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CAPITOLO 1
LA PARITÀ DI GENERE NEL CONTESTO SOCIO-ECONOMICO
ITALIANO
1.1 Premessa
La parità di genere è un diritto fondamentale che richiede l’assenza di qualsiasi
ostacolo all’uguaglianza tra uomini e donne nel diritto, nella società e nel lavoro.
È fondamentale, ai fini dello studio, definire il termine “genere”; in primo luogo è
necessario chiarire che i termini “sesso” e “genere” non sono analoghi: il primo fa
riferimento alle caratteristiche biologiche di un individuo alla sua nascita ed è sulla
base di esse che la scienza individua e definisce i due sessi; il termine “genere” è
invece un costrutto sociale, un insieme di processi, modalità di comportamento e
rapporti, attraverso cui ciascuna società organizza la suddivisione dei ruoli tra
uomini e donne all’interno di essa, creando dunque due dimensioni differenti e
nettamente separate alle quali ogni individuo è arbitrariamente assegnato sulla sola
base del sesso biologico (Balocchi, Michela, 2003). È dunque la società a definire
cosa sia femminile, maschile o neutro e lo fa partendo dall’assunto che determinate
attività, compiti e comportamenti siano maggiormente adatti all’uno o all’altro
sesso (Kagitçibasi, Çigdem, John W. Berry, and Marshall H. Segall, 1997). Il
risultato è la limitazione della libertà di scelta del singolo, con inevitabili
differenze di trattamento tra maschi e femmine ad ogni livello della loro vita. Sulla
base di quanto finora detto, quindi, i termini “uomo” e “donna” sono da
considerarsi il risultato di tale suddivisione di ruoli.
Al fine di individuare e definire le principali forme attraverso cui le
discriminazioni di genere si manifestano nel contesto economico e sociale, nel
presente capitolo si procederà ad una preventiva analisi dei principali dati
demografici, occupazionali ed economici italiani e, al fine anche di definire
l’ampiezza del tema trattato, si opererà un raffronto con il contesto europeo.
10
1.2 Il contesto nazionale ed europeo
In principio, risulta necessario fornire un contesto di riferimento, raccogliendo i
principali dati demografici, occupazionali ed economici italiani. Le statistiche
utilizzate ed analizzate saranno afferenti principalmente al periodo 2018-2020, sia
in ragione ad una maggiore loro disponibilità, sia al fine di permettere un più
coerente ed efficace raffronto tra i dati stessi.
1.2.1 Dati demografici ed occupazionali
Secondo quanto riportato dall’ISTAT, al 1° gennaio 2021 la popolazione italiana
ammontava a 59.236.213 di cui circa 37.798.000 in età lavorativa (15-64 anni).
Tra questi, la forza lavoro, ovvero l’insieme di coloro che sono occupati o in cerca
di occupazione, ammonta a 24.009.000 individui di cui il 57,26% sono maschi.
Confrontando questo dato con quanto risulta sempre da fonti ISTAT per gli anni
2018 e 2019, la proporzione tra maschi e femmine nella composizione della forza
lavoro risulta pressoché invariata: nel 2018 i primi ammontano al 56,98% e nel
2019 al 56,86%. Sebbene questo dato suggerisca sin da subito una situazione di
squilibrio tra i due sessi, è necessario valutare la composizione sia della
popolazione occupata che di quella disoccupata. Assumendo come orizzonte di
valutazione sempre il periodo 2018-2020, tra gli occupati, i maschi ricoprono
sempre la maggioranza rispetto alla controparte femminile, attestandosi al 57,50%
nel 2018, al 57,39% nel 2019 e al 57,74% nel 2020. Per ciò che invece concerne
la popolazione disoccupata ma in cerca di lavoro, i maschi negli anni 2018, 2019
e 2020, sono rispettivamente il 52,58%, il 52,16% e il 52,71% del totale, rilevando
una condizione di sostanziale equilibrio. Nel complesso, i dati finora presentati
possono essere apprezzati e sintetizzati nel seguente grafico (tabella 1).
11
Figura 1.1 Composizione della forza lavoro; dati Istat 2018-2020. Fonte: propria elaborazione.
Non risultano peraltro sostanziali differenze se si considerano i dati finora riportati
in termini relativi:
Figura 1.2 Composizione percentuale della forza lavoro; dati Istat 2018-2020. Fonte: propria elaborazione.
