3
CAPITOLO I
1991-2001: LE FONDAMENTA DI UNA PARTNERSHIP.
1. Introduzione.
Sono passati venti anni dalla caduta del muro di Berlino, dalla scomparsa dell’Unione Sovietica e
dall’immane mutamento degli assetti europei ed internazionali che tutto ciò ha provocato. La Guerra
Fredda ha sicuramente lasciato segni profondi nell’immaginario collettivo e nel carattere delle relazioni
diplomatiche e militari tra i membri della NATO e la Russia odierna. Pur tuttavia, gli ex avversari hanno
saputo cogliere l’occasione – o meglio, la sfida – di superare la natura conflittuale della loro interazione,
dando il via ad una Partnership che ha acquisito nel tempo una rilevanza sempre crescente.
E’ intenzione di chi scrive ripercorrere, in questo capitolo, il processo storico e politico che
permise la formazione della partnership strategica tra NATO e Russia, passando in rassegna le
considerazioni politiche e strategiche che hanno informato le posizioni dell’Alleanza atlantica e della
Federazione russa nel processo di reciproco rapprochement.
2. Gorbachev ed il Novoe Myshlenie. Il primo rapprochement.
L’Europa orientale di fine anni Ottanta, precipitato della divisione bipolare, fu catapultata in una spirale
di eventi che ne stravolsero la compagine politica e militare. Con il «novoe myshlenie» (New Thinking
1
),
il nuovo corso dato alla politica interna, estera e di difesa sovietica dalla leadership di Mikhail
Gorbachev, si assistette ad un radicale cambiamento nei confronti del blocco occidentale, all’insegna del
rapprochement. L’URSS “riformata” dimostrò di volere intraprendere un serio dialogo sulle principali
questioni strategiche e, soprattutto, di avere la volontà politica di compiere i passi necessari alla loro
normalizzazione. Una delle iniziative principali
2
fu il discorso di Gorbachev alle Nazioni Uni te, nel
1988
3
, con il quale egli annunciò il ritiro unilaterale di parte delle truppe sovietiche dai territori
dell’Europa orientale, ora liberati dallo spettro dell’interventismo di stampo brezneviano
4
. Questi paesi
satelliti dell’URSS entrarono in una turbolenta fase di ridefinizione dei propri sistemi politici in chiave
anticomunista: dalle “rivoluzioni di velluto” alla caduta del muro di Berlino, il passo fu brevissimo.
1
Nation, C.R. (1992) Black Earth, Red Star: A History of Soviet Security Policy, 1917-1991, Cornell University
Press, New York, p. 288. Il termine fu coniato nel 1984 da Anatolii Gromyko e Vladimir Lomeiko, esperti di
politica estera: essi ritenevano che nell’era nucleare, in concomitanza con il disintegrarsi delle relazioni Est-Ovest,
fosse necessario ridefinire le priorità nazionali sovietiche.
2
Dona l ds on, R.H. e Noge e, J.L. ( 2009) The Foreign Policy of Russia. Changing Systems, Enduring Interests,
Armonk: New York, p. 218.
3
Discorso del Segretario Generale del PCUS Mikhail Gorbachev in S.S. Montefiore (2005) Speeches that changed
the World, Quercus Publishing, Cambridge Editorial Partnership, pp. 202-203. Cfr. anche Kennedy-Pipe, C. (1998)
Russia and the World, 1917-1991, Londra:Arnold, p.191. Il taglio annunciato di 500,000 unità e di 6 divisioni
corazzate corrispondeva approssimativamente al 10% del budget militare sovietico.
4
Ibidem. Poche settimane dopo, Gorbachev dichiarò pubblicamente che le relazioni tra URSS ed alleati dell’Europa
dell’Est sarebbero state basate sull’uguaglianza e sul non-intervento, abbandonando l’ultimo pilastro dell’ormai
defunta Dottrina Brezhnev. Gerasimov, portavoce di Gorbachev, definirà questo nuovo approccio «Dottrina
Sinatra».
4
Lo sgretolamento del blocco sovietico – e della Guerra Fredda – erano divenuti ineludibili. Altrettanto
innegabile era la necessità, per Mosca e per Washington, di ideare e adottare un nuovo modus vivendi,
alla luce di una differente percezione dell’“altro”: la storia sembrava concedere la possibilità, finalmente
concreta, di trasformare una relazione di confronto in una collaborazione costruttiva
5
. In pochi mesi, la
febbrile attività diplomatica di Unione Sovietica e blocco occidentale (Stati Uniti in primis) giunse a
risultati stupefacenti. Nel 1989, James Baker, l’allora Segretario di Stato statunitense, dichiarò addirittura
di immaginare un sistema di sicurezza unico, «da Vancouver a Vladivostok»
6
, in alternativa ad un
“equilibrio del terrore”, figlio dei meccanismi di interazione e rivalità tra NATO e Patto di Varsavia:
quest’ultimo, poi, con la defezione di Cecoslovacchia, Polonia ed Ungheria, era stato privato di sostanza
7
.
