5
privatizzazione del pubblico impiego, senza dimenticare del tutto la dimensione
quantitativa del fenomeno.
Definito, nel contesto della recente riforma del mercato del lavoro, il
complessivo quadro normativo del contratto di inserimento, verrà analizzato il ruolo
svolto dalle organizzazioni sindacali, sia nel primo periodo di vigenza della normativa,
con l’Accordo interconfederale dell’11 febbraio 2004, sia successivamente, attraverso
la contrattazione di categoria.
Particolare attenzione sarà infine rivolta al periodo di transizione dal vecchio
al nuovo regime ed al conseguente intervento correttivo da parte del legislatore,
avvenuto con l’emanazione del decreto legislativo 251 del 6 ottobre 2004.
6
1. Genesi della disciplina
Nell’ordinamento giuridico nazionale, il contratto di inserimento fa la sua
prima apparizione col Titolo VI del D.Lgs 276/03.
5
La ricerca delle origini di questa
tipologia contrattuale non può, pertanto, che prendere le mosse dalla legge che ha
delegato la sua emanazione, la L. 14 febbraio 2003 n° 30 – “Legge Biagi”
6
, e dal Libro
Bianco che ne ha ispirato i principi e criteri direttivi. Considerando un ambito
temporale più ampio, dopo aver osservato la continuità non solo terminologica ma
anche funzionale del contratto di inserimento col contratto di formazione-lavoro
“mirato ad agevolare l’inserimento professionale mediante …” (tipologia “b”), la
ricerca deve necessariamente tener conto delle cause che, nel processo evolutivo del
della disciplina del cfl, hanno portato allo sdoppiamento del contratto di formazione-
lavoro nelle due distinte tipologie, corrispondenti ad altrettanto distinte funzioni.
5
Parte della dottrina (cfr. SILVIA CIUCCIOVINO – Il contratto di inserimento professionale – in ADL
- Argomenti di diritto del lavoro a cura di Mattia Persiani - CEDAM 1995) aveva battezzato come
“contratto di inserimento” il contratto di formazione-lavoro “…mirato ad agevolare l’inserimento…” di
cui all’art. 16 – c. 2 – L. 451/94.
6
L’accostamento del nome di Marco Biagi alla Legge delega non è universalmente accettato. Nella
pubblicazione curata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali “La Legge Biagi per il Lavoro –
Capire la riforma” p. 5 (in www.welfare.gov.it ) si afferma : “… una legge che, giustamente ha il suo
nome, perché era stata disegnata da Marco Biagi in ogni sua riga e il suo ruolo, nel lavoro di questo
Governo sul versante delle politiche per l’occupazione regolare e di qualità, è stato sempre persuasivo e
determinante, già a partire dalla presentazione del Libro Bianco sul mercato del lavoro dell’ottobre
2001”.
7
1.1 Dal Libro Bianco alla “Legge Biagi”.
Il “Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia – Proposte per una società
attiva e per un lavoro di qualità” è stato pubblicato dal Ministero del Lavoro
nell’ottobre del 2001. La sua redazione è avvenuta ad opera di un gruppo di lavoro
coordinato da Maurizio Sacconi e Marco Biagi
7
e la sua presentazione è stata curata
dal Ministro del Lavoro
8
che lo ha definito “… finalizzato a rendere partecipi tutti gli
attori istituzionali e sociali delle riflessioni che il Governo ha svolto in vista di un
confronto mirato a ricercare soluzioni confortate dal più ampio consenso”.
9
In questo documento politico si afferma che il riordino dei contratti con
finalità formativa è stata una delle maggiori inadempienze che si possono riscontrare
nella passata legislatura, anche perché non è stata esercitata la delega contenuta
nell’art. 16 della Legge 196/1997
10
.
Come già accennato nell’introduzione, nel Libro Bianco si prospetta una
maggiore distinzione delle funzioni assolte dai singoli contratti formativi “orientata da
un lato a valorizzare il ruolo dell’apprendistato come strumento formativo per il
mercato, mentre il cfl dovrebbe essere concepito come strumento per realizzare un
inserimento mirato del lavoratore in azienda”.
11
Questi aspetti sono stati sviluppati nella Legge 30/03 che, all’art. 2, ha
previsto la “Delega al Governo in materia di contratti a contenuto formativo e di
tirocinio”.
