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Introduzione
La trattazione riguarderà la norma principale dell’ordinamento giuridico italiano in
tema di controlli a distanza sull’attività lavorativa, ovvero il celebre e discusso
articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. La recente riscrittura della norma ha infatti
suscitato un ampio e acceso dibattito; c’è infatti chi lamenta un eccessivo
abbassamento delle garanzie in difesa dei diritti dei lavoratori e chi invece elogia la
nuova norma, che sarebbe capace di porre la disciplina al passo con i tempi.
Nel complesso sembra preferibile un giudizio della riforma complessivamente
positivo, anche se consapevole della permanenza di diverse problematiche di non
semplice soluzione.
L’analisi si concentrerà su due punti principali: innanzitutto, nel corso del primo
capitolo, si focalizza l’attenzione sulla nascita della norma, sulla sua interpretazione
ed evoluzione. Si tenterà di chiarire anche quali fossero le problematiche che
affliggevano l’articolo 4, e di conseguenza le ragioni che hanno portato alla sua
riscrittura nel 2015. Grande importanza verrà dedicata al tentativo di determinare
la portata e l’effetto che la recente riscrittura ha avuto sulla disciplina delle attività
di sorveglianza in ambito lavorativo.
Una cura particolare sarà dedicata poi al tema particolare e sicuramente interessante
dei controlli difensivi, di cui si vogliono indagare le origini, l’evoluzione
giurisprudenziale e le possibilità di sopravvivenza dopo la riforma.
Il secondo tema, affrontato nel secondo capitolo, sarà quello riguardante il rapporto
tra la norma statutaria e la disciplina generale in tema di privacy e di trattamento
dei dati personali. La scelta di dedicare ampio spazio a questo argomento è stata
dettata dalla convinzione che, al fine di comprendere in modo efficace quali siano
il presente ed il futuro dell’articolo 4, sia necessario analizzare la norma da una
prospettiva più ampia. In altri termini, si è ritenuto fondamentale indagare le
interazioni che si sono sviluppate, sia prima che dopo la riforma, tra le norme di
diritto del lavoro sui controlli a distanza e la disciplina generale riguardante la difesa
dei dati personali. Lungo tutto il corso della trattazione saranno esposte diverse
interpretazioni fornite dalla dottrina su alcuni dei punti maggiormente discussi,
tentando di identificare quella maggiormente condivisibile.
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Capitolo 1
L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori
1. La disciplina originale in tema di controlli a distanza sui
lavoratori.
1.1 La nascita dell’articolo 4: potere di controllo e contesto
economico.
Per analizzare le ragioni che hanno portato all’inserimento all’interno del primo
titolo dello Statuto dei lavoratori, in una posizione decisamente importante e
centrale, di una norma dedicata alla regolazione dei controlli a distanza dei
lavoratori, si può partire dalla definizione di quello che è il potere di controllo. Per
molti anni l’esistenza di quest’ultimo è stata ritenuta una conseguenza così naturale
del potere direttivo del datore di lavoro sui sottoposti da non avere nemmeno
bisogno di una previsione di legge esplicita che lo legittimasse.
Analizzando le disposizioni del Codice Civile che, ancora oggi, disciplinano la
struttura del rapporto di lavoro subordinato, non si trova infatti cenno del potere di
controllo. Se nell’articolo 2104
1
viene sancito il potere direttivo del datore di
lavoro, nell’articolo 2106 si passa immediatamente alla previsione del diritto di
sanzionare le condotte del dipendente che integrino una violazione dell’obbligo di
lavorare con diligenza, delle disposizioni impartite per l’esecuzione e la disciplina
del lavoro e degli obblighi di non concorrenza e di non divulgazione di notizie
riservate
2
.
Pare di conseguenza evidente che resti “non detta”, ossia che venga data per
scontata, l’esistenza del potere di controllo. È infatti proprio l’esercizio di
quest’ultimo che permette al datore di lavoro di acquisire i dati e le informazioni
che stanno alla base di una sanzione disciplinare.
