7
Introduzione
L‟attuale contesto economico, caratterizzato da mercati globali e dallo sviluppo di
nuove tecnologie, ha fatto si che lo stesso ruolo delle imprese venisse ripensato.
La necessità di concorrere in mercati mondiali ha spinto, infatti, le imprese a
ricercare elementi di novità e differenziazione, al fine di rispondere alle esigenze di
una domanda, standardizzata per taluni aspetti, ma differenziata per altri.
L‟innovazione tecnologica, ed in particolar modo la diffusione delle information and
communication technology, ha reso necessario un ripensamento della logiche di
produzione e commercializzazione dei prodotti. L‟innovazione tecnologica, sia come
prodotto sia come fattore propulsivo, sta alla base del cambiamento che le “catene
del valore” stanno vivendo; di fatto, oggi le filiere si trovano in un trade-off che vede
da una parte il soddisfacimento di esigenze di flessibilità e dall‟altro la necessità di
creare rapporti stabili.
In uno scenario di questo tipo le imprese fortemente integrate e gerarchizzate sono
entrate in crisi, sostituite da forme produttive più flessibili; infatti, la frammentazione
dei mercati e l‟internazionalizzazione delle filiere produttive hanno creato i
presupposti, affinché potessero nascere una serie di fenomeni di aggregazione tra
imprese, specialmente di piccole e medie dimensioni, con lo scopo di accedere ad
economie di scala e specializzazione.
La fine del sistema fordista e lo sviluppo di sistemi di specializzazione flessibile ha
implicato una rivalutazione del ruolo delle piccole e medie imprese, che da soggetti
scarsamente competitivi e irrilevanti per la crescita economica, sono diventate un
elemento fondamentale per la crescita delle economie nazionali. Il tema delle reti, in
tal modo, s‟intreccia, adesso, sovrapponendosi con quello della competitività delle
piccole imprese; tuttavia, la distinzione tra imprese inserite in una rete ed imprese
operanti individualmente va sospesa, poichè le debolezze ed i vantaggi di una forma
non necessariamente coincidono con quelle delle altre (Cafaggi, Reti d'Imprese tra
regolazione e norme sociali, 2004).
L‟importanza delle aziende di piccole e medie dimensioni nell‟economia, non solo
italiana ma anche europea, è testimoniata dai dati della Commissione Europea per le
8
Imprese e l‟Industria, i quali rilevano l‟esistenza di 23 milioni
1
di piccole e medie
imprese nell'UE, il 99,8% delle totale delle aziende europee, che assorbono i due
terzi dei posti di lavoro nel settore privato. La crescente attenzione non ha potuto che
riflettersi anche nelle politiche e negli incentivi della CE volti a migliorare la
competitività delle imprese riconoscendo ad esse un ruolo strategico nello sviluppo
del mercato europeo. Dallo studio del ruolo svolto dalle PMI nelle economie,
l‟attenzione si è spostata ai fenomeni di aggregazione tra esse; oggi la crescita delle
aziende è sempre più il frutto di accordi e collaborazioni interaziendali piuttosto che
di investimenti diretti.
Preso atto di questi fenomeni e nonostante siano stati fatti notevoli passi avanti nelle
politiche per le PMI
2
, la portata degli interventi normativi su scala europea rimane
ancora limitata, in quanto non viene regolamentato in maniera esaustiva il fenomeno
delle aggregazioni tra imprese.
In Italia, dove le reti sono state studiate e regolamentate soprattutto nella forma
particolare del distretto, il legislatore, prendendo atto del fenomeno aggregativo tra le
aziende, ha avviato, a partire dagli Anni Novanta , un percorso culminato con
l‟articolo 3, co. 4-ter, del d.l. 5/2009, convertito con la l. 33/2009, che istituisce la
nuova fattispecie del contratto di rete.
Tale provvedimento rappresenta una significativa novità nell‟ordinamento italiano,
ma anche europeo, in quanto si propone di dotare le imprese italiane di uno
strumento flessibile, capace, almeno nelle intenzioni del legislatore, di garantire al
contempo autonomia e interdipendenza tra le aziende; infatti, nonostante la norma
non regoli il fenomeno delle reti, come da molti auspicato, ma si limiti a creare una
nuova forma di coordinamento a disposizione delle imprese, rappresenta comunque
un‟apertura da parte del nostro ordinamento rispetto al fenomeno delle reti
d‟impresa.
