- 4 -
ha attribuito alla contrattazione di comparto la competenza generale sugli
istituti del rapporto di lavoro.
Per di più, il suddetto decreto ha affermato il principio della
“irrilevanza dei contratti a termine per la costituzione di rapporti a tempo
indeterminato” nei casi di violazione di norme imperative, con
conseguente inapplicabilità al pubblico impiego dell’articolo 2, comma 2,
della legge n. 230/1962, che prevedeva la conversione del rapporto a
termine in rapporto a tempo indeterminato, in tutte le ipotesi di rinnovo o
proroga anomali.
Quanto detto va oggi rivisto alla luce del d.lgs. 6 settembre 2001, n.
368, abrogativo della legge n. 230/1962. Occorre considerare, infatti, che il
nuovo decreto ha completamente stravolto il sistema previgente in
materia di lavoro a termine, seppure non spogliando l’assunzione a
termine del suo originario carattere di eccezionalità rispetto a quella a
tempo indeterminato.
E’ alla luce della nuova normativa, dunque, che va analizzata la
questione dell’applicabilità al rapporto di lavoro pubblico della sanzione
della conversione del contratto a termine in contratto a tempo
indeterminato, senza peraltro trascurare la posizione della giurisprudenza
interna e comunitaria sul punto che, oltre ad aver fornito importanti
spunti di riflessione in materia, ha contribuito alla risoluzione delle più
dibattute questioni applicative, tra cui quella prospettata.
- 5 -
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 89/03, si è espressa in
merito al differente trattamento riservato al datore di lavoro pubblico
rispetto a quello privato, affermando il divieto di trasformazione a tempo
indeterminato dei contratti a termine in virtù del principio enunciato
dall’art. 97, comma 3, della Costituzione.
E’ evidente che la Corte, con il rigetto della questione di legittimità
costituzionale - sollevata dal Tribunale di Pisa - dell’art. 36 del d.lgs. n.
165/01 nella parte in cui prevede che “[i]n ogni caso, la violazione di
disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da
parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di
rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche
amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione” , ha inteso far
prevalere il carattere di specialità del settore pubblico, ritenendo
ineludibile la regola del pubblico concorso per l’accesso al lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni, derogabile “solo per la
migliore tutela dell’interesse pubblico, nei limiti della non manifesta
irragionevolezza, mediante l’individuazione per legge di casi eccezionali”.
La posizione assunta dalla Corte delle Leggi, del resto, trova
conferma nelle recenti sentenze della Corte di Giustizia del 4 luglio 2006,
proc. C–212/04 e 7 settembre 2006, proc. C–180/04. Il giudice
sovranazionale ha stabilito che quando il datore di lavoro non abbia
rispettato norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei
lavoratori a termine è bene sanzionare la violazione con misure che
- 6 -
presentino garanzie effettive di tutela dei lavoratori. Ciò posto, asserisce
che in Italia “prima facie” questa normativa di garanzia esiste, per effetto
dell’art. 36, comma 2, del d.lgs. n. 165/01, e sembra soddisfare i requisiti
indicati dalla Corte stessa.
Affermata la legittimità della norma che vieta nel pubblico impiego la
conversione del contratto a termine, i Giudici europei sostengono che non
vi è lacuna nell’ordinamento Italiano, quanto piuttosto una carente tutela
giudiziaria in applicazione alle norme sanzionatorie esistenti. Censurando,
dunque, l’utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a
tempo determinato, in contrasto con l’ordinamento giuridico comunitario,
ritengono che l’ordinamento positivo interno debba prevedere misure
effettive per scoraggiare, nonché sanzionare, detto utilizzo.
Il presente lavoro, volto allo studio della descritta questione, si
propone di dar conto della normativa e degli orientamenti
giurisprudenziali avvicendatisi sino ai tempi più recenti circa la legittimità
della sanzione della conversione nel settore del pubblico impiego (capitolo
3), non senza prima offrire al lettore una panoramica di quella che è
l’attuale disciplina del contratto a termine nel lavoro privato (capitolo 1) e
nel pubblico impiego (capitolo 2).
- 7 -
CAPITOLO 1
L’EVOLUZIONE DEL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO
DETERMINATO
SOMMARIO: 1. Il quadro normativo anteriore al d.lgs n.368/2001. 2. Il decreto
legislativo n.368/2001: verso la totale liberalizzazione del contratto a termine. a) Le
ragioni giustificative del termine. b) I requisiti di forma. c) La disciplina della proroga,
della prosecuzione dell’attività lavorativa e del rinnovo dei contratti a termine. d) La
sanzione della conversione.
