collettiva a livello comunitario è entrata stabilmente a far parte dei compiti della
Commissione.
L’Accordo sulla Politica sociale
4
(APS) - allegato mediante Protocollo al Trattato
di Maastricht e in seguito integrato nel testo del Trattato (dopo il Consiglio di
Amsterdam
5
, nel 1997) - rappresenta, infatti, un notevole passo avanti e una
autentica svolta, almeno sul piano teorico, rispetto alla “frigidità sociale dei padri
fondatori”
6
della CE. L’APS riprende e rilancia l’originaria ispirazione dell’Atto
unico europeo - entrato in vigore nel 1987 -, con il quale vengono apportate una
serie di innovazioni istituzionali utili per lo sviluppo della politica sociale europea.
L’Atto unico ha fatto sì che entrasse per la prima volta nell’ordinamento comunitario
un nuovo principio: il riconoscimento dell’autonomia normativa delle parti sociali a
livello europeo con la graduale trasformazione del loro ruolo, da consultivo, a ruolo
di codecisione.
Ma è l’APS che rafforza sensibilmente il ruolo delle parti sociali, perché non solo
prevede la contrattazione collettiva a livello europeo (art. 4.1 APS
7
), ma anche
4
Il testo contenuto nel Protocollo sociale allegato al Trattato di Maastricht riproduce quasi
letteralmente la famosa Dichiarazione comune sottoscritta da CES, UNICE e CEEP il 31 ottobre
1991. Con questa intesa 12 Stati membri convenirono di autorizzare undici tra loro (per l’opting out
del Regno Unito) ad attuare l’accordo raggiunto sulla politica sociale (APS), facendo ricorso alle
istituzioni, procedure ed ai meccanismi dei Trattati.
5
La novità più rilevante apportata dal Trattato di Amsterdam è costituita proprio dall’integrazione nel
Trattato CE delle disposizioni contenute nell’APS con l’effetto di rendere quest’ultime applicabili
anche al Regno Unito. A seguito quindi della firma del Trattato di Amsterdam (2 ottobre 1997), il
dialogo sociale e la contrattazione collettiva hanno conosciuto un momento di ulteriore valorizzazione
che ha portato alla “costituzionalizzazione” della presenza delle parti sociali nel processo di
produzione normativa del diritto sociale comunitario. Vedi al riguardo R. NUNIN, Il dialogo sociale
europeo. Attori, procedure, prospettive, Milano, 2001, p.43.
6
G.F. MANCINI, Regole giuridiche e relazioni sindacali nell’Unione Europea, in AA.VV.,
Protocollo sociale di Maastricht: realtà e prospettive, Roma, 1995.
7
Art. 4.1 Aps: «Il dialogo fra le parti sociali a livello comunitario può condurre, se queste lo
desiderano, a relazioni contrattuali, ivi compresi accordi».
4
perché affida alle parti sociali «una triplice funzione di sostegno dell’iniziativa
legislativa della Commissione»
8
.
In primo luogo di recezione del contenuto di una direttiva in luogo dell’ordinario
strumento legislativo (art. 2.4 APS
9
). In secondo luogo di integrazione dell’iniziativa
legislativa della Commissione nella fase di consultazione obbligatoria (art. 3.1.2.3
APS
10
). In terzo luogo di sostituzione eventuale dell’iniziativa legislativa della
Commissione attraverso la predisposizione di un contratto collettivo (art. 3.4 APS
11
).
L’APS ha dato quindi un particolare rilievo alle attività collettive delle parti sociali
in tutte le sue diverse accezioni riscontrabili sul piano comunitario: dalla loro
partecipazione al processo decisionale della Comunità (cioè alla concertazione
trilaterale), al dialogo sociale e infine alla contrattazione bilaterale vera e propria
12
.
Esso ha quindi contribuito a mettere ordine nel groviglio dei meccanismi, procedure
e forme di intervento delle parti sociali che venivano indistintamente qualificati come
partecipazione, concertazione e dialogo sociale.
Sulla base delle disposizioni dell’APS, le parti sociali partecipano sia alla fase
“ascendente”, relativa alla produzione delle norme comunitarie, sia a quella
“discendente”, vale a dire alla loro recezione interna per via contrattuale.
8
Così R. FOGLIA e G. SANTORO PASSARELLI, Profili di diritto del lavoro comunitario, Torino,
1996.