In tali, mutate circostanze, il vuoto di potere apparso nella regione rischiava di tramutarsi in voragine,
esasperando le tensioni politiche, i conflitti interetnici e la drammaticità delle crisi economiche. Nelle
parole di James Goldgeier,
era sorta una nuova Europa, carica di punti interrogativi. Gli Stati Uniti avrebbero
prolungato la loro presenza militare sul continente, ora che la ragione principale del loro
impegno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale era decaduta? […] I russi avrebbero
fatto parte di questo nuovo ordine o si sarebbero isolati, solo per riemergere nuovamente
in seguito come minaccia per l’Occidente?
8
Che fare, per evitare il rischio di un nuovo, disastroso conflitto armato nel cuore dell’Europa? L’unica
soluzione consisteva nell’avviare una collaborazione senza precedenti tra le due superpotenze, in grado di
spaziare dalla cooperazione economica alla questione tedesca, al disarmo.
2.1 Integrazione o isolamento?
Il New Thinking gorbacioviano era difatti stato formulato principalmente per far fronte alle profonde
difficoltà economiche interne, a loro volta conseguenza dei vincoli – ora i nsosteni bili per i l sett ore
militare, industriale e tecnologico – dell’economia pianificata
9
. Ciò si tradusse in politica estera in uno
spostamento dell’interesse nazionale verso la piena integrazione dell’URSS nell’economia di mercato
mondiale, per permettere alle riforme economiche interne di raggiungere il proprio scopo
10
. Da un lato si
rischiava l’isolamento politico dell’URSS e ciò, in un mondo sempre più interdipendente e globalizzato,
avrebbe portato al tracollo economico, già alle porte. Dall’altro, i conservatori fomentavano il
malcontento verso una politica ritenuta umiliante, che metteva l’URSS nella posizione di dover
elemosinare gli aiuti occidentali
11
.
5
Roubinski, Y. (1997) “La Russie et l’OTAN: Une nouvelle étape?”, Politique étrangère, Vol. LXII, No. 4, p.3.
6
Baker, J.A. (1989) “Speech at the Berlin Press Club”, 12 dicembre 1989, in Y. Roubinski (1997), Op. cit.
7
La dissoluzione ufficiale del Patto di Varsavia ebbe luogo a Praga il 1 luglio 1991. In Donaldson, R.H. e Nogee,
J.L. (2009), Op. cit.
8
Goldgeier, J.A. (1999 ) Not Whether, but When: The US Decision to Enlarge NATO, The Brookings Institution,
Washington DC, p.2.
9
Prokop, J.E. e Wallander, C.A. (1993) in R.O. Keohane et al. (1993) After the Cold War: International Institutions
and State Strategies in Europe, 1989-1991, Center for International Affairs, Harvard University Press, p. 69.
10
Ibidem.
11
Gorskii, V. (2001) Problems and Prospects of NATO-Russia Relationship: The Russian debate, Final Report of the
NATO Euro-Atlantic Partnership Council Fellowship Programme, Mosca, p.5.
5
I “falchi”, in maggior parte esponenti di spicco degli ambienti militari e dei servizi segreti, criticarono
duramente anche un altro pilastro della nuova politica estera gorbacioviana: l’assenso alla riunificazione
della Germania, anche in sede NATO. Essi ritenevano, infatti, che ne sarebbe potuto scaturire solamente
un peggioramento della posizione strategica sovietica, già fortemente minata, in nome di una relazione
sopravvalutata con l’Occidente
12
. In realtà, Gorbachev e i suoi colleghi avevano connesso la questione
tedesca ad altri tre processi, ritenuti altrettanto fondamentali
13
:
1. La trasformazione della NATO. In quegli anni, l’Alleanza atlantica stava attraversando una fase
di rinnovamento in senso ideologico, strategico e politico, frutto dei nuovi assetti europei: Mosca
temeva di vedere ignorati i propri interessi, venendo marginalizzata dal contesto europeo e
privata delle garanzie di sicurezza necessarie (e degli aiuti economici)
14
.
2. Il rafforzamento di istituzioni pan-europee, quali la Conferenza per la Sicurezza e la
Cooperazione in Europa (CSCE)
15
. L’URSS fu molto soddisfatta nel constatare che la “Carta di
Parigi per una nuova Europa” sanciva formalmente la ri-unione del continente europeo. Essa
stabiliva anche delle linee guida politiche nel campo dei diritti umani, della cooperazione
economica e della sicurezza
16
. In questo senso, si riconosceva che «il mutato ambiente politico e
militare europeo apriva nuove possibilità per sforzi comuni nel campo della sicurezza
militare
17
».
3. L’avanzamento dei negoziati sul disarmo. Questo fu un settore nel quale si raggiunsero risultati
importanti, come ad esempio la ratifica, tra gli altri, del Trattato sulle Forze Nucleari Intermedie
(INF), del Trattato sulle Forze Convenzionali in Europa (CFE) e dello START I (per la riduzione
delle armi strategiche)
18
. L’enfasi che la leadership sovietica poneva sul controllo degli
armamenti non derivava solo da un afflato “pacifista” della nuova amministrazione: poiché fu la
corsa al riarmo dei decenni precedenti a costituire uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo
economico del settore civile sovietico, alla fine degli anni Ottanta si era reso alquanto urgente un
massiccio taglio dei costi del comparto militare
19
.
12
Ibidem.
13
Ibidem.
