posizione che pare essere in svantaggio, per quanto ne siano state scalfite le basi,
continua a reggersi in piedi, non viene completamente distrutta dall’avversaria ma
conserva una certa attendibilità che la rende ancora sostenibile
4
.
Il Copernico porta alle estreme conseguenze questo atteggiamento nei confronti del
testo, sia a livello stilistico che contenutistico. Infatti il componimento viene presentato
come se fosse una vera e propria rappresentazione teatrale, comprendente tutti i segni
distintivi di un’opera che dovesse essere portata sulla scena: abbiamo la divisione in
scene, quattro, l’indicazione dei personaggi presenti in essi, ancora quattro, e addirittura
una didascalia che descrive le azioni di Copernico all’inizio della seconda scena. Sin
dalla semplice constatazione del numero dei personaggi è possibile notare come in questa
operetta è presente una situazione drammaturgica più complessa rispetto al puro dialogo a
due voci degli altri testi: difatti, nonostante in ogni scena compaiano
contemporaneamente al massimo due personaggi, la presenza di più “attori” sulla scena
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Cfr. Filippo Secchieri, Con leggerezza apparente: etica e ironia nelle “Operette morali”, Modena,
Mucchi, 1992, p. 182: “Quasi sempre il dialogo leopardiano è ‘infruttuosa schermaglia’, duello dall’esito
segnato sin dalle prime mosse degli interlocutori. Poiché forse, più di un autentico duello,siamo in presenza
di una sorta di movimento contrappuntistico intorno al medesimo (e in fondo indifferente) oggetto del
contendere, un movimento il cui contenuto mimetico consiste soprattutto nell’inscenazione dell’alterità che
concerne il rapportarsi e la stessa identità dell’essere. Il duello è dunque in un certo modo trasformato in un
concorso di prospettive antitetiche e disomogenee chiamate a significare il contrasto, entità primaria e
irriducibile che non può né deve essere eliminata stante la palese disparità (per nulla mitigata, in quanto
sintomo e veicolo d’ironia) degli universi assiologici giustapposti per il tramite rappresentative degli
interlocutori.
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permette a Leopardi di creare una rete di rapporti tra i personaggi fitta e stratificata. Non
soltanto ogni personaggio del Copernico possiede una propria caratterizzazione
psicologica e linguistica ma, nell’interagire col proprio interlocutore, si fa portatore di
alcuni valori o modi di interpretazione del reale, senza per questo divenire una mera
allegoria
5
.
Il titolo della raccolta in cui il Copernico è compreso, Operette morali, suggerisce
che questi componimenti hanno una forte finalità etica; perciò, considerando la struttura
teatrale dell’operetta, si può rimanere sorpresi da questa “abdicazione” dell’autore dal
proprio testo, ritenendo una contraddizione in termini impegno dell’opera e distacco
oggettivo. Leopardi ne è consapevole e rivendica questa scelta come strategia
compositiva:
Avrei voluto fare una prefazione delle Operette morali ma mi è paruto che quel tuono
ironico che regna in esse, e tutto lo spirito delle medesime escluda assolutamente un
preambolo; e forse Ella, pensandovi, converrà con me che se mai opera dovette essere
senza prefazione, questa lo debba in particolare modo. (Lettera ad Antonio Fortunato
Stella, Bologna 16 giugno 1826)
Osserva Giuliana Benvenuti: “’Il tuono ironico’ designa insomma una modalità del
discorso, o meglio la strategia retorica complessiva che informa il testo, prevedendo la
sistematica assenza dell’istanza autoriale, se si esclude la presenza del frontespizio. La
distanza viene introdotta in primo luogo attraverso la rinuncia a prendere la parola, la
parola autoriale si rifrange e si moltiplica nel linguaggio dei molteplici locutori”
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.
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Cfr. Francesco De Sanctis, Leopardi, Torino, Einaudi, 1983, p. 309: “Il dialogo ha perciò due personaggi,
espressione dei due concetti opposti. […] Sviluppandosi, ci entrano pure personaggi accessori, come nel
Copernico. Questi personaggi possono essere semplice espressioni di concetti, e allora il dialogo non ha
altro interesse che filosofico. L’arte ci sta come semplice esteriorità, come colore, lustro, movenza, che dia
al pensiero un’apparenza grata. Al contrario sono dialoghi essenzialmente artistici, dove i personaggi sono
concetti vivi, vale a dire trasformati in caratteri, passioni, temperamenti. Qui i concetti sono calati
interamente nelle persone, non hai più concetti, ma veri uomini, hai una vera e propria commedia”.
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Giuliana Benvenuti, Un cervello fuori di moda: saggio sul comico nelle “Operette morali”, Bologna,
Pendragon, 2001, p. 128.
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