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INTRODUZIONE
Con la locuzione criminalità organizzata ci si riferisce ad una organizzazione
gerarchica di persone, finalizzata all’arricchimento attraverso l’uso della corruzione e
della violenza e con la commissione di illeciti.
1
Non tutte le organizzazioni criminali, però, sono qualificabili come
organizzazioni criminali di tipo mafioso, dal momento che può esistere una
associazione criminale organizzata senza che ciò implichi l’adozione di metodi
operativi oppure rituali di stampo mafioso.
2
La definizione legislativa più significativa di associazione a delinquere di tipo
mafioso è quella espressa dall’articolo 416 bis del Codice penale, introdotto con la
legge n. 646/1992 (c.d. Legge Rognoni – La Torre), ai sensi del quale l’elemento
fondamentale di tale associazione si identifica nell’impiego della stessa, al fine di
esercitare forme di pressione economica e politica sulla collettività e sugli individui,
non solo per compiere delitti, realizzare profitti ingiusti per sé e per gli altri, ma
anche per acquisire, in via diretta o indiretta, la gestione ed il controllo di attività
economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici.
La mafia è un fenomeno criminale di difficile inquadramento, dal momento che
può assumere diverse forme nello spazio (basti pensare alle diverse denominazioni
quali: Camorra, ‘Ndrangheta, Cosa Nostra, Sacra Corona Unita, etc.) e nel tempo.
Negli ultimi anni, proprio in virtù dei cambiamenti economici, politici e sociali, si è
avuta una trasformazione della criminalità organizzata di tipo mafioso da rurale ad
urbano – imprenditoriale.
Mentre, in passato, la mafia si radicava solamente in alcune regioni del Sud
Italia, oggi è un fenomeno che coinvolge tutto il nostro Paese ed i mafiosi del nostro
tempo sono anche professionisti quali medici, architetti, ingegneri, avvocati,
commercialisti, funzionari locali e uomini delle istituzioni, a dimostrazione della
evoluzione culturale che, negli ultimi anni, ha interessato i clan mafiosi.
1
Cfr. GRASSI G., MAGLIOCCO G., ROBERTI F., “Le armi dell’antimafia”, in Laurus, 2016, p.13.
2
Cfr. COCUZZA O., “Segreto bancario, criminalità organizzata, riciclaggio, evasione fiscale in
Italia”, ed. 2, Cedam, 2016, p. 57.
5
Da sempre l’organizzazione mafiosa controlla la politica e la burocrazia e fa di
questo controllo uno strumento di operatività privilegiato, ma ciò che rappresenta
una novità degli ultimi decenni è l’aumento dei tentativi di infiltrazione della
criminalità organizzata di tipo mafioso nel settore pubblico, attraverso la
partecipazione e l’aggiudicazione delle gare di appalto e l’acquisizione, da esse, di
cospicue risorse finanziarie da parte delle imprese criminali, comportando ciò dei
danni non solo ai concorrenti, al mercato e alle casse statali, ma anche alla efficacia,
efficienza ed economicità della Pubblica Amministrazione. Sono, del resto,
all’ordine del giorno casi di opere incomplete ed il più delle volte assurde, realizzate
con lo sperpero di fondi nazionali ed europei oppure tentativi di infiltrazioni della
criminalità organizzata nella realizzazione delle Grandi Opere (es. EXPO Milano
2015).
Questo può essere considerato uno dei motivi per cui le nuove generazioni
percepiscono, oggi, il fenomeno criminale di stampo mafioso come un vero e proprio
furto di “futuro” e questa è la ragione per cui l’attenzione è concentrata su quei
passaggi della vita economica intorno ai quali circolano capitali significativi. I
rapporti economici, che sono regolamentati dalle leggi sulla trasparenza, subiscono
l’assedio, in forme sempre più invasive, da parte di gruppi criminali che dispongono
di ingenti risorse economiche accumulate attraverso traffici illegali e che distorcono i
principi della concorrenza.