14
La Dichiarazione di Londra del 1990 ed il nuovo Concetto Strategico del 1991 furono i documenti principali grazie
ai quali l’Alleanza riuscì a sopravvivere politicamente alla scomparsa di una, se non della maggiore raison d’être.
15
Pravda (1990) “Informatsiya M. S. Gorbacheva ob obshcheyevropeiskoi vstreche”, 27 novembre 1990, in V.
Gorskii (2001) Op. cit., p.4.
16
Hinteregger, G. e Heinrich H.G. (2004) Russia: Continuity and change, Sprinter-Verlag, Vienna, p. 7.
17
CSCE – Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (1990) Charter of Paris for a New Europe,
Parigi, 1990. Disponibile sul sito: www.osce.org/documents/mcs/1990/11/4045_en.pdf.
18
Assenova, M. (2003) The Debate on NATO’s Evolution: A Guide, Report of the CSIS Eastern Europe Project,
NATO Library, Bruxelles, pp.56-57. L’autrice offre un resoconto cronologico dei principali accordi sugli
armamenti nel periodo 1963-1995. I più rilevanti, ai fini della presente analisi, sono i seguenti:
• Trattato INF. Il Trattato andava a bandire ed eliminare tutti i missili (americani e sovietici) balistici terra-
aria ed aria-aria di corta e media gittata (500 km – 5,500 km);
• Documento di Vienna. Esso aggiungeva misure per aumentare la trasparenza in materia di forze ed attività
militari, migliorando i sistemi di comunicazione, contatto e verifica.
• Trattato CFE. Il Trattato fissava le soglie per la detenzione di asset militari necessari per un eventua le
attacco a sorpresa nell’area compresa tra l’Atlantico e gli Urali. Se ne parlerà nel cap.3.
• START I. Il Trattato era finalizzato alla riduzione dei missili balistici intercontinentali, dei loro vettori e
delle loro testate. E’ stato anche fortemente limitato il numero di bombardieri tattici e strategici.
19
Donaldson, R.H. e Nogee, J.L. (2009) Op. cit., p. 220.
6
2.2 «Il tempo del confronto è passato»: URSS, Russia e NATO nel nuovo assetto geopolitico europeo.
Nel quadro politico-strategico immaginato dalla leadership sovietica per l’Europa post-Guerra Fredda,
sicurezza e stabilità sarebbero dovute essere garantite sia dalla NATO che dal Patto di Varsavia, da far
evolvere entrambe in organizzazioni di stampo prettamente politico. Il gruppo dirigente sovietico, infatti,
attraverso il New Thinking, preconizzava la demilitarizzazione delle relazioni Est-Ovest, puntando invece
al concetto di “mutua sicurezza” come standard di dialogo tra le grandi potenze: una sicurezza, cioè, non
ottenuta a discapito di quella altrui
20
. Si pensava, in questo modo, di disporre di una soluzione efficace
per superare le barriere indotte dalla logica dei blocchi
21
. Invero, una di queste fu infranta nel 1990, in
occasione della prima visita ufficiale a Mosca di un Segretario Generale NATO. Manfred Wörner in
quell’occasione dichiarò: «Sono giunto a Mosca, oggi, con un messaggio molto semplice: vi porgiamo la
mano, in amicizia. […] Il tempo del confronto è passato. […] Vediamo il vostro paese non più come
avversario, ma come partner»
22
. L’URSS, però, non fu partner a lungo. Le riforme di Gorbachev
produssero sia all’interno che all’esterno del paese conseguenze di una magnitudine non prevista e la
percezione della perdita di status di grande potenza ebbe effetti psicologici importanti, contribuendo
sicuramente alla crescita di insoddisfazione ed incertezza, nella popolazione come nell’élite politica.
Vani, poi, furono i tentativi dell’ultimo leader sovietico di tenere unite le repubbliche dell’Unione
attraverso la riformulazione del legame originario, in quel momento più fragile che mai
23
. Già dai primi
mesi del 1991, l’URSS assistette impotente all’indipendenza dei Paesi Baltici e Gorbachev all’elezione a
Presidente della Russia di Boris Yeltsin, suo rivale personale e politico. I conservatori tentarono un colpo
di stato, fermato dall’opposizione popolare guidata dallo stesso Yeltsin. Nel frattempo, le repubbliche
sovietiche riguadagnarono la propria indipendenza. L’imperium socialista era dunque sciolto.
Le conseguenze geopolitiche furono pesanti su molti fronti. Innanzitutto, l’indipendenza delle
repubbliche baltiche inferse un duro colpo all’economia russa, con il passaggio ad altra sovranità dei porti
di Riga e Tallin. La limitazione dell’accesso al Mar Baltico, inoltre, intaccò anche l’integrità del sistema
di difesa aerea russo
24
. In Asia centrale, la perdita del Kazakhstan privò la Russia della sua maggiore
fonte di approvvigionamento energetico (gas e petrolio) e di oltre 1000km di frontiera, in una zona
sempre più avvelenata da movimenti fondamentalisti islamici
25
. Anche il Caucaso e l’area del Mar Caspio
furono sottratti al controllo russo, significando – anche in questo caso – il mancato accesso ai rifornimenti
di idrocarburi. La fluidità politica esacerbò poi i tumultuosi conflitti interetnici della regione, permettendo
al contempo la penetrazione politico-commerciale di Turchia, Iran, Stati Uniti e paesi europei
26
. Il danno
peggiore, tuttavia, fu sicuramente inferto dalla perdita dell’Ucraina, culla della Russia imperiale,
20
Breslauer, G.W. (2002) Gorbachev and Yeltsin as leaders, Cambridge University Press, Cambridge, p. 72.
