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INT RO D U Z IO N E
Il presente lavoro si prefigge di analizzare, non solamente da un punto
di vista normativo ma anche dottrinale e giurisprudenziale, un
argomento di grande attualità ed interesse, ovverosia il contratto di
noleggio.
Procedendo con ordine, si esordirà soffermandosi sul leasing,
qualificabile come il contratto attraverso cui il “lessor” concede al
“lessee” il godimento di un bene – mobile o immobile – per un
determinato termine e verso un pagamento rateale.
Dopo aver approfondito la sua evoluzione normativa, si osserverà
come tale contratto si perfezioni con il conferimento dal proprietario
concedente all’utilizzatore della detenzione autonoma qualificata del
bene.
In merito, non ci si esimerà dal porre in risalto che l’effettiva consegna
del bene ad opera del fornitore sia un mero adempimento di
un’obbligazione gravante su quest’ultimo.
Saranno altresì esaminati la risoluzione del contratto di leasing ed il
c.d. “sale and lease back”, espressione che si riferisce ai rapporti in
cui un imprenditore vende un proprio bene ad un’azienda di leasing
che lo lascia, però, in locazione allo stesso venditore, assegnando un
diritto di riscatto dopo un dato lasso di tempo.
Il secondo capitolo della tesi avrà ad oggetto, invece, il leasing ed il
noleggio.
Al riguardo, si noterà che, sebbene il noleggio fosse già previsto nel
6
codice del commercio del 1882, non è un contratto tipizzato dal codice
civile.
Riferimenti ad esso sono presenti, però, sia nel codice della
navigazione che in altre leggi speciali.
Si approfondiranno poi tanto l’attività di impresa del noleggio quanto
il cosiddetto full rent.
Nel terzo capitolo l’attenzione sarà rivolta al noleggio così come
disciplinato dalle previsioni normative di cui agli artt. 384 – 395 del
Regio Decreto 30 marzo 1942, n. 327.
Si sottolineerà anche come sia molto pure il noleggio di una unità da
diporto ai fini del compimento di un viaggio, nonché il noleggio di un
aeromobile.
Infine, l’ultima parte dell’elaborato sarà dedicato al noleggio di veicoli
per il trasporto di cose, al noleggio a viaggio con e senza conducente,
al bike sharing ed al car sharing.
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CAPITOLO PRIMO
IL CONTRATTO DI LEASING
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO
ITALIANO TRA LEGISLAZIONE,
DOTTRINA E GIURISPRUDENZA
1.1 Il leasing: il concetto e l’evoluzione della sua disciplina legislativa
Il leasing
1
è il contratto con cui una parte (generalmente definita
“concedente”, “lessor” o “locatore”) concede all’altro contraente
(qualificato come “utilizzatore”, “concessionario”, “lessee” o
“conduttore”) il godimento di un bene - mobile o immobile - per un
intervallo temporale specifico e verso un pagamento rateale.
Il concedente propone all’utilizzatore, una volta pervenuti alla
scadenza del contratto, quattro differenti possibilità, ovverosia:
a) procedere alla restituzione del bene concesso in
locazione;
b) domandare e conseguire una rinnovazione del
contratto, corrispondendo un canone
considerevolmente ridotto;
c) esercitare l’opzione di acquisto del bene mediante il
1
G. DE NOV A, Leasing, in Digesto, 1993, p. 462 ss.
8
versamento della cifra restante;
d) domandarne la sostituzione con un altro bene di
migliore utilizzazione
2
.
Negli anni il leasing è stato oggetto di uno sviluppo e di una
diffusione sempre maggiore
3
, soprattutto in ragione delle agevolazioni
2
In tali termini, D. BECCARI, Orientamenti sul leasing, in Corr. giur., 2018, p.
697 ss.
