6
Dopo cenni alle più antiche origini, risalenti addirittura all’antico Egitto e
all’epoca greco romana, ed agli Statuti delle corporazioni (che portarono le prime
vere e proprie regolamentazioni), si esamineranno poi le prime leggi italiane in
materia, dettate a partire dal 1938; per poi guardare al 1942, quando nel codice civile
si inserirono alcune norme in ordine agli elementi caratteristici dell’istituto, e ad alle
leggi degli anni successivi. Solo con la legge n. 285/1977 si parlò di contratto di
formazione e lavoro; esso nasceva da una sorta di riforma del già esistente contratto
di apprendistato, volta ad accentuarne la finalità formativa. Il disegno di questo
contratto era quello di unire le esigenze delle imprese che avevano la necessità di
avvalersi di forme contrattuali flessibili, per ridurre i costi, e le esigenze dei giovani
lavoratori che ricevevano una formazione professionale per collocarsi nel mercato del
lavoro.
Il contratto di formazione può essere quindi considerato il protagonista del
sistema formativo italiano degli anni ’80-’90 e rimase tale fino a quando la
Commissione Europea, l’11 maggio del 1999, in seguito ad un insolito proliferarsi di
contratti di formazione e lavoro, non si accorse che la disciplina degli incentivi
economici del contratto di formazione era in contrasto con la normativa europea degli
aiuti di Stato, perché “era uno strumento di aiuto alle imprese e non aiuto
all’occupazione”.
Si arriva progressivamnete al d.lgs. n. 276/2003, in cui si delineano due istituti,
l’apprendistato, che ingloba il vecchio apprendistato e parte del vecchio contratto di
formazione e lavoro, e il contratto di inserimento.
7
Tra questi due contratti solo il primo svolge una vera attività formativa poiché il
secondo è caratterizzato da una funzione occupazionale.
La seconda parte del mio lavoro (capitolo secondo) è volta ad analizzare il
funzionamento e la previsione normativa del contratto di inserimento, dagli artt. 54-
59 del d.lgs n. 276/2003.
Esaminerò in tale sede quali sono le categorie di datori di lavoro e lavoratori
ammessi al contratto e quali sono i suoi requisiti essenziali.
Il tratto peculiare di questo contratto è sicuramente il progetto di inserimento,
che è un documento in cui devono essere indicati tutti gli aspetti essenziali del
rapporto di lavoro tra datore e lavoratore.
Una volta esaminato l'istituto, si passerà all’analisi delle categorie di riferimento
del contratto di inserimento, tenendo presente che ad essi si applica la disciplina del
contratto a termine (d. lgs n. 368/2001).
L’ultima parte del lavoro (capitolo terzo) è volta, invece, a stabilire quali sono i
comportamenti da applicare nei confronti dei vecchi contratti di formazione e lavoro;
la scelta operata dalle parti sociali è quella di mantenere in vita, per un periodo di
tempo abbastanza lungo, i contratti di formazione e lavoro e viene stabilito, infatti,
che i contratti di formazione e lavoro stipulati, anche successivamente al 23 ottobre
2003, esplicano integralmente i loro effetti fino alla scadenza per ciascuno di essi
prevista, conformemente alla disciplina previgente in materia.
8
Un’ultima analisi è poi volta ad osservare come il contratto di inserimento sia
stato un mezzo per conseguire delle politiche di occupabilità; ci troviamo dunque di
fronte ad uno strumento nel quale la finalità occupazionale decisamente prevale su
quella formativa.
Abbassare il tasso di disoccupazione è obbiettivo ormai noto di tutti i governi
non solo nella nostra realtà europea, ma a livello planetario. Quindi in questa nuova
tipologia contrattuale, si confidano le speranze di risolvere i problemi occupazionali
che gravano da ormai molti anni sull’Italia e principalmente sulle regioni meridionali
9
CAPITOLO I
I contratti a contenuto formativo
1.1 I contratti a contenuto formativo: dalle origini al contratto di formazione
di cui alla legge n. 285/1977.
