5
Leggendo questa prima parte della mia tesi si avrà,
quindi, un panorama degli avvenimenti e delle
problematiche di definizione, che permetterà di
comprendere lo scenario nel quale si collocano le
motivazioni delle recenti sentenze italiane sul
terrorismo.
Il secondo capitolo è intitolato “terrorismo e diritto
internazionale umanitario”; originariamente quest’ultimo
veniva definito “diritto internazionale di guerra”,
evoluto poi, prima di assumere l’odierna denominazione,
in “diritto dei conflitti armati”.
Questa parte è incentrata sullo sviluppo delle
problematiche connesse al “terrorismo di Stato” e ai
”conflitti armati”.
Determinante è stabilire con precisione la differenza
tra atti terroristici e atti commessi nell’ambito di
conflitti armati e guerre di liberazione nazionale,
essendo, questi ultimi due, espressione del diritto
internazionale umanitario.
Il bisogno di questa demarcazione ci riporta
all’originaria problematica di definizione di terrorismo
e atti terroristici.
Le Convenzioni equiparano le guerre di liberazione ai
conflitti armati, producendo, quindi, una separazione tra
combattenti, protetti dal diritto internazionale
umanitario, e terroristi.
Ho affrontato l’argomento, inserendolo nel contesto
settoriale delle molte Convenzioni che reprimono
manifestazioni principali del terrorismo, qualificandole
come crimini internazionali, secondo il diritto dei
conflitti armati.
Il passaggio successivo è stato rilevare la valenza del
principio dell’”aut dedere, aut judicare”, inserito
originariamente nella Convenzione di Ginevra del 16
novembre 1937.
Esso stabilisce che, nel caso del compimento di atti
terroristici, lo Stato, nel cui territorio si trovi
l’accusato, deve estradarlo o perseguirlo.
La maggior parte delle Convenzioni settoriali è stata
costruita seguendo questo principio, per questo poi
definito della maggior parte degli studiosi “clausola
universale” sul terrorismo.
Attorno ad essa si sono sviluppati schieramenti e
discussioni, delle quali darò ampio riscontro.
6
Dopo aver trattato ed approfondito il problema nelle
sue dimensioni giuridiche generali, ho indirizzato la mia
ricerca al recente panorama giurisprudenziale italiano,
in particolare alle sentenze che, come ho già accennato,
hanno coinvolto i giuristi del nostro paese intorno alle
tematiche del terrorismo: la c.d. Sentenza Forleo n°
28491/04 e la n° 669/2005 della Suprema Corte di
Cassazione.
Intorno a queste sentenze non si è ancora sviluppata
una discussione da parte di studiosi e non si è arrivati
alla formulazione di una dottrina; ho dovuto esaminare il
problema, quindi, alla luce delle storiche problematiche
che ho ampiamente descritto nei precedenti capitoli.
7
CAPITOLO I
IL REATO DI TERRORISMO NELLA STORIA E NEL DIRITTO
INTERNAZIONALE
PARAGRAFO 1: Evoluzione del significato e della
definizione di terrorismo nel diritto internazionale.
La parola terrorismo ha assunto negli anni differenti
significati: il primo è “regime politico, metodo di
governo fondato sul terrore”
1
, poiché utilizzata per
descrivere i metodi repressivi e sanguinari impiegati
dalla fazione al potere durante il periodo della
Rivoluzione francese, definito “Il Terrore”
2
.
Verso la fine del secolo XIX la parola iniziò ad
assumere anche un altro significato: “l’uso della
violenza illegittima, finalizzata ad incutere terrore nei
membri di una collettività organizzata e a
destabilizzarne o restaurarne l’ordine”
3
.
Attualmente viene, oramai, designato come “terrorismo”
quello esercitato contro lo Stato e, più in generale, a
fini politici, da individui che agiscono singolarmente o
in organizzazioni.
Recentemente la parola terrorismo ha acquisito il suo
ultimo e più esteso significato di terrorismo
“internazionale”, caratterizzato per la presenza di una
serie di elementi di estraneità rispetto alla comunità
statale: ad esempio, azioni commesse nel territorio di
uno Stato da cittadini stranieri a danno di Stati o
cittadini stranieri o azioni commesse all’estero da
terroristi rifugiatisi nel territorio dello Stato,
sperando nell’impunità.
