I Controlli: Nozioni Introduttive
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1. Il termine controllo: il quadro di partenza
Il dizionario della lingua italiana
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al verbo transitivo “controllare” indica una serie
definizioni tra le quali “esaminare attentamente allo scopo di verificare la regolarità,
l’esattezza o la validità ….” oppure “collaudare …” o anche “sindacare …” e perfino
“sottoporre a sorveglianza più o meno stretta, vigilare …”.
Il sostantivo maschile “controllo”, invece, indica principalmente tre cose: la prima
“esame condotto allo scopo di garantire la regolarità … verifica, riscontro,
accertamento … ispezione, vigilanza implicante di solito una competenza e una
responsabilità specifica… “, la seconda “azione continuata diretta a disciplinare
un’attività secondo particolari direttive o convenzioni” e la terza “la persona o l’ente
cui è affidato lo svolgimento di una determinata verifica o sorveglianza”.
Il sostantivo maschile “controllore” indica colui che svolge le funzioni di controllo
mentre l’aggettivo “controllato” indica il sorvegliato cioè colui che si trova sotto il
controllo di un altro.
Ciò premesso, nei dibattiti, nei convegni e negli scritti ove si affronta la tematica dei
controlli appare quasi inevitabile riscontrare una sensibile difformità non solo di
opinioni - il che è naturalmente l’auspicabile “sale” ed arricchimento di ogni dibattito
culturale - quanto, talora, di “linguaggio” e di condivisione delle coordinate di fondo e
delle stesse categorie di riferimento. Infatti, c’è chi, pur utilizzando la stessa locuzione
di “controllo”, guarda alla singola amministrazione, chi all’intero sistema, alla sua
tenuta ed alla sua coesione; tutti però risentono ovviamente delle impostazioni
ideologiche e del background storico-culturale di riferimento.
La questione si pone perché la materia è complessa così come lo è la sua
concettualizzazione. La dottrina da sempre ha, infatti, sottolineato ampiamente la
diversa articolazione dei controlli, con riguardo agli specifici ambiti di analisi e di
intervento, ai relativi parametri, ai diversi rapporti tra controllore e controllato, alle
modalità di formazione ed agli effetti delle conseguenti valutazioni
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. Questa non è la
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Giacomo Devoto – Gian Carlo Oli – Edizione “Le Monnier” 2002-2003 con CD Rom.
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Si rinvia, anche per gli ampi richiami bibliografici, a D’AURIA G., I controlli, in CASSESE S. (a cura
di), Trattato di diritto amministrativo, Milano, 2003, ed. Giuffrè, p.1343 ss. Nel superamento dei
tradizionali modelli del controllo preventivo di legittimità, rileva la distinzione avanzata in dottrina fra
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sede per ripercorrerne i “dogmi” antichi e recenti, né per affrontare i complessi risvolti
della materia, certamente si analizzano i profili di maggiore interesse sistematico,
individuando le diversità di ruoli ed insieme i raccordi tra i controlli, interni ed esterni,
nella prospettiva del riformato titolo V della Costituzione, anche sulla base di una (pur
estremamente sintetica) ricostruzione storica della più recente evoluzione.
Una necessaria preliminare considerazione riguarda il “bene” da tutelare attraverso il
controllo, in via specifica o integrata: la legalità, l’efficienza, la coerenza finanziaria, la
qualità dei servizi, etc; è infatti evidente che dalla prospettiva in cui ci si pone variano
notevolmente gli approcci, i parametri, gli effetti. Su queste linee si individuano gli
organi e le modalità di controllo, rilevando che, pur nella distinzione di valori tutelati,
permane naturalmente una sostanziale unitarietà di garanzia nel sistema. Si possono
dunque rinvenire una pluralità interferente ed interattiva tra i valori protetti
dall’ordinamento: nella nostra analisi rileva specificamente la tutela degli equilibri
finanziari e dei sottesi andamenti gestionali.