Con l’espressione “contratti a contenuto formativo” si indicano quelle tipologie
contrattuali in cui l’attività di formazione del lavoratore costituisce un obbligo a
carico del datore di lavoro
1
.
A tale categoria, per lungo tempo, dovevano essere ricondotte, nell’ordinamento
italiano, due fattispecie distinte: il contratto di apprendistato e il contratto di
formazione e lavoro.
Preliminare all’approfondimento delle tipologie contrattuali è la riflessione che il
collegamento della formazione con il lavoro ha riguardato per lungo tempo in via
pressoché esclusiva l’età giovanile, dedicata all’educazione e all’apprendimento in
vista dell’età adulta, dedicata al lavoro
2
.
1
F. BANO, I contratti a contenuto formativo, in Impiego flessibile e mercato del lavoro, a cura di
Perulli A., Torino, 2004, pp. 167 ss.
2
P. A. VARESI, I contratti di lavoro con finalità formativa, Milano, 2001, p. 13.
10
In tal senso, la relazione tra lavoro e formazione ha trovato espressione
significativa nell’istituto denominato tirocinio o apprendistato, la cui diffusione è,
da lungo tempo, vastissima, non solo in Italia ma negli ordinamenti dei diversi
Paesi europei, tanto da indurre la dottrina a parlare al riguardo di ‘istituto
europeo’
3
.
Le origini di questa fattispecie sono molto risalenti, riconducibili al rapporto tra
maestro ed allievo, che solo con il passare del tempo fu poi regolata dandosi vita
ad un vero e proprio istituto normativo. Il riferimento è addirittura all’antico Egitto
e all’epoca greca e romana, nelle quali si ha un rapporto ‘prevalentemente
familiare’ tra le parti, poiché spesso esso include la coabitazione dell’allievo con il
maestro, obbligato di converso al suo mantenimento
4
.
In epoca medioevale, affermatosi il sistema delle corporazioni, si attestò il
principio per cui per l’espletamento di attività economico-produttive era necessaria
un’adeguata preparazione professionale, da acquisirsi mediante un tirocinio presso
la bottega di un maestro dedito all’esercizio dell’arte o del mestiere.
In Italia, tra il 1100 e il 1300, negli Statuti delle corporazioni l’apprendistato dei
giovani all’arte o al mestiere trovò la prima regolamentazione, specialmente in
ordine alla durata del periodo, agli obblighi di allievo e maestro, ai motivi per
sciogliere il rapporto e, in alcuni casi alla possibilità di costituire associazioni di
3
P. A. VARESI, I contratti di lavoro con finalità formativa, cit., p. 13.
4
P.A. VARESI, I contratti di lavoro con finalità formativa, cit., p. 14, il quale, richiamandosi alla
dottrina romanistica (F. M. DE ROBERTIS, Lavoro e lavoratori nel mondo romano, Bari, 1963, p.
161 ss.; U. BRASIELLO, L’unitarietà del concetto di locazione in diritto romano, in “Rivista italiana
di scienze giuridiche”, 1927, II, p. 561) individua specificamente tre distinte figure giuridiche nel
diritto romano che colgono elementi delle problematiche che si riproporranno nel tempo.
11
apprendisti
5
. Anche in quest’epoca si mantenne il carattere familiare del lavoro e
quindi, come nella tradizione antica, l’allievo veniva inserito nella famiglia del
maestro per riceverne l’educazione (professionale, culturale, morale, religiosa) e il
sostentamento; il titolare della bottega veniva ricompensato dall’allievo, per il fatto
di essere ospitato, mantenuto ed educato nella propria casa, non solo con la
prestazione lavorativa ma spesso anche con una remunerazione dalla famiglia
dell’allievo
6
.
In rari casi, invece, il maestro ricompensava l’allievo con una somma di denaro;
più di sovente usava donargli gli attrezzi del mestiere con un gesto dal significato
più simbolico che economico
7
.
Il percorso formativo poteva prevedere anche fasi di perfezionamento successive
all’apprendistato, in un sistema articolato in tre livelli, che regolava non solo un
particolare status ma anche specifiche attività formative per ciascun livello.