A partire dalla fine della prima guerra mondiale,
giuristi e politici hanno dibattuto sulla nozione di
terrorismo internazionale, cercando di elaborare una
1
La piccola Treccani. Dizionario enciclopedico, vol. XII, Roma, 1997, p.30. In questo stesso senso si esprimono altri
autorevoli dizionari, tra cui mi limito a citare lo storico Oxford English Dictionary, vol. 9.II, Oxford,1919, secondo il
quale il primo significato della parola “terrorism” è quello di “government by intimidation”.
2
Per un interessante esame delle origini della parola francese “terrorisme”, che sarebbe alla base delle corrispondenti
parole nelle altre lingue europee, cfr.recentemente HUGUES, La notion de terrorisme en droit international: en quête
d’une définition juridique, in Journal du droit int.,2002.
3
La piccola Treccani, cit. l’Oxford Enghlish Dictionary,, che dà per secondo significato della parola “terrorism” il
seguente: “a policy intended to strike with terror against whom it is adopted; the employment of methods of
intimidation; the fact of terrorizing or the condition of being terrorized”.
8
normativa allo scopo di assicurare la cooperazione tra
gli Stati nella repressione del terrorismo
internazionale, senza riuscire, però, ad accordarsi su
una definizione standard di questo crimine.
4
In particolare, questa ricerca mirava ad obbligare gli
Stati contraenti a qualificare gli atti di terrorismo
come illeciti penali nei propri ordinamenti interni,
comminando pene adeguate e obbligare lo Stato, nel cui
territorio si trovava il presunto terrorista, ad
arrestarlo e sottoporlo a processo o, in alternativa, a
consegnarlo ad uno Stato, maggiormente interessato ad
esercitare la giurisdizione penale.
Analizziamo ora in modo cronologico i tentativi fatti
dagli Stati al fine di definire il terrorismo, così da
mettere in evidenza le ragioni che ne hanno impedito il
successo ed accertare se, anche in assenza di tale
definizione, gli atti considerati terroristici possano
qualificarsi come crimini di guerra o crimini contro
l’umanità.
Il primo tentativo risale al periodo successivo alla
prima guerra mondiale: fin dal 1926 la Romania aveva
proposto alla Società delle Nazioni Unite l’elaborazione
di un trattato globale, che venne, però, preso in
considerazione solo a seguito dell’attentato a Marsiglia
del 9 ottobre 1934, dove persero la vita il Re Alessandro
di Iugoslavia e il Ministro degli esteri francese
Barthou.
Il comitato addetto ai lavori propose l’adozione di due
progetti: uno relativo alla repressione del terrorismo e
l’altro relativo all’istituzione di una Corte Penale
Internazionale.
Questa fu la base per l’adozione della Convenzione
internazionale per la prevenzione e la repressione del
terrorismo, adottata a Ginevra il 16 novembre 1937
5
che,
redatta in inglese e francese, non entrò mai in vigore.
Essa proponeva di obbligare gli Stati Parte a
qualificare, alla stregua di illeciti penali, determinati
atti criminosi enumerati nell’art. 2, ove commessi sul
proprio territorio. Prevedeva, inoltre, l’obbligo per lo
Stato nel cui territorio si trovasse l’accusato, di
estradarlo o, in alternativa, sottoporlo a processo e
punirlo anche ove il reato fosse stato commesso
4
Vedi Condorelli Luigi and Naqvi Yasmin, The War Against Terrorism and Jus in Bello: Are The Geneva conventions
Out of Date?, in Enforcing International Law Norms Agains Terrorism a cura di Andrea Bianchi, pag. 24
5
Il testo francese è riprodotto anche in Europa e terrorismo internazionale, a cura di Ronzitti, Milano, 1990.
9
all’estero, sia pure a certe condizioni (aut dedere aut
prosequi).