La norma in questione, tuttavia, presenta una serie di criticità, che stanno ponendo
un freno alla diffusione di questa nuova fattispecie contrattuale; il limite sicuramente
più evidente della nuova normativa è rappresentato dal ristretto contenuto della
norma stessa, che si limita solamente a dettare un contenuto minimo obbligatorio,
1
Dati Eurostat: indicatori chiave per le imprese dell‟economia non finanziaria dell‟UE-27, 2005
2
Si veda ad esempio lo Small Business Act COM (2008) 394, 25 giugno 2008, disponibile nel sito
della Commissione Europea - Impresa e industria http://ec.europa.eu/enterprise/sme.
9
rinviando ad altre norme, soprattutto in materia di consorzi, il compito di regolare i
rapporti economico-giuridico.
In secondo luogo, tenendo conto della particolare struttura produttiva italiana, fatta di
imprese di dimensioni piccole o medie prive di risorse finanziarie e competenze
adeguate, il contratto di rete avrebbe dovuto essere lo strumento per creare
innovazioni tecnologiche di processo e prodotto, ma ad oggi, a causa dei tempi e
delle modalità per ottenere il riconoscimento di una rete, di fatto risulta essere più un
ostacolo che un vantaggio per l‟ottenimento di finanziamenti pubblici.
L‟obiettivo di questo lavoro è quello di verificare le criticità ed i vantaggi che la
scelta del contratto di rete comporta per le imprese; in particolare, si proverà ad
esaminare se effettivamente questo contratto potrà rappresentare una forma di aiuto
alle imprese e se una disciplina così povera finirà con l‟essere un freno alla
potenzialità di sviluppo dello strumento in questione.
Nella prima parte, chiarendo il legame sussistente tra distretto e rete, uno
sottoinsieme dell‟altra, si prederanno in considerazione le varie tipologie di reti;
prima, elencando i principali contributi classificatori, in seguito, individuando in
modo empirico le reti attualmente presenti in Italia. Successivamente, vengono
considerate le modalità attraverso le quali le aziende costituiscono una rete, sia sotto
l‟aspetto giuridico sia sotto quello economico, analizzando di ogni forma limiti e
vantaggi.
Nella seconda parte, si affronta nello specifico il contratto di rete, dapprima
analizzandolo sotto l‟aspetto giuridico ed in un secondo momento dal punto di vista
economico. In particolare, dopo aver delineato la normativa di riferimento della
nuova fattispecie contrattuale, verranno presi in considerazione due elementi
costitutivi del contratto di rete: il fondo comune e l‟organo amministrativo.
Nella terza parte, infine, vi è l‟analisi d‟applicazione dei primi contratti di rete in
Italia. I casi presi in esame riguardano due reti, una operante nel settore del
packaging emiliano, l‟altra nel settore petrolifero della Basilicata.
11
I - Le reti d’impresa
Introduzione
Le reti d‟impresa sono da almeno un ventennio uno dei principali temi della
letteratura economica; con la crisi del paradigma fordista negli anni Settanta il
dibattito scientifico si è più volte interrogato sulle potenzialità dei network tra
imprese come nuova forma organizzativa emergente.
Da più parti, le reti sono state considerate l‟unico modello in grado di prendere il
posto della grande impresa verticalmente integrata (Golinelli & Dezi, 1997; Rullani
E. , 2009), A.Chandler
3
affermava che la cooperazione tra imprese rappresenta uno
dei più fruttuosi e possibili percorsi di sviluppo del capitalismo moderno.