La “revisione” e la “razionalizzazione” di tali contratti di lavoro è stata
delegata sulla base di una serie di criteri e principi direttivi in cui si possono
individuare “tre direttrici fondamentali”
12
: a) la valorizzazione dell’attività formativa
svolta in azienda; b) la conferma dell’apprendistato “come strumento formativo anche
nella prospettiva di una formazione superiore in alternanza tale da garantire il raccordo
tra i sistemi dell’istruzione e della formazione …”; c) la specializzazione del contratto
di formazione-lavoro al fine di realizzare l’inserimento e il reinserimento mirato in
azienda (“con conseguente svilimento del contenuto formativo”
13
). Resta ferma
l’esigenza di attuare la delega nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in
materia di tutela e sicurezza del lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n° 3,
e tenendo conto degli orientamenti annuali dell’Unione Europea in materia di
occupazione.
Si ritengono significativi, tra gli altri, anche i criteri direttivi che riguardano:
ξ la conformità agli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato
all’occupazione;
7
Cfr. PIETRO CURZIO (a cura di) – Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003 – p. 11.
8
ROBERTO MARONI.
9
Libro Bianco sul Mercato del Lavoro in www.welfare.gov.it - p.v.
10
Il comma 5 dell’art. 16 L. 196/97 (Pacchetto Treu) così disponeva: “Il Governo emana entro nove
mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge … norme regolamentari … in materia di speciali
rapporti di lavoro con contenuti formativi quali l’apprendistato e il contratto di formazione-lavoro …”.
11
Cfr. Libro Bianco – p. 50.
12
Cfr. M. D’ONGHIA, I contratti a finalità formativa: apprendistato e contratto di inserimento, in P.
CURZIO (a cura di), Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003, Cacucci Ed. 2004, p. 271.
13
Cfr. F. RAVELLI, Appunti in tema di riordino dei contratti a contenuto formativo nel decreto
legislativo 276/2003, (www.unicz.it/lavoro/ravelli.pdf)
8
ξ la valorizzazione dell’inserimento o del reinserimento al lavoro delle
donne, particolarmente di quelle uscite dal mercato del lavoro per
l’adempimento di compiti familiari e che desiderino rientrarvi, al fine
di superare il differenziale occupazionale tra uomini e donne;
ξ la semplificazione e lo snellimento delle procedure di riconoscimento
e attribuzione degli incentivi connessi ai contratti a contenuto
formativo;
ξ la sperimentazione di orientamenti, linee guida e codici di
comportamento al fine di determinare i contenuti dell’attività
formativa, concordati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e
territoriale, anche all’interno di enti bilaterali;
ξ il rinvio ai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e
prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, a livello
nazionale, territoriale e aziendale, per la determinazione, anche
all’interno degli enti bilaterali, delle modalità di attuazione
dell’attività formativa in azienda.
Così come affermato nel Libro Bianco, anche l’articolo 2 della legge delega
prevede l’attuazione degli obiettivi ed il rispetto dei criteri di cui all’art. 16 – comma 5
– della legge 24 giugno 1997, n° 196,
14
al fine di riordinare gli speciali rapporti di
lavoro con contenuti formativi.
Se, oltre a tale esplicito riferimento, si considera la delega prevista dall’art.
45 della legge 17 maggio 1999 – n° 144, il processo di riforma appare in continuum
con quello della passata legislatura.
Si deve però osservare che le indicazioni ed i principi di quest’ultima
disposizione legislativa sono stati ripresi dalla Legge 30 con un taglio più generico,
con una accentuazione sulla centralità dell’impresa
15
e senza tener conto dei mutamenti
del quadro costituzionale.
Nel punto “b” del citato articolo 45 si prevede infatti non solo la revisione e
la razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo “in conformità con
le direttive dell’Unione Europea” (aspetto, questo, presente anche nella L. 30/2003),
ma anche che tale revisione avvenga “in funzione degli obiettivi di cui alla lettera a)”.
Ovvero “eliminando duplicazioni e sovrapposizioni, tenendo conto delle esperienze e
risultati delle varie misure ai fini dell’inserimento lavorativo con rapporto di lavoro
dipendente, in funzione degli specifici obiettivi occupazionali da perseguire”, con
particolare riguardo ad una serie di situazioni riportate in sei distinti punti
16
.