La Convenzione per la creazione di una Corte Penale
Internazionale, adottata, ma mai entrata in vigore
6
,
offriva agli Stati la possibilità del deferimento
dell’accusato all’istituenda Corte, in alternativa
all’estradizione e al processo nazionale; l’art. 1 si
limitava ad attribuire alla Corte la competenza a
giudicare gli accusati dei reati previsti dalla
Convenzione per la prevenzione e la repressione del
terrorismo.
Come fatti criminosi considerati espressione di
attività terroristica, la normativa del 1937, art. 2
elencava: (1) i fatti intenzionali diretti contro la
vita, l’integrità personale, la salute o la libertà dei
capi di Stato e dei membri della loro famiglia, nonché
delle persone rivestite di funzioni o incarichi pubblici,
quando questi fatti fossero stati commessi in ragione di
tali funzioni o incarichi; (2) i fatti intenzionali
consistenti nella distruzione o nel danneggiamento di
beni pubblici o destinati ad un uso pubblico appartenenti
ad uno Stato straniero; (3) i fatti intenzionali di
natura tale da mettere in pericolo vite umane attraverso
la creazione di un “pericolo comune”; (4) il tentativo di
commettere uno dei fatti sopra enumerati; (5) il fatto di
fabbricare, procurarsi, detenere o fornire armi,
munizioni, prodotti esplosivi o sostanze nocive in vista
della commissione, in qualsiasi paese, di uno dei fatti
sopra enumerati.
Le fattispecie enumerate nell’art. 2 avrebbero potuto,
però, considerarsi atti di terrorismo, solo se i fatti
fossero diretti contro uno Stato, esclusi, quindi, quelli
diretti contro soggetti privati e solo se fosse evidente
la diffusione del terrore; questa condizione sottolinea e
precisa il metodo impiegato dai terroristi.
Non viene, però, fornito alcun criterio per
individuare, tra i fatti elencati, quelli che avrebbero
dovuto considerarsi di natura terroristica, anche a
prescindere dal fine perseguito dall’autore.
Come abbiamo già ricordato, entrambe le Convenzioni del
1937 non entrarono mai in vigore, probabilmente a causa
dello scoppio della Seconda guerra mondiale, anche se
6
L’entrata in vigore era subordinata al deposito di sette ratifiche o adesioni e a una specifica decisione presa a
maggioranza di due terzi dagli Stati Parte.
10
qualcuno ha suggerito che, tra le ragioni della mancata
entrata in vigore della Convenzione, vi fosse anche
l’eccessiva ampiezza della definizione di atti
terroristici.
Nel secondo dopoguerra un’ulteriore iniziativa è stata
presa dalle c.d. Istituzioni Specializzate delle Nazioni
Unite. L’Organizzazione per l’aviazione civile
internazionale (ICAO) ha promosso nuove norme per
l’adozione di varie convenzioni a seguito
dell’intensificarsi di atti di terrorismo aereo dalla
metà del secolo XX, in particolare la Convenzione di
Tokyo del 14 settembre 1963 relativa alle infrazioni e a
determinati altri atti compiuti a bordo di aeromobili, la
Convenzione dell’Aja del 16 dicembre 1970 per la
repressione della cattura illecita di aeromobili, la
Convenzione di Montreal del 23 settembre 1971 per la
repressione degli atti illeciti diretti contro la
sicurezza dell’aviazione civile e il Protocollo di
Montreal del 24 febbraio 1988 per la repressione degli
atti illeciti di violenza negli aeroporti adibiti
all’aviazione civile internazionale.
Anche nell’ambito dell’ONU gli Stati hanno
privilegiato, fino ad epoca recente, l’approccio
settoriale, occupandosi di nuovi aspetti del terrorismo e
più generali rispetto a quelli affrontati nell’ambito
delle Istituzioni Specializzate.
La principale difficoltà incontrata nell’adozione di
una Convenzione globale sul terrorismo risiede nel
tradurre la nozione corrente del terrorismo
internazionale in una formula che possa essere recepita
in una norma incriminatrice: nessuna delle tante
definizioni del fenomeno in questione ha incontrato il
favore della Comunità degli Stati, anche se una
definizione settoriale è stata recentemente concordata ai
fini della repressione del finanziamento del terrorismo
7
.
Il diritto internazionale, però, non cataloga il
Terrorismo come crimine distinto, come categoria generale
e autonoma, che si risolve negli atti definiti
“terroristici” dalle Convenzioni settoriali.
