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Premessa
Nella mezzadria il concedente ed il mezzadro, in proprio e quale
capo di una famiglia colonica, si associavano per la coltivazione di un
podere e per l’esercizio delle attività connesse al fine di dividerne i
prodotti e gli utili. La legge del 15 dicembre 1964, n. 756, vietò, a
datare dal 23 settembre dello stesso anno, la stipulazione di nuovi
contratti di mezzadria; da quel momento in poi, la divisione dei
prodotti e degli utili del fondo si sarebbe effettuata assegnando al
mezzadro una quota non inferiore al 58%.
Con la riforma agraria degli anni sessanta del XX secolo, quindi, si
abroga un istituto plurisecolare come la mezzadria, un’istituzione
giuridica e, più estesamente, un metodo di produzione agricola, se non
anche uno stile di vita, che nel corso di quasi un millennio aveva
forgiato e finanche plasmato un territorio; un fenomeno giuridico e
sociale, al contempo, che è rimasto, sino all’alba della moderna civiltà
industriale, l’asse portante dell’economia ma, soprattutto la risposta
primaria al fabbisogno alimentare di un’intera società. La mezzadria
ha rappresentato un contribuito determinante allo sviluppo
economico-sociale delle realtà urbane dell’Italia, ed in particolar
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modo della Toscana, del XIII e XIV secolo, attraverso le nuove classi
dirigenti, che in essa hanno appunto investito. Mi sia concesso di
pensare che la mezzadria ha letteralmente “nutrito” un’intera civiltà,
nel momento del suo fiorire e all’apice del suo massimo splendore.
Ho scelto quindi una tesi di storia agraria poiché mi è sembrata
un’ottima opportunità, appunto, per guardare alla storia da
un’angolazione diversa. Un’angolazione che inquadrasse la cosiddetta
“piccola storia”, che poi piccola non è assolutamente, visto che solo
essa può dare la vera cifra del terreno su cui poggia quella cosiddetta
“grande”, le cui tessere che la compongono sembrerebbero le uniche
degne di fregiarsi del titolo di eventi, relegando la vita, quella vera,
nell’ombra di una quotidianità non meritevole di essere raccontata. La
storia dell’umanità che ne uscirebbe, se così fosse, sarebbe solo una
lunga descrizione di avvenimenti che ci direbbero infine poche cose
sulla conoscenza dell’uomo nel corso del suo cammino storico. Fino a
non molti anni fa l’agricoltura è stata sicuramente l’attività umana più
diffusa nelle varie società presenti ai quattro angoli della terra, e anche
quei ceti che non potevano essere collegati direttamente ad essa ne
furono sicuramente condizionati, seppur con sfumature molto diverse
a seconda dei casi, per il semplice motivo che quella rappresentava il
settore vitale all’interno di società legate fortemente alla natura ed ai
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suoi capricci. Non bisogna scordarsi che l’agricoltura è stata uno degli
strumenti che hanno contribuito a fare dell’uomo un essere
assolutamente distinto su questo pianeta; un essere in grado di
controllare la natura ed affrancarsi in qualche modo da essa, seppur
lentamente, e porre le basi per “l’invenzione” del commercio prima e
dell’industria poi, attorno o dentro le città, in una crescente
emancipazione dalla natura stessa che ancor oggi molte persone
avvertono come segno distintivo dell’uomo “civile”. Ecco il perché
dell’agricoltura come interessante angolazione da cui osservare
l’uomo, ed ecco perché la rivoluzione neolitica che introdusse
l’agricoltura come stile di vita e di produzione non dovrebbe essere
mai relegata in un piano inferiore rispetto a quella “illuminata” e
progredita della rivoluzione industriale dei tempi a noi più vicini.
Ma nel titolo di questo mio lavoro non parlo di agricoltura in
generale, bensì di mezzadria; cioè di quella particolare formula
giuridica, di quella particolare organizzazione economica-sociale,
potremmo dire culturale in senso lato, che ha rappresentato il più
diffuso modo di fare e vivere l’agricoltura all’interno di una
determinata area, come quella della Toscana centro-settentrionale,
appunto, nel corso di molti secoli e che, in qualche modo, ha sorretto
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la crescita delle città ed inciso profondamente la fisionomia delle
nostre campagne.