3
G. FICHERA, Le sezioni unite e il leasing trent’anni dopo, in Fallimento, 2021,
p. 791 ss., osserva che: “Il leasing o locazione finanziaria, come negozio di origine
anglosassone impostosi in Italia negli anni sessanta del secolo scorso, non ha mai
trovato una sua collocazione nel Titolo III del IV libro del codice civile del ‘42
dedicato alla disciplina dei “singoli contratti”, né, per lungo tempo, nella
legislazione speciale; e tuttavia, per la sua ampia diffusione nella prassi
commerciale, ha sempre suscitato un vivo dibattito in dottrina e una vasta
produzione giurisprudenziale, sia di merito che di legittimità. Per comprendere
meglio la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione del 2021 qui in commento,
è forse utile ripercorrere le tappe fondamentali di quel percorso giurisprudenziale
che si è sviluppato intorno al nodo della regolamentazione concreta di questo
negozio “social tipico”. Ora, va ricordato che ad un primo orientamento della
Suprema Corte, teso a configurare unitariamente il leasing finanziario,
considerandolo soggetto all’applicazione analogica della disciplina generale del
contratto, seguì, a partire dalla fine degli anni ‘80 del ventesimo secolo, un nuovo
filone impostosi tra i giudici di legittimità, che distinse nell’ambito di quello
finanziario due diverse figure contrattuali, usualmente denominate una leasing
traslativo e l’altra di godimento: la prima caratterizzata dall’intento di trasferire il
bene oggetto del negozio in favore dell’utilizzatore, pattuendone le parti un valore
residuo apprezzabile alla scadenza del rapporto; la seconda, invece, incentrata sulla
funzione di finanziamento a scopo di godimento del bene medesimo. In particolare,
la Suprema Corte puntualizzò che quando il rapporto contrattuale fosse stato
preordinato al trasferimento del bene, perché alla sua scadenza conservava ancora un
apprezzabile valore residuo superiore al prezzo d’opzione, nel caso di sopravvenuta
risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, dovesse trovare
applicazione analogicamente l’art. 1526 c.c., in tema di vendita con riserva di
proprietà; con il risultato di attivare un meccanismo che prevedeva una doppia
restituzione: il bene ritornava al concedente, mentre i canoni già versati dovevano
essere rimborsati all’utilizzatore, salvo il diritto del primo ad ottenere un equo
compenso per l’uso della cosa. Questo indirizzo trovò poi il suo suggello con una
notissima pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte del 1993, seguita in
maniera “granitica” da tutta la successiva giurisprudenza delle sezioni semplici; del
dettato dell’art. 1526 c.c. venne pure sancita la natura inderogabile, al fine evidente
di neutralizzare le previsioni contrattuali eccessivamente favorevoli al concedente.
Era del resto opinione diffusa che la bipartizione tra i due tipi di leasing trovasse la
propria ragion d’essere nella finalità di evitare una locupletazione del concedente,
per via delle clausole contrattuali usualmente inserite nei contratti tipo, che, in caso
9
fiscali previste per questa tipologia contrattuale rispetto ad acquisti
diretti senza il ricorso a nessun finanziamento.
Solitamente, in una prospettiva meramente fiscale, la durata minima
del contratto in disamina non può essere inferiore ai 24 o 36 mesi
della vita utile del bene, adoperando quale modello di riferimento le
tabelle ministeriali di ammortamento in uso per le svariate attività
economiche.
Di conseguenza, innanzi ad uno scarico fiscale maggiormente
ravvicinato rispetto al consueto invecchiamento del bene, il locatario
ottiene un maggior onere detraibile dal reddito complessivo,
conseguendo così un risparmio di imposta
4
.
Non rientrano nel principio anzidetto i veicoli la cui durata
contrattuale non è inferiore ai 4 anni e le unità immobiliare la cui
durata contrattuale è minimo di 18 anni.
La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ricondurre i rapporti
di leasing alla categoria dei contratti atipici, quali manifestazione
dell’autonomia negoziale privata di cui all’art. 1322 c.c.
5
, poiché non
di inadempimento dell’utilizzatore, generalmente escludevano il suo diritto alla
ripetizione dei canoni pagati, obbligandolo, a titolo di penale, al pagamento di quelli
ancora dovuti secondo l’originario programma negoziale”.
4
Così D. BECCARI, Orientamenti sul leasing, cit., p. 697 ss.