Il terrorismo è stato definito "camaleontico" per la
diversità di forme e manifestazioni con le quali si
esplicita, anche se alcune ricorrono con costanza: (1)
depersonalizzazione della vittima: i terroristi non
7
Convenzione per la Soppressione del Finanziamento del Terrorismo sottoscritta a Bruxelles nel 1999
11
agiscono nei confronti di una vittima o gruppo prescelto
e ben determinato, le vittime sono casuali. Essi
perseguono un fine e le vittime innocenti sono
considerate esclusivamente mezzi per raggiungerlo; (2)
ripercussione internazionale: gli effetti degli attacchi
terroristici non rimangono circoscritti nel territorio
nazionale, ma hanno ripercussione internazionale; (3)
effetto destabilizzante: creazione di una situazione di
terrore e di instabilità sia sul piano sociale che sul
piano politico ed economico; (4) motivazione politica,
religiosa o ideologica: gli attacchi terroristici non
sono motivati da interessi personali; gli atti
terroristici possono essere compiuti da individui (es.
Kamikaze) che agiscono per un’organizzazione terroristica
o da Stati che ufficialmente perseguono i loro scopi
incoraggiando attività terroristiche.
D’accordo con questa considerazione Antonio Cassese
sostiene che, anche se il fenomeno Terrorismo non è
“tipicizzato” secondo il diritto internazionale, ha delle
caratteristiche che lo contraddistinguono e lo delineano
come categoria autonoma. Nel suo articolo "Terrorism as
an International Crime"
8
sostiene infatti che, proprio in
base a queste peculiarità, una definizione di terrorismo
globale è già esistente ed estrapolabile dalle
Convenzioni settoriali, anche se non è ancora inserita
all'interno di Convenzioni internazionali universalmente
accettate.
Altri studiosi, però, non sono d’accordo con la
suddetta opinione; autorevole è la critica di Robert
Kolb, il quale nel suo articolo "The Exercise of Criminal
Jurisdiction over International Terrorist"
9
elabora le
problematiche che ruotano intorno alla costruzione della
definizione di terrorismo internazionale, esaminandone
gli elementi strutturali.
Secondo la sua riflessione, le definizioni di
terrorismo che si sono sviluppate dopo i tragici eventi
dell'11 settembre 2001 a New York e al Pentagono sono il
risultato della combinazione di differenti elementi, che
possono essere considerati cumulativamente o
alternativamente. Solo poche definizioni focalizzano la
loro attenzione su un singolo elemento; esso di solito
riguarda il modo con il quale i terroristi raggiungono i
8
Da Andrea Bianchi, Enforcing International Law Norms Against Terrorism, 2004.
9
Vedi nota precedente.
12
loro scopi politici.
Alcuni autori e testi ufficiali, ad esempio, equiparano
gli atti terroristici alla violenza esercitata in modo
indiscriminato, altri aggiungono a questo elemento
l’atrocità e la nefandezza degli atti di violenza
compiuta.
Il modo di agire “indiscriminato”, però, può essere
tipico di alcune azioni terroristiche, ma non è affatto
sufficiente a spiegare e contraddistinguere il fenomeno.
Consideriamo, ad esempio, l’uccisione di persone
attentamente selezionate come valore simbolico: in questo
caso l’atto è da considerarsi terroristico, anche senza
bisogno di atti di violenza indiscriminata.
Un’altra tipologia di one-tier definition è quella che
definisce il terrorismo come una serie di atti compiuti
da determinate organizzazioni predefinite dal Ministro
degli Esteri (negli Stati Uniti il Segretario di Stato)
10
.
Queste definizioni hanno una struttura eccessivamente
restrittiva e non sono assolutamente in grado di
delineare con precisione il significato di terrorismo e
atti terroristici.
Kolb continua la sua analisi individuando un’altra
fascia di definizioni che si basa sulla combinazione di
due elementi: terrore/scopo, terrore/violenza,
violenza/scopo politico, violenza/coercizione, violenza/
terrore, violenza/creazione di uno stato di pericolo
generale, creazione di un comune
pericolo/indiscriminatezza degli atti terroristici, atti
di violenza/destabilizzazione (tensione) internazionale o
nazionale.