14
Art. 16 – c. 5 – L. 196/1997: “Il Governo emana entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge … norme regolamentari … in materia di speciali rapporti di lavoro con contenuti
formativi quali l’apprendistato e il contratto di formazione-lavoro, allo scopo di pervenire ad una
disciplina organica della materia secondo criteri di valorizzazione dei contenuti formativi”.
15
Cfr. M. D’ONGHIA, Op. cit., p. 272.
16
Ai sensi dell’art. 45 – c. 1, punto a) – L. 144/1999, nella razionalizzazione degli interventi si dovrà
avere riguardo: “1) alle diverse caratteristiche dei destinatari delle misure: giovani, disoccupati e
inoccupati di lungo periodo, lavoratori fruitori del trattamento straordinario di integrazione salariale da
consistente lasso di tempo, lavoratori di difficile inserimento e reinserimento; 2) alla revisione dei criteri
per l’accertamento dei requisiti individuali di appartenenza dei soggetti alle diverse categorie, allo scopo
di renderli più adeguati alla valutazione ed al controllo della effettiva situazione di disagio; 3) al grado
dello svantaggio occupazionale nelle diverse aree territoriali del Paese, determinato sulla base di quanto
previsto all’articolo 1, comma 9; 4) al grado dello svantaggio occupazionale femminile nelle diverse
aree del Paese; 5) alla finalità di favorire la stabilizzazione dei posti di lavoro; 6) alla maggiore intensità
9
Nella L. 30/2003, la centralità dell’impresa si riscontra soprattutto nel punto
“b” dell’art. 2, allorché si intende “valorizzare l’attività formativa svolta in azienda”.
Più esplicito, a tale proposito, il Libro bianco. Nel paragrafo dal titolo “Formazione e
lavoro” prevede che “il cfl dovrebbe concorrere a realizzare un adeguamento … alle
concrete esigenze dell’azienda che lo assume”.
Riprendendo l’analisi dell’art. 2 della legge delega, non rientrano invece nella
materia dei contratti formativi i punti c), sull’apprendistato e tirocinio di impresa, e d)
relativo alle misure di inserimento al lavoro non costituenti rapporto di lavoro.
della misura degli incentivi per le piccole e medie imprese, qualora le stesse abbiano rispettato le
prescrizioni sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori previste dal decreto legislativo 19 settembre
1994, n° 626, e successive modificazioni, nonché per le imprese che applicano nuove tecnologie per il
risparmio energetico e l’efficienza energetica e che prevedono il ciclo integrato delle acque e dei rifiuti a
valle degli impianti”.
10
1.2 Le competenze regionali.
Per quanto attiene alla scarsa attenzione ai mutamenti del quadro
costituzionale, emblematica è la previsione di cui al punto “g” dell’art. 2, riguardante il
“rafforzamento dei meccanismi e degli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei
risultati conseguiti, anche in relazione all’impatto sui livelli di occupazione femminile
… e tenuto conto dei criteri che saranno determinati dai provvedimenti attuativi, in
materia di mercato del lavoro, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n° 3”.
Tale criterio direttivo, in effetti, è stato ripreso dal punto “o” dell’art. 45 – c.
1 della legge 144/1999. Si deve però osservare che, mentre quest’ultima disposizione
legislativa si inseriva in un contesto di decentramento amministrativo e di
riorganizzazione amministrativa, la legge delega del 2003 non poteva non considerare,
nella materia, la competenza residuale esclusiva delle regioni prevista dalla riforma del
titolo quinto della Costituzione, avvenuta nel 2001. Del resto, la Corte Costituzionale
già nel 1987, con la sentenza 190, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 3 del DL 30 ottobre 1984, n° 726 (convertito nella legge 863/1984), per
violazione delle competenze in materia di istruzione professionale, nella parte in cui
non prevedeva che le competenti strutture regionali potessero accertare il livello di
preparazione professionale dei lavoratori assunti con contratto di formazione-lavoro.
Occorre segnalare che proprio per gli aspetti riguardanti il mercato del lavoro,
diverse regioni hanno impugnato la “Legge Biagi” davanti alla Corte Costituzionale.