1
Dedicato alla “Diligenza del prestatore di lavoro”.
2
Si legge nel testo dell’articolo che “L’inosservanza delle disposizioni (…) può dar luogo
all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione”.
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In altri termini si può senz’altro affermare come il controllo non sia certo fine a sé
stesso; esso è infatti sempre funzionale a garantire al datore di lavoro una corretta
esecuzione (da parte del dipendente) degli obblighi derivanti dal contratto.
Di conseguenza l’utilizzabilità, anche e soprattutto a fini disciplinari, delle
informazioni acquisite tramite qualsiasi attività di sorveglianza rappresenta una
conseguenza dell’esistenza stessa del potere.
In definitiva il datore di lavoro, che è allo stesso tempo titolare del credito di
prestazione professionale nei confronti del lavoratore e capo dell’impresa, ha il
diritto di controllare i propri dipendenti nell’esecuzione della prestazione
professionale.
Questo potere però deve subire inevitabilmente una limitazione, causata
dall’esistenza di un altro diritto, stavolta però appartenente ad un soggetto diverso:
si tratta del diritto del lavoratore a non vedere lesa la propria dignità e la propria
riservatezza a causa dei controlli a cui viene sottoposto.
La dignità è un bene fondamentale del nostro ordinamento, riconosciuto e protetto
da molteplici articoli e norme, che quindi deve trovare una tutela anche nello
specifico ambito del diritto del lavoro. Sembra utile qui ricordare come già nella
Costituzione, precisamente nell’articolo 41, viene sì riconosciuto che “l’iniziativa
economica privata è libera”, ma in seguito viene anche aggiunto che essa “non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza,
alla libertà e alla dignità umana”. Già all’epoca della creazione della Carta
fondamentale c’era quindi la consapevolezza dell’esistenza di questo potenziale
contrasto tra libertà datoriale di svolgere la propria attività produttiva e diritto del
lavoratore a non veder sacrificati i propri diritti personali. Forse non era al tema dei
controlli sull’attività lavorativa che pensavano i padri costituenti scrivendo
l’articolo 41, ma non è difficile far risalire l’esigenza di una regolazione del potere
di controllo già ai principi stabiliti dalla Costituzione.
È innegabile infatti che, se non fosse assoggettata a nessuna limitazione legale, la
possibilità di sorvegliare liberamente i lavoratori potrebbe facilmente mettere a
rischio la dignità di un dipendente. Va però subito precisato come non sia possibile
identificare come lesiva della dignità l’esistenza stessa del potere di controllo. Se
così fosse infatti, si vedrebbe cancellata e negata l’esistenza stessa di quel potere.
11
E questo non sembra possibile sulla scorta dell’analisi precedente, che ha chiarito
la necessaria esistenza della possibilità, per l’imprenditore, di sorvegliare l’operato
dei suoi dipendenti.
Va detto che, nonostante la consapevolezza delle potenzialità lesive del potere
datoriale per la riservatezza e dignità del lavoratore, per lungo tempo è prevalsa una
visione gerarchica del rapporto di lavoro; si affermava infatti una soggezione molto
accentuata del prestatore, e una contemporanea ampia discrezionalità nell’esercizio
del potere di eterodeterminazione da parte dell’imprenditore. Volendo interrogarsi
sulle ragioni per cui si sia sviluppato questo orientamento favorevole alla parte
datoriale, si può citare l’impostazione del Libro Quinto del Codice Civile.
Quest’ultimo infatti aveva regolato i rapporti tra i contraenti vincolandoli al
raggiungimento del “superiore interesse della produzione nazionale”
3
.
In questa prima fase, precedente agli anni ’70, era visto quindi come interesse
prevalente il buon andamento dell’economia dello Stato. E questo portava,
inevitabilmente, ad un tendenziale sacrificio del diritto della persona al libero
svolgimento della propria esistenza, specialmente nei luoghi di lavoro.