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
7000
8000
9000
10000
11000
12000
13000
14000
15000
2018 2019 2020 Media 2018 2019 2020 Media 2018 2019 2020 Media
Forza lavoro Occupati Disoccupati
composizione Forza lavoro
M F
57%
57%
57%
57%
58%
57%
58%
58%
53%
52%
53%
52%
43%
43%
43%
43%
42%
43%
42%
42%
47%
48%
47%
48%
2018 2019 2020 M E D I A 2018 2019 2020 M E D I A 2018 2019 2020 M E D I A
F O R Z A L A V O R O O C C UP AT I D I S O C C UP AT I
COMPOSIZIONE PERCENTUALE FORZA
LAVORO
M F
12
Si noti dunque come, per ognuna delle condizioni analizzate, l’incidenza maschile
risulti costantemente maggiore rispetto a quella femminile e ciò malgrado la
distribuzione dei sessi nella popolazione sia equilibrata. Per gli anni considerati
infatti, sempre prendendo a riferimento la fascia d’età 15-64 anni, la ripartizione
di maschi-femmine sul totale è mediamente del 49,84%-50,16%, per cui non si
dovrebbero riscontrare rilevanti differenze nella loro distribuzione all’interno della
popolazione attiva. Ciò nonostante, i maschi nella forza lavoro e nella popolazione
occupata sono mediamente il 33% e il 36% più numerosi delle femmine mentre
nella popolazione disoccupata ma attiva si attestano ad un +11% rispetto alla
controparte femminile. Quest’ultimo dato è molto importante poiché, ad una prima
analisi, potrebbe sembrare una contraddizione: se maschi e femmine in età
lavorativa si equivalgono e se i maschi occupati sono mediamente il 36% in più,
logicamente si dovrebbe rilevare un eccesso di donne disoccupate rispetto agli
uomini. Purtuttavia, come riportato, vi sono più maschi disoccupati che femmine
nella medesima condizione e questo è spiegabile solo considerando la
composizione della popolazione inattiva. Fondando l’analisi ancora una volta sui
dati ISTAT e sempre prendendo a riferimento il periodo 2018-2020, si noti come
la componente femminile sia costantemente maggiore a quella maschile.
13
Figura 1.3 Popolazione inattiva per sesso; dati Istat 2018-2020. Fonte: propria elaborazione.
Tale differenza risulta essere ben più marcata rispetto a quanto visto finora, con
uno scostamento medio che si attesta al +72,71% delle femmine sui maschi.
Questo dato, soprattutto se unito con quanto esposto finora, permette innanzitutto
di sciogliere l’apparente contraddizione esposta in precedenza e, in secondo luogo,
di sottolineare un’importante criticità: le donne sono contemporaneamente meno
occupate e meno disoccupate rispetto agli uomini poiché mediamente il 44% di
queste sono inattive, contro il ben minore 26% degli uomini, naturalmente sempre
all’interno della fascia 15-64 anni. Quanto affermato è esposto in sintesi dal
seguente grafico.
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
40%
45%
50%
55%
60%
65%
70%
75%
80%
85%
90%
95%
100%
2018 2019 2020 Media
36%
36% 37% 37%
64% 64% 63% 63%
INATTIVI
M F
14
Figura 1.1 Composizione popolazione 15-64 anni per sesso e categorie professionali; dati Istat 2018-2020.
Fonte: propria elaborazione.
Si rileva dunque un’importante
disomogeneità nella distribuzione di maschi e
femmine nelle diverse condizioni
professionali, con particolare attenzione alla
categoria degli inattivi. Se è vero, infatti, che
anche tra gli occupati la differenza
percentuale tra i due sessi sia sicuramente
rilevante, con un -26,69% di femmine
occupate rispetto ai maschi, è l’enorme
divario nella popolazione inattiva maschile e
femminile a meritare un ulteriore
approfondimento.
