6
Da tempo in Sicilia si avvertiva la necessità di instaurare una
politica di riforme, considerando il fatto che in gran parte
della penisola italiana le istanze riformiste erano state
accolte.
Era il segno che i cittadini dell’isola iniziavano a pensare da
“siciliani”, e non più da cittadini del Regno Delle Due
Sicilie. “Regno Delle Due Sicilie” era un’espressione
divenuta ormai simbolo della posizione subalterna che i
Borboni riservavano alla Sicilia rispetto a Napoli.
Il ’48 siciliano aveva inizio con l’insurrezione di Palermo
(seguita, ben presto, da altre città dell’isola) del 12 gennaio
provocando, dopo giorni di tumulti e proclami, la formazione
di un governo provvisorio presieduto da Ruggero Settimo.
1
Poi gli eventi parigini dimostravano come e quanto un
popolo unito potesse conseguire il raggiungimento dei propri
fini.
1
Sul punto si veda la ricostruzione di Pelleriti, 1812 – 1848 cit.
7
Da qui il tentativo di riproporre la Costituzione Siciliana del
1812, seppur adattata ai tempi.
2
Sotto questo aspetto,
elemento di spicco risultava stabilire che la Sicilia si sarebbe
retta a governo costituzionale: si affermava la partecipazione
dei cittadini alla sovranità nazionale, esente da
condizionamenti censitari.
2
Sul ’48 in Sicilia si possono vedere principalmente: AA. VV., Atti del congresso di studi
storici sul ’48 siciliano, Palermo, 1950; AA. VV., 150° anniversario della Rivoluzione del
1848 in Sicilia, a cura di M. Ganci, R. Scaglione Gruccione, Palermo, 1999. Per specifiche
questioni si possono consultare: N. Cortese, Le costituzioni italiane del 1848 – 49, Napoli,
1945; V. Crisafulli, Profili costituzionali di una rivoluzione mancata in Il 1848. Raccolta di
saggi e testimonianze, Quaderno di Rinascita, Roma, 1948; M. Condorelli, Stato e Chiesa
nella rivoluzione siciliana del 1848, Catania, 1965; F. Brancato, L’Assemblea siciliana del
1848 – 49, Firenze, 1946; E. Pelleriti, 1812 – 1848. La Sicilia fra le sue costituzioni,
Milano, 2000.
8
I.2 La Restaurazione.
L’azione della diplomazia internazionale vanificava gli
sforzi ottenuti: l’affermazione dei partiti conservatori in
Europa favoriva il ritorno dei vecchi regimi; di conseguenza
il movimento rivoluzionario siciliano andava perdendo la
preziosa collaborazione politica di quegli stati che ne
avevano ispirato, promosso e sostenuto la causa.
La Restaurazione borbonica riportava la Sicilia nelle infelici
condizioni dalle quali aveva tentato di liberarsi. Prima fra
tutte, il ritorno al trono di Ferdinando II, comunemente
appellato con il poco invidiabile epiteto di “Re Bomba”,
perseverante nelle sue vessazioni fiscali e nelle persecuzioni
politiche tipiche di uno stato di polizia (memorabili gli
arresti adoperati dal Capo della Polizia, Salvatore
Maniscalco). Situazione che sarebbe rimasta immutata anche
in seguito alla morte di Re Ferdinando II, con l’avvento al
trono di Francesco II, propenso a continuarne il percorso
politico.
9
L’idea generale che si poteva avere della Sicilia di allora era
quella di una regione da tenere sotto controllo, i cui focolai
sembravano in procinto di risvegliarsi da un momento
all’altro: “polveriera d’Italia”, “scintilla elettrica”,
3
queste le
definizioni coniate per descriverla, e non a torto. Certo è,
infatti, che il periodo intercorrente tra la caduta di Palermo e
le vicende risorgimentali era contraddistinto all’insegna dello
slogan “rifare il ‘48”.
4
Sentore di tali allarmismi era
l’atteggiamento tenuto dal Luogotenente del Regno Carlo
Filangieri, principe di Satriano, il quale si preoccupava di
offrire amnistia a molti tra i responsabili delle sommosse
quarantottesche.
Altre attenzioni lo stesso Filangieri le riservava al
mantenimento del “porto franco” di Messina, all’esenzione
dalla leva,
5
ed a quanto potesse giovare al quieto vivere. I
siciliani, dal canto loro, non ci mettevano molto a capire che
3
Antonino Recupero, La Sicilia all’opposizione (1848-74), in Storia d’Italia. Le regioni
dall’Unità ad oggi. La Sicilia, a cura di M. Aymard, G. Giarrizzo, Torino, 1987, p. 50.
4
Ibidem.
5
Ibidem, p. 51.
10
si trattava di una parvenza di “paternalistico perdono”.