Il tema delle reti è stato analizzato da più punti di vista. Per esempio, sotto il profilo
dell‟Economia dei Costi di Transazione, del Marketing, della Strategia, delle Teorie
Organizzative e della Sociologia; tuttavia, ad oggi, non si è ancora pervenuti ad una
disciplina univoca e organizzata in materia. La stessa definizione di rete può essere
oggetto di più interpretazioni. Analogo discorso può essere fatto per quanto concerne
la classificazione delle reti d‟imprese; infatti, nonostante gli sforzi compiuti per
organizzare in modo sistematico il fenomeno, esistono diverse modalità per
classificare le reti, poiché costituiscono un fenomeno con caratteristiche e soprattutto
finalità piuttosto eterogenee fra loro (Provasi, 2003).
Una classificazione del fenomeno è quella che, all‟interno dell‟ampio insieme delle
reti, contrappone le reti territoriali da quelle non territoriali.
Il tema delle reti territoriali in Italia ha assunto notevole rilevanza grazie al fenomeno
dei distretti industriali; per questo motivo, una parte del capitolo prenderà in
considerazione questa particolare tipologia di rete, mettendo in evidenza l‟evoluzione
che essa sta attraversando.
Prima di trattare il tema delle reti d‟impresa, d‟altra parte, è necessario introdurre,
seppur brevemente, il fenomeno delle grandi imprese verticalmente integrate, noto
3
A. Chandler, “Scale and scope”: the dynamics of industrial capitalism”, Balknop Press, Cambridge
1990 .
12
anche come modello taylorista-fordista, fino agli anni Settanta il modello industriale
predominante nelle società occidentale. L‟assunto di base di tale modello era che,
attraverso la standardizzazione e l‟applicazione di criteri scientifici al processo
produttivo, fosse possibile ottenere alti volumi di produzione, che avrebbero
contemporaneamente soddisfatto produttori, consumatori e lavoratori (Volpato,
2006). Il modello, quindi, si caratterizzava per la presenza di una struttura
verticalmente integrata, per la produzione di massa e per l‟organizzazione scientifica
del lavoro.
Il paradigma fordista entra in crisi, peraltro, nel momento stesso, in cui non riesce ad
affrontare in modo efficace quattro problematiche, alle quali, al contrario, un
network può far fronte (Rullani & Romano, 1998):
1. la distribuzione del controllo all‟interno dell‟impresa: il fordismo, attraverso
l‟accentramento del potere decisionale, vuole eliminare la varianza e
l‟indeterminatezza dell‟ambiente che lo circonda. La rete cerca il
decentramento dei centri decisionali, al fine di rendere flessibile il sistema
agli stimoli esterni e non pianificabili ex-ante;
2. la produzione: nel passaggio alla rete si assiste ad una progressiva
dematerializzazione della catena del valore, nel cui ambito l‟attenzione si
sposta dagli elementi tangibili a quelli intangibili, come la conoscenza e le
competenze specifiche;
3. lo spazio: l‟impresa fordista era vincolata dallo spazio, essendo quest‟ultimo
un fattore dato. Con l‟avvento delle Information and Communication
Technology, le distanze si riducono fino ad eliminarsi;
4. la domanda: l‟integrazione verticale non riesce a far fronte ad esigenze non
più standardizzate, ma differenziate.
Questa serie di fattori di natura strutturale e congiunturale hanno determinano la crisi
e il fallimento del modello taylorista come paradigma produttivo dominante, poiché
non più in grado di rispondere alla crescente richiesta di flessibilità da parte del
mercato.
13
Perrow
4
, osservando il declino della grande impresa verticalmente integrata, mostra
come, a partire dalla seconda metà del XX secolo, iniziano ad affermarsi altre forme
organizzative, collocabili all‟interno di un continuum, che ha come estremi l‟impresa
a rete ed il mercato (Williamson, 1987)
Le reti tra imprese sono, dunque, il risultato di un duplice processo (Rullani E. ,
2009): da una parte la destrutturazione della gerarchia, e dall‟altra dalla costruzioni
di legami tra piccole imprese che inizialmente erano indipendenti. Ci sono, infatti,
reti che nascono dall‟esigenza di flessibilità delle grandi imprese verticalmente
integrate e ci sono reti nate per garantire stabilità e qualità dei rapporti tra piccole
imprese indipendenti.
