Cap. 1 Le aggregazioni di rete come modello di sviluppo
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Capitolo I
LE AGGREGAZIONI DI RETE COME MODELLO DI SVILUPPO
“Oggi le imprese di successo sono quelle che superano i propri limiti dimensionali per
raggiungere la massa critica necessaria a competere a livello internazionale e che puntano
sulle competenze e investono in innovazione. Crescere e accumulare competenze per
crescere, in un circolo virtuoso che si alimenta e rafforza costantemente”(Nardozzi, Paolazzi
2011, p.19)
1
.
Le nuove sfide della globalizzazione, che ha provocato la frammentazione geografica delle
filiere produttive e l’affermazione di imprese multinazionali come leader nella loro
governance, e le problematiche connesse all’attuale crisi economica hanno portato alla ribalta
il tema della collaborazione in rete fra imprese, sia individuali che collettive. In tale strumento
infatti le imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione che operano in sistemi produttivi
territoriali ad alta specializzazione, vedono una soluzione percorribile per rafforzare il proprio
posizionamento nei mercati esteri superando i loro vincoli dimensionali. In questo capitolo si
analizzeranno la nozione di “rete”, intesa come sistema di relazioni contrattuali e/o
proprietarie caratterizzate da un forte livello di interdipendenza produttiva e da relazioni
stabili, generalmente di natura fiduciaria, le sue caratteristiche distintive, i vantaggi e gli
svantaggi connessi all’impiego del modello reticolare e si ripercorreranno le principali
classificazioni del fenomeno elaborate dalla dottrina.
1. Gli accordi di rete: un’esigenza espressa dai nostri imprenditori
Secondo una recente indagine condotta da Fondazione Nord Est/Friuladria-Crèdit Agricole, su
un campione di circa 300 imprese del Triveneto
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, la maggior parte degli imprenditori ritiene
che, nell’attuale contesto competitivo, la ridotta dimensione di impresa rappresenti uno
svantaggio (52%) ed individua nei processi di aggregazione la miglior strategia per mantenere
una capacità competitiva nei mercati mondiali (68%). I soggetti intervistati ricorrono alle
alleanze con altre imprese per realizzare politiche di internazionalizzazione e posizionarsi
nelle filiere globali (21,6%), superare le barriere esistenti quando si entra in un nuovo mercato
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In CONFINDUSTRIA, a cura di, 2011. Costruire il futuro. PMI protagoniste: sfide e strategie. Roma: S.I.P.I
S.p.A.
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FONDAZIONE NORD EST, FRIULADRIA CREDIT AGRICOLE, 2012. Le aggregazioni a Nord Est.
Collana Panel n. 29, febbraio 2012.
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(19,6%), compensare l’inaccessibilità alle economie di scala tipiche delle dimensioni
maggiori (16,7%) e aumentare il livello di innovazione dei prodotti (9,9%), sia in termini di
diversificazione che di miglioramento degli stessi.
Emerge quindi la consapevolezza che la crescita della dimensione media delle imprese è una
priorità assoluta per il mantenimento della competitività dell’industria italiana dato che una
taglia troppo piccola non consente di gareggiare adeguatamente sui versanti
dell’internazionalizzazione e dell’innovazione, dove le imprese maggiormente strutturate sono
avvantaggiate in termini di economie di scala e di scopo. Tuttavia resiste ancora oggi una
certa diffidenza nei confronti dei processi aggregativi che può essere superata grazie a un
cambio culturale negli imprenditori (49%), che devono riuscire a vincere le resistenze a
condividere le informazioni e le strategie della propria azienda, all’introduzione e alla
sponsorizzazione di incentivi e sgravi fiscali (28,5%) e alla presenza di soggetti che
contribuiscano alla programmazione di progetti di aggregazione (39,5%).
Alle medesime conclusioni è giunta anche la ricerca condotta dall’Osservatorio Permanente
Confindustria Servizi Veneto
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su un panel di oltre 700 imprese, le quali hanno dichiarato che
oggi una piccola impresa per essere competitiva deve aggregarsi (69,6%) in modo da adottare
strategie più ambiziose, aumentare la professionalità, incrementare il livello tecnologico e
migliorare l’efficienza della struttura organizzativa; nonostante ciò però il 32% degli
intervistati non partecipa a nessuna forma di aggregazione e il 42% lo fa in modo arbitrario
ricorrendo a network informali. Analizzando il campione di aziende venete è emersa una
miglior performance economico-aziendale delle imprese “relazionate” rispetto alle micro e
piccole imprese autonome, riscontrabile sia nel medio termine che relativamente alla più
recente evoluzione congiunturale in termini di fatturato, occupazione ed esportazioni.