6
Anche in questo caso il dissenso era fatto notare dal
movimento degli intellettuali, come dimostrava la “Protesta
dei siciliani”,
7
attraverso la quale una sessantina di illustri
siciliani si opponeva all’istituzione del Gran Libro del debito
della Sicilia,
8
progettato da Filangieri, il quale destinava
congrue somme di danaro siciliano al risanamento del Regno
Borbonico.
Non mancavano ovviamente i gesti compiuti da comuni
cittadini, come ad esempio la protesta del giovane Nicolò
Garzilli
9
e l’occupazione di Villafrati da parte di Francesco
Bentivegna
10
.
6
Ibidem, p. 52.
7
Ibidem.
8
Ibidem.
9
Ibidem, p. 53.
10
Ibidem, p. 56.
11
I.3 Il Risorgimento.
Arrivavano poi le vicende risorgimentali.
Anche la Sicilia guardava con interesse ai propositi di
Mazzini: Francesco Crispi e Rosalino Pilo tenevano le redini
della “Società Nazionale” in Sicilia. Vi erano anche i seguaci
di Cavour, come il moderato Giuseppe La Farina. Ma alla
fine le plebi siciliane guardavano con maggiore fiducia alle
iniziative insurrezionali promosse da Garibaldi, fino al
coinvolgimento pressocchè totale nell’impresa dei “mille”.
Decretata la fine del Regno borbonico, era il momento di
stabilire modi e tempi che avrebbero consentito l’annessione
della Sicilia al regno d’Italia. La Sicilia risentiva
direttamente delle conseguenze dello scontro tra Cavour e
Garibaldi.
La Prodittatura di Garibaldi non era destinata a lunga durata,
visti gli impegni che egli era chiamato a sostenere altrove. Il
primo successore, La Farina, agiva per conto di Cavour
boicottando quanto riconducibile a Garibaldi.
12
A lungo andare, il suo atteggiamento finiva con il
provocarne la caduta, e la conseguente designazione di
Agostino Depretis. Anch’egli cavouriano, esprimeva una
politica caratterizzata da poteri e leggi speciali, avendo
fallito il tentativo di facilitare l’annessione attraverso
soluzioni di compromesso.
11
Si trattava di provvedimenti
volti a scongiurare la perdita della Sicilia in caso di
malaugurata sconfitta nel continente. Di fronte
all’irremovibilità di Garibaldi, da sempre propenso a
ritardare l’annessione a dispetto delle pressioni esercitate da
Cavour, Depretis rassegnava le dimissioni. Al suo posto
veniva investito dell’incarico Antonio Mordini.
Negli scopi di Garibaldi, Mordini avrebbe dovuto gestire la
fase precedente all’annessione, ovviamente secondo linee
politiche che si opponevano alla volontà di Cavour.
11
Ibidem, p. 67.
13
Quest’ultimo, resosi conto della scarsa tenacia di chi voleva
conseguire l’annessione sperando in una assemblea
elettiva,
12
pensava bene di convocare il voto plebiscitario
imponendo alla Camera, in data 11 ottobre 1860, la data del
21 dello stesso mese.
13
Nel frattempo veniva fissata la convocazione del Consiglio
straordinario di Stato in data 19 ottobre,
14
antivigilia del
plebiscito. Si trattava di un organo chiamato a studiare ed
esporre al Governo le tematiche siciliane che la Sicilia
avrebbe potuto gestire direttamente dal punto di vista
istituzionale. Dati i compiti ad esso assegnati e la
coincidenza con una data a ridosso del plebiscito, sembrava
evidente che Cavour fosse riuscito, in ogni modo, ad
accattivarsi la fiducia di quei cittadini che sarebbero andati a
pronunciarsi circa l’annessione…
12
Ibidem, p. 68.
13
Ibidem.
14
Decreto dittatoriale del 19 ottobre 1860, n. 275, in Raccolta degli atti del governo
dittatoriale e prodittatoriale in Sicilia (1860).
14
I risultati del plebiscito parlavano chiaro, cosicché anche
l’esperienza prodittatoriale di Mordini non avrebbe lasciato
alcun segno tangibile del proprio operato, considerando
l’istituzione del Consiglio quale atto meramente formale.
15
CAPITOLO II
Unitarismo, federalismo, regionalismo: il dibattito
di quegli anni e i protagonisti.
II.1 Il quadro politico generale dopo l’Unità d’Italia.
Conclusosi il processo risorgimentale, una volta avvenuta
l’annessione della Sicilia al Regno d’Italia, teneva banco il
dibattito relativo alle soluzioni politiche da apportare
all’ordinamento amministrativo. Si trattava di un tema già
discusso dagli intellettuali dell’epoca ancor prima che le
vicende belliche ne mutassero il quadro politico-
istituzionale.