Tale modello di apprendistato si rinviene, pur con specifiche peculiarità, negli
stessi anni nei principali paesi europei, nei quali assumeva, a seconda dei diversi
sistemi corporativi, una posizione di rilievo
8
.
5
P. A. VARESI, I contratti di lavoro con finalità formativa, cit., p. 14; N. JAEGER, s.v. Apprendista,
in Nuovo Digesto Italiano I, Torino, 1937, pp. 603 ss.; P. OLIVELLI, in Il lavoro dei giovani,
Milano, 1981, p. 10.
6
M. T. CARINCI, La legge delega in materia d’occupazione e mercato del lavoro: L. 30/2003,
Milano, 2003, p. 109. Secondo P. A. VARESI, I contratti di lavoro con finalità formativa, cit., pp. 15
ss., la famiglia si obbligava verso il maestro anche a risarcire gli eventuali danni procurati
dall’apprendista. Si v. anche G. GIOVANNELLI, Disegno storico del rapporto di tirocinio in Italia, in
Dir. lav. 1957, I, p. 253; N. JAEGER,, s.v. Apprendista, cit., p. 603.
7
P. A. VARESI, I contratti di lavoro con finalità formativa, cit., p. 16 nt. 10.
8
P. A. VARESI, I contratti di lavoro con finalità formativa, cit., pp. 17 ss.
12
Nella fase dell’industrializzazione, con i suoi profondi rivolgimenti nei processi
produttivi e sul piano economico e sociale, smantellato il sistema corporativo
9
, si
assisteva alla frantumazione dei mestieri mentre il lavoratore diveniva sempre più
mera appendice della macchina.
Il concetto di apprendistato e di lavoro giovanile persero l’unitarietà poiché il
periodo di apprendistato non risultava più necessario per l’esercizio di un arte o di
un mestiere, ma costituiva solo un’alternativa all’ordinario rapporto di lavoro
subordinato, senza garanzie di protezione per il giovane lavoratore, poiché
l’obbligo di istruzione e formazione persisteva in misura molto limitata. La
prospettiva precedente si era dunque capovolta ed era l’apprendista che effettuava
una prestazione lavorativa verso il datore di lavoro e quindi doveva essere
retribuito.
Iniziò perciò in quest’epoca l’emanazione di leggi protettive del lavoro minorile a
fronte delle richieste delle nascenti organizzazioni operaie.
Una disciplina puntuale dell’apprendistato non vi era ancora; nel corso
dell’Ottocento nei Paesi europei vennero emanati una serie di provvedimenti atti a
fronteggiare gli effetti dell’industrializzazione sulle
condizioni del lavoratore e
dell’apprendistato
10
, regolato dalle legislazioni nazionali in materia di lavoro e
formazione, al di là della matrice comune si differenziava a seconda dei Paesi:
quello francese (seguito dalla legislazione di Austria, Ungheria, Svizzera,
9
L. DAL PANE, Il tramonto delle corporazioni in Italia, Milano, 1940; G. GIOVANNELLI, Disegno
storico del rapporto di tirocinio in Italia, cit., pp. 254 ss.
10
P. A. VARESI, I contratti di lavoro con finalità formativa, cit., pp. 27 ss.
13
Danimarca, Polonia) che considerava il tirocinio come insegnamento e il
tirocinante un allievo, e quello tedesco (seguito da Belgio, Lussemburgo e Spagna)
che includeva il tirocinio nel rapporto di lavoro subordinato in cui il tirocinante
poteva ricevere un compenso in denaro oltre a quello dell’insegnamento del
mestiere.
In Italia l’apprendistato fu regolato più dagli usi e consuetudini che dalla legge,
mentre il legislatore della fine dell’800 si preoccupò più di tutelare il lavoro
minorile che di disciplinare il tirocinio
11
. Solo a partire dal ’900 il legislatore
italiano cercò di regolare l’apprendistato, con una serie di provvedimenti
12
che
toccavano la formazione professionale ed il collocamento pubblico al lavoro. Sono
del 1938 tre importanti provvedimenti: il R.D.L. 21 giugno 1938 n. 1380, relativo
ai corsi per la formazione ed i perfezionamento dei lavoratori, il R.D.L. 21
settembre 1938 n. 1906, volto a disciplinare l’apprendistato, il R.D.L. 21 dicembre
1938 n. 1934, in materia di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro esercitata
da strutture pubbliche.