1.1 Le reti d’impresa
Nonostante gli sforzi compiuti in letteratura per dare organicità al fenomeno,
esistono diversi approcci metodologici per lo studio delle reti, poiché esse
costituiscono un fenomeno con caratteristiche e finalità piuttosto eterogenee fra loro.
Come da più autori
5
osservato si è ancora lontani dalla creazione di una disciplina
consolidata sull‟analisi dei network d‟imprese. Della eterogeneità dei contributi ha
risentito anche la stessa definizione del concetto di rete. Il tema delle reti d‟impresa è
stato oggetto di ricerca in più filoni: Economia dei Costi di Transazione, Teorie
Organizzative, Sociologia, per citarne alcuni. Il problema definitorio è tutt‟altro che
un esercizio teorico. Esso si riflette, infatti, nell‟atto pratico, in quanto, in assenza di
un‟individuazione sufficientemente precisa e chiara del paradigma produttivo a rete,
risultano essere di difficile applicazione gli strumenti di politica industriale volti al
sostegno delle reti e all‟ individualizzazione della modalità di rete più congeniale a
ciascuna impresa.
4
Cfr Perrow C. (1992), „Small-Firm Networks‟, in Nohria, N. e R. G. Eccles (a cura di) Networks and
Organizations: Structure, Form, and Action, Boston, Massachusetts, Harvard Business School Press.
5
Cfr. Slancik, G. (1995), Wanted: a good network theory of organisation, Adminstrative Science
Quarterly, 40, p. 345-49; Soda G. (1999), Reti tra imprese: modelli e prospettive per una teoria del
coordinamento, Carocci Editore, Roma
14
La letteratura in materia di reti d‟impresa prende avvio da un famoso saggio di
Ronald Coase
6
, nel quale l‟autore indaga sulla natura delle imprese, mettendo in luce
come impresa e mercato siano strutture alternative per il coordinamento della
transazioni. Nel saggio in questione, Coase, ponendosi la domanda sul perché
dell‟esistenza delle imprese gerarchicamente integrata, individua la ragione della loro
esistenza nei costi di utilizzo del mercato per le transizioni tra soggetti; infatti
un‟azienda che si trova ad acquistare nel mercato fattori produttivi, si trova di fronte
ad una serie di costi aggiuntivi legati all‟incertezza del mercato, all‟opportunismo,
alla ricerca delle informazioni e alla realizzazione di transizioni che possono portare
al fallimento del mercato. L‟impresa, secondo Coase, oltre ai costi produttivi,
sostiene dei costi di transizione e, mentre i primi sono dati, i secondi possono essere
ridotti scegliendo la forma di governo che li minimizza. Nella visione economica
classica, invece, mercato e impresa svolgono due funzioni complementari: l‟impresa
si occupa della produzione di beni, mentre il mercato della loro distribuzione e
dell‟approvvigionamento di materia prima.
Il lavoro di Coase segna un punto di rottura rispetto all‟idea tradizionale di impresa,
non considerandola più una semplice funzione produttiva che trasforma gli input in
output, una black-box che non è possibile indagare dall'interno, ma definendola come
una struttura di governo.
Partendo dal contributo di Coasel, Olivier Williamson
7
sviluppa una teoria nella
quale si riconosce all‟impresa la funzione di coordinamento dell‟attività economica,
non in alternativa ma a completamento di quella di produzione (Provasi, 2003).
Secondo questo approccio, alla base degli scambi economici vi sono le transizioni e
dunque le forme organizzative devono essere valutate in funzione alla
minimizzazione dei costi di transizione. Williamson individua in razionalità limitata,
opportunismo ed incertezza quei fattori che, influenzando i costi di transazione sul
mercato, spingono le imprese a scegliere se gestire o meno internamente alcune
attività. In questo contesto la forma ibrida, qualora i costi di adozione di essa siano
6
Il saggio in questione è The Nature of the Firm pubblicato nel novembre del 1937 (Economica,pag
386).
7
O. Williamson, “The vertical integration of production: market failure considerations”, American
Economic Review, n. 2/1971, pag. 112.O. Williamson, “Market and hierarchies: analysis and
antitrust implications”, The Free Press, New York, 1975.