2. Il tema controllo
II tema dei controlli sulla e nella pubblica amministrazione è ormai da tempo al centro
dell’attenzione e si lega al tema, più generale, della responsabilità delle pubbliche
amministrazioni nei confronti dei Cittadini e dei mercati finanziari e, ancora di più, a
quel processo di transizione dalla Public Administration al Public Management, in Italia
malamente tradotto in “aziendalizzazione” e, soprattutto, ancora incompiuto.
Controllo e controlli, sono termini che nella nostra pubblica amministrazione evocano
concetti diversi. Essi sono figli di terminologie e di culture profondamente differenti:
quella giuridica e quella aziendalista.
Nell’azienda pubblica, queste due visioni dello stesso oggetto si sono a volte sfiorate, in
certi casi scontrate e molto spesso ignorate, ma mai, o di rado, hanno cercato di
controlli di conformazione e controlli di integrazione Tra i primi si annoverano i tradizionali controlli
preventivi di legittimità, nei quali il parametro di giudizio è rappresentato dalla conformità a norme
giuridiche. condizione di efficacia dell’atto. I controlli di integrazione sono, invece, orientali a far
riesaminare le scelte effettuate, a migliorare l’azione amministrativa sulla base dei principi di efficienza,
efficacia ed economicità, ad assicurare un’informazione qualificata (e neutrale) sui flussi finanziari e gli
andamenti gestionali. L’adeguamento dell’attività amministrativa nei controlli di integrazione è rimesso
alle decisioni della stessa amministrazione o degli organi di indirizzo politico-amministrativo: ne è
scaturito il dibattito sulla “misura” conclusiva di tali controlli, che si risolverebbero in una forma di
consulenza (rectius di ausiliarietà) all’attività di altri organi con poteri di decisione (D’Auria G., I
controlli, op. cit., p.1386).
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contaminarsi. Eppure il confronto è essenziale perché si dia un contributo serio al
rinnovamento della pubblica amministrazione, locale come nazionale. Un confronto che
deve riguardare i portatori di cultura aziendale e giuridica, siano essi del mondo
accademico che, a vario titolo, professionale.
Parlando di controllo negli enti pubblici si deve evitare di cadere in due tentazioni
opposte. La prima è quella di immaginare una semplice contrapposizione tra sistema
privato e quello pubblico, l’uno visto come una sorta di modello ideale e l’altro
rappresentato come esemplare assoluto di cattiva gestione. La seconda è di trovarsi,
quasi per reazione, sul fronte opposto, cioè tra coloro che sostengono la tesi, altrettanto
banale, di una incomparabilità tra i due “mondi” e tra coloro che affermano che l’ente
pubblico non è una azienda.
Sono del tutto evidenti, e non da oggi, le caratteristiche di aziendalità delle pubbliche
amministrazioni, al punto che è inutile soffermarsi su di esse. Altrettanto, però, può dirsi
a proposito di un vago paragone tra pubblico e privato, quando sia posto in termini non
utili a comprendere il contesto reale in cui si deve operare.
Resta comunque indiscutibile che il confronto tra modelli di gestione pubblici e privati è
stato, ed è tuttora, motivo di stimolo al miglioramento della Pubblica Amministrazione.
Questo ovviamente, a condizione che sia sviluppato criticamente e finalizzato a meglio
comprendere i possibili ambiti di applicazione dei metodi che si vogliono adattare agli
enti e non per portare avanti tesi strumentali dal sapore ideologico e non aziendale.
È bene puntualizzare, in proposito, alcune riflessioni che possono rivelarsi utili nel
prosieguo della nostra trattazione ed anzitutto è opportuno ricordare che il ritardo
nell’implementazione dei sistemi di controllo riguarda tutto il settore dei servizi
pubblici e privati.
Tale difetto di sensibilità gestionale è attribuibile a più fattori che si possono così
sintetizzare: una minore “esigenza di controllo” di natura, per così dire, congiunturale;
l’inadeguatezza delle figure di costo tradizionali; le finalità ed il contesto in cui operano
le aziende pubbliche.