Tuttavia, nel momento in cui la Sicilia diventava a tutti gli
effetti una parte dello Stato Italiano, chiaramente la
posizione amministrativa destinata ad esserle conferita
dipendeva anche dalle sorti di quel dibattito.
16
In altre parole, le proposte politiche fatte presenti dalle varie
correnti di pensiero formatesi in Sicilia potevano
moltiplicarsi fino allo spreco, ma bisognava sempre e
comunque fare i conti con le volontà espresse dalle
istituzioni nazionali, cui spettava l’ultima parola. Si doveva
dunque capire come la classe dirigente dell’epoca, la Destra
Storica, avesse intenzione di legiferare in tema
amministrativo anzitutto, in generale, a livello nazionale.
In ogni caso, nell’opinione pubblica siciliana sorgeva ormai
l’idea, più o meno tacita, che la Sicilia elevata al rango di
Regno fosse ormai un lontano ricordo. Il desiderio di rivalsa
da parte dei siciliani nei confronti del vecchio regime, unito
al desiderio di giungere ad un distacco anche morale da esso,
andava determinando una visione ideologica di più ampie
vedute. Prendeva piede, cioè, l’idea di un inserimento della
Sicilia nel quadro politico nazionale. Si trattava di un
sentimento sviluppatosi tra i siciliani all’indomani delle
vicende quarantottesche.
17
La Sicilia, come già detto, aveva sempre rappresentato un
contesto sociale propenso alle iniziative rivoluzionarie:
condizione, questa, realizzatasi in modi e tempi più maturi di
concerto agli eventi garibaldini, e con motivazioni ben più
definite e meno approssimative rispetto al 1848.
Stavolta lo scopo era quello di conciliare il problema del
distacco da Napoli con il progetto d’unità nazionale ed ogni
corrente politica sviluppava il proprio piano di pensiero
contestualmente al corso degli eventi.
Moderati e democratici sembravano prospettare la medesima
posizione: i primi superando la diffidenza verso la
“dimensione italiana”; i secondi convinti che l’allargamento
dell’orizzonte politico giocasse a favore dell’istanza
repubblicana.
15
Le aspettative siciliane nei confronti dell’Unità d’Italia si
fondavano, però, nella convinzione di entrare a far parte di
15
Massimo Ganci, L’Italia antimoderata. Radicali, repubblicani, socialisti, autonomisti
dall’Unità ad oggi, 2 ed. Palermo, 1996; Daniela Novarese, Federalismo e regionalismo
nel dibattito siciliano degli anni 1848 – 61 in Cattaneo e Garibaldi, Federalismo e
Mezzogiorno, a cura di A. Trova e G. Zichi, Roma, 2004, pp. 70 ss.
18
un sistema amministrativo ben distante dal modello di
accentramento. Così pareva, in base alla promessa di istituire
una assemblea elettiva che avrebbe deciso in merito
all’annessione siciliana al Regno d’Italia: ipotesi in seguito
tramontata in virtù del precipitarsi di Cavour nell’attuare la
soluzione plebiscitaria. Così pareva, altresì, nonostante
fossero ben note le sorti del progetto assembleare, alla base
del provvedimento di istituzione del Consiglio Straordinario
di Stato.
Nel frattempo, gli esponenti più autorevoli tra le diverse
componenti politiche non tardavano a dire la loro. E spesso e
volentieri da una semplice posizione ideologica scaturiva un
preciso disegno di sistema amministrativo.
19
II.2 Gli autonomisti.
Persino Francesco Ferrara,
16
nelle sue “Brevi note”,
17
abbandonava i proclami indipendentisti espressi nella
“Lettera da Malta”
18
propendendo in favore di una scelta a
metà strada tra l’autonomia regionale ed il decentramento
amministrativo. Ferrara proponeva: autogoverno e istituzioni
proprie in talune materie, potere esecutivo spettante ad un
Viceré di nomina regia e nei suoi confronti strettamente
responsabile.
19
Posizioni proprie rispettivamente dello stato
regionale e del decentramento amministrativo, escludendo
l’ipotesi di una assemblea con potere legislativo. Eloquente
del pensiero di Ferrara è un passo tratto dalle “Brevi note”:
“I siciliani son pronti ad accogliere qualunque sistema che
lor garantisca oggi e in avvenire la loro libertà ed
16
Su Ferrara si veda P. F. Asso, P. Barocci, M. Ganci (a cura di), Francesco Ferrara e il
suo tempo, Roma, 1988, nonché la recente voce di R. Faucci, Ferrara Francesco, un
Dizionario Biografico degli italiani, XLVI (1996), pp. 474 – 484.
17
Massimo Ganci, L’Italia antimoderata. Radicali, repubblicani, socialisti, autonomisti
dall’Unità ad oggi, 2 ed. Palermo 1996, p. 228.
18
Ibidem.
19
Ibidem, p. 229.