INTRODUZIONE
A circa sei anni dallultima importante riforma, il contratto di apprendistato è
tornato sotto la luce dei riflettori della dottrina e della giurisprudenza a causa di un
intervento del legislatore che incide su uno dei nuclei centrali della fattispecie:
lobbligo di formazione.
Si coglie in questo lavoro loccasione per approfondire il tema di un istituto che per
sua natura coinvolge vari portatori di interessi: innanzitutto i giovani, che in esso
potrebbero trovare un mezzo per raggiungere una posizione soddisfacente nel
mercato del lavoro.
Sono inoltre coinvolte le imprese, potendo queste ultime trarre dalla creazione di
questo tipo di rapporti investimenti in capitale umano remunerati da vari vantaggi di
tipo economico.
Non rimangono estranee al momento lato sensu legislativo nemmeno le Regioni e
le parti sociali, essendo dalla fonte statale riservate alcune competenze in fase di
disciplina integrativa alla normativa regionale e alla contrattazione collettiva.
Resta sullo sfondo, ma sempre presente quando si parla di tipologie di contratti di
lavoro, quellesigenza politica di ottenere flessibilità, richiesta soprattutto dalle
imprese per adeguarsi al mercato globale, e sicurezza sociale, necessaria per
garantire ai lavoratori una vita serena nella piena realizzazione dei principi enunciati
agli artt. 2 e 3 della Carta Costituzionale.
Dal punto di vista della qualificazione giuridica, la principale manualistica definisce
lapprendistato come un vero e proprio contratto di lavoro subordinato, seppur
“speciale”, poiché a causa mista: la causa tipica (prestazione lavorativa contro
1
retribuzione) si arricchisce di una parte formativa . Parte della dottrina è però
quanto meno scettica, argomentando sul fatto che la ragion dessere dellistituto
1 Cfr. Carinci, De Luca Tamajo, Tosi, Treu, Diritto del lavoro, UTET 2004, p. 123. Definizione analoga
viene data sub. art 2134 in Grandi, Pera, a cura di, Commentario breve alle leggi sul lavoro - III
Edzione CEDAM 2005. Un contributo alla questione arriva anche dalla Consulta, che nella sentenza
n. 14 del 1970 deve riconoscersi la specialita' del rapporto stesso, in vista dell'obbligo
dell'insegnamento cui e' tenuto l'imprenditore, obbligo che costituisce una causa del contratto che
non si sovrappone all'altra riguardante la prestazione del lavoro, ma da' luogo ad un rapporto
complesso, costituito da elementi i quali, componendosi, non perdono la loro individualità.
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sarebbe più collegata alladempimento dellobbligo formativo che non alla volontà di
2
entrare nel mondo del lavoro .
Una posizione sul merito della questione, che non appare di facile soluzione, potrà
essere presa solo in seguito ad un esame approfondito dellistituto: basti pensare al
fatto che, dopo la semplice lettura della normativa 2003, non è neppure chiaro se
3
lapprendistato sia un unicum oppure un genere contenitore di tre specie .
Le radici dellistituto affondano in un passato remoto: un tipo di rapporto di lavoro
con formazione, denominato “tirocinio” è presente nel nostro ordinamento nella
disciplina della sez. IV del tit. II del libro del Codice Civile sul lavoro, mentre la prima
vera norma organica sullapprendistato è la legge n. 25 del 1955, sulla quale sono
4
nel corso degli anni riforme più o meno invasive , fino allintervento riorganizzativo
del d.lgs. 276/2003.
Nelle intenzioni del legislatore dellepoca codicistica, cera sicuramente la volontà di
offrire uno strumento ai tanti adolescenti che preferivano seguire un percorso
formativo pratico, garantendo contenuti formativi a coloro che per necessità o per
scelta sostituivano alla formazione secondaria il tirocinio presso una piccola impresa
o una bottega artigiana. Nel tempo però la situazione è cambiata: i rapporti ISFOL ci
segnalano che, alla fine del secolo scorso, quasi il 70% delle ragazze e dei ragazzi
italiani riuscivano a conseguire un diploma o una qualifica professionale: ecco la
necessità di potenziare lapprendistato, quel canale “che negli altri paesi europei
5
costituisce lo strumento principale per favorire la transizione dalla scuola al lavoro”.