Nei ricorsi, l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2 per violazione degli
artt. 76, 117 e 118 della Costituzione riguarda la lettera a), in quanto “prevede
l’intervento del decreto delegato per gli aiuti all’occupazione, quindi, in un ambito che
attiene alle politiche attive del lavoro (perciò la disposizione si presenta lesiva delle
attribuzioni regionali in materia)”
17
; ma le stesse considerazioni sono state fatte in
relazione ai punti d), e), f), g) che prevedono misure attinenti alle politiche del lavoro,
rientranti perciò nella tutela e sicurezza del lavoro e soggette alla potestà legislativa
concorrente.
Altro aspetto ritenuto di dubbia costituzionalità, presente nel punto g), per
violazione dell’art. 76, è costituito dal rinvio a criteri “che saranno determinati dai
provvedimenti attuativi …”, ovvero con rinvio ad altra legislazione non ancora
emanata.
18
Anche i punti h) ed i) sono stati ritenuti, dalle regioni ricorrenti, lesivi delle
loro attribuzioni, in quanto riguardano il contenuto e l’attuazione dell’attività formativa
in azienda; quindi aspetti attinenti alla formazione professionale rientrante nella
potestà legislativa esclusiva regionale, ai sensi dell’art. 117 Cost..
Il punto h, in particolare, si riferisce alla “sperimentazione di linee guida e
codici di comportamento, al fine di determinare i contenuti dell’attività formativa,
17
Cfr., per tutti, il ricorso per legittimità costituzionale depositato dalla Regione Toscana il 2 maggio
2003, in www.csmb.unimo.it/pubblicazioni . Analoghi ricorsi sono stati presentati dalla Regione Marche
(il 30 aprile 2003); Regione Emilia Romagna (il 2 maggio 2003); Provincia Autonoma di Trento (il
2/5/2003); Regione Basilicata (il 7 maggio 2003), pubblicati nello stesso sito.
18
Sul punto, Cfr. L. ZOPPOLI E P. SARACINI, I contratti a contenuto formativo tra “formazione e
lavoro” e “inserimento professionale”, in I WORKING PAPERS n° 34/2004 – Centro Studi di Diritto
del Lavoro Europeo “Massimo D’Antona”– Università degli Studi di Catania – Fac. Di Giurisprudenza,
www.lex.unict.it/eurolabor/ricerca.
11
concordati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale e territoriale, anche all’interno di enti bilaterali
…”. Principio, questo, che può essere letto come delega, da parte del legislatore statale
alle parti sociali, di un qualcosa (i contenuti dell’attività formativa) di cui non abbia la
disponibilità.
Poiché quelli indicati nella legge delega sono già “principi”, la disciplina
dovrebbe essere dettata dalla legislazione regionale e non già dai decreti delegati.
Tutto ciò ha influenzato il legislatore governativo.
Nel passaggio dalla legge delega al decreto legislativo, le competenze delle
regioni sui contratti di inserimento sono totalmente scomparse, “in parallelo alla
caratterizzazione del nuovo contratto come strumento di incentivo dell’occupazione”
19
e dell’apprendistato come strumento formativo per il mercato.
Mentre per il succedaneo del contratto di formazione-lavoro è prevista, nel
D.Lgs. 276/2003, una disciplina completa ed analitica anche per quanto attiene ai
residui profili formativi,
20
per le prime due forme di apprendistato il legislatore
delegato detta alcune regole che non riguardano la struttura del contratto (requisiti
soggettivi, durata …) ed affida alle regioni una implicita competenza regolamentare
sulla base di (in questo caso espliciti) principi, definiti nell’art. 48 al comma 3 e,
nell’art. 49, al 4° comma.
La competenza “per i soli profili che attengono alla formazione”, sulla
regolamentazione e durata dell’apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per
percorsi di alta formazione è rimessa alle regioni in modo espresso dall’art. 50, c. 3.
Nel decreto legislativo si cerca, in tal modo, di separare nettamente la
disciplina del rapporto di lavoro, rientrante nella competenza dello Stato, dalla
disciplina della formazione, di competenza regionale.
Tale situazione non risolve però i problemi di legittimità costituzionale.
La “formazione professionale”, infatti, è una materia rientrante nella
competenza esclusiva delle regioni, e come tale non può essere regolata sulla base di
“principi” direttivi, quali i principi di cui agli artt. 48 e 49.