La necessità di ricorrere a forme di collaborazione e di alleanza fra imprese è affermata,
oltre che dagli stessi imprenditori, anche dall’Unione Europea secondo cui in un mercato
che cambia a livello mondiale, segnato da continui mutamenti e da pressioni competitive
sempre maggiori, saranno “le piccole e medie imprese [...] che ricorreranno a forme di
collaborazione a dare all’Europa il vigore per resistere alle incertezze generate dall’odierno
contesto globalizzato” (Commissione delle C.E. 2008, p.2). Questa considerazione è alla base
della principale iniziativa politica comunitaria per rafforzare la competitività e la crescita
delle PMI: lo “Small Business Act” per l’Europa
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(SBA), emanato nel 2008 e revisionato poi
3
CONFINDUSTRIA VENETO, 2011. Osservatorio sui servizi innovativi e tecnologici del Veneto. Collana
Osservatori n.147, febbraio 2011.
4
Comunicazione della Commissione “Pensare anzitutto in piccolo” (Think small first) – Uno “Small Business
Act” per l’Europa, COM (2008) 394.
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nel 2011. Lo SBA, recepito nel nostro ordinamento con la Direttiva del 4 maggio 2010
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, è uno
strumento che, mediante la definizione di dieci principi
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, promuove lo spirito imprenditoriale
e la crescita dimensionale delle PMI incentivando strategie differenziate di cooperazione.
2. Le aggregazioni aziendali
Con l’espressione “aggregazione di aziende” si intende ogni forma di collaborazione,
economica e non, tra aziende di qualsiasi categoria, di natura volontaria o obbligatoria, che sia
istituita e retta per il perseguimento di obiettivi di sviluppo comuni, coordinati e condivisi. Lo
scopo primario che viene perseguito mediante la costituzione di una qualsiasi forma di
aggregazione è quindi quello di accrescere il valore delle aziende coinvolte, obiettivo che si
traduce nel conseguimento di vantaggi economici, tecnico-produttivi, innovativi, manageriali
e/o di natura finanziaria. Le diverse tipologie di aggregazioni a disposizione degli
imprenditori possono essere classificate adottando il duplice criterio della formalizzazione
dell’accordo e della natura patrimoniale delle relazioni (ovvero l’esistenza o meno di
partecipazioni al capitale delle aziende partecipanti al complesso aggregativo), distinguendo
fra aggregazioni informali, aggregazioni formali non equity e aggregazioni formali di tipo
equity.
Le aggregazioni informali sono associazioni tra aziende che si costituiscono di fatto, senza
particolari relazioni o strutture convenzionali, attraverso la semplice messa in opera da parte
delle società coinvolte, di una relazione di collaborazione e di coordinazione avente ad
oggetto certe categorie di comportamenti o azioni dei soggetti aderenti. Si tratta situazioni in
cui manca un accordo formale, che assicurano una certa flessibilità nel rispondere alle
minacce e alle opportunità che provengono dall’ambiente esterno, ma allo stesso tempo sono
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Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri “Attuazione della comunicazione della Commissione U.E.
del 25 giugno 2008, recante: «Pensare anzitutto in piccolo», uno «Small Business Act» per l'Europa” (G.U. 23
giugno 2010, n.144 ) disponibile online all’indirizzo:
http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/statuto_imprese/DirettivaCDM_04052010.pdf
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I principi alla base dello “Small Business Act” sono i seguenti: I) imprenditorialità - dar vita a un contesto in
cui imprenditori e imprese familiari possano prosperare e che sia gratificante per lo spirito imprenditoriale; II)
seconda possibilità - far sì che imprenditori onesti, che abbiano sperimentato l’insolvenza, ottengano
rapidamente una seconda possibilità; III) pensare anzitutto in piccolo - formulare regole conformi a tale
principio, tenendo conto delle caratteristiche delle PMI quando si legifera; IV) amministrazione recettiva -
rendere le pubbliche amministrazioni permeabili alle esigenze delle PMI; V) appalti pubblici e aiuti di Stato -
facilitare la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici e usare meglio le possibilità offerte dagli aiuti di Stato;
VI) finanza - agevolare l’accesso delle PMI al credito e sviluppare un contesto giuridico ed economico che
favorisca la puntualità delle transazioni commerciali; VII) Mercato Unico – aiutare le PMI a beneficiare delle
opportunità offerte dal Mercato Unico; VIII) competenze e innovazione - promuovere l’aggiornamento delle
competenze delle PMI e ogni forma di innovazione; IX) ambiente - permettere alle PMI di trasformare le sfide
ambientali in opportunità; X) internazionalizzazione - incoraggiare le PMI a beneficiare della crescita dei
mercati.
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per loro natura instabili. Le aggregazioni informali sono a loro volta suddivise in tre categorie:
quelle fondate su legami tecnico-produttivi, quando la finalità dell’aggregazione risiede in
motivazioni riconducibili a interdipendenze di carattere produttivo tra le catene del valore
delle aziende coinvolte, quelle fondate su legami personali, quando lo scopo perseguito è di
tipo mutualistico-cooperativo e incentrato sul senso di responsabilità delle parti, e quelle
basate su legami finanziari, quando sono presenti relazioni di natura finanziaria e scaturenti
da apporti di capitale a titolo di credito talmente tanto elevati da far sì che il soggetto
erogatore influenzi l’azienda beneficiaria.