Dopo lapprovazione della legge 144 del 1999, lapprendistato divenne uno dei
canali per ladempimento dellobbligo formativo, i nsieme al triennio della scuola
6
secondaria e ai corsi di formazione professionale regionale : il cliché
2
Cfr. Bellocchi, in Pedrazzoli, Montuschi, et al., Il nuovo mercato del lavoro – Commentario al dlgs
276/2003 – Zanichelli 2004
3
V. infra, § 1.4 e 2.1
4
A titolo esemplificativo possono essere citate la legge 424 del 1968, lart. 21 della legge n. 56 del
1987 e la legge 196 del 1997
5
Cfr. Isfol, a cura di, Rapporto sul mercato del lavoro, 1997 - Sintesi pag. 3
6
Con il sistema introdotto dalla legge n. 144 del 99, viene fissato lobbligo formativo sino ai diciotto
anni. Gli studenti, dopo ladempimento dellobbligo scolastico (quindici anni), possono scegliere se
completare il suddetto obbligo formativo restando nel sistema scolastico, partecipando ad un corso di
formazione professionale regionale, oppure accedendo allapprendistato.
5
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dellapprendista di 15-16 anni destinato a mansioni dequalificate sembrava dovere
definitivamente essere messo da parte.
Lo stravolgimento del mercato del lavoro avvenuto nel 2003, come già accennato,
non lascia intatta questa fattispecie: si stima che, tra gli imprenditori che per primi
7
decisero di applicare la legge, ben il 14% utilizza questo istituto . Nei primi otto mesi
del 2005, secondo i dati INPS, gli apprendisti occupati sono stati in media 569.000,
ed il rapporto Isfol 2007 conferma che il numero degli apprendisti continua a
crescere, seppure di poco, arrivando a sfiorare nel 2006 la cifra di 600.000 unità.
Si potrebbe dunque pensare ad una normazione felice, ma presto cominciano ad
emergere profili critici: la situazione della regolamentazione resta da anni in balia di
iniziative non coordinate da parte dello Stato, delle Regioni e della contrattazione
collettiva. In questo modo, il proficuo svolgimento dellattività formativa rischia di
8
essere seriamente compromesso . Il Ministro del Welfare sembra essersene reso
9
conto, affermando nel Libro Bianco del 2001 che “formazione in alternanza ed
apprendistato non hanno pienamente funzionato”. La proposta avanzata per la
soluzione del problema è quella di “riscoprire la vocazione formativa dellimpresa, in
risposta ad un sistema di formazione pubblica che non decolla”; la legge 133 del
2008 inizia il cammino in questa direzione.
Lapprendistato è quindi un istituto ricco di potenzialità, che collega due momenti
importanti della vita di ogni cittadino: luscita dal percorso dellistruzione e lentrata
nel mondo del lavoro. Si cerca in questo scritto di disegnarne i tratti salienti,
seguendo principalmente il criterio cronologico, ma dando atto principali questioni
dottrinali e pratiche.
7
Cfr. Isfol, a cura di, Rapporto sul mercato del lavoro, 2004.
8
A conferma di questa tesi il rapporto Isfol 2008, che segnala, a pag. 14, come il rapporto tra
apprensdisti occupati e apprendisti formati sia in calo da 3 anni: dal 25% del 2004 al 17,4% del 2006.
9
Il Libro Bianco sul Mercato del Lavoro è un documento creato da un gruppo di lavoro coordinato da
Maurizio Sacconi e Marco Biagi e pubblicato nellottobre del 2001, finalizzato alla partecipazione
degli attori sociali alle riflesioni che il governo stava svolgendo in vista delle riforme che stavano per
cambiare il mercato del lavoro italiano.
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CAPITOLO I:
IL MODELLO TRADIZIONALE DI APPRENDISTATO DELLA
LEGGE N. 25 DEL 1955 E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI
1.1 - La regolamentazione degli anni cinquanta
La necessità di tramandare un mestiere ha provocato fin da tempi antichi
linstaurarsi di rapporti riconducibili allo scambio lavoro per formazione. Le notizie di
istituti simili risalgono allepoca greca e romana, ma sotto il profilo giuridico la
regolamentazione è rimasta assente per lunghissimo tempo: non se ne trova traccia
10
né nel Code Napoleon del 1804 né nel codice italiano del 1865.
Ordinamenti stranieri regolarono listituto prima del nostro: ad esempio, il code du
travail francese (risalente al 1910) enunciava una compiuta disciplina del contrat
dapprentisage , completata dallo statuto degli inspecteurs dapprendistage , ovvero
dei soggetti deputati al controllo sul tirocinio nelle imprese. Negli Stati Uniti
dAmerica molte sentenze avevano creato un complesso sistema di diritti-doveri in
capo a masters e apprendisti: diritto allistruzione, al mantenimento e allassistenza
per questi ultimi, diritto di esigere la prestazione lavorativa, vigilare e punire per i
primi.