21
Gorskii, V. (2001) Op. cit.
22
Discors o del Segretario Generale NATO Manfred Wörner ai Membri del Soviet Supremo dell’URSS, 16 luglio
1990. Disponibile sul sito: www.nato.int/docu/speech/1990/s900716a_e.htm.
23
Kennedy-Pipe, C. ( 1 9 9 8 ) Op. cit., pp. 202-203. Quando, il primo dicembre 1991, l’Ucraina si proclamò
indipendente, l’Unione Sovietica cessò de facto di es is ter e. I l 25 di c e mbre Gor ba c he v c onse gnò l e c hi a vi di
controllo dell’arsenale nucleare a Yeltsin. Il 26 dicembre il Soviet supremo sciolse formalmente l’URSS.
24
Larrabee, F.S. (2003) NATO’s Eastern Agenda in a New Strategic Era, Project Air Force, RAND Corporation, pp.
115-116.
25
Ibidem.
26
Ibidem.
7
economia industriale ed agricola dalle enormi potenzialità, affaccio sul Mar Nero e canale di transito di
merci ed energia verso il Mediterraneo. Senza l’Ucraina, le opzioni di politica estera russe si ridussero
dolorosamente
27
, lasciando nelle rispettive popolazioni e classi dirigenti cicatrici politiche profonde, ad
oggi non ancora del tutto sanate.
Rimase la Russia, sull’orlo della bancarotta, dal futuro politico e militare più che incerto, ma pur
sempre un attore non trascurabile del sistema internazionale, se non altro per ciò che sarebbe potuto
accadere se non fosse stata inclusa – e sostenuta – nel nuovo ordine internazionale
28
. Come ebbe a dire
George Bush sr, «i democratici al Cremlino possono garantire la nostra sicurezza in un modo in cui i
missili nucleari non riusciranno mai a fare
29
». E proprio ai democratici del Cremlino spettava l’arduo
compito di ridare alla Russia un’identità, un nuovo assetto istituzionale e, soprattutto, un nuovo ruolo nel
sistema di sicurezza eurasiatico.
3. La stabilità nella «comunità di sicurezza» degli anni Novanta. Il Concetto Strategico del 1991 e le
nuove dimensioni della sicurezza.
L’Europa occidentale che si affacciava alla fine degli anni Ottanta presentava, al contrario della sua
“gemella” oltrecortina, un contesto molto stabile. Le forti istituzioni che la caratterizzavano fornivano alle
nazioni euro-atlantiche un ambiente altamente codificato, nel quale l’interazione era regolamentata da
norme e procedure in costante evoluzione
30
. Tali organizzazioni sorsero negli anni della tensione bipolare
per rispondere alle minacce provenienti dal blocco sovietico, riflettendo il sistema di alleanze guidato
dalla superpotenza statunitense
31
. Venne formandosi allora quella che Karl W. Deutsch definì «comunità
di sicurezza»
32
, cioè a dire, una regione nella quale l’uso della violenza – nella fattispecie, del conflitto
armato – è divenuto altamente improbabile, permettendo una risoluzione pacifica dei problemi sociali
tramite procedure istituzionali
33
. Una comunità, quindi, fondata sulla comunione di interessi ed ideali,
protetta militarmente dall’impegno collettivo alla difesa di tale compagine, un impegno che trovò la sua
manifestazione più eloquente nella creazione dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.
La divisione territoriale dell’Europa aveva prodotto un’altrettanto territoriale concezione della
sicurezza
34
: nel compact occidentale, ossia nella NATO, sicurezza significava capacità di deterrere un
27
Ibidem.
28
Testimonianza del Segretario di Stato James Baker III di fronte alla Commissione per gli Affari Esteri del Senato
degli Stati Uniti d’America, 5 febbraio 1992. Baker dichiarò: «Se gli Stati Uniti non spendono qualche miliardo di
dollari aiutando le ex repubbliche sovietiche, possono trovarsi a dover spendere miliardi di miliardi di dollari per
affrontare minacce che emergeranno in seguito». In: International Herald Tribune (1992), 6 febbraio 1992.
29
Bush, G.W. sr citato da Baker, J. III (1992) “Why the Reformers Must be Helped”, International Herald Tribune, 7
Agosto 1992.
30
Keohane, R.O. et al. (1993) Op. cit., p. 2.
31
Ibidem.
32
Deutsch, K. (1969) “Political Community and the North Atlantic Area: International Organization in the Light of
Historical Experience” in M.J. Williams (2008) NATO, Security and Risk Management: From Kosovo to
Kandahar, Artificial Intelligence Series, New York: Routledge, p. 27.
33
Ibidem.
34
Williams, M.J. (2008) Op. cit., p. 26.