Tale contratto si diffonderà prevalentemente in quella che può
appunto essere definita area mezzadrile, per quanto concerne la forte
presenza di tale contratto al suo interno almeno fino al secondo
dopoguerra, area comprendente Toscana, Umbria, Marche e parte
della Romagna. Esso sarà poi nei secoli seguenti lo strumento capitale
adottato dalle singole città sui rispettivi contadi, principale forma di
rapporto contrattuale contadino-padrone e tipologia gestionale dei
poderi preferita nelle campagne delle regioni sopra indicate.
Il contratto mezzadrile, al di là delle sue varianti localistiche che
non inficiano le sue peculiarità basilari, rappresenta l’evoluzione dei
vari contratti di colonìa, tramite i quali si realizzò quel processo di
riconquista delle campagne, specchio della rinascita urbana tipica del
periodo basso medievale. Per ovvie necessità di approvvigionamento
alimentare, infatti, man mano che le città si ingrandivano, queste, per
sopperire in primis al fabbisogno alimentare, estendevano il loro
dominio su porzioni di terreni sempre più ampie, dilatando il proprio
potere su un contado, il cui confine era diametralmente sempre più
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distante dalle mura urbane. Le campagne venivano quindi lentamente
ripopolate e strappate alla decadenza alto-medievale,
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secondo le
direttive della città di pertinenza.
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Questo processo di “riconquista” non inizia nel tardo basso
medioevo ma secoli prima, tramite contratti come l’enfiteusi. Fin
dall’alto medioevo, infatti, si innesca un lento meccanismo di
parcellizzazione delle grandi proprietà fondiarie in mano ad abbazie,
chiese o feudi. Solo dall’ XI secolo in avanti, però, tramite questi tipi
di contratti e non solo, si vedrà in seguito, si andrà definendo una vera
e propria corsa alla terra che è caratteristica del tempo e di tutta
Europa. Tramite tali contratti le grandi istituzioni proprietarie di fondi
che non erano in grado di controllare direttamente, li concedevano
“ad meliorandum” per lunghi periodi, che spesso includevano più
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Ecco perché mi è sembrato necessario, se non indispensabile, un accenno, se pur breve, a quelli
che, secondo le maggiori correnti storiografiche, sono stati i caratteri peculiari della società feudale
dell’Alto Medioevo come ho fatto nel seguente capitolo.
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Questo è ovviamente uno schema molto generico per illustrare brevemente le linee capitali di un
processo ben più complesso. Quando parlo della politica di “conquista” di un contado da parte di
una città, non si deve certo pensare solo ad un’entità politica assolutamente omogenea che agisce
compattamente verso l’obiettivo fissato. Il dominio urbano sulla campagna si realizza più
verosimilmente tramite due tipologie di azioni. La prima, che potremmo chiamare istituzionale,
portata avanti da un governo cittadino che disciplina ed orienta le azioni dei singoli (basti pensare
all’impulso dato nel tempo dalle città alla creazione dei catasti, al fine di rendere più chiara la
situazione delle varie proprietà). Le azioni individuali rappresentano poi la seconda tipologia,
apparentemente più “disordinata”, per chi voglia coglierne l’indirizzo, in quanto dettata
dai singoli interessi. Sono anche queste, e forse soprattutto, le azioni concrete che determinano il
flusso dell’agire cittadino sulle campagne, al di fuori di una linea unilateralmente logica
(comunque non sempre al suo interno) e all’interno invece di un mondo definito da interessi
spesso contrastanti e particolaristici.
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generazioni, o addirittura in perpetuo, dietro pagamento di un canone
che poteva essere anche in natura. Le proprietà andavano così
smembrandosi e, all’interno di una economia sempre più monetizzata
e cittadina, il sistema sociale, economico e politico cambiava come
cambiava la fisionomia di un mondo sempre più antropizzato. Siamo
in piena rivoluzione commerciale e urbana, queste le due definizioni
con cui spesso gli storici indicano questo periodo di forte fermento
economico, che traghetterà poi l’Europa, consentendo il nascere della
temperie umanistica, dal medioevo al Rinascimento.