In Inghilterra la prima regolamentazione dellistituto risale addirittura al 1814, con
lʼ Apprenticeship Act, che abrogava il divieto di adire un mestiere prima di aver
compiuto almeno sette anni di tirocinio.
Nellordinamento italiano se ne occupa per la prima volta la legge n. 51 del 1904 in
materia di “infortuni degli operai sul lavoro” che, per espressa volontà del
legislatore, si applica anche a “lapprendista, con o senza salario, che partecipa
allesecuzione del lavoro”. Un notevole contributo era stato offerto dal r.d. 1906 del
10
Per un dettagliato resoconto storico dellistituto, vedi Giovanelli, Disegno storico del tirocinio in
Italia, in Il diritto del lavoro, n. 1/1957, pagg. 250 e ss. e Rudan, Il contratto di tirocinio, Giuffré 1966,
pagg. 39 e ss.
7
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11
1938, che disciplinava alcuni aspetti salienti dellʼistituto , lasciando alla
contrattazione collettiva (corporativa) il compito di delineare con precisione la
materia.
Il codice civile del 1942 si occupa dellistituto in oggetto nel capo I del Titolo
dedicato al lavoro nellimpresa, enunciando alcune norme di base, c he non possono
12
in alcun modo essere considerate una disciplina organica.
E anche la Costituzione, allart. 35 a collegare il lavoro e la formazione, sancendo
che “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la
formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori.”
La materia viene riordinata e disciplinata per la prima volta dalla Legge 19 gennaio
1955 n. 25 ,che in 33 articoli definisce listituto, e dispone le pratiche da svolgere
per la corretta instaurazione e lo svolgimento del rapporto.
Una disamina di queste norme - seppure non particolarmente approfondita - e delle
principali questioni esegetiche del tempo sono senzaltro utili per meglio capire le
riforme a noi più vicine e per comprendere la cornice normativa in cui si è mosso
listituto in esame nel corso di gran parte della sua storia.
E interessante dare atto, prima di entrare nel vivo della legge in commento, di una
questione dibattuta dai commentatori del tempo: quella della sopravvivenza delle
norme codicistiche una volta entrata in vigore la nuova legge. Bisogna
preliminarmente osservare che la dottrina prevalente considerava le norme del
codice come “direttive” o “criteri fondamentali”, che il legislatore aveva emanato pur
avendo trovato la materia già (in parte) regolata dal citato R.D.L. del 1938. Era
pertanto inapplicabile, seppur in via eccezionale, lart. 15 disp. prel., secondo il
quale le leggi sono abrogate “perché la nuova legge regola lintera materia già
regolata dalla legge anteriore”. Rimaneva quindi come filtro soltanto larticolo 33
legge n. 25/1955, che prevedeva la caducazione, oltre che del R.D.L. 1906 del
1938, di “ogni altra disposizione in contrasto con la presente legge”. Al termine
11
Si segnalano, tra gli altri letà minima dellapprendista fissata a 14 anni e lassunzione tramite gli
uffici di collocamento.
12
Più precisamente, lart. 2130 prevede che “il periodo di tirocinio non può stabilire i limiti stabiliti
dagli usi”, lart. 2131 sancisce il divieto di cottimo e gli artt. 2132 e 2133 proteggono lapprendista con
il divieto di essere destinato a lavori diversi da quelli a cui attiene il tirocinio e con il diritto al rilascio di
un attestato del tirocinio compiuto. Lart. 2134 chiude il sistema disponendo che le norme appena
esaminate si applicano “in quanto siano compatibili con la specialità del rapporto e non siano
regolate da leggi speciali”
8
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delloperazione esegetica si ritennero incompatibili gli articoli 2130 e 2133, il primo
poiché la determinazione della durata è stata esplicitamente rimessa ai contratti
collettivi (con un limite massimo di cinque anni), il secondo perché sostituito dallart.
13
18 l. 25/1955 . Restavano invece in vigore gli artt. 2131 e 2132, seppure
sostanzialmente ripetuti nellart. 11 l. 25/1955, e lart. 2134, che continuava ad
operare nel suo ruolo di collegamento tra il codice e le leggi speciali.