Per quanto attiene al contratto di inserimento, se è vero che la
marginalizzazione degli aspetti formativi, che hanno assunto il carattere di
“eventualità” per effetto del 4° comma dell’art. 55, risolve il problema sulla
competenza regionale in materia di formazione, è altrettanto vero che in tal modo non
trova più giustificazione il sottoinquadramento previsto dal 1° comma dell’art. 59, alla
luce di quanto previsto dall’art. 36 della Costituzione.
21
19
D. GAROFALO, Mercato del lavoro e regionalismo, p. 40 – www.unicz.it/gaofalod_14042003.pdf.
20
Il comma 4 dell’art. 55 attribuisce alla formazione carattere di eventualità.
21
L’argomento sarà oggetto di successiva analisi.
12
1.3 Il rapporto con l’ordinamento comunitario.
L’articolo 2 della legge 30/2003 prevede che l’esercizio della delega debba
avvenire nel rispetto degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell’Unione
Europea in materia di occupazione
22
. Nel punto a) dello stesso articolo, tra i criteri
direttivi, risulta la “conformità agli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato
all’occupazione”.
In tale contesto, si coglie immediatamente la distinzione, sotto il profilo
giuridico, dei vincoli derivanti dagli orientamenti annuali da quelli in materia di aiuti
di Stato. I primi restano quel che sono nell’ordinamento comunitario: obiettivi inseriti
nel sistema di soft law
23
, ovvero “di un diritto non vincolante, espresso attraverso
indicazioni piuttosto che comandi”.
24
Solo i secondi rivestono la qualifica di “criteri
direttivi” e vanno rispettati come tali, anche alla luce dell’incidenza di tali aiuti sui
mercati concorrenziali. Gli orientamenti sugli aiuti di Stato all’occupazione non sono
più riconducibili alle soft law in quanto sostituiti dal regolamento della Commissione
delle Comunità Europee 12 dicembre 2002, n° 2204
25
, concepito in modo piuttosto
rigido. È proprio la nozione di lavoratore svantaggiato data da tale regolamento che
costituisce, nel D.Lgs. 276/2003, la base per il riconoscimento degli incentivi
economici per l’attivazione dei contratti di inserimento.
Colpisce l’assenza, nella legge delega, dei vincoli derivanti dalla decisione
della Commissione Europea dell’11 maggio 1999 (confermati dalla Corte di Giustizia
Europea con sentenza 310/99 del 7 marzo 2002), ben più incisivi rispetto ai citati
orientamenti.
L’art. 1 della decisione ha stabilito che gli aiuti illegittimamente concessi
dall’Italia (dal 1995) per l’attivazione di contratti di formazione-lavoro sono
compatibili con l’ordinamento comunitario a condizione che riguardino la creazione di
22
Gli orientamenti sono stati adottati per gli anni 1998 e 1999 con risoluzioni del Consiglio,
rispettivamente Ris. 98/C 30/01 del 15 dicembre 1997 e Ris. 1999/C 69/02 del 22 febbraio 1999. A
partire dal 2000, invece, gli orientamenti sono stati approvati tramite decisioni (Dec. 2000/C 150/ E/05
per il 2000; Dec. 2001/63/CE del 19 gennaio 2001 per il 2001; Dec. 2002/177/CE del 18 febbraio 2002
per il 2002). La riforma degli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione
è stata approvata al Consiglio dell’Unione Europea con decisione del 22 luglio 2003 (2003/578/CE in
G.U.U.E. L 197/13 del 5/8/2003). L’attuale struttura prevede tre obiettivi complementari e dieci
orientamenti specifici (definiti “priorità d’azione”). I primi sono: “Piena occupazione; “Migliorare la
qualità e la produttività sul posto di lavoro”; “Rafforzare la coesione e l’integrazione sociale” e
rappresentano gli obiettivi di fondo del Consiglio di Lisbona. Gli orientamenti specifici sono
denominati: “ 1. Misure attive e preventive pe le persone disoccupate e inattive”; “2. Creazione di posti
di lavoro e imprenditorialità”; “3. Affrontare il cambiamento e promuovere l’adattabilità e la mobilità
nel mercato del lavoro”; “4. Promuovere lo sviluppo del capitale umano e l’apprendimento lungo l’arco
della vita”; “5. Aumentare la disponibilità di manodopera e promuovere l’invecchiamento attivo”; “6.