8
eventuale attacco sovietico sul territorio europeo ovvero di difendersi da esso, collettivamente
35
. Un
meccanismo, quindi, di natura reattiva. Javier Solana, a questo proposito, si espresse così: «l’agenda di
sicurezza della NATO, negli scorsi quarant’anni, si basava su un imperativo strategico alquanto semplice:
la difesa territoriale. Era un’agenda passiva, imposta dai dettami della Guerra Fredda»
36
. Una Guerra
Fredda, però, che stava giungendo a termine con la scomparsa dell’Unione Sovietica, l’attore verso il
quale erano rivolti gli sforzi militari ed ideologici dell’Alleanza. Ora che le “imposizioni” del contesto
strategico erano mutate radicalmente, affioravano grandi domande: la NATO sarebbe sopravvissuta alla
perdita della sua raison d’être? Se sì, quale potente caratterizzazione si sarebbe data per continuare ad
essere la custode della sicurezza europea? In ultima, poteva l’Europa essere davvero un locus di stabilità,
ovvero era destinata a disintegrarsi, nuovamente, in un infinito ciclo di tensioni e conflitti?
Nel 1989, la risposta sembrava già scritta nel Preambolo del trattato istitutivo
dell’Organizzazione: «gli Stati che aderiscono al presente Trattato […] si dicono determinati a
salvaguardare la libertà dei loro popoli, il loro comune retaggio e la loro civiltà, fondati sui principi della
democrazia, delle libertà individuali e della preminenza del diritto»
37
. La NATO riscopriva nella sua
missione la difesa di un nuovo ordine europeo, fondato sui valori della democrazia liberale e
sull’abbandono dei sospetti e della bellicosità del recente passato. A partire dal 1990, dunque, ci si
dedicò alla costruzione di un’Europa «intera e libera
38
» difesa da un’Alleanza che si definiva «agente di
cambiamento
39
», in grado di rafforzare la propria dimensione politica e di proiettare stabilità oltre
confine
40
. Sebbene fossero in molti
41
ad esprimere scetticismo nei confronti del nuovo corso intrapreso
dalla NATO, viste le incertezze strategiche che si stavano profilando, vi erano in egual misura molti
35
Trattato dell’Atlantico del Nord (o Trattato di Washington), 4 aprile 1949. Art.5: «Le parti convengono che un
attacco armato contro una o più di esse in Europa o in America settentrionale sarà considerato come un attacco
diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se si producesse un tale attacco, ciascuna di esse,
nell'esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall'art. 51 dello Statuto delle
Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di
concerto con le altre parti, l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'uso della forza armata, per ristabilire e
mantenere la sicurezza nella regione dell'Atlantico settentrionale». Il testo del Trattato è consultabile sul sito:
www.nato.int/cps/en/natolive/official_texts_17120.htm.
36
Discorso del Segretario Generale NATO Javier Solana, 19 marzo 1999, in M.J Williams (2008) Op. cit., p. 25.
37
Preambolo del Trattato di Washington, consultabile sul sito:
www.nato.int/cps/en/natolive/official_texts_17120.htm.
38
Consiglio dell’Atlantico del Nord (1990) Una Trasformata Alleanza atlantica, Dichiarazione rilasciata dai Capi di
Stato e di Governo degli Stati membri, 6 luglio 1990 (nota anche come Dichiarazione di Londra). Il testo è
consultabile sul sito: www.nato.int/cps/en/natolive/official_texts_23693.htm.
39
Ibidem.
40
La maggiore evidenza data alla dimensione politica dell’Alleanza derivò da una più enfatica applicazione dell’Art.2
del Trattato di Washington: «Le parti contribuiranno allo sviluppo di relazioni internazionali pacifiche e
amichevoli, rafforzando le loro libere istituzioni, favorendo una migliore comprensione dei principi su cui queste
istituzioni sono fondate, e promuovendo condizioni di stabilità e di benessere. Esse si sforzeranno di eliminare ogni
contrasto nelle loro politiche economiche internazionali e incoraggeranno la cooperazione economica tra ciascuna
di loro o tra tutte».
41
Moore, R. (2007) NATO’s New Mission: Projecting Stability in a post-Cold War World, Westport:Praeger Security
International, p.9. Tra chi si aspettava anche la scomparsa della NATO John J. Mearsheimer raccolse molto credito
con la pubblicazione di un suo articolo su International Security n e l l ’ e s t a t e d e l 1 9 9 0 . S e c o n d o l u i , i nf a t t i ,
«l’Unione Sovietica è l’unica superpotenza che può seriamente minacciare di sovvertire l’Europa; è la minaccia
sovietica la colla che mantiene unita la NATO. Togli la minaccia offensiva ed è probabile che gli Stati Uniti
abbandonino il Continente, mentre l’alleanza difensiva che ha capeggiato per quarant’anni potrebbe disintegrarsi».
Pur concedendo che sia la NATO sia il Patto di Varsavia potessero continuare ad esistere almeno “su carta”, a suo
dire nessuna delle due avrebbe più funto da alleanza.
9
sostenitori, all’interno dell’Organizzazione, della possibilità di sviluppare il potenziale stabilizzatore
dell’Alleanza, senza nulla togliere alle capacità difensive già in possesso.