La conseguenza di questa impostazione generale è stata una tendenziale tolleranza
delle attività dalle quali potesse derivare anche una sorveglianza dell’attività
lavorativa, se queste fossero state ritenute funzionali al conseguimento di una
maggiore produttività.
Prima di analizzare il cambiamento di rotta che si è poi tradotto nella
promulgazione, nel 1970, dello Statuto dei Lavoratori, sembra utile e necessario
approfondire brevemente la nozione di controllo. Quest’ultimo può esplicarsi in
molte modalità differenti, che però possono essere raggruppate in due macro-
categorie.
Esso può essere infatti diretto, ovvero svolto dallo stesso capo dell’impresa (o dal
personale di vigilanza
4
) “a occhio nudo”, oppure può essere a distanza. Proprio
quest’ultima manifestazione di questo potere richiedeva e richiede tuttora (a
maggior ragione) una disciplina chiara e dettagliata.
3
Sul tema si sofferma S. NAPPI, La riforma della disciplina sul controllo dei lavoratori nella
disciplina del Jobs Act in Il diritto del mercato del lavoro, 1/2015, p. 250.
4
Attività regolata, sembra appropriato qui ricordarlo, dall’articolo 3 l. 300/1970, nel cui testo si
afferma che “I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell'attività
lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati”.
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Volendo fornire una definizione di base della fattispecie del controllo a distanza, si
può dire che con questa espressione si identificano quelle attività di sorveglianza
effettuate tramite l’impiego di impianti audiovisivi e altri strumenti che consentono
di monitorare appunto “a distanza” l’attività dei lavoratori. Questi controlli si
differenziano quindi da quelli che possono essere identificati come controlli “a
vista”, ossia quelli svolti direttamente, senza l’ausilio di strumenti elettronici, da
persone in carne ed ossa.
Come anticipato l’atteggiamento del legislatore, come visto estremamente
tollerante nei confronti delle attività di sorveglianza dell’attività lavorativa, è
radicalmente cambiato nel 1970, con la nascita dello Statuto dei lavoratori; questo
testo concentra infatti la sua attenzione sul lavoratore come persona, e quindi dà
maggiore importanza alla dimensione individuale del rapporto di lavoro.
Per tutelare la persona in questo rapporto si sono affermati con innovativa forza un
insieme di valori personali, che non potevano quindi essere sacrificati (se non entro
certi limiti, fissati in parte dallo stesso Statuto) in nome del potere organizzativo
dell’imprenditore. E fra questi valori da difendere spiccavano sicuramente quelli di
libertà, sicurezza e dignità, ossia gli stessi che abbiamo visto essere messi in
pericolo da forme di controllo eccessivamente invasive.
Lo Statuto, che fra le altre cose è stato anche il primo documento a riconoscere in
modo esplicito l’esistenza del potere di controllo
5
, fissa una regola generale al fine
di stabilire quando si arriva, tramite attività di sorveglianza in ambito aziendale, a
ledere la dignità del lavoratore. Viene infatti affermato
6
che il controllo degli addetti
è legittimo quando è trasparente, mentre deve essere proibito quando è occulto.
Questo principio di legittimità vale sia per i controlli a vista, disciplinati
dall’articolo 3, sia per i controlli a distanza, regolati dall’articolo 4.
Se però il controllo umano può essere reso trasparente con relativa facilità,
richiedendo che sia necessario essere informati di essere sorvegliati nel momento
in cui lo si è, il problema è molto più complesso per quanto riguarda i controlli
svolti attraverso apparecchiature tecnologiche.
5
Va da sé che riconoscere l’esistenza di un potere è il primo passo per poterlo poi circoscrivere con
norme e limitazioni.
6
L’importanza della “trasparenza” dei controlli è sottolineato da R. DEL PUNTA, La nuova
disciplina dei controlli a distanza sul lavoro (art. 23 d.lgs. n. 151/2015), in Rivista Italiana di Diritto
del Lavoro, 1/2016, p. 78 e seguenti.