In particolare il R.D. 1906/38 offrì dunque la prima disciplina organica dell’istituto
dell’apprendistato come contratto di lavoro subordinato con finalità formative da
raggiungere mediante l’addestramento in azienda, l’esercizio dell’attività
lavorativa e la formazione teorica, in corsi extra aziendali, tutti retribuiti.
11
E’ del 1886 la legge n. 2652 che fissa in nove anni l’età minima al lavoro, del 1907 il R.D. n. 816
che innalza i limiti e si preoccupa del lavoro femminile.
12
R.D. 31 gennaio 1904 n. 51, R.D. 13 marzo 1904 n. 141, R.D. 17 agosto 1935 n. 1675, ma anche
R.D. 30 dicembre 1923 n. 3158, R.D. 30 dicembre 1923 n. 3184, R.D. 1 luglio 1926 n. 130, R.D.L.
27 ottobre 1927 n. 2055.
14
Si trattava di un intervento scarno ma tale da creare una fisionomia dell’istituto
colmandone le lacune più profonde.
Nel Codice civile del 1942 si inserirono solo alcune norme (artt. 2130-2134) in
ordine agli elementi caratteristici dell’istituto, quali la durata massima del tirocinio,
la retribuzione e l’istruzione professionale del lavoratore, il suo diritto ad ottenere
l’attestazione del tirocinio e la disciplina applicabile al contratto, quella generale in
tema di rapporti di lavoro in quanto compatibile e non derogata da leggi speciali
(ad esempio il R.D. 1938 /1906) o da norme corporative.
L’entrata in vigore della Costituzione diede indirettamente al tirocinio un rilievo
ancora maggiore
13
, enunciando i principi fondamentali in tema di lavoro minorile:
innanzitutto i commi 2 e 3 dell’art. 37 affrontavano la questione dell’età minima
per l’ammissione al lavoro dei giovani, non fissandone il limite ma rinviando alla
legge ordinaria, e quella della tutela del lavoro dei minori ponendo l’esigenza di
una normativa speciale e garantista; gli artt. 34 e 35 comma 2 rappresentavano un
intervento promozionale nei confronti del lavoro minorile nel porre l’obbligo
scolastico e la tutela della cura, la formazione e l’elevazione professionale dei
lavoratori.
13
M. T. CARINCI, La legge delega in materia d’occupazione e mercato del lavoro: l. 30/2003, cit.,
pag. 107.
15
I commentatori però ritenevano che, nonostante i segni di innovazione, tali
norme soffrivano di alcuni limiti: nell’art. 35 mancavano cenni agli strumenti con i
quali realizzare la “cura” della materia; si attribuiva un ruolo marginale alla
formazione professionale nell’ambito del sistema formativo non valorizzandone il
legame con il lavoro.
In definitiva si affermava che “il Costituente si ritraeva, conscio delle difficoltà
della sfida, e ripiegava su formule tradizionali: la formazione professionale dei
giovani venne concepita come scuola, anche se di rango inferiore”
14
.
L’attuazione dei principi costituzionali nei provvedimenti legislativi si rinveniva
nella legge 29 aprile 1949 n. 264, che dedicava alla formazione professionale l’intero
Titolo V, ove si prevedevano corsi per disoccupati, corsi aziendali di riqualificazione,
corsi per giovani nelle piccole aziende artigiane. Ma l’intervento si attuò
principalmente a tutela dei lavoratori adulti espulsi o a rischio di espulsione dal
processo produttivo, e restava marginale il riferimento all’orientamento e alla
formazione professionale per i giovani in cerca di prima occupazione. Attraverso una
serie di provvedimenti amministrativi degli anni successivi si costruì poi un’offerta di
formazione professionale per i giovani, articolata nei tre canali degli Istituti
professionali di Stato, nei corsi ordinari del Ministero del Lavoro e nei corsi
complementari per apprendisti.