In tempi recenti gli studiosi hanno proposto una nuova
struttura di definizione costruita secondo la
combinazione di tre elementi, al fine di spiegare in
maniera più esaustiva ed approfondita il fenomeno del
terrorismo: violenza/terrore/scopo politico,
violenza/terrore/scopo, violenza/terrore/attacco di tipo
politico, economico o sociale.
La più importante trilogia di elementi caratterizzanti,
usata soprattutto negli Stati Uniti è : atti di violenza/
terrore/coercizione.
10
Questa è la base della Sezione 1182 (a) (3) e 1189 (a) (1) della Antiterrorism and Effective Death Penality Act
(1996) degli U.S.A.
13
Tendenza attuale è, inoltre, combinare l’approccio
settoriale con quello globale, facendo sì che la
definizione di terrorismo sia formata da due strati: uno
costituito dagli atti di terrorismo elencati nelle
Convenzioni specifiche e l'altro formato dalle
definizioni generali costruite secondo il parametro
azione/terrore/coercizione.
I Trattati promossi seguono uno schema uniforme, che si
basa sul modello della normativa del 1937 e che ormai è
divenuto tipico dei trattati di diritto internazionale
penale: obbligo per gli Stati Parte a qualificare le
fattispecie contemplate alla stregua di illeciti penali
nelle legislazioni nazionali e dovere, a carico della
parte nel cui territorio si trovi il presunto autore del
crimine, di sottoporlo a processo penale o estradarlo
allo Stato che ne faccia richiesta
11
.
Significativo è che i trattati meno recenti non
contengano un espresso riferimento al terrorismo
internazionale e che anche i trattati che utilizzano il
termine nel preambolo non contengano poi, nella parte
dispositiva, alcun elemento utile a spiegare perché le
fattispecie criminose contemplate, siano considerate alla
stregua di atti di terrorismo
12
.
Fintantoché si segue l’approccio settoriale, non vi è
alcun bisogno di una definizione giuridica di terrorismo
internazionale, ma essa diventa indispensabile qualora lo
si voglia sostituire con uno globale che consenta di
colmare ogni lacuna.
L’approccio settoriale si è sviluppato anche a livello
regionale; per quanto riguarda l’Europa va ricordata la
Convenzione sulla repressione del terrorismo, adottata il
27 gennaio 1977 nell’ambito del Consiglio d’Europa.
Essa si propone di facilitare l’estradizione dei
terroristi, impedendo la qualificazione dei reati
terroristici alla stregua di reati politici
13
; l’elenco
11
Un discorso a parte meriterebbe la Convenzione di Tokyo del 1963 che non contiene un preciso obbligo in tal senso.
12
Un’eccezione è costituita dalla Convenzione del 1979 sulla presa d’ostaggi, in base al cui art. 1 il reato si verifica
quando chiunque si impadronisce di una persona (l’ostaggio) o la detiene e minaccia di ucciderla, di ferirla (o di
continuare a detenerla) al fine di costringere uno Stato, un’organizzazione intergovernativa, una persona fisica o
giuridica o un gruppo di persone a compiere, o ad astenersi dal compiere, un atto qualsiasi. Altra eccezione è costituita
dalla Convenzione del 1988 sulla repressione degli attentati terroristici mediante esplosivi il cui art. 2 richiede che
l’utilizzazione di esplosivi sia effettuata al fine di provocare la morte o una seria lesione all’integrità fisica di qualcuno,
oppure al fine di provocare massicce distruzioni di beni pubblici.
13
United Nations Treaty Series: la Convenzione è entrata in vigore il 4 agosto 1978 (per l’Italia il 1°giugno 1986) e, al
24 ottobre 2003, contava 41 parti (tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa ad eccezione di Andorra, Armenia,
Azerbaijan e Macedonia). L’Italia vi ha dato esecuzione con l. 26 novembre 1985 n. 719 (G.U. 12 dicembre 1985 n.
292, suppl.).La Convenzione non contiene l’obbligo di “criminalizzare” gli illeciti contemplati e non limita gli altri