Nel nuovo Concetto Strategico del 1991 sì chiarì che
contrariamente alla minaccia predominante del passato, i rischi per la sicurezza
dell’Alleanza sono oggi multi-direzionali e sfaccettati, il che li rende difficili da prevedere
e valutare. […] I rischi per la sicurezza dell’Alleanza si ritengono derivare non tanto dalla
calcolata aggressione al territorio degli Alleati, quanto dalle conseguenze negative
dell’instabilità che può scaturire dalle difficoltà economiche, sociali e politiche – rivalità
etniche e dispute territoriali incluse – che ora molti paesi in Europa centrale ed orientale
stanno affrontando. Vi è di nuovo che, oltre ai radicali cambiamenti nella situazione
strategica, esiste l’opportunità senza precedenti, per l’Alleanza, di raggiungere i propri
obiettivi con mezzi politici
42
.
Tali mezzi avrebbero avuto l’arduo compito di sostenere un approccio alla sicurezza molto più
complesso, multidimensionale, col quale gestire sfide molto diverse tra loro. Si scelse un criterio
imperniato su tre elementi strettamente collegati: «il dialogo, la cooperazione ed il mantenimento delle
capacità di difesa collettiva»
43
. Le prescrizioni racchiuse nel nuovo concetto strategico diedero all’azione
alleata un ben più ampio respiro, facendo sì che la NATO, all’interno, si dotasse di capabilities militari
più “agili” e aggiornate
44
e, all’esterno, si aprisse ad est: da un lato, offrendo sostegno ai paesi ex-satelliti
dell’URSS, dall’altro, istituzionalizzando un sistema di partnership con Russia ed Ucraina.
Il processo di adattamento della NATO in senso politico corrispondeva sicuramente ad un più
ampio interesse statunitense, vale a dire, quello di ottenere il consenso all’entrata nel club transatlantico
della Germania unita da parte dell’URSS, senza metterne in pericolo il piano di riforme
45
. Robert L.
Hutchings, ex direttore degli Affari Europei presso il Consiglio per la Sicurezza Nazionale statunitense,
confermò difatti che
il Presidente Bush non voleva che né la Russia né la Germania venissero “singolarizzate”
o isolate nell’ordine nascente. […] Uno degli scopi del Presidente era quello di integrare
l’Unione Sovietica nella comunità delle nazioni. Allo stesso tempo, nessuna idea era così
fortemente considerata ai massimi livelli dell’amministrazione come la convinzione per la
quale la presenza americana fosse indispensabile alla stabilità europea e, di conseguenza,
agli interessi vitali americani
46
.
42
Consiglio dell’Atlantico del Nord (1991) Il Nuovo Concetto Strategico dell’Alleanza, firmato dai Capi di Stato e di
Governo degli Stati membri, 8 novembre 1991. Il testo è consultabile sul sito:
www.nato.int/cps/en/natolive/official_texts_23847.htm. I contenuti della Dichiarazione di Londra e di buona parte
del concetto strategico sono da addebitare all’intenso sforzo diplomatico degli Stati Uniti e del Regno Unito, che
molto si spesero per trovare un approccio multilaterale alla sicurezza nell’immediato post-Guerra Fredda.
43
Ibidem.
44
Con il nuovo concet to strategico, la NATO alleggerì e riformulò parzialmente la propria postura strategica e la
struttura di comando integrato. Fu introdotto il principio della Task Force Congiunta e Combinata (CJTF –
Combined Joint Task Force); fu enfatizzata la necessità di proseguire sulla strada del disarmo, nucleare e
convenzionale; si sviluppò il concetto dell’Identità di Sicurezza e di Difesa Europea (ESDI – European Security
and Defense Identity).
45
Moore, R. (2007) Op. cit., p.15.
46
Ibidem.
10
L’iniziativa statunitense non fu certamente l’unica. A questo proposito è necessario ricordare la
determinazione di Manfred Wörner, Segretario Generale NATO dalla visione strategica lungimirante.
Egli era fermamente convinto che l’Organizzazione avesse delle «responsabilità globali» e che dovesse
fungere da catalizzatore di riforme democratiche in Europa centrale ed orientale grazie all’irrobustimento
del legame militare transatlantico
47
. Inoltre, Wörner era un acceso sostenitore della necessità di «aprire le
porte» ai paesi di recente indipendenza, integrandoli
48
. La NATO si era dunque data un’«agenda
orientale
49
».
4. L’avvio del “dialogo ravvicinato”.
Il 1991 fu dunque un anno fondamentale, nelle relazioni tra NATO e Federazione russa. Un anno nel
quale si posero le basi di un rapporto che – seppur difficoltoso e segnato ciclicamente da alti e bassi –
porterà, una decina d’anni dopo, all’istituzione di una vera e propria partnership strategica: il Consiglio
NATO-Russia.
L’intero processo ebbe inizio con l’avvio di un “dialogo ravvicinato” tra NATO e Russia,
caratterizzato da uno slancio reciproco euforico. Boris Yeltsin e la sua amministrazione miravano
all’approfondimento dei legami con l’Occidente, così da ottenere il sostegno alle riforme interne ed
offrire una nuova immagine della Russia, pronta ad essere un partner internazionale affidabile. Gli “euro-
atlanticisti”
50
alla guida del paese cercarono di avviare, in primis, un ottimo rapporto con gli Stati Uniti.