L’attualissimo progetto di riorganizzazione per giungere a una migliore efficienza della
pubblica amministrazione, messo in atto dall’attuale Ministro della pubblica
amministrazione Renato Brunetta, è uno dei tentativi di dare una risposta (scossa) forte,
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nella direzione di sopprimere quei fattori che hanno inciso e incidono in maniera
negativa su tutto l’apparato pubblico.
3. Il controllo per forza di legge
Vi è un elemento da premettere e da sottolineare con forza: il controllo entra nelle
pubbliche amministrazioni italiane per forza di legge. Esso non risponde ad una
esigenza interna, ma viene pensato in chiave di “terapia d’urto”, per costringere lo
stato, gli enti locali e le altre aziende pubbliche ad indirizzarsi nel senso di una
maggiore managerialità.
Questo elemento deve fare riflettere perché da una parte dimostra che il controllo può
essere un “vettore di innovazione” e di questo il legislatore ne è consapevole; dall’altra
parte, però, implementare il sistema diventa molto delicato, poiché esso rischia di essere
percepito - e purtroppo spesso effettivamente lo è, visto come viene applicato - come
l’ennesima imposizione normativa e non come un necessario strumento di lavoro.
Da circa un ventennio si parla di riforma della Pubblica Amministrazione che, come
tutte le innovazioni, richiede tempo per essere recepita, capita ed, eventualmente,
migliorata. Questa, sin dagli anni ‘90 ha interessato, tra le altre in modo sempre più
diretto, l’area definita della “programmazione e controllo”. Tale campo, che è poi il più
delicato all’interno di qualsiasi azienda, vede come protagonisti, l’amministrazione
(ovvero organo esecutivo ed organo consiliare) quale fonte di programmazione e
gestione dell’Ente.
Pur trattandosi di due funzioni autonome dell’ente (appunto la programmazione e la
gestione) non possono non essere viste come due momenti imprescindibili dal controllo
recepito sotto forma contabile. Infatti, tale strumento, se utilizzato correttamente,
dovrebbe consentire di verificare, non solo a consuntivo, la direzione presa
dall’amministrazione, come un timone da imbarcazione per permettere il cambio di rotta
così da poter tornare sulla retta via.
Parlare di controllo (contabile) del settore pubblico equivale a dire: Corte dei Conti ed
Organo di revisione quali organi principali.
Si tratta di due organi cui è affidato il controllo degli enti e che svolgono la loro attività
in simbiosi e collaborazione pur essendo uno esterno, l’altro interno.
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4. Le tipologie di controlli
L’esigenza di una puntuale azione di controllo sull’amministrazione pubblica ha indotto
l’Assemblea costituente a costituzionalizzare la funzione di controllo, il cui esercizio è
attribuito alla Corte dei conti.
La tipologia dei controlli è assai varia nel nostro ordinamento positivo, prevede il
controllo gerarchico – manifestazione della vigilanza dell’organo superiore su quello
inferiore – ed il controllo ispettivo – esercitato da uffici ispettivi ministeriali, senza
rilievo esterno, chiamati a verificare gli atti degli uffici ed organi dipendenti.
Fra i controlli interni, una rilevanza particolare ai fini amministrativi e contabili è da
riconoscere a quello esercitato dalle Ragionerie centrali, regionali oggi soppresse e
provinciali, in base alle direttive della Ragioneria generale dello Stato, sul rispetto delle
norme in materia di conservazione del patrimonio dello Stato, dell’esatto accertamento
delle entrate e della regolare gestione dei fondi di bilancio. La nozione di controlli
interni ha però ormai perduto la sua connotazione tradizionale, o meglio la ha ampliata.
L’influenza reciproca di principi e criteri aziendali o privatistici nella pubblica
amministrazione - da tempo aspetto tipico della cultura anglosassone – è una presenza
costante anche nel nostro ordinamento, in nome di una razionalità economica che deve
caratterizzare l’agire delle pubbliche Amministrazioni. Da questo punto di vista,
all’interno di ogni “ente” deve operare un insieme di strumenti capaci di garantire la
correttezza delle rilevazioni contabili, l’uso efficiente delle risorse, la puntuale
applicazione delle “politiche” adottate, la protezione (valorizzazione) del patrimonio
3
.