1. IL QUADRO NORMATIVO ANTERIORE AL D. LGS. N.
368/2001
Un’analisi attenta ai processi innovativi ed evolutivi che hanno
caratterizzato questo scorcio di secolo non può che approdare ad una
conclusione solo in apparenza azzardata o paradossale: il contratto a
termine ha assunto il ruolo di fattispecie polarizzante, mentre è declinata
vistosamente la centralità dello storico modello del lavoro a tempo
indeterminato, in uno con la crisi dello stesso archetipo normativo
dell’art.2094 c.c.
1
I mutamenti che ebbero luogo a partire dagli anni ’70, identificati
solitamente con la fine del modello ford-keynesiano,
2
segnarono l’inizio
della crisi della tradizionale concezione di impiego dipendente a garanzie
totali.
1
MONTUSCHI, L’evoluzione del contratto a termine. Dalla subalternità all’alternatività: un modello per il
lavoro, in Quaderni di Diritto del Lavoro e delle Relazioni Industriali, n.23/2000, pagg.9 ss.
2
Come noto, tale modello era caratterizzato da alti tassi di crescita, alti consumi interni, alta
produttività del fattore lavoro impiegato in produzioni di massa per un esercito di consumatori-
produttori a sua volta massificato nei gusti ed uniformato negli stili di vita.
- 8 -
Difatti, i mutamenti nella divisione internazionale del lavoro, la
globalizzazione crescente degli scambi e delle relazioni commerciali,
l’innovazione tecnologica fortemente labour saving, la crescita dei servizi
insieme ai cambiamenti avvenuti nella famiglia e nel processo di
emancipazione femminile, determinarono, insieme al considerevole
aumento dei tassi di attività delle donne, anche una crescita esponenziale
della disoccupazione in tutto l’occidente.
3
La situazione complessiva richiedeva, pertanto, un necessario
intervento di politica economica in modo da contrastare il drammatico
dilagare della disoccupazione.
Due le misure di politica del lavoro adottate: da un lato, i paesi
europei cercarono di mantenere elevato il livello di protezione del lavoro
dipendente a tempo indeterminato, al fine di rallentare la distruzione dei
posti di lavoro; dall’altro, si puntò ad una maggiore flessibilizzazione dei
nuovi ingressi nel mercato del lavoro al fine di incentivare la creazione di
occupazione.
La flessibilità venne in tal modo identificata come la risposta alla crisi
produttiva ed occupazionale abbatutasi sulle economie occidentali in
quanto ritenuta un valido strumento attraverso il quale favorire
3
BARBIERI, Il lavoro a termine nella recente esperienza italiana: uno sguardo sociologico e alcune
considerazioni in proposito, in Il nuovo lavoro a termine – Commentario al D.lgs. 6 settembre 2001, n.368 a
cura di Marco Biagi, pagg.21 ss.
- 9 -
l’inserimento di soggetti appartenenti ai segmenti deboli del mercato, di
donne, giovani ed inoccupati di lungo periodo.
4
In tale contesto, ebbe modo di affermarsi la figura del contratto a
tempo determinato.
Il termine finale, assunto quale elemento coessenziale al contratto di
lavoro, venne d’allora utilizzato per costruire nuove figure, anche
alternative, sia nell’ambito del lavoro regolato, sia nell’ambito dei c.d. non
lavori.
5
La disciplina italiana del lavoro a tempo determinato all’epoca
vigente era costituita dalla legge 18 aprile 1962, n.230. Detta legge aveva
abrogato l’art. 2097 c.c., unica norma disciplinante in origine l’intera
materia del contratto a termine, ed aveva fornito una normativa del tutto
nuova destinata, nelle espresse intenzioni del legislatore, a mettere fine al
massiccio abuso dell’istituto, reso possibile dai blandi limiti previsti
dall’art. 2097 c.c.
6
4
Cfr. BARBIERI, Il lavoro a termine nella recente esperienza italiana…, cit. e MONTUSCHI, L’evoluzione
del contratto a termine.., cit.
5
Cfr. MONTUSCHI, L’evoluzione del contratto a termine…, cit. il quale identifica i non lavori con i
rapporti non regolati e per questo non sottoposti alla disciplina generale lavoristica in quanto posti
oltre il confine del lavoro subordinato. Non lavori sarebbero, dunque, le nuove tipologie negoziali;
della stessa natura partecipano i lavori di pubblica utilità (la cui durata non può superare i dodici
mesi), le borse di lavoro (con una durata massima che oscilla tra i dieci e i dodici mesi) e gli stessi
lavori socialmente utili. In relazione all’essenzialità del termine cfr. anche GARILLI, I nuovi
strumenti di politica del lavoro. Commento sub artt.25-26, in Il pacchetto Treu, Commentario sistematico a
cura di NAPOLI, in Le nuove leggi civili commentate, e CIUCCIOVINO, Le borse di lavoro, in Argomenti
di diritto del lavoro.