Lo scopo ultimo di questo elaborato è di fornire un’analisi approfondita di un
aspetto della normativa antimafia che può dare speranza.
Oggi lo strumento normativo antimafia si è sufficientemente evoluto fino a
costituire un argine efficace contro la moderna criminalità organizzata e, di sicuro,
un esempio di questa evoluzione è dato dalla normativa sugli appalti nel settore
pubblico che è maturata in un contesto socio - politico particolarmente attento alla
questione della trasparenza e sensibile, come non mai, al tema dello spreco di risorse
della collettività. Sotto la spinta di questa rinnovata consapevolezza da parte
dell'opinione pubblica, la politica ha adottato strategie fondate sulla delega,
pressoché totale, dell'azione preventiva e repressiva del fenomeno
6
dell'ingerenza criminale nell'assegnazione degli appalti pubblici ad istituti ad hoc
presieduti da uomini dello Stato di comprovata indipendenza e competenza. È il caso
dell'ANAC che gode della massima autonomia nell'interpretare ed applicare le
specifiche norme, e che detiene persino potere sanzionatorio.
Inoltre, gli strumenti informatici garantiscono l'accesso ad ogni genere di
informazione utile a definire il profilo di un'impresa che vuole partecipare alle
pubbliche gare d'appalto, facendo di questa istituzione un osservatorio privilegiato
per meglio conoscere le dinamiche, ancora purtroppo sfuggenti, che informano i
rapporti economici tra imprese, pubbliche e private, e lo Stato stesso.
L’elaborato fa un cenno iniziale alla normativa antimafia previgente al decreto
legislativo n. 159/2011 (c.d. Codice antimafia), intesa come complesso normativo
costituito da interventi legislativi che si sono succeduti nel corso degli anni in
materia, per poi analizzare il contenuto del Codice stesso, e successive
modificazioni, soffermandosi, in particolare, sulla documentazione antimafia,
strumento di tutela che l’ordinamento appresta a protezione delle risorse pubbliche e
della loro buona ed imparziale gestione.
Viene analizzata la documentazione antimafia quale strumento di natura
preventiva, predisposto, dal nostro ordinamento, affinché la Pubblica
Amministrazione venga a conoscenza dell’esistenza di un collegamento tra la
criminalità organizzata ed il soggetto interessato ad instaurare con la stessa un
rapporto, in modo tale da applicare a suo carico misure patrimoniali ed interdittive.
Dopo aver delineato i tratti salienti che differenziano tra di loro le due species
di documentazione antimafia, ossia la comunicazione e l’informazione, maggior
attenzione è stata riservata a quest’ultima, proprio per la sua finalità volta non solo ad
attestare la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione e di divieto di cui
all’articolo 67 del Codice antimafia, ma, soprattutto, per la sua finalità volta ad
accertare l’esistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a
condizionare quelli che sono gli indirizzi e le scelte delle imprese interessate ad
intraprendere rapporti con la Pubblica Amministrazione.
7
Per concludere viene fatto anche un accenno ad altri istituti volti a contrastare
la criminalità organizzata nel settore pubblico quali: white list, protocolli di legalità e
rating di legalità.
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CAPITOLO I
NORMATIVA ANTIMAFIA
I.1. CENNI SULLA NORMATIVA PREVIGENTE AL “CODICE
ANTIMAFIA”
“La pietra miliare della prevenzione antimafia”
3
è rappresentata dalla legge 3
maggio 1965, n. 575 intitolata “Disposizioni contro le organizzazioni criminali di
tipo mafioso, anche straniere”
4
che ha delineato i punti essenziali della successiva
prevenzione antimafia. La disposizione in oggetto all’articolo 1 ha esteso le misure di
prevenzione personali
5
anche ai soggetti sospettati di appartenere ad associazioni
mafiose
6
. Nei confronti di dette persone, i tre soggetti menzionati dalla legge stessa
(Questore o Direttore della direzione investigativa antimafia, Procuratore nazionale
antimafia, Procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora
la persona) possono proporre le misure di prevenzione della sorveglianza speciale di
pubblica sicurezza e dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora
abituale di cui all’articolo 3, commi 1 e 2, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e
successive modifiche.