Anche se gli storici più attenti a ricostruzioni il più verosimili
possibili, mettono giustamente in guardia dal creare svelte e facili tesi
interpretative troppo lineari, che mal si adattano alle vite reali degli
uomini succedutisi sul palcoscenico storico, mi sembra lecito
affermare che il basso medioevo, prima della grande depressione
trecentesca, possa essere schematizzato come una vittoria della città e
del suo sistema economico-culturale e giuridico su quello curtense
feudale. Sintesi lecita solo laddove il lettore ne tenga conto come di
una tendenza dietro la quale è normale scorgere riflussi, soste,
accelerazioni tipiche dell’agire umano.
Sono secoli in cui si affaccia nelle piazze delle città “gente nuova”
che costruisce patrimoni. La rivoluzione commerciale crea anche il
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signore-mercante, ma è del tutto ragionevole pensare che il
trasferimento delle terre abbia interessato più vasti strati di
popolazione. Questa conquista si realizza con la sistematica
acquisizione di fondi concessi in enfiteusi. Questi erano spesso terre
disagevoli o addirittura foreste, vere e proprie “res nullius”. Ecco il
perché dell’obbligo del miglioramento: infatti, si trattava al principio
di vere e proprie opere di disboscamento e poi di messa a
coltura. I singoli terreni venivano per lo più concessi a persone che
risiedevano in città e che non coltivavano direttamente la terra. Questi
“imprenditori” parcellizzavano a loro volta le terre avute in enfiteusi
(o con altro contratto quale il livello) e le affidavano a dei veri e propri
agricoltori-pionieri tramite il contratto di pastinato-parzionaria.
Questo contratto prevedeva che il contadino ponesse a coltura
(pastinare, appunto) la terra avuta in concessione e una volta
trasformata in podere,
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questo veniva diviso in due parti
uguali, una al colono che diventava piccolo proprietario diretto
coltivatore e una all’”imprenditore” che diventava proprietario non
coltivatore residente per lo più in città. La parte di questi veniva
quindi affidata ad un colono, che poteva essere il contadino
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Ossia in un terreno atto ad essere lavorato, con i suoi fossi da tenere sempre efficienti, gli alberi
da legna e da frutto, e in generale tutte quelle componenti produttive necessarie al mantenimento e
sfruttamento del fondo.
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pastinatore stesso, con un contratto di colonìa parziaria. Questo
contratto prevedeva che il colono, non proprietario della terra che
coltivava, lavorasse il fondo avuto in concessione e desse una parte
del raccolto al padrone;
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il contadino era inoltre gravato da diversi
oneri e imposte dovute al concedente.
Eccoci quindi al contratto da cui deriverà quello più propriamente
detto di mezzadria classica definito a inizio capitolo, non corretto
dagli elementi distorcenti della colonìa parziaria almeno nelle sue
forme iniziali; con un impegno globale della famiglia del mezzadro e
la presenza fissa di questa sul podere da lavorare.
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Riassumendo quindi, dalla riconquista di terre coltivabili al mondo
forestale e curtense da parte delle città vengono a crearsi due tipologie
di proprietà agraria: quella piccolo coltivatrice non più servile, che
avrà poca diffusione, in quanto si frantumerà o tenderà a spostarsi e a
rimanere relegata nei fondi meno agevoli e produttivi, e la proprietà
facente capo a persone residenti per lo più in città, le quali ricorrono a
coloni disposti a risiedere stabilmente sul fondo. Sarà quest’ultima la
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Si parlerà di colonìa al terzo, al quarto , al quinto, ora a vantaggio dell’una o dell’altra parte
contrattuale.
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Ancora una volta, tuttavia, quando si parla di uomini, è bene mettere in guardia da schematismi
troppo veloci. Dunque, anche illustrando l’affermarsi e l’evolversi della mezzadria, bisogna usare
le dovute cautele e non dimenticare che, come fa notare G. Giorgetti in un suo studio specifico sui
contratti agrari, data una forma di contratto, “parlare di tipicità è poi particolarmente pericoloso
[…], poiché la loro veste giuridica e il loro contenuto economico sono sempre stati piegati dagli
uomini, con fantasia inesauribile, alle esigenze e alle situazioni più disparate, fino a dar vita a
forme ibride e particolarmente complesse, attraverso le quali la ricchezza della realtà si prende
gioco di ogni schema scolastico.”