Nel 1955, con la legge 19 gennaio n. 25 si prevedeva una nuova disciplina
dell’apprendistato abrogandosi espressamente il R.D. del 1938.
14
P.A. VARESI, I contratti di lavoro con finalità formativa, cit., pp. 53 ss., spec. 64.
16
Il tirocinio fu qui espressamente definito – sulla chiara ispirazione francese
15
– come
uno “speciale rapporto di lavoro, in forza del quale l’imprenditore era obbligato ad
impartire o far impartire, nella sua impresa, all’apprendista assunto alle sue
dipendenze, l’insegnamento necessario perché potesse conseguire la capacità tecnica
per diventare lavoratore qualificato, utilizzandone l’opera nell’impresa medesima”.
Accanto all’obbligo del datore di retribuire il lavoratore, c’era anche quello di
impartire all’apprendista un insegnamento professionale, anzi, proprio questo punto
era il tratto che caratterizza maggiormente l’istituto.
La specialità del rapporto era stata colta spesso da dottrina e giurisprudenza in
relazione alla causa negoziale che nel contratto di apprendistato sarebbe stata mista o
complessa: se nel contratto di lavoro comune la causa era costituita dallo scambio tra
lavoro e retribuzione, in questo rapporto essa prevedeva lo scambio tra prestazione
lavorativa da un lato e addestramento professionale retribuito dall’altro
16
.
La formazione professionale dell’apprendista si attuava sia mediante
l’addestramento pratico, consistente nell’assistenza continua e nella sorveglianza
dell’apprendista nell’esercizio delle sue mansioni, che tramite l’insegnamento teorico
complementare (art. 16), di cui la legge sanciva l’obbligatorietà e la gratuità,
prevedendo anzi l’obbligo dei datori di concedere i permessi occorrenti per la
frequenza dei corsi e degli esami e considerando le ore ad esso dedicate come ore di
lavoro retribuite.
15
P.A.VARESI, I contratti di lavoro con finalità formativa, cit., p. 69, ma anche M. RUDAN, Il
contratto di tirocino, Milano, 1966, p. 27.
16
M. T. CARINCI, La legge delega in materia d’occupazione e mercato del lavoro: L. 30/2003, cit.,
p. 108.
17
Per l’art. 18, al termine dell’addestramento pratico e dell’insegnamento
teorico complementare, gli apprendisti dovevano sostenere delle prove di idoneità
all’esercizio del mestiere; se le prove venivano superate ed il lavoratore era
assunto, costui doveva essere inquadrato nella categoria di riferimento, perché gli
doveva essere riconosciuta la qualifica acquisita; se il lavoratore non superava le
prove, il datore aveva la facoltà di assumere il lavoratore ma inquadrandolo tra i
lavoratori non qualificati. Qualora le prove fossero state sostenute anticipatamente,
in caso di esito negativo non poteva darsi luogo al licenziamento ma il tirocinante
conservava il diritto di proseguire l’apprendistato e sostenere le prove alla
scadenza, mentre in caso di esito positivo il rapporto di tirocinio si estingueva e il
datore rimaneva libero di mantenere o meno il lavoratore in servizio con la
qualifica raggiunta
17
.
Ancora, qualora al termine dell’apprendistato non fossero state sostenute le
prove, non era pregiudicata al datore la possibilità di terminare liberamente il
rapporto di lavoro
18
.
L’obbiettivo della legge n. 25/1955 era quello di incentivare i datori di lavoro
ad assumere giovani di età non inferiore ai quattordici anni e non superiore ai venti
anni, tramite sgravi fiscali (ad esempio riduzioni sui dovuti contributi per le
17
M. RUDAN, Il contratto di tirocino, cit., p. 27.
18
M.T. CARINCI, La legge delega in materia d’occupazione e mercato del lavoro: l. 30/2003, cit.,
pp. 110 ss.