15
inferiori a quelli del mercato e a quelli della gerarchia, risulta essere la scelta più
conveniente.
Il contributo di Williamson per lo studio delle reti è di fondamentale importanza in
quanto esso introduce il concetto secondo il quale accanto a forme pure di governo
delle transizioni, come la gerarchia e il mercato, vi è la presenza di forme intermedie
ed ibride; esiste cioè un continuum di forme di governo i cui estremi sono
rappresentati da mercato e impresa.
Dalla teoria dei costi di transizione, la dottrina
8
ha ricavato che:
1. mercato e impresa sono gli estremi di un continuum nel quale vi sono svariate
forme di coordinamento intermedio che non possono essere identificate in uno
dei due poli;
2. le imprese si organizzano per sfruttare interdipendenze e sinergie al fine del
raggiungimento di un obiettivo comune e per beneficiare di opportunità offerte
dall‟integrazione.
Il concetto di rete è estremamente eterogeneo, potendosi configurare in una
molteplicità di forme di coordinamento, talvolta più vicine all‟ idea di grande
impresa verticalmente integrata talvolta a quella di mercato; tuttavia il contributo
neo-istituzionalista legato ai costi di transizione fornisce una prima definizione di
rete: è rete tutto ciò che non è né mercato né gerarchia.
Un ulteriore approccio allo studio dei network è l‟approccio relazionale, dove la rete
è identificata dall‟ “ispessimento” delle relazioni e dalla cui intensità dipendono le
caratteristiche della rete stessa. A tal proposito Mark Granovetter
9
critica la teoria di
Williamson, asserendo che essa non tiene in dovuta considerazione le relazioni
sociali esistenti tra gli attori, e propendo, quindi, una spiegazione del fenomeno dei
network attraverso il concetto di “embeddedness”, dove l‟elemento cardine sono le
relazioni tra persone e le strutture di tali relazioni. I comportamenti opportunistici,
8
Provasi R., Il sistema evoluto delle reti d’impresa: le reti oloniche Working Paper, Dottorato in
Economia Aziendale, Università di Pavia, 2003, pag. 5.
9
Il pensiero dell‟autore è contenuto in M.S. Granovetter, Economic action and social structure. The
problem of embeddedness, American Journal of Sociology, 1985; traduzione italiana: Azione
economica e struttura sociale. Il problema dell'embeddedness, in M. Magatti (a cura di), Azione
economica come azione sociale, Angeli, Milano, 1991
16
secondo l‟approccio socio-economico, sono radicati non solamente nel mercato ma
anche nella gerarchia, in quanto le relazioni non possono essere spiegate in termini
solamente economici ma anche sociali. Sono le relazioni personali tra i diversi
soggetti a generare fiducia, fungendo in tal modo da collante tra i vari soggetti e
riducendo i comportamenti opportunistici. La visione proposta da Granvovetter si
differenzia sia dalla visione neoclassica, che vede nelle associazioni tra imprese una
forma collusiva e quindi un problema da eliminare, sia da quella della teoria neo-
istituzionalista, che banalizza la rete come ad un semplice forma organizzativa volta
a ridurre i costi di transizione.
Un ulteriore punto d‟analisi è quello organizzativo-manageriale, che identifica una
serie di fattori che permettono di parlare di rete come una forma di governo con
caratteristiche ben definite, non più una forma di gestione delle transizioni sub-
ottimale ma un modo altrettanto ottimale di gestione dei rapporti tra soggetti: "When
the items exchanged between buyers and sellers possess qualities that are not easily
measured, and the relations are so long-term and recurrent that it is difficult to speak
of the parties as separate entities ... such an arrangement is neither a market
transaction nor a hierarchical governance structure, but a separate, different mode of
exchange, one with its own logic, a network." (Powell, 1990, p. 300).
Dalla tabella seguente si osserva che la rete è una modalità di coordinamento
dell‟interdipendenza diversa sia dalla gerarchia che dal mercato, in quanto ha
attributi specifici che non necessariamente sono una mitigazione di quelli delle
imprese o dei mercati, attributi che in diverse modalità e intensità possono
presentarsi anche in imprese e mercati.