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forma di proprietà maggiormente diffusa, nella quale i vari contratti di
conduzione colonica adottati in origine si uniformeranno, come detto,
nel contratto di mezzadria di derivazione toscana. Si parlerà poi, in
relazione a tale punto, della mezzadria come strumento cittadino
tramite cui si realizza l’opera di “bonifica” della servitù curtense,
decretandone la morte, e di smantellamento, più in generale,
dell’ordine feudale, ma anche della scomparsa di uomini
completamente liberi su terra di proprietà altrui. Il mezzadro e la sua
famiglia con lui obbligata, dovevano infatti risiedere stabilmente sul
fondo coltivato, e la stessa struttura familiare era condizionata
dall’imperativo della massima efficienza nel rapporto braccia-
bocche-ettari. A queste non piccole imposizioni si aggiungeranno nei
secoli degli obblighi nei confronti del padrone dal sapore purtroppo
semi-feudale che snatureranno l’originale natura del mezzadro come
colono socio del concedente, relegandolo sempre più in una posizione
subalterna. Va però evidenziato che la posizione del mezzadro
all’origine del patto era una posizione migliore di quella del colono
parziario. Questi infatti viveva in una situazione precaria legata alla
condizione “pionieristica” in cui si trovava, mentre il contratto
mezzadrile nelle sue forme iniziali difendeva il contadino da ogni
forma di vessazione, soprattutto, nell’ambito della riconquista
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quattrocentesca che fece seguito delle pandemie del trecento, il
“capitale” uomo era diventato scarso.
Arrivati quindi nel basso medioevo avanzato, le città, dopo secoli
di depressione demografica e nel generale “inselvatichimento”,
testimoniato tra l’altro da toponimi alto medievali diffusi, quali ad
esempio Lupaiolo, Oraiolo, Faggiola, Fontabeti, Fontavellana,
Farneto, ecc…, riescono ad avvicinarsi tra loro, eliminando la foresta
che le separava e rendeva “forestiere” l’una all’altra.
E’ opportuno, per cui, soffermarsi sull’uso che sto facendo di questa
parola: città. Essa, come detto, è sicuramente il motore del vasto
fenomeno di portata europea, di ripopolamento, riconquista e messa a
coltura delle campagne dopo il profondo abbandono seguito al
collasso dell’Impero romano. Per quanto riguarda nello specifico della
Toscana, però, quando parlo di città non vorrei indurre a pensare ad un
tessuto urbano composto prevalentemente da grandi centri urbani; al
contrario, durante il basso medioevo viene a formarsi e consolidarsi
un fitto reticolo di abitati forniti di mura difensive composto
prevalentemente da piccoli, se non piccolissimi centri urbani. Essi
sono le vere proprie metropoli delle campagne toscane, all’interno di
un’organizzazione gerarchica, tra città “capoluoghi di contado” ed i
relativi castelli, in cui il sistema poderale sempre più parcellizzato e
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antropizzato, costituisce la base (e non solo dal punto di vista
alimentare) del sistema economico-sociale della Toscana nei secoli. Il
sistema mezzadrile adottato infatti, porterà i possidenti a suddividere il
più possibile i loro fondi in più poderi, concedendoli a mezzadri
diversi, al fine di sfruttare al meglio i singoli terreni dati in gestione;
fatta salva la dimensione minima del podere per la sopravvivenza
della famiglia mezzadrile, la quale doveva vivere della propria
percentuale di “frutti” ottenuti col proprio lavoro.
Questo il contesto storico in cui nasce e si sviluppa la mezzadria
classica. Nel ‘300, vi è però una battuta d’arresto nella corsa alla terra
fin qui descritta. Le pandemie di peste che colpiscono l’Europa
sembrano azzerare i progressi fatti negli ultimi secoli e tutto il
continente subisce un tracollo demografico che sembra riportarlo ai
livelli dell’Alto Medioevo. Le colture, non più seguite all’interno di
un sistema poderale svuotato di uomini, cedono di nuovo il passo alle
foreste; d’altronde anche le città si svuotano. Il ‘400 rappresenterà
tuttavia il secolo in cui si realizzerà una forte “ricolonizzazione” dei
contadi, sostenuta da nuovi rivolgimenti politici. Si affacceranno sulla
scena nuove famiglie, all’interno di una nuova gerarchia urbana,
instaurando quelle signorie che concorreranno poi con la Chiesa alla
gestione del potere all’interno dell’area presa in esame. Probabilmente
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questo sarebbe stato comunque il naturale evolvere delle cose, con o
senza lo sconvolgimento portato dalla peste, che può forse aver
accelerato gli eventi. Quella che abbiamo indicato come
ricolonizzazione viene realizzata utilizzando gli stessi strumenti visti
per i secoli antecedenti la peste nera, che iniziò a falcidiare l’Europa
dalla metà circa del ‘300. In questo periodo la mezzadria si diffonderà
sempre più come modello contrattuale privilegiato e come punto
d’arrivo per la gestione colturale dei terreni, nel processo di recupero
dopo la recessione trecentesca.