9
Art. 2.4 Aps: «Uno Stato membro può affidare alle parti sociali, a loro richiesta congiunta, il
compito di mettere in atto le direttive prese in applicazione dei paragrafi 2 e 3 .
10
Art. 3.1.2.3 Aps:« La Commissione ha il compito di promuovere la consultazione delle parti sociali
a livello comunitario e prende ogni misura utile per facilitarne il dialogo provvedendo ad un sostegno
equilibrato delle parti.
A tal fine la Commissione, prima di presentare proposte nel settore della politica sociale, consulta le
parti sociali sul possibile orientamento di un’azione comunitaria.
Se, dopo tale consultazione, dovesse ritenere opportuna un’azione comunitaria, la Commissione
consulta le parti sociali sul contenuto della proposta prevista. Le parti sociali trasmettono alla
Commissione un parere o, eventualmente, una raccomandazione».
11
Art. 3.4 Aps:« In occasione della consultazione le parti sociali possono informare la Commissione
della loro volontà di avviare il processo previsto dall’art. 4. La durata della procedura non potrà
superare nove mesi, salvo proroga decisa in comune dalle parti sociali interessate e dalla
Commissione».
12
M. ROCCELLA e T. TREU, Diritto del lavoro, cit., p. 381.
5
Sono due i modi
13
con cui la negoziazione collettiva di livello comunitario fra le
parti sociali è chiamata a dare il suo contributo alla costruzione di un diritto sociale
di livello europeo:
a) l’accordo a livello comunitario fra le parti, attuato tramite apposita “decisione” da
parte del Consiglio, su proposta della Commissione;
b) l’accordo a livello comunitario fra le parti, c.d. “libero” in quanto attuato
nazionalmente secondo la prassi e le procedure vigenti negli Stati membri e fra le
parti sociali.
Questi due modelli - previsti dagli artt. 138 e 139.2 del Trattato CE, attengono
eminentemente al livello c.d. “ascendente” delle relazioni sindacali.
«Ugualmente rilevanti sono le conseguenze che questa peculiare forma di produzione
del diritto sociale a livello comunitario induce nelle forme di regolazione interna, e
soprattutto nell’autonomia collettiva, dando luogo all’individuazione di due tipi di
contratto collettivo, nella fase di conformazione del diritto nazionale del lavoro a
quello comunitario»
14
:
a) il contratto collettivo nazionale come strumento diretto di trasposizione delle
direttive comunitarie di politica sociale. Ogni Stato membro ha cioè la facoltà di
assegnare alle parti sociali, qualora queste ne facciano richiesta congiunta, il compito
di mettere in atto le direttive;
b) il contratto collettivo nazionale come fonte interna, tenuta al rispetto diretto dei
principi fondamentali e alla normativa comunitaria vigente, che potrà essere derogata
esclusivamente in senso migliorativo
15
.
13
G. ARRIGO, Rappresentanza e tutela del lavoro nell’ordinamento comunitario (tendenze recenti),
2000 in www.training.itcilo.it
14
G. ARRIGO, op., ult., cit.
15
Per quanto riguarda i rapporti tra la normativa comunitaria e il contratto collettivo di diritto interno,
è possibile individuare una serie di situazioni nelle quali tra la prima e il secondo vengono ad
instaurarsi rapporti di:
a) Derogabilità in melius: è il rapporto più frequente presente in numerose direttive; basti citare
la direttiva 89/391/CEE del 12 giugno 1989 in materia di sicurezza sul lavoro o la direttiva
91/533/CEE del 14 ottobre 1992 in materia di obbligo del datore di lavoro di informare il
lavoratore della condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro, il cui art. 7 così
recita: «la presenta direttiva lascia impregiudicata la facoltà degli Stati membri di applicare o
6
«Questi ulteriori due modelli attengono eminentemente alla fase c.d. “discendente”
delle relazioni sindacali: vale a dire dal livello comunitario alla loro recezione interna
per via contrattuale»
16
.