5
A. CIAN – G. TRABUCCHI, Sub art. 1322 c.c., in Commentario al codice civile,
in www.pluris-cedam.utetgiuridica.it, 2022, p. 1 ss., rilevano che: “Il 2° co.
costituisce il fondamento positivo della c.d. libertà di concludere contratti atipici,
che in materie particolari è variamente limitata dalla legge (es., l’art. 2249 configura
la tipicità e il numero chiuso dei contratti di società; la L. 3.5.1982, n. 203 in materia
di contratti agrari, esclude l’utilizzabilità di tipi contrattuali diversi dall’affitto di
fondo rustico, allo scopo di realizzare lo scambio tra il godimento di un fondo
rustico e un canone). Ai fini della definizione del contratto atipico non rileva la
limitata frequenza della sua stipulazione o la peculiarità del suo oggetto, ma solo
l’elemento negativo della non rispondenza a nessuno degli schemi predisposti dal
legislatore. Il contratto atipico pone all’interprete il problema (per altro non diverso
da quello che pone il contratto tipico) del controllo della sua causa concreta la quale
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specificatamente regolamentati dal codice civile fra le fattispecie
negoziali tipiche.
Le citate figure contrattuali hanno rinvenuto nel tempo un
ragguardevole impiego tanto ad opera delle aziende quanto dei
consumatori, rivestendo ruolo rilevante nell’economia nazionale ed
internazionale
6
.
non deve violare i limiti generali imposti all’autonomia privata e deve essere
socialmente meritevole di tutela. La libertà di concludere contratti atipici
comprende, altresì, la libertà di combinare schemi legislativi diversi. Si reputa,
inoltre, che questa libertà non riguardi i soli contratti, ma anche gli atti unilaterali,
giacché escludere tale possibilità equivarrebbe a generalizzare un principio posto
peculiarmente per le promesse unilaterali dall’art. 1987. Le parti, pur potendo
concludere contratti innominati non sono libere di autoregolamentare qualsivoglia
assetto dei loro privati interessi giacché l’ordinamento consente loro di perseguire
funzioni pratiche che abbiano una utilità sociale e non il mero capriccio o l’arbitrio
individuale. Esse non possono perseguire un interesse che non risponde ad alcuna
delle funzioni (cause) ammesse dalla coscienza sociale, o che contrasti con i principi
riconosciuti dall’ordinamento”.
6
Si pensi, al riguardo, alla Convenzione UNIDROIT di Ottawa del 1998 sul
leasing finanziario internazionale, il cui art. 1 prevede che: “La presente
Convenzione disciplina l’operazione di leasing finanziario descritta al paragrafo 2,
nella quale una parte (il concedente) a) stipula un contratto (il contratto di fornitura),
sulla base delle indicazioni di un’altra parte (l’utilizzatore), con un terzo (il
fornitore) in base al quale il concedente acquista impianti, materiali o altri beni
strumentali (il bene o il bene strumentale) alle condizioni approvate dall’utilizzatore
nella misura in cui lo concernono, e b) stipula un contratto (il contratto di leasing)
con l’utilizzatore dando a quest’ultimo il diritto di usare il bene contro pagamento di
canoni. L’operazione di leasing finanziario, di cui al paragrafo precedente, è
un’operazione che presenta le seguenti caratteristiche: a) l’utilizzatore sceglie il bene
ed il relativo fornitore senza fare primario affidamento sulla capacità di giudizio del
concedente; b) il bene è acquistato dal concedente in collegamento con un contratto
di leasing, stipulato o da stipulare tra concedente ed utilizzatore e di cui il fornitore è
a conoscenza; c) i canoni fissati nel contratto di leasing sono calcolati tenendo conto
in particolare dell’ammortamento di tutto o di una parte sostanziale del costo dei
bene. La presente Convenzione si applica a prescindere dalla circostanza che
l’utilizzatore abbia o meno, fin dal principio o in seguito, l’opzione di acquistare il
bene o di prorogare il leasing per un periodo ulteriore ed a prescindere dal fatto che
tale opzione possa essere esercitata per un prezzo o per un canone nominali. La
presente Convenzione si applica ad ogni operazione di leasing concernente ogni
bene strumentale ad eccezione di quelli usati dall’utilizzatore essenzialmente per usi
personali, familiari o domestici”.