D’altro canto, l’adozione di un siffatto modello di controlli appare oggi ineludibile, in
attuazione delle scelte di esaltazione degli spazi di autonomia, imposti dalla legge
costituzionale n. 3/2001.
I controlli esterni sono, invece, quelli che si realizzano al di fuori dell’ambito
dell’amministrazione, con forme e criteri diversi a seconda dell’organo che li pone in
essere. Vi è così, innanzitutto, un controllo parlamentare, proprio delle Camere in
relazione all’attività del Governo, con specifico riferimento all’attività finanziaria. Vi è,
quindi, il controllo giudiziario, svolto dalla magistratura sugli atti della pubblica
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In questo senso, da ultimo, A. PAVAN - E. REGINATO, Programmazione e controllo Stato e nelle
altre amministrazioni pubbliche, Milano, 2004, 233 ss.
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amministrazione, in ordine ai ricorsi proposti dai cittadini contro provvedimenti lesivi di
diritti o interessi. Vi è, infine, ed è il più rilevante ai fini della contabilità pubblica, il
controllo della Corte dei conti, la cui funzione è, appunto, riconosciuta a livello
costituzionale.
I controlli possono, inoltre, a seconda dello scopo che si propongono, essere di
legittimità, se mirano ad accertare che l’operato della pubblica amministrazione si sia
svolto nel pieno rispetto del diritto vigente; o di merito, se la verifica è volta ad
accertare anche il profilo dell’opportunità e della convenienza dell’attività pubblica. Nel
primo caso, al controllo conseguirà il visto, a riprova che l’atto è legittimo; nel secondo,
l’approvazione, che comporta il riconoscimento che l’atto, oltre che legittimo, è
opportuno e conveniente.
I controlli, infine, possono essere preventivi, e precedono il perfezionamento dell’atto o
la sua esecuzione, condizionandone l’efficacia (ma non la validità); oppure successivi, e
sono quelli che si realizzano dopo che l’atto ha già spiegato i suoi effetti.
II controllo di legittimità rappresenta tradizionalmente un cardine del nostro
ordinamento. A garanzia formale del corretto svolgimento dell’attività amministrativa
esso mira a garantire la conformità di ogni singolo provvedimento ai precetti di norme
giuridiche. Tuttavia, fin dal secolo scorso si era osservato che un controllo rigido su tutti
gli atti si risolveva in un dispendio di energie, creava dispersione e riduceva il controllo
a mera formalità, soprattutto con riferimento agli enti locali.
Sul versante del controllo di merito, per quanto riguarda la gestione finanziaria,
all’interno dell’amministrazione, uno specifico potere viene attribuito alla Ragioneria
centrale di ciascun ministero.
Da una siffatta connotazione dei controlli, peraltro di dubbia efficacia, è scaturito il
discusso problema della duplicità dei controlli. La pretesa duplicazione dei controlli è
tuttavia, almeno a giudizio di alcuni, apparente. Non tanto per l’argomento, formale, che
solo il controllo della Corte dei conti ha rilevanza costituzionale, ma soprattutto per la
differente finalità di tali controlli. Esterno, pubblico ed indipendente, quello della Corte,
che opera in posizione neutrale, a tutela obiettiva dell’ordinamento giuridico. Interno,
limitato al contenimento della spesa pubblica, quello della Ragioneria: sicché le due
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aree di controllo non formano sistema, ancorché questa soluzione appaia per più versi
auspicabile.
Distinguere nettamente i due controlli non significa, però, negare la loro coesistenza,
che può, come di fatto avviene, condizionare i tempi dell’azione amministrativa.
Tuttavia, la compresenza di più controlli può giovare all’efficienza ed alla correttezza
dell’azione amministrativa; purché i controlli formino sistema, vale a dire non siano
ripetitivi, ma differenziati e pur omogenei rispetto al buon andamento della pubblica
amministrazione: secondo uno schema che risulta tuttavia incompiuto, ad oggi, nel
nostro ordinamento.