2. LA PARTECIPAZIONE DELLE PARTI SOCIALI AL PROCESSO DI
PRODUZIONE NORMATIVA COMUNITARIA
La contrattazione collettiva europea ha costituito sino agli anni 90 più oggetto di
ipotesi accademiche e di anticipazioni, che non di realizzazioni concrete. Una tale
scarsità di risultati deve essere addebitata, in buona misura, alle reticenze manifestate
nei confronti della idea del contratto collettivo europeo come fonte di diritto in senso
proprio. La descritta situazione ha trovato alcuni spunti di possibile cambiamento
proprio nelle disposizioni dell’APS. E’ stato rilevato
17
come una delle innovazioni
più importanti introdotte in questa sede sia costituita: a) dalla rilevanza attribuita al
dialogo sociale ed alla sua possibile evoluzione verso forme di vera contrattazione
collettiva europea; b) dall’attribuzione alle parti sociali della possibilità di intervenire
introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli o di
consentire l’applicazione di disposizioni contrattuali più favorevoli ai lavoratori».
b) Complementarietà: un esempio è dato dalla direttiva 93/104/CE del 23 novembre 1993 in
materia di orario di lavoro, la quale rinvia alla contrattazione collettiva nazionale
l’individuazione della figura del “lavoratore notturno”;
c) Conflitto: casi di conflitto si configurano quando le previsioni contrattuali si rivelano
incompatibili con la disciplina comunitaria; in siffatte ipotesi, la soluzione del conflitto viene
risolta attraverso l’applicazione del principio del primato del diritto comunitario, il quale
determina l’effetto c.d. di sostituzione. Vedi al riguardo J. APARICIO TOVAR,
Contrattazione collettiva e fonti comunitarie, in Dizionario di diritto del lavoro comunitario,
Bologna, 1996.
16
G. ARRIGO, op., ult., cit.
17
F. GUARRIELLO, Ordinamento comunitario e autonomia collettiva. Il dialogo sociale, Milano,
1992; J. APARICIO TOVAR, ult., op., cit; M. ROCCELLA e T. TREU, ult. op., cit.
7
nel processo di produzione normativa comunitaria; c) dal conseguente potenziamento
del ruolo istituzionale assunto dalle parti sociali a livello comunitario.
L’esegesi delle disposizioni comunitarie consente di distinguere due ipotesi, vale a
dire, due percorsi procedurali attraverso i quali le parti sociali giungono alla trattativa
e quindi alla conclusione dell’accordo.
L’avvio del processo negoziale può avvenire in occasione o nel corso di una
iniziativa legislativa della Commissione (la contrattazione “indotta”
18
) ovvero le
parti sociali possono autonomamente decidere di avviare un negoziato alla cui fase
genetica e al cui svolgimento le istituzioni comunitarie rimangono estranee (la
contrattazione “volontaria”
19
).
Comunque si sia originata l’attività negoziale, per impulso proprio degli attori sociali
ovvero come reazione all’iniziativa della Commissione, essa poggia in entrambi i
casi su un chiaro fondamento costituzionale
20
. La scelta di conferire un fondamento
costituzionale all’attività negoziale collettiva su scala comunitaria non ha però
implicato un intervento regolatorio sull’ assetto e le procedure del nuovo sistema
contrattuale. Tuttavia si è realizzata una ripartizione di competenze tra il potere
normativo sovranazionale degli organi dell’ Unione Europea e quello delle parti
sociali, affermando un diritto fondamentale (di cui sono titolari le associazioni
imprenditoriali e le organizzazioni sindacali) che non si limita alla previsione di una
semplice autonomia contrattuale
21
.
L’art. 138 TCE
22
costituisce il fondamento costituzionale della contrattazione
“indotta” e, com’è noto, prevede una doppia consultazione delle parti sociali ad
18
A. LO FARO, Funzioni e finzioni della contrattazione collettiva comunitaria. La contrattazione
collettiva come risorsa dell’ordinamento giuridico comunitario, Milano, 1999, p. 127.
19
A. LO FARO, op. ult. cit., p. 127.
20
B. BIAGI, Le relazioni industriali nell’Unione Europea, in Diritto delle relazioni industriali, n. 3,
1997, p. 23.
21
M. BIAGI, op. ult. cit., p. 23.
22
Art. 138 TCE: «1. La Commissione ha il compito di promuovere la consultazione delle parti sociali
a livello comunitario e prende ogni misura utile per facilitarne il dialogo provvedendo ad un sostegno
equilibrato delle parti.
2. A tal fine la Commissione, prima di presentare proposte nel settore della politica sociale, consulta le
parti sociali sul possibile orientamento di un'azione comunitaria.
8