Nel 1982
7
il Governo è intervenuto in materia di contrasto alla criminalità
organizzata con il decreto legge 6 settembre 1982, n. 429
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e la legge 13 settembre
1982, n. 646, c.d. legge Rognoni - La Torre.
Con il primo è stato istituito l’Alto Commissario per il coordinamento contro la
delinquenza mafiosa ossia un organo dipendente dal Ministero dell’Interno al quale
3
Cfr. C. D. LEOTTA, “Il volto rinnovato delle misure di prevenzione”, in R. BARTOLOMEO (a cura
di), Le associazioni di tipo mafioso, Utet giuridica, 2015.
4
Nella formulazione originaria era intitolata “Disposizioni contro la mafia”. L’articolo 2, comma 5,
legge 15 luglio 2009, n. 94 ha modificato il titolo originario della l. n. 575/1965.
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Previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e successive modificazioni.
6
È stata introdotta la categoria degli “indiziati di appartenere ad associazioni mafiose” (art.1),
categoria normativa precorritrice del soggetto attivo del delitto di cui all’articolo 416 bis c.p., scritto
con la legge 13 settembre 1982, n. 646.
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A seguito dell’omicidio di Pio La Torre e di Carlo Alberto Dalla Chiesa avvenuti il 30 aprile ed il 3
settembre dello stesso anno.
8
Tale decreto legge è stato convertito nella l. n. 726/1982.
9
vennero attribuiti poteri di indagini presso le pubbliche amministrazioni, enti
pubblici, banche ed istituti di credito pubblici e privati
9
.
Con la legge Rognoni - La Torre è stata, invece, istituita una Commissione
Parlamentare di inchiesta sulla mafia e sono state introdotte nel codice penale le
misure di prevenzione patrimoniali applicabili alla accumulazione illecita di capitali,
quali confisca e sequestro, ed il reato di associazione di tipo mafioso (l’articolo 416
bis). In particolare dalla definizione di “associazione a delinquere di tipo mafioso”
che il legislatore fornisce nel comma 3, articolo 416 bis c.p. è possibile identificare
l’elemento fondamentale dell’associazione a delinquere di stampo mafioso
nell’impiego della stessa associazione, al fine di esercitare forme di pressione
economica e politica sulla collettività e sugli individui non solo per compiere delitti,
realizzare profitti ingiusti per sé o per altri e per ostacolare il libero esercizio del
diritto di voto, ma anche per acquisire direttamente o indirettamente la gestione ed il
controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi
pubblici.
Nel 1991, sono stati emanati dei provvedimenti volti a contrastare la
criminalità organizzata. Il primo è il decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8
10
. Questo ha
introdotto nel nostro ordinamento un sistema di misure speciali volte a proteggere i
collaboratori ed i testimoni di giustizia, che fossero in grave pericolo per le
dichiarazioni e testimonianze su delitti di stampo mafioso, ed i loro familiari. Ha
istituito, con l’articolo 10, la Commissione centrale, alla quale sono stati conferiti
poteri decisionali tra i quali quello di concedere o meno speciali misure di
protezione
11
. Oltre alla Commissione centrale, il decreto ha previsto la
9
I poteri dell’Alto Commissario per il coordinamento contro la delinquenza mafiosa sono stati
ampliati dalla legge n. 486/1988. Questo organo è stato poi soppresso dal decreto legge 29 ottobre
1991, n. 345.
10
Decreto convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82.