6
L'articolo era così formulato: «Art. 2097. (Durata del contratto di lavoro). -- Il contratto di lavoro si
reputa a tempo indeterminato, se il termine non risulta dalla specialità del rapporto o da atto scritto. -- In
quest'ultimo caso l'apposizione del termine è priva di effetto, se è fatta per eludere le disposizioni che
riguardano il contratto a tempo indeterminato. -- Se la prestazione di lavoro continua dopo la scadenza del
termine e non risulta una contraria volontà delle parti, il contratto si considera a tempo indeterminato. --
Salvo diversa disposizione delle norme corporative, se il contratto di lavoro è stato stipulato per una durata
superiore a cinque anni, o a dieci se si tratta di dirigenti, il prestatore di lavoro può recedere da esso trascorso
il quinquennio o il decennio, osservata la disposizione dell'art. 2118»
- 10 -
Prevedendo che il rapporto dovesse reputarsi a tempo indeterminato
se il termine non risultava dalla specialità del rapporto o da atto scritto,
l’art. 2097 poneva una presunzione di rapporto a tempo indeterminato.
Tuttavia, la norma codicistica non poteva rappresentare alcun serio
argine al dilagare delle assunzioni precarie, sia per la sua indeterminata
formulazione, sia perché le due condizioni in essa previste furono intese
da larga parte della giurisprudenza come alternative.
7
Nella legge del ’62 lo sfavore del legislatore nei confronti del
contratto a termine trovava la sua massima espressione:
8
intendendo
rinnovare radicalmente la disciplina precedente per limitare nella misura
massima possibile il ricorso al contratto a tempo determinato, non si
limitò ad abrogare l’art.2097 c.c., ma volle abbandonare il riferimento alla
specialità del rapporto come criterio di legittimità dell’apposizione del
termine.
Nel sistema delineato dalla legge n. 230/1962 era previsto che “il
contratto a termine si reputa a tempo indeterminato salve le eccezioni”, indicate
tassativamente dalla stessa legge (art.1, comma primo). Il comma secondo
dell’art.1 conteneva infatti un’elencazione, tassativa appunto, delle
fattispecie che consentivano il ricorso al contratto a termine. Vi venivano
annoverate: a) le assunzioni per attività stagionali così come individuate
7
PUGLISI, in www.iurisfacile.org racconta che ad esempio, si ritenne che bastasse aver stipulato
per iscritto la clausola del termine, a prescindere dalla specialità del rapporto, per rendere legittima
l’assunzione.
8
CACCIAPAGLIA, L’evoluzione della disciplina del contratto a tempo determinato, in Il contratto di
lavoro a tempo determinato nel d.lgs 6 settembre 2001, n. 368 a cura di G.PERONE, in Le nuove leggi del
lavoro, pagg.2 ss.
- 11 -
dal d.p.r. n. 1525/1963 su delega dell’art. 1, comma sesto della legge
n.230/1962 e, successivamente, dal d.p.r. n. 560/1987; b) le assunzioni
effettuate per sostituire lavoratori assenti con diritto alla conservazione
del posto (casi di infortunio, malattia, maternità e servizio militare); c)
l’assunzione a termine per l’esecuzione di un’opera o di un servizio
definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario od
occasionale; d) l’ingaggio per lavorazioni a fasi successive che richiedono
maestranze diverse, per specializzazione, da quelle normalmente
impiegate; e) e infine, l’assunzione a tempo determinato del personale
artistico e tecnico della produzione di spettacoli, ad eccezione del
personale amministrativo e della manodopera generica.
Si trattava del cosiddetto “sistema della lista chiusa”,
9
introdotto
nell’ordinamento perché funzionale rispetto all’obiettivo perseguito di
rendere effettivo il principio che il rapporto a tempo indeterminato
avrebbe dovuto costituire la regola in materia di assunzioni e quello a
termine l’eccezione, ammessa soltanto in casi circoscritti legalmente
individuati.
La clausola del termine, da pattuirsi anteriormente o al più
contestualmente all’inizio della prestazione, doveva essere apposta per
iscritto ad substantiam, salva l’ipotesi di rapporti di durata non superiore a
dodici giorni. La violazione di tale disposizione dava luogo alla nullità
della clausola (rimanendo salvo, invece, l’intero contratto).
9
Così PUGLISI, Il rapporto di lavoro a tempo determinato, in www.iurisfacile.org .