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stregua di un grande “supermarket del cinema”, rappresentato da quelle
multisale che offrono prodotti per tutti i gusti.
In Francia si sta sviluppando sempre di più una mentalità volta
all’identificazione del pubblico potenziale di ogni singolo film, di un
legame comunicativo fra chi produce un’opera cinematografica e chi ne
legittima l’esistenza, ossia gli spettatori; i successi straordinari di opere
come La vérité si je mens 2, Le Fabuleux Destin d’Amélie Poulain, Le
placard e Le pacte des loups, i quattro film più visti in Francia nel primo
semestre dell’anno 2001, sono esemplari di questo profondo attaccamento
del pubblico francese alla propria cinematografia, soprattutto grazie al buon
uso delle strategie di marketing volte a conoscere che cosa il pubblico
desideri effettivamente e come desideri venire a conoscenza dell’uscita di
un determinato film nelle sale: non a caso l’industria cinematografica si
iscrive nella logica delle industrie culturali e si situa all’interno di una
“logica mercantile”, di una “cultura di massa”, che trova la propria
legittimità esclusivamente quando il pubblico risponde numeroso all’uscita
di un’opera nelle sale.
Così, mentre sul mercato cinematografico francese della fine degli anni ’90
la parte di mercato occupata dai prodotti americani superava il 60% e al
contrario quella occupata dai prodotti locali sfiorava il 30%, oggi, per
buona parte dell’anno 2001, la situazione si è completamente invertita,
ritornando ai livelli positivi degli anni ’70, quando il cinema francese
superava ampiamente il concorrente americano negli incassi in sala.
8
La mia analisi verte, principalmente, sul rapporto fra economia e cinema sia
nel cinema statunitense, essendo il più redditizio oltre che il più vivo del
mondo, sia su quello francese, ben più sperimentale in questo rapporto con
il marketing cinematografico, ma molto più interessante da analizzare in
quanto ricco di sorprese e di logiche poco europee.
Ho diviso il mio discorso in due parti fondamentali: nella prima, più
introduttiva, mi sono occupato del rapporto dialettico fra economia e
cinema e successivamente degli interessi economici presenti nelle differenti
fasi di creazione di un film; nella seconda ho approfondito lo studio di una
realtà cinematografica, quella francese, che, anche grazie ad un intelligente
contributo del marketing, risulta essere la prima in Europa quanto a
produzione e distribuzione.
Per quanto riguarda l’analisi delle varie fasi di creazione di un film
cinematografico, dalla sceneggiatura al finanziamento, dalla produzione
(includente pre-produzione, produzione propriamente detta e post-
produzione) alla distribuzione (momento chiave dell’utilizzo del marketing
e della promozione “a valle”), fino allo sfruttamento del prodotto ottenuto
sui vari mercati, dai mercati tradizionali ai nuovi media, ho preso come
modello la realtà hollywoodiana, facendo comunque accenno al mondo
europeo, non solo francese ma anche italiano.
Nella seconda parte, vero e proprio cuore del mio lavoro, ho analizzato il
marketing cinematografico all’interno dell’industria francese, prima
attraverso un breve excursus storico (dalla nascita del cinema sino alla
Nouvelle Vague, passando per l’industria Pathé), poi puntando l’attenzione
9
sull’aspetto promozionale e di marketing del nuovo cinema francese, in
particolare scoprendo un organismo vitale per la cinematografia francese, il
Centre National de la Cinématographie, e studiando l’evoluzione della
promozione televisiva e della frequentazione delle sale, oltre ad
approfondire una figura molto importante come Luc Besson, regista,
produttore e distributore che ha saputo coniugare il marketing e gli interessi
economici al suo stile inimitabile.
Dopo questa analisi ho puntato l’attenzione sulla distinzione fra pratiche di
marketing “a monte”, “a valle” e budget di lancio, sino a valutare come, in
questi ultimi anni, attraverso alcuni film come Taxi e Taxi 2, La vérité si je
mens! e La vérité si je mens! 2, Le Fabuleux Destin d’Amélie Poulain, Le
placard e Le pacte des loups, i produttori e distributori francesi abbiano
saputo prevedere i desideri del pubblico francese, offrendogli opere non
sempre di qualità, ma senz’altro in veste prestigiosa, proprio sfuttando al
meglio i principi del marketing cinematografico.
Ho concluso il mio lavoro, grazie ad una ricerca del Centre National de la
Cinématographie, con un’indagine particolare su mezzi promozionali come
il manifesto, il titolo ed il trailer, che, se intelligentemente e
strategicamente usati, possono rivelarsi la base comunicazionale di un film.