Venendo al sistema normativo disegnato nel 1955, dopo la preventiva istituzione,
all'art.1, di un Comitato con funzioni consultive in materia di apprendistato ed
occupazione dei giovani lavoratori presso la Commissione centrale per l'avviamento
al lavoro e l'assistenza ai disoccupati, la legge 25 del 1955 entra nel vivo, definendo
lʼapprendistato come “uno speciale rapporto di lavoro in forza del quale
l'imprenditore è obbligato ad impartire o a far impartire, nella sua impresa,
all'apprendista assunto alle sue dipendenze, l'insegnamento necessario perché
possa conseguire la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato,
utilizzandone l'opera nell'impresa medesima”.
Appare subito chiaro che il legislatore vuole ricondurre lapprendistato nellalveo del
rapporto di lavoro subordinato, seppur lasciandolo in una posizione di “specialità”.
La disposizione non è banale, in quanto da questo esplicito riconoscimento
discende lapplicazione dei contratti collettivi e di tutte le normative che tali rapporti
hanno come oggetto, distinguendo la figura dellapprendista da quella di altre
14
similari, come il praticante o volontario , che non godevano delle tutele accordate
ai titolari di un rapporto di lavoro subordinato.
Sorge però fin da questo momento in dottrina la querelle sulla causa del contratto in
esame, che la norma non esplicita. Parte dei commentatori ha individuato tale
causa nello scambio, tra datore di lavoro e apprendista, di prestazione di lavoro con
13
Lart. 18 della legge n. 25 del 1955 prevede c he al termine delladdestramento pratico gli
apprendisti sostengano le prove di idoneità allesercizio del mestiere e che la qualifica ottenuta dovrà
essere scritta sul libretto personale di lavoro
14
Per una approfondita analisi della distinzione dellapprendista dalle figure affini (garzone, mozzo di
bordo, aiutante, avventizio etc.) cfr. Rudan, op. cit., pagg. 93 e ss.
9
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addestramento, lasciando la retribuzione come mera obbligazione di carattere
15 16
accessorio ; altri hanno invece visto come prevalente il rapporto lavorativo .
La Corte di Cassazione fornisce al problema una parziale soluzione, affermando
con la Sent. n. 398/1961 che il principio di proporzionalità e sufficienza della
retribuzione sancito dallʼart. 36.1 della Costituzione debba applicarsi anche
allapprendista: la retribuzione sembra quindi atteggiarsi ad elemento essenziale,
che integra del contratto, sebbene si debba tener conto in essa anche del valore
17
delladdestramento .
1.2 - I soggetti e gli adempimenti preventivi allinstaurazione del
rapporto
Le parti del contratto di apprendistato sono il datore di lavoro ed il lavoratore-
apprendista. La forma del contratto deve essere scritta ad substantiam, come
18
definitivamente affermato in giurisprudenza .
Il datore di lavoro, nel rapporto di apprendistato, è il responsabile della formazione
del prestatore. Peraltro, alcuni ordinamenti si erano già in quegli anni preoccupati di
regolarne in modo preciso la figura, introducendo un regime di controllo, dei limiti di
età o assenza di condanne penali in capo al datore di lavoro. Ad esempio, in
Francia si esige dal maitre limmunità da condanne per delitti, reati per il buon
19
costume e reati previsti dalla normativa sullapprendistato ; in Spagna il patrono
deve avere più di ventuno anni, godere nei diritti civili, avere perizia nel mestiere o
professione cui il tirocinio si riferisce. Nella nostra legge non si trova nulla di simile,
15
In questo senso , tra gli altri, Montaretto Marullo, La disciplina attuale del tirocinio in italia, in Il
diritto del lavoro, n. 1/1957, pag 20
16
Cfr. Ardau, il rapporto di tirocinio in un recente provvedimento legislativo, in Rivista Infortuni e
Malattie Professionali n. 1/1955, pag. 102 e
17
Cfr. Gramiccia, Osservazioni in tema di apprendistato, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro 1963,
pagg. 382 e ss. Sul punto v. la sentenza della Corte Costituzionale n. 14 del 1970
18
V. Cass. 1982/2358, reperibile online alla banca dati www.leggiditaliaprofessionale.it
19
V. art. 4, libro 1, c. trav.
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e se ne può dedurre che il contratto in oggetto possa essere stipulato da qualunque
20
datore di lavoro, compresi i non-imprenditori .
Per quanto riguarda invece gli apprendisti, ai sensi dellart. 6 della legge in esame,
possono essere assunti “i giovani di età non inferiore ai quattordici anni e non
superiore ai venti, salvo la limitazione di età, i divieti e le limitazioni di occupazione
previsti dalla legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli”.