11
Quanto al contenuto delle speciali misure di protezione su indicate, ai sensi del comma 4, articolo
13, può essere rappresentato “dalla predisposizione di misure di tutela da eseguire a cura degli organi
di polizia territorialmente competenti, dalla predisposizione di accorgimenti tecnici di sicurezza,
dall’adozione delle misure necessarie per i trasferimenti in comuni diversi da quelli di residenza,
dalla previsione di interventi contingenti finalizzati ad agevolare il reinserimento sociale nonché dal
ricorso, nel rispetto delle norme dell’ordinamento penitenziario, a modalità particolari di custodia in
istituti ovvero di esecuzione di traduzioni e piantonamenti”.
10
partecipazione, nel sistema di protezione, dell’Autorità giudiziaria, competente ad
avanzare la proposta del programma di protezione, e del Servizio Centrale di
Protezione
12
, competente all’attuazione dello stesso, deliberato dalla Commissione
centrale, e delle misure di sicurezza, riservatezza e reinserimento sociale delle
persone sottoposte ad uno speciale programma di protezione a norma dell’articolo
13, comma 5. Qualora, oltre alle misure ordinarie, anche quelle speciali di protezione
risultassero inadatte, la legge ha consentito alla Commissione centrale di adottare
nuove misure
13
, deliberando l’applicazione di un programma speciale di protezione,
attuato dal servizio Commissione centrale ai sensi dell’articolo 13, comma 11.
Un secondo provvedimento è il decreto legge 31 maggio 1991, n. 164
(convertito poi nella legge n. 221/1991) con il quale è stata introdotta una normativa
finalizzata ad evitare che il buon andamento dei consigli comunali e provinciali
potesse essere compromesso dall’esistenza di rapporti con la criminalità organizzata
volti ad ostacolare così gli amministratori ad agire nell’interesse della collettività. In
particolar modo dopo l’articolo 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55 è stato inserito
l’articolo 15 bis
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, il quale a tal proposito prevedeva la possibilità di giungere allo
scioglimento dei consigli comunali e provinciali con decreto del Presidente della
Repubblica, avviato dal Prefetto della provincia con una relazione che considerava
anche gli elementi eventualmente acquisiti dall’Alto Commissario per il
coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa. Con il decreto di
scioglimento veniva nominata anche una commissione straordinaria la quale si
12
La legge 13 febbraio 2001, n. 45 ha modificato la disciplina in materia di testimoni e collaboratori
di giustizia delineata nel d.l. n. 8/1991 ed ha distinto il Servizio centrale di protezione in due diverse
strutture, differenziando così il regime di protezione tra collaboratore e testimone di giustizia.
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Le nuove misure, che vanno ad integrare quelle già esistenti, sono ai sensi dell’articolo 13, comma
5: “il trasferimento delle persone non detenute in luoghi protetti, speciali modalità di tenuta della
documentazione e delle comunicazioni al servizio informatico, misure di assistenza personale ed
economica, cambiamento delle generalità a norma del d.lgs. 29 marzo 1993, n. 119, e successive
modificazioni, misure atte a favorire il reinserimento sociale del collaboratore e delle altre persone
sottoposte a protezione oltre che a misure straordinarie, eventualmente necessarie”.
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Convertito nell’articolo 143, d.lgs.18 agosto 2000, n. 267, recante il “Testo unico sull’ordinamento
degli enti locali”, nel quale si prevedeva che il Governo stabilisse, sulla base di una relazione di una
commissione di accesso nominata dal Prefetto, se decretare o meno lo scioglimento del comune.
Dunque l’amministrazione del comune veniva affidata per un periodo massimo di 24 mesi, ad una
commissione straordinaria composta da tre membri nominati dal Ministero. Al termine del suddetto
periodo i cittadini venivano chiamati ad eleggere i propri amministratori (l’articolo 143, d.lgs. n.
267/2000 è stato modificato con l’introduzione del “Pacchetto Sicurezza” nel 2009).