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PARTE PRIMA:
Dalla produzione alla distribuzione
di un’opera cinematografica:
differenti tappe.
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Capitolo 1: Il rapporto dialettico fra estetica
ed economia nel cinema
Trattando il tema della produzione audiovisiva, ed in particolare di quella
cinematografica, risulta problematica l’analisi del rapporto apparentemente
conflittuale fra i valori estetici e i fattori economico-finanziari che stanno
alla base della realizzazione di un film.
Da una parte, infatti, sembra alquanto fuori luogo che una funzione
eminentemente creativa, come quella svolta dal regista-autore venga
contaminata da alcuni elementi materiali e anti-artistici relativi al “vil
danaro”.
Tuttavia, se si vuole analizzare con occhio critico e distaccato la tematica
della creazione-produzione di un’opera audiovisiva, non è possibile
dimenticare che solo attraverso un impiego di ingenti risorse economiche
un’opera cinematografica può vedere la luce; i fattori economici sono,
dunque, la conditio sine qua non un film rischia di restare esclusivamente
un progetto potenziale, sulla carta, un desiderio irrealizzabile.
Proprio per questa sua natura di prodotto realizzabile attraverso una
combinazione di fattori diversi, frutto di un conflitto forse solo apparente,
13
l’opera cinematografica può nascere soltanto dopo un periodo di
incubazione di lunga, a volte lunghissima durata: un film è la risultante di
un estenuante lavoro di èquipe, che prevede l’unione di due differenti
culture, una più artistica, l’altra più industriale, finalizzata alla realizzazione
di un’opera unica, capace di soddisfare gli interessi, diversi ma convergenti,
di entrambe le parti in causa.
Trattandosi più che altro di un conflitto di interessi, e non di un rapporto
ostile, il rapporto dialettico fra estetica ed economia nel cinema si riassume
in due figure principali: il regista e il produttore, l’esteta-autore-creatore e
l’industriale-uomo d’affari.
Sebbene appaia alquanto riduttivo sottolineare soltanto attraverso queste
due figure il divario esistente fra due tematiche opposte, regista e produttore
sono il classico esempio di binomio impossibile, di mentalità incompatibili
e inconciliabili, destinati a rincorrersi l’un l’altro tirando da entrambe le
parti una coperta che il regista ritiene troppo corta e il produttore considera
eccessivamente lunga e più che sufficiente.
Il regista opera in funzione del cinema in quanto arte, estetica, mentre il
produttore si deve adeguare in ogni sua decisione alle regole del mercato:
cinema e mercato sembrano così incontrarsi e confrontarsi in modo
violento, ma nello stesso tempo assai fertile, essendo due << mostri sacri
distinti e forse opposti, sebbene tenuti insieme dal gioco della domanda e
dell’offerta, dall’astrazione dei segni monetari e simbolici>>
1
.
1
Laurent Creton, Cinéma et marché, Editions Armand Colin, 1997; pag. 7.
14
cinema abbia sempre dovuto convivere fin dalla sua nascita con la realtà
economica, finanziaria, industriale: il concetto stesso di industria nasconde
un significato intrinseco, quello di “costruire all’interno, in segreto”
2
, senza
diffondere notizia alcuna, mentre il compito dell’autore di un’opera artistica
è quello, totalmente opposto, di creare per rendere pubblico, per
comunicare; il mercato è una costruzione collettiva, l’arte di un mondo
industriale e commerciale, mentre la cinematografia svolge per conto di
questo il compito, forse ingrato, di portatrice di sogni e di contraddizioni.
Cinema e mercato << hanno come caratteristica comune il fatto di essere dei
sistemi di rappresentazione convenzionali, che nella loro configurazione
classica si sforzano di venir considerati quali realtà evidenti, da accettare
come naturali e capaci di camminare da soli>>
3
.
Il regista, proprio per questo, ha interessi totalmente differenti da quelli del
produttore: l’uno crea per il piacere di creare e per rendere partecipi gli altri
delle proprie idee e delle proprie emozioni, l’altro invece non crea, ma
finanzia, investe per poter ottenere un profitto immediato dalla diffusione e
dallo sfruttamento dell’opera compiuta.
Risulta evidente come la figura del produttore sia eccessivamente
ingombrante per l’artista: la lavorazione di un film per il regista è un
momento delicato, che non dovrebbe prevedere alcuna pressione esterna,
ostacolo non banale alla propria ispirazione.
Come diceva François Truffaut, attraverso il personaggio del regista
2
Dal Dizionario etimologico di Giacomo Devoto, Le Monnier, 1988; pag. 217.