Allo scopo di comprenderne la reale dimensione e la tendenza nel tempo, si è
proceduto ad ampliare l’orizzonte di osservazione al fine di evidenziare ed isolare
eventuali distorsioni provocate dalla pandemia di Covid-19 che ha sicuramente
M AS C H I F E M M I N E M A S C H I F E M M I N E M AS C H I F E M M I N E M AS C H I F E M M I N E
2018 2019 2020 M E D I A
68%
50%
68%
50%
67%
48%
67%
49%
7%
7%
7%
6%
6%
6%
7%
6%
25%
44%
25%
43%
27%
46%
26%
44%
OCCUPATI DISOCCUPATI INATTIVI
-26,69%
-9,99%
72,71%
-40,00%
-20,00%
0,00%
20,00%
40,00%
60,00%
80,00%
OCCUPATI DISOCCUPATI
INATTIVI
Figura 1.2 Scostamento percentuale femmine sui
maschi per le principali categorie professionali;
dati Istat 2018-2020. Fonte: propria elaborazione
15
impattato sulla partecipazione complessiva al mercato del lavoro. In tal senso, si è
dunque adottato un orizzonte temporale decennale, dal 2011 al 2020.
Figura 1.3 Andamento della differenza percentuale femmine inattive su maschi inattivi; dati Istat 2011-2020.
Fonte: propria elaborazione.
Come mostrato dal presente grafico, la differenza percentuale tra femmine inattive
e maschi inattivi, segue un andamento ciclico attorno alla sua media che si
dimostra decrescente nel decennio considerato. Purtuttavia, proiettando la media
logaritmica nei successivi cinque anni, si noti come questa tenda a stabilizzarsi
attorno al 73%. Nel complesso, non si rilevano rilevanti differenze se si considera
il triennio 2018-2020 anziché il decennio 2011-2020 poiché, sia nel primo caso
che nel secondo, risulta pressoché stabile il risultato dell’analisi: tra la popolazione
inattiva, la componente femminile è mediamente circa il 73% più numerosa
rispetto alla controparte maschile. La medesima tendenza decrescente è rilevabile
anche considerando, su piano decennale, la proporzione tra femmine inattive e il
totale di esse in età lavorativa: se infatti nel periodo 2018-2020 tale rapporto è del
44,37%, nel decennio 2011-2020 si attesta ad un livello più elevato e pari al
45,60%. Parimenti al caso precedente, lo scostamento è minimo; pertanto, si opta
per proseguire con l’orizzonte temporale finora utilizzato, salvo estendere il
periodo di riferimento qualora occorresse.
66%
68%
70%
72%
74%
76%
78%
2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020
Differenza % F su M
16
1.2.1.2 I motivi dell’inattività
L’analisi prosegue considerando le motivazioni dello stato di inattività della
popolazione tra i 15 e i 64 anni. I dati sono estratti dal database ISTAT e fanno
riferimento al triennio 2018-2020. Si rileva sin da subito un importante divario tra
i motivi alla base dell’inattività femminile e maschile.
Figura 1.4 Motivi inattività nella popolazione 15-64 anni; dati Istat 2018-2020. Fonte: propria elaborazione.
Fonte: propria elaborazione.
Nello specifico, la motivazione “motivi familiari”, che per la componente maschile
incide mediamente solo per il 3%, assorbe invece il 32% dei motivi alla base
dell’inattività femminile. La variazione percentuale ponderata sul diverso
ammontare dei due sessi tra gli inattivi ammonta, in media, al +1059% per le
femmine sui maschi. Ciò significa che non è possibile ricondurre la diversa
incisività dei “motivi familiari” al maggior numero di inattive. Intuitivamente,
quindi, si potrebbe concludere che la popolazione femminile risenta maggiormente
delle problematiche familiari rispetto alla loro controparte. Su questo ultimo punto
e sulle sue possibili cause o concause si ritornerà in seguito parlando degli
stereotipi alla base della disparità di genere. Un altro dato che risulta interessante
esaminare è quello relativo al motivo “studio, formazione professionale”: anche in
M A S C H I F E M M I N E M A S C H I F E M M I N E M AS C H I F E M M I N E M AS C H I F E M M I N E
2018 2019 2020 M E D I A
12% 10% 12%
10% 11% 10%
11% 10%
3%
30%
3%
33%
3%
31%
3%
32%
44%
26%
44%
27%
41%
26%
43%
26%
8%
4%
8%
4%
7%
4%
8%
4%
16%
20%
16%
17%
16%
16%
16%
18%
17%
9%
17%
9%
23%
13%
19%
11%
MOTIVI INATTIVITÀ
motivi familiari studio, formazione professionale
aspetta esiti passate azioni di ricerca pensione, non interessa anche per motivi di età
altri motivi
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questo caso si assiste ad una netta divergenza tra i due sessi. Tra i maschi inattivi,
il 43% afferma di esserlo per tale motivo contro il 26% della componente
femminile, con una differenza percentuale pari al -39% delle femmine sui maschi.