In un discorso alle Nazioni Unite, il Presidente russo dichiarò che «la Russia vede gli Stati Uniti,
l’Occidente ed i paesi dell’Est non come meri partner, ma come alleati»
51
. E l’allora Ministro degli Esteri
russo, Andrei Kozyrev, si espresse così:
la Russia non guarda alla NATO come ad un’organizzazione ostile, e men che meno
come ad un avversario militare. Non escludiamo inoltre la possibilità per la quale, ad un
certo punto, la stessa Russia possa divenire membro dell’alleanza
52
.
I dibattiti
53
relativi alla fattibilità della proposta russa non ci pertengono, tuttavia è da ritenere importante,
in quanto indicativa della volontà della Federazione russa di dimostrare la propria adesione, nel contesto
47
Hendrickson, R. (2004) “Manfred Wörner: A visionary”, NATO Review, Autunno 2004. Consultabile sul sito:
www.nato.int/docu/review/2004/issue3/english/history.html. Wörner fu Segretario Generale dal 1988 al 1994. Fu il
primo tedesco a ricoprire tale carica, e l’unico a morire durante l’incarico, per malattia. E’ tuttora considerato uno
dei migliori SG ad aver guidato l’Alleanza, lasciando in eredità i principi che portarono al primo round di
allargamento ed ai primi programmi di dialogo e partnership con i paesi ex membri dell’URSS.
48
La “politica della porta aperta” è parte integrante dell’approccio NATO verso l’allargamento, regolamentato
dall’art.10 del Trattato dell’Atlantico del Nord. «Le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire a
questo Trattato ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di
contribuire alla sicurezza della regione dell'Atlantico settentrionale. Ogni Stato così invitato può divenire parte del
Trattato depositando il proprio strumento di adesione presso il governo degli Stati Uniti d'America. Il governo degli
Stati Uniti d'America informerà ciascuna delle parti del deposito di ogni strumento di adesione». Disponibile sul
sito: www.nato.int/cps/en/SID-30C49FB1-24797641/natolive/official_texts_17120.htm.
49
Larrabee, F.S. (2003) Op. cit., p.1.
50
Larrabee, F.S. (2003) Op. cit., p.117.
51
Discorso del Presidente della Federazione russa Boris Yeltsin al summit speciale del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite, 31 gennaio 1992. In Arbatov, A.G. et al. (1999) Russia and the West: The 21st Century Security
Environment, EastWest Institute, Londra: M.E. Sharpe, p. 219.
52
Kozyrev, A. (1995) “Partnership or Cold Peace?”, Foreign Policy, Vol. 3, pp.11-12.
11
dei propri interessi nazionali, ai valori espressi dalla NATO. Ed è altrettanto importante per comprendere
quanto Yeltsin avesse bisogno degli aiuti occidentali per risollevare economicamente il paese e per avere
il peso politico necessario a contrastare il crescente dissenso interno
54
. Per la NATO, poi, l’orientamento
pro-occidentale russo non avrebbe potuto manifestarsi in un momento migliore. Mosca, infatti, fu molto
collaborativa su alcune problematiche sensibili di quei primi anni. Ad esempio, operò ingenti tagli al
budget militare e al proprio arsenale nucleare – fino a due anni prima corrispondenti al 20-25% del PIL
55
– sotto l’egida del trattato CFE e dello START II.
4.1 Il NACC e l’Open Door Policy.
Nel 1991, l’adesione della Russia al Consiglio Nord-Atlantico per la Cooperazione (NACC – N ort h
Atlantic Cooperation Council) fu, agli occhi di molti, un grande successo. Il NACC sorse su iniziativa
della NATO come forum adibito allo sviluppo di consultazioni multilaterali in materia di sicurezza tra i
membri dell’Alleanza atlantica e i paesi partner
56
. Il NACC consentiva alla Russia di vedersi integrata in
un meccanismo finalizzato alla normalizzazione dell’ambiente di sicurezza europeo, nel quale partecipare
attivamente. In questa sede i policy-makers r u s s i s o s t e nn e r o r i p e t u t a m e nt e l a n e c e s s i t à di a t t i va r e
programmi di cooperazione pratica anche in campo militare, dando quindi sostanza alle discussioni
teoriche in atto
57
.
Per la NATO, invece, il NACC costituiva un primo passo verso una piena applicazione del
concetto della “politica della porta aperta”, enfatizzata nel nuovo concetto strategico e diretta ai paesi
europei di recente indipendenza. Il Consiglio funse soprattutto da piattaforma sulla quale erigere
istituzionalmente la successiva cooperazione: in breve tempo, i paesi coinvolti risposero molto
positivamente all’iniziativa e molti di questi, qualche anno più tardi, chiesero di accedere all’Alleanza,
scatenando un acceso dibattito che continua a trascinarsi fino ai nostri giorni
58
. La open door policy
53
Gorskii, V. (2001) Op. cit., p.9. Molti democratici russi, sulla scia dell’entusiasmo, predicarono l’accesso della
Russia nell’Alleanza atlantica. Anche il vice -presidente Aleksandr Rutskoi, in un incontro con una delegazione
NATO nel 1991, suggerì tale idea. Egli, come molti analisti, era convinto che ciò costituisse l’unica valida
alternativa al disastro. La membership NATO, sec ondo l or o, avrebbe aperto i mercati occidentali ai prodotti
tecnologici russi, favorendo gli investimenti stranieri; avrebbe aiutato la Russia a ri-organizzare e a modernizzare le
Forze Armate; garantendo stabilità all’esterno, avrebbe annullato il rischio di altri colpi di stato e proiettato
nuovamente il paese verso un ruolo di prestigio a livello internazionale. «Quindi, l’entrata nella NATO era vista
come la panacea per quasi tutti i problemi russi».