3
Laurent Creton, Cinéma et marché, op. cit. Pag. 8.
Nel campo della ricerca teorica sul divario incolmabile fra tematiche
estetiche e tematiche economiche è stato scritto molto poco, sebbene il
15
Ferrand, in Effetto notte ( La nuit americaine,1973), un regista è qualcuno
<< a cui vengono poste tante domande: ad alcune sa rispondere, ad altre
no…>> , ossia un punto di riferimento per tutti, interpreti, macchinisti,
direttori della fotografia e, soprattutto, produttori: durante la lavorazione di
un film saranno tanti, forse troppi, i momenti in cui il budget “sforerà” il
preventivo dei costi creando scompensi e proprio in casi del genere sarà il
regista, e solo lui, il responsabile davanti ai produttori.
Traendo spunto dalla politique des auteurs tanto cara alla Nouvelle Vague,
verrebbe quasi da chiedersi se il regista-autore sia soltanto una realtà
europea, fatta di litigi, conflitti aperti e mai risolti, causati dalla cronica
inadeguatezza dei mezzi economici messi a disposizione dalla produzione:
tuttavia, anche i tanto criticati registi americani (quelli di cui nessuno
ricorda il nome, ma di cui tutti ricordano perfettamente il film…) si sono
lamentati e si lamentano ancora dei produttori, i quali, sebbene offrano su
piatti d’argento budget incredibili e a lungo sognati dagli autori europei, si
trovano di fronte autori di basso calibro che dichiarano i mezzi insufficienti
4
e che applicano alla lettera tutto ciò che viene loro imposto dagli stessi
produttori.
Se si analizza con maggior attenzione la figura del produttore
cinematografico, appare evidente come il cinema contemporaneo, in
particolare quello hollywoodiano, ne abbia perso di vista la vera natura,
4
Sono sempre più numerosi infatti i registi americani provenienti dalla pubblicità o dai videoclip musicali, aventi una
minima o quasi nulla esperienza cinematografica, che si vedono affidare budget da capogiro e di cui non sanno che
farsene (esempi del genere The Rock e Armageddon girati da un ex- regista pubblicitario, Michael Bay; o ancora The
Cell diretto dal celebre regista di spot Tarsem Singh).
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quella di scopritore di talenti: più precisamente i produttori sono quei
<< soggetti che, assumendo la funzione di riconoscere il talento, hanno
esperienza delle vie attraverso le quali si manifesta la sua urgenza ed
operano secondo il carattere d’impellenza che lo contraddistingue>>
5
.
Quindi il produttore dovrebbe riconoscere il talento sapendo come farlo
manifestare: non a caso uno dei registi francesi più famosi del mondo, Luc
Besson, è stato una delle scommesse della Gaumont, notissima casa di
produzione francese, che, notato il talento del giovane, ma alquanto
ambizioso regista parigino, ha saputo lanciarlo nell’Olimpo degli autori di
successo, dove adesso riveste un ruolo non trascurabile.
Sempre più, tuttavia, il produttore si sta specializzando come vero e proprio
controllore: per conto della casa di produzione per cui lavora il produttore si
ritrova a svolgere specifiche funzioni, quali il monitoraggio del preventivo
di costo, la certificazione della spesa e la garanzia di buon fine;
effettivamente il controllo economico-finanziario da parte del produttore
consiste nella verifica costante del lavoro di tutta la troupe, cercando di
comprendere se si stia correttamente o meno seguendo il modello al quale si
era deciso di attenersi.
Questa pressione della produzione non si può certo definire come stimolo
positivo verso il lavoro del regista e verso la sua concezione estetica
dell’opera: l’autore si ritiene il vero padre del film, colui che l’ha creato (e
spesso colui che l’ha anche concepito e ideato
6
), sebbene dall’altra parte la
5
Claudio Biondi, Controllo e pianificazione della produzione audiovisiva, Dino Audino Editore, 2000; pag.16.
6
Non sarebbe il caso di parlare di regista-autore se il film non fosse stato scritto e diretta da mano unica: è più che altro
una moda americana il confezionamento di un’opera cinematografica, pronta per essere girata da una mano poco esperta
17
produzione rivendichi la potestà operativa, il potere inequivocabile di poter
fare dell’opera compiuta l’uso che più viene ritenuto idoneo, avendo
finanziato il film e divenendone i proprietari ufficiali a lavoro terminato.