Eppure, considerando la popolazione tra i 15 e 64 anni di età per titolo di studio,
l’investimento nella formazione appare complessivamente equilibrato tra i due
sessi, senza che vi sia una rilevante maggioranza maschile nei livelli formativi più
elevati. Al contrario, mediamente tra i detentori di un titolo di laurea e post-laurea,
le donne sono il 37% in più degli uomini, sottolineando come non vi sia un reale
disinteresse della popolazione femminile per lo studio e la formazione. Anche tra
i titolari di diploma di maturità non si ravvisa alcuna netta divergenza, con i due
sessi che sono pressoché equivalenti e con uno scostamento medio dell’1% delle
femmine sui maschi. L’ultimo dato tra i motivi dell’inattività per il quale si rileva
uno scostamento, seppur meno esteso rispetto ai precedenti, è quello relativo
all’attesa degli esiti di ricerche passate. Mediamente il 4% di inattive imputa a tale
motivazione la propria inattività contro l’8% dei maschi. Questo dato, tuttavia,
risulta distorto dal diverso ammontare di inattivi maschi e femmine, con le seconde
che sono mediamente il 72,71% in più dei primi. Calcolando, quindi, la differenza
percentuale tra i due sessi, normalizzata per la loro proporzione sul totale, si rileva
uno scostamento ben più ampio pari, in media, al -50% delle femmine sui maschi.
Probabilmente, tale differenza è da imputare non tanto ad un generale
scoraggiamento, motivo per il quale le femmine si attestano ad un -13% rispetto
alla controparte, quanto più all’enorme impatto che i “motivi familiari” hanno sulla
popolazione inattiva femminile, assorbendo mediamente il 32% dei motivi di
inattività complessivi contro il 3% dei maschi.
Dall’analisi compiuta sul piano demografico ed occupazionale si è rilevato come,
a fronte di una sostanziale parità numerica tra maschi e femmine in età lavorativa,
la loro distribuzione nelle diverse categorie professionali sia nettamente
disomogenea. Nello specifico, mediamente lungo il periodo 2018-2020, le
femmine rispetto ai maschi sono: il -27% tra gli occupati, il -10% tra i disoccupati
e il +73% tra gli inattivi, categoria nella quale vi sono il 44% delle donne tra i 15
18
e i 64 anni. Quest’ultimo dato è stato oggetto di specifica analisi, approfondendo
le motivazioni alla base dell’inattività e rilevando, anche in questo caso, una netta
divergenza tra i due sessi. Lo scostamento più rilevante è sicuramente quello
afferente ai motivi familiari, ai quali il 32% delle femmine riconducono la loro
inattività rispetto al 3% dei maschi, in proporzione, con uno scostamento medio
pari a circa il +1059%.
1.2.2 Dati economici
Si voglia ora volgere l’attenzione alla retribuzione lorda dei dipendenti del settore
privato, divisi per titolo di studio, del triennio 2018-2020. A livello complessivo,
includendo anche le posizioni lavorative per cui non è noto il titolo di studio, nel
settore privato la retribuzione oraria mediana è pari a 11,27€ nel 2018, 11,40€ nel
2019 e a 11,70€ nel 2020. Andando ad articolare questo dato per gli uomini e le
donne non si dovrebbe rilevare alcun netto scostamento, in quanto il sesso
biologico non consta in un differente talento, sia esso acquisito o naturale.