Se la limitazione inferiore è coordinata con la durata dellobbligo scolastico al
tempo, quella superiore non trova altri riscontri: si può quindi azzardare lipotesi c he
il legislatore considerasse i venti anni come una ragionevole età per completare il
21
percorso formativo . I limiti ed i divieti previsti dalle leggi citate riguardano
soprattutto limpossibilità di adibire donne e minori a determinati lavori.
Dal fatto che il contenuto formativo è elemento essenziale e fondante del contratto
discende che esso non può essere stipulato qualora il creditore della formazione
abbia già in suo possesso la qualifica, ma, secondo la giurisprudenza prevalente, il
possesso di un titolo di studio non presuppone automaticamente capacità di
22
svolgere nella pratica le attività oggetto di insegnamento teorico
Nonostante lintenzione del legislatore di creare una disciplina protettiva dellattività
formativa dei giovani lavoratori, delegando ai privati lʼonere di prepararli
professionalmente in cambio di incentivi ed agevolazioni, listituto veniva utilizzato
come strumento per abbassare i costi della prestazione lavorativa, con evidente
incoerenza rispetto agli obiettivi del legislatore. Per evitare abusi nellutilizzo
dellistituto, la legge n. 424 del 1968 ha posto un tetto al numero di apprendisti che il
datore di lavoro ha facoltà di occupare: costoro non avrebbero potuto superare il
100% delle maestranze specializzate impiegate. E tuttavia intervenuta in seguito su
questo punto anche la legge n. 56 del 1987, consentendo alle aziende con meno di
tre lavoratori qualificati o specializzati di assumere fino a tre apprendisti. Lobiettivo
di questa norma, che resterà in vigore anche dopo le ultime riforme, è duplice: da un
lato si vuole evitare un indiscriminato ricorso al contratto di apprendistato a danno
20
Cfr. Rudan, op. cit., pag 138 e 149
21 Nella antevigente disciplina del 1938 il limite superiore era lasciato alla contrattazione collettiva, e
la nuova imposizione suscitò alcune critche per la mancanza di flessibilità. cfr. Montaretto Marullo,op.
cit., pag 21
22
Cfr, Cass. 1977/3748, reperibile online alla banca dati www.leggiditaliaprofessionale.it
11
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del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, e dallaltro viene fissato
23
un elemento condizionante del proficuo svolgimento dellattività formativa.
In materia, vale la pena ricordare che, qualunque sia il numero di risorse assunte
con contratto di apprendistato, queste non si computano al fine dei limiti numerici
24
previsti da leggi e contratti collettivi per lapplicazione di particolari istituti .
Venendo alla disciplina del momento dellincontro tra domanda e offerta di lavoro,
come già la legge del 1938, anche quella del 55 impone determinati adempimenti
formali da compiere allatto dellassunzione.
Innanzitutto, stabilisce larticolo 3 che chi intende essere assunto come apprendista
deve iscriversi in appositi elenchi presso gli Uffici di Collocamento: la richiesta
nominativa era ammessa per le aziende con meno di 10 dipendenti e nella misura
del 25% degli apprendisti in quelle più grandi. Sicuramente la disposizione non
veniva incontro alle esigenze delle imprese di selezione degli apprendisti, ma pare
inutile approfondire un problema che, dopo la soppressione degli Uffici di
Collocamento, appartiene alla storia del diritto del mercato del lavoro: la legge 223
del 1991 ha liberalizzato completamente la scelta della forza lavoro da assumere e
il dlgs. n. 297/2002 ha definitivamente abolito tutte le liste di collocamento (tranne
alcune eccezioni).
Inoltre, per instaurare un rapporto di apprendistato, il datore di lavoro doveva
ottenere la autorizzazione dell'Ispettorato del lavoro, cui doveva precisare le
condizioni della prestazione richiesta agli apprendisti, il genere di addestramento e
la qualifica che essi potevano conseguire al termine del rapporto.
Infine, gli artt. 4 e 5 prevedevano che lassunzione fosse preceduta da visita psico-
fisica.
Dal punto di vista sanzionatorio, lart. 23 commina al datore che viola queste norme
unammenda.
23
Cfr, Lassandari, il tirocinio, in Rescigno,a cura di, Trattato di diritto privato, vol. XV, UTET 2004,
pagg. 428
24
V. art. 21 comma 7 l. 56/1987
12
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