Parità uomo-donna”; “7. Promuovere l’integrazione delle persone svantaggiate sul mercato del lavoro e
combattere la discriminazione nei loro confronti”; “8. Far sì che il lavoro paghi attraverso incentivi
finanziari per aumentare l’attrattiva del lavoro”; “9.Trasformare il lavoro nero in occupazione regolare”;
“10. Affrontare le disparità regionali in materia di occupazione”.
23
Cfr. L. ZOPPOLI- P. SARACINI, I contratti a contenuto formativo tra “formazione e lavoro” e
“inserimento professionale”, p. 23., in I WORKING PAPERS n° 34/2004 – Centro Studi di Diritto del
Lavoro Europeo “Massimo D’Antona”– www.lex.unict.it/eurolabor/ricerca .
24
S. SCIARRA, Di fronte all’Europa. Passato e presente del diritto del lavoro”, in I WORKING
PAPERS n°19/2003, p. 26 – Centro Studi di Diritto del Lavoro Europeo “Massimo D’Antona”.
25
Pubblicato nella GUUE il 13 dicembre 2002, L. 337/3, il regolamento ha individuato le necessarie
condizioni affinché gli aiuti di Stato a favore dell’occupazione risultino compatibili col mercato
comune, quindi esonerati dall’obbligo di notifica alla Commissione Europea.
13
nuovi posti di lavoro o l’assunzione di lavoratori che incontrano difficoltà ad inserirsi
o reinserirsi nel mercato del lavoro, quali i giovani con meno di venticinque anni, i
laureati con meno di trenta, i disoccupati da almeno un anno.
La Commissione ha motivato la decisione col fatto che le riduzioni
contributive che favoriscono determinate imprese rispetto ad altre dello stesso Stato,
sia che la riduzione operi a livello individuale, regionale o settoriale, costituiscono, per
la differenza della riduzione, aiuti di Stato ai sensi dell’art. 87 del trattato CEE, “aiuti
che falsano la concorrenza e rischiano di incidere sugli scambi fra gli Stati membri”.
Ha inoltre stabilito, all’art. 3 della decisione, che “L’Italia prenderà tutti i
provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti che non soddisfano
le condizioni…[suddette] ”. Poiché lo Stato italiano è venuto meno a tali obblighi, ha
subito una condanna ad opera della Corte di Giustizia Europea con sentenza del 1°
aprile 2004.
Come si vedrà in seguito, il clima di confusione e di incertezza causato dalla
decisione del ’99 ha portato in un primo tempo ad una diffidenza verso l’istituto del
contratto di formazione-lavoro da parte degli operatori e, successivamente, al suo
tramonto, ovvero alla sua trasformazione nel contratto di inserimento.
Riprendendo il discorso sugli orientamenti annuali in materia di occupazione,
si osserva che l’attuale struttura prevede tre obiettivi generali e correlati denominati
“Piena occupazione”; “Migliorare la qualità e la produttività sul posto di lavoro”;
“Rafforzare la coesione e l’integrazione sociale”, che rappresentano gli obiettivi di
fondo del Consiglio di Lisbona (23 – 24 marzo 2000), e dieci obiettivi specifici,
nell’ambito dei quali si pone l’accento sulla formazione, non solo giovanile.
La decisione del Consiglio Europeo del 22 luglio 2003, nell’approvare gli
orientamenti per l’occupazione, ha di fatto recepito i nuovi indirizzi della Strategia
Europea per l’Occupazione, che ha avuto il suo primo avvio col Consiglio Europeo
Straordinario sull’Occupazione di Lussemburgo del novembre 1997.
26
Alle indicazioni delineate nell’ambito della Strategia Europea per
l’Occupazione si ispira il disegno di riforma del mercato del lavoro; e i quattro
“pilastri” delineati nel Processo di Lussemburgo (“Occupabilità”; “Imprenditorialità”;
“Adattabilità” e “Pari opportunità” costituiscono “le parole chiave attraverso cui
leggere … [il decreto legislativo 276/2003]”.
27
26
Cfr. M. BIAGI – M. TIRABOSCHI, Istituzioni di Diritto del Lavoro, Giuffrè – 2003, p. 324.
27
Relazione di accompagnamento al decreto di attuazione della riforma Biagi, p. 3.