Il momento in cui questo conflitto raggiunge l’apice della sua gravità è
nella fase del montaggio, la cosiddetta edizione, quando regista e produttore
si ritrovano faccia a faccia (separati da un montatore la cui importanza è
andata scemando col passare degli anni e con lo sviluppo inarrestabile delle
tecniche di montaggio, che permettono al regista più tecnicamente
preparato di operare autonomamente al “taglio e cucito” del film): la fase
dell’edizione rappresenta, dunque, un vero e proprio duello finale, dove in
palio viene posto il taglio finale dell’opera (final cut), la firma conclusiva
che permetterà al film finito e montato di essere pronto per la distribuzione
e lo sfruttamento.
Per evitare che il montaggio crei, o aggravi, la situazione di divario fra
autore e proprietario dell’opera occorre porre fin dal principio le
fondamenta per una successiva fase di equilibrio, pianificando ogni
movimento economico-finanziario e artistico, e sottoponendoli a un
controllo continuo da parte della produzione.
Pianificare significa essenzialmente:
• Progettare chi debba fare che cosa, come e quando debba farlo;
• Calcolare quanto ciò significhi in termini creativi e operativi;
(ne sono un esempio i già citati The rock e Armageddon, oltre che alla trilogia di Scream, scritta da Kevin Williamson
ma diretta da Wes Craven; non bisogna dimenticare, sempre scritti da Williamson, i thriller So cosa hai fatto e Incubo
finale (seguito del precedente), preparati a tavolino per la direzione di registi esordienti).
18
• Controllare in che modo e per quale via sia possibile l’equilibrio delle
componenti creative ed operative caratterizzanti l’opera ed il prodotto
audiovisivo
7
.
Dunque un’azione di pianificazione e controllo è necessaria per poter
evitare disguidi e perdite non solo economiche ma anche creative:
l’obiettivo è l’ottenimento del massimo equilibrio fra le due realtà, da
ottenere ottimizzando tutte le risorse che si hanno a disposizione; tuttavia la
condizione di riuscita di queste azioni prevede che la pianificazione e il
controllo da parte della produzione siano costanti per tutta la durata della
realizzazione dell’opera cinematografica.
Nella realizzazione di un film esistono, tuttavia, differenti momenti in cui le
esigenze creative prendono il sopravvento su quelle economiche, ma anche
momenti in cui risultano essere le esigenze economiche al centro
dell’attenzione: per la precisione il progetto di un film è definibile
essenzialmente come un momento creativo (sebbene uno sceneggiatore
possa scrivere avendo in mente il possibile lato economico del suo lavoro,
possiamo considerare questa fase come il vero e proprio concepimento
dell’opera
8
); la pianificazione, a sua volta, così come il successivo
finanziamento del film sono definibili come momenti operativo-economici;
il momento delle riprese non può essere altro che un momento puramente
7
Claudio Biondi, Controllo e pianificazione della produzione audiovisiva, op. cit. Pag. 20.
8
Inutile sottolineare come uno scrittore di best sellers di fama mondiale come Stephen King, ogniqualvolta si ponga
dinnanzi al foglio bianco per scrivere il proprio ultimo romanzo, abbia in mente già quali saranno i diritti di vendita
della sua opera, che diventerà film al 95%, facendo la gioia degli sceneggiatori non obbligati a estrarre dal cilindro una
storia nuova di zecca: in un solo caso King ha diretto egli stesso un lungometraggio basato su un suo racconto, non
riscontrando il favore né della critica né del pubblico (si tratta di Brivido, datato 1986).
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creativo, dove il regista sfrutta la sua abilità nel dirigere un numero
incredibile di professionisti allo scopo di dare vita alla sua “potenziale
creatura”; l’edizione è uno dei momenti più delicati della creazione
dell’opera, e proprio per questo è definibile come fase soprattutto creativa;
al contrario la fase della distribuzione risulta essere un momento economico
di fondamentale importanza, perché rappresenta il momento della verifica
dei proventi derivanti dalle vendite del film, susseguenti alla scelta della
campagna pubblicitaria legata alle strategie di marketing dell’azienda.
In queste differenti fasi creatività ed economia si ritrovano connesse,
intrecciate l’una con l’altra, anche a causa della mancanza di regolarità
sottostante all’alternanza dei differenti momenti della realizzazione del
film.
Pertanto una corretta pianificazione non solo creativa ma anche operativa
potrà creare i presupposti di un equilibrio finale fra volontà del regista e
bisogni del produttore se, e solo se, questa fase sarà accompagnata da un
controllo economico ed estetico costante, per mezzo del quale risulterà
possibile valutare l’efficacia e l’efficienza del lavoro svolto
9
.
9
Soltanto grazie alla fase di controllo regista e produttore possono verificare la corrispondenza fra obiettivi prefissati e
risultati raggiunti.