Tuttavia, in tutti e tre gli anni considerati, la retribuzione oraria lorda maschile
risulta costantemente più elevata del valore mediano e quindi della retribuzione
femminile. Nello specifico, la retribuzione lorda oraria femminile risulta essere
inferiore a quella maschile mediamente del -6,6%. Al fine di approfondire questo
dato, si andranno ora a considerare i livelli reddituali dei due sessi a parità di titolo
di studio, innanzitutto a livello complessivo e, solo successivamente, nel dettaglio
si commenteranno alcuni casi particolari. In principio, a livello globale, si
conferma il risultato precedente, con la retribuzione femminile inferiore a quella
maschile per ogni livello di formazione. In particolare, mediamente nel periodo
preso a esame, se sprovviste di titolo di studio o con licenza di scuola elementare
e media, risultano godere di una retribuzione lorda oraria pari al -9% di quella
maschile; con un diploma, il divario retributivo scende al -6% per poi registrare un
picco del -13% con laurea e titolo post-laurea. Aumentando il livello di dettaglio
dello studio, è possibile sottolineare alcuni casi particolari. In primis, il settore
finanziario e assicurativo registra il maggior divario retributivo: in particolare, si
19
rileva come con massimo la licenza di scuola media, le femmine guadagnino il -
33% dei maschi; il -19% se diplomate e il -20% se titolari di laurea e titolo post-
laurea. Di contro, il settore più “equo” risulta essere quello relativo ai servizi di
alloggio e di ristorazione, con una differenza retributiva femminile rispetto a quella
maschile del -2%. Vi sono inoltre casistiche completamente opposte alla tendenza
generale, con divari retributivi positivi: è il caso del settore estrattivo, con una
sostanziale parità salariale tra i due sessi se sprovvisti di diploma, con un divario
retributivo del +6% se si considera la popolazione con diploma e, infine, un
differenziale nuovamente negativo tra laureate e laureati pari, in media, al -8%. Un
secondo e ultimo caso è quello del settore del trasporto e magazzinaggio ma solo
limitatamente ai titolari di diploma: qui il divario retributivo è a favore della
popolazione femminile e mediamente pari al +6%. Si attesta invece su valori
negativi per entrambe le rimanenti categorie (senza titolo e con laurea). Si noti,
infine, come ciascuno dei diciotto settori privati esaminati presenti un divario
retributivo negativo. Risulta rilevante, inoltre, osservare come i maggiori
scostamenti retributivi si concentrino principalmente tra gli individui laureati e con
titolo post-laurea, poi tra coloro sprovvisti di un diploma o titoli superiori ed infine
tra i diplomati.
Figura 1.5 Differenza percentuale occupazione principali settori economici, divisi per sesso e livello di istruzione.
Dati Istat 2018-2020. Fonte: propria elaborazione.
2018 2019 2020 2018 2019 2020 2018 2019 2020
F-M % F-M % F-M % F-M % F-M % F-M % F-M % F-M % F-M %
-2% 2% 1% 5% 4% 8% -9% -8% -8%
-13% -12% -12% -13% -14% -13% -24% -24% -23%
-20% -21% -20% -12% -13% -13% -18% -18% -18%
-25% -17% -13% -5% -3% -2% -11% -11% -10%
-9% -10% -9% 3% 2% 2% -9% -9% -8%
-6% -6% -6% -5% -6% -5% -18% -18% -18%
1% 1% 1% -2% -2% -1% -14% -14% -14%
-12% -12% -11% 8% 5% 6% -1% -1% -1%
-1% -1% 0% -3% -3% -2% -2% -2% -2%
-19% -20% -10% -19% -19% -16% -14% -15% -14%
-33% -32% -33% -19% -19% -19% -20% -20% -19%
-4% -4% -5% -5% -4% -5% -23% -22% -22%
-9% -9% -8% -12% -11% -11% -25% -25% -23%
-8% -9% -7% -3% -3% -2% -3% -3% -1%
-10% -8% -7% -8% -6% -4% -15% -14% -12%
0% 0% 0% -2% -2% -2% -11% -11% -11%
-2% -2% -3% -2% -2% -3% -3% -4% -4%
-11% -10% -11% -15% -15% -15% -10% -9% -9%
Differenza percentuale femmine su maschi.
attività dei servizi di alloggio e di ristorazione
nessun titolo di studio,
licenza di scuola
diploma laurea e post-laurea
estrazione di minerali da cave e miniere
attività manifatturiere
fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria
condizionata
fornitura di acqua reti fognarie, attività di gestione
dei rifiuti e risanamento
costruzioni
servizi (g-s, escluso o)
commercio all'ingrosso e al dettaglio, riparazione di
autoveicoli e motocicli
trasporto e magazzinaggio
sanità e assistenza sociale
attività artistiche, sportive, di intrattenimento e
divertimento
altre attività di servizi
servizi di informazione e comunicazione
attività finanziarie e assicurative
attività immobiliari
attività professionali, scientifiche e tecniche
noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle
imprese
istruzione