Le aggregazioni formali non equity sono invece forme di associazione caratterizzate dalla
presenza di un legame formale tra le aziende partecipanti, rappresentato da un contratto di
natura giuridica. L’esistenza di un contratto, disciplinato il più delle volte da norme
giuridiche, rende tali forme più stabili rispetto a quelle descritte in precedenza poiché riduce il
rischio di comportamenti opportunistici.
Infine, in presenza di accordi espliciti che prevedono l’acquisizione da parte di una o più
aziende di una parte del patrimonio di una o più imprese, si hanno le aggregazioni formali di
tipo equity che, per l’elevato grado di coesione e pervasività della relazione istaurata, hanno
il più delle volte carattere permanente. La principale forma di aggregazione formale su base
patrimoniale è rappresentata dai gruppi di imprese, che sono costituiti da una pluralità di
combinazioni economiche, ciascuna di pertinenza a soggetti giuridici distinti, posta in essere e
governata nell’interesse prevalente di un unitario soggetto economico.
Figura 1. Le principali forme di aggregazioni fra aziende.
AGGREGAZIONI
INFORMALI
AGGREGAZIONI FORMALI
NON EQUITY
AGGREGAZIONI FORMALI
EQUITY
1. Legami tecnico-produttivi:
Reti di sub-fornitura
Costellazioni
Distretti industriali
Associazioni in partecipazione
Contratto di affitto di azienda
Cartelli
Consorzi
Gruppi di acquisto o di vendita
Franchising
Joint Venture
Associazione temporanea tra
imprese
Gruppo economico di interesse
europeo (GEIE)
Contratto di Rete
…
Gruppi d’imprese
2. Legami personali:
Communities of Interests
Gentlemen’s Agreements
3. Legami finanziari
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3. La nozione economica di reti di imprese
Tra le varie modalità di aggregazione e di collaborazione interimprenditoriale descritte ha
assunto, negli ultimi anni, un’importanza decisiva il modello reticolare, al cui interno
rientrano le aggregazioni informali e le aggregazioni formali di natura non
patrimoniale
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.
La rete di imprese in senso economico può essere infatti definita come “una trama di relazioni
che connette entità istituzionalmente diverse senza intaccare l’autonomia formale e in assenza
di una direzione e di un controllo unitario […], un’organizzazione basata sulla cooperazione e
sul coordinamento tra imprese o altre organizzazioni che si trovano sotto condizioni di
interdipendenza” (Soda 1998, p.66).
Il modello reticolare rappresenta uno strumento di crescita alternativo alla crescita per linee
interne, a quella mediante operazioni di Merger & Acquisition e all’organizzazione in gruppi
societari, che, in ambito neo-istituzionale, si qualifica come ibrido fra mercato e gerarchia.
Nella letteratura economica infatti si chiamano “reti” tutte le forme di organizzazione della
produzione e di divisione del lavoro tenute insieme da legami deboli, cioè da legami
abbastanza elastici da non creare una gerarchia di dipendenza riconoscibile (come invece
accade nei gruppi), ma al tempo stesso abbastanza robusti e durevoli da non poter essere
semplicemente assimilati a rapporti di mercato tout court. Rientrano in questa categoria forme
di collaborazione molto differenti: la subfornitura, i gruppi di acquisto, i contratti di
outsourcing, le joint ventures, le ATI, i contratti plurilaterali di ricerca e sviluppo, i sistemi di
controllo di qualità lungo la filiera, il franchising, la concessione, le licenze di marchio, i
consorzi e così via.
Con l’affermarsi dell’economia della conoscenza si è cominciato a guardare alle reti come
forme di organizzazione della produzione che consentono a più operatori autonomi di
costruire e mantenere un legame stabile di condivisione delle conoscenze. In questo senso il
potenziale associato al network è notevolmente cresciuto poiché, accanto alle reti visibili e
formalizzate nei modelli giuridici, sono emersi i legami informali che danno comunque luogo
a forme stabili di condivisione della conoscenza che costituiscono importanti fonti di
apprendimento e di valore economico.
Per rete di imprese si intende quindi il fenomeno economico e giuridico in cui più
imprese, formalmente e giuridicamente distinte, anche concorrenti, agiscono in modo
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Secondo F. CAFAGGI, Il contratto di rete e il diritto dei contratti. I contratti, ottobre 2009, p. 915 “le reti di
imprese costituiscono una risposta all’esigenza di cooperazione in assenza di integrazione proprietaria. Esse
rappresentano uno strumento complementare al gruppo, caratterizzato invece da controllo proprietario e da
limitata o nulla indipendenza dei soggetti che vi appartengono”.