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I – PARTE PRIMA: UNA NECESSARIA
ANALISI DELL’AMBIENTE
ECONOMICO, SOCIALE E
GIURIDICO.
1. L’Alto Medioevo e la società feudale: un
cenno ai modelli e le interpretazioni degli
storici.
Per feudalesimo deve intendersi quel sistema sociale e politico-
economico che immediatamente precede il formarsi della società
basso-medievale e dallo sfaldamento del quale sorge e si sviluppa la
civiltà comunale nella quale l’istituto mezzadrile trova le condizioni
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adatte alla propria maturazione. Capire e studiare il Basso Medioevo
significa, a mio avviso, ricercare le cause dello sviluppo e
dell’affermazione di una società prettamente agrario-mercantile, quale
fu quella dell’Italia comunale, nella natura feudale dell’Alto
Medioevo. È opportuno quindi accennare alle peculiarità della società
feudale per valutare in pieno che momento di frattura rappresentò
l’introduzione dell’istituto mezzadrile e del conseguente fenomeno di
appoderamento nelle campagne toscane. Il passaggio da un’agricoltura
curtense di sussistenza ad un’agricoltura mercantile, tutta protesa al
sostentamento dell’espansione cittadina, della sua economia e delle
sue classi protagoniste, è questione fondamentale.
Il concetto di feudalesimo nasce durante l’Illuminismo, per
indicare – con accezione polemica e negativa – l’insieme dei caratteri
politici, sociali ed economici di un passato da superare. “Feudale” è in
sostanza sinonimo di arcaico, arretrato, barbaro: tutto ciò che il
Settecento illuministico europeo vorrebbe eliminare e superare. In
realtà, in quest’epoca la società medievale è ormai dissolta e ne
restano soltanto gli istituti “residui”, dalla cui osservazione gli
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intellettuali illuministi traggono i loro giudizi negativi e polemici su
tutto il passato, definito appunto “feudale”
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Ciò che dagli illuministi viene comunemente considerato
essenziale nel feudalesimo – la sua caratteristica fondamentale – è la
disgregazione dei poteri pubblici, il fatto che non esista un’autorità
centrale (lo Stato) in grado di imporre la propria volontà su di un’area
territoriale determinata. Il feudalesimo è visto come un vero e proprio
“sistema” politico, nel quale ogni signore feudale detiene un potere di
tipo pubblico (impone tasse, fa processi ed emana sentenze, batte
moneta, recluta e comanda soldati, ecc…) e ciascun feudo si configura
come un piccolo Stato a sé. Mentre nell’età romana era esistito un
potere centrale-statale unico e forte, con la scomparsa dell’impero e le
invasioni barbariche questo potere si era dissolto e dalla sua
frantumazione si erano formati tanti e diversi “nuclei” politici divisi
ed in perenne conflitto fra loro. Il feudalesimo era visto in sostanza
come “anarchia feudale”, cioè come mancanza di ordine e di
comando. Era questa, ad esempio, la visione del feudalesimo che
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Il termine feudale proviene da “feudo” che, appunto, viene definito come bene o diritto concesso
dal signore al vassallo in cambio di servizi. Tale termine sostituì quello di “beneficio” quando si
affermò l’uso di trasmettere ereditariamente i territori o le cariche redditizie originariamente
concesse a titolo vitalizio; tale uso venne formalizzato nel Capitolare di Querzy (877) per i feudi
maggiori e nella Constitutio de feudis (1037) per quelli minori.