54
Ibidem. I detrattori di Yeltsin lo definivano un leader autoritario. Anche la sua politica estera, impersonificata dalla
figura di Kozyrev, fu duramente criticata. Essa era infatti percepita come troppo conciliante nei confronti delle
richieste occidentali ed impotente di fronte all’“eccessiva libertà” lasciata alle ex repubbliche sovietiche (il
cosiddetto “vicino estero”). Difatti, gli oppositori comunisti e nazionalisti ritenevano la Russia una potenza
autosufficiente, minacciata da un Occidente che avrebbe guadagnato molto dalla debolezza russa.
55
Marantz, P.J. (1997) “Neither Adversaries nor Partners: Russia and the West Search for a New Relationship” in
R.E. Kanet, e A.V Kozhemiakin (1997) The Foreign Policy of the Russian Federation, Londra: Macmillan, p.78-
80.
56
NATO Handbook (2006), NATO Office of Information and Press, NATO Headquarters, Bruxelles, p.185. Nel 1997
il NACC venne sostituito ed aggiornato dall’EAPC – Euro-Atlantic Partnership Council.
57
Gorskii, V. (2001), Op. cit., p.11. L’obiettivo russo era duplice: da un lato, si cercava sostegno politico alle
operazioni di peacekeeping russe nei territori della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI); dall’altro, Mosca
tentava di avere voce in capitolo relativamente alla politica della NATO nei confronti del “vicino estero” russo.
58
Dutkiewicz, P. e Jackson, R.J. (1998) NATO looks East, Westport:Praeger Publishers, p.103. Il “vicino estero”,
ossia la tradizionale sfera d’influenza russa, è un tasto tuttora molto sensibile, politicamente e psicologicamente.
12
soggiacente all’“agenda orientale” NATO, infatti, spaventava molto l’élite di governo russa, dal 1992
maggiormente influenzata da spinte nazionalistiche e conservatrici: si interpretava difatti l’espansione
come un tentativo occidentale di approfittare della debolezza russa, riesumando antichi timori di
marginalizzazione dal contesto europeo tramite cordon sanitaire e c o n t r o -alleanze ai confini. Le
implicazioni militari di un tale evento sarebbero state insopportabili, per una potenza tradizionalmente
spaventata dall’accerchiamento e dalla propria fragilità territoriale
59
. Le preoccupazioni russe trovarono
rassicurazioni proprio all’interno del NACC, nel quale si affrontarono, fin da subito, alcuni tra i maggiori
fattori di crisi lasciati irrisolti dalla Guerra Fredda (ad esempio, il ritiro delle truppe russe dai paesi
baltici). La volontà comune di promuovere una vera cooperazione politica tra ex avversari in nome della
comprensione e della fiducia reciproche fece del NACC un’istituzione pionieristica nel campo della
cooperazione NATO-Russia. Tuttavia, la sua natura multilaterale impediva ai singoli partecipanti la
costruzione di un rapporto individuale con la NATO
60
, rapporto che si decise di avviare con il programma
del Partenariato per la Pace (PfP – Partnership for Peace), proposto in sede NATO alla fine del 1993
dall’amministrazione statunitense guidata da Bill Clinton.
5. Disillusione?
In un secondo momento, la posizione russa nei confronti della NATO si fece più rigida. Dissipata
l’euforia delle roboanti dichiarazioni di partnership strategica degli inizi, gli ambienti conservatori russi
cominciarono a soffrire la linea atlanticista del Presidente e del suo Ministro degli Esteri. Entrambi erano
ritenuti colpevoli di aderire troppo ai desiderata s t a t u n i t e n s i e , c o n s e g u e n t e m e n t e , d i m e t t e r e a
repentaglio i veri interessi nazionali russi, quali ad esempio il rafforzamento delle relazioni con i paesi del
“vicino estero”. A turbare la coerenza delle posizioni negoziali russe vi erano anche le diatribe interne
sorte in merito al ruolo ricoperto dalla NATO in Yugoslavia
61
.
A Bruxelles, nel frattempo, il tema dell’espansione della comunità transatlantica veniva affrontato
ufficialmente, affermando più volte la volontà di aprirsi a nuovi membri
62
: la celebre affermazione
Gli stati-cuscinetto assegnati alla protezione territoriale del cuore politico sovietico divennero, agli occhi degli
orfani della Guerra Fredda, potenziali anelli di una barriera geografica e di una strategia diplomatica anti-russa. In
realtà, gli stati dell’Europa centrale ed orientale erano mossi dalla convinzione per la quale essi sarebbero stati al
riparo da eventuali intimidazioni di tipo militare – presumibilmente provenienti da est – e da minacce di tipo
economico, riuscendo a prevenire l’egemonia di un solo attore (come, ad esempio, la Germania).
59
Ibidem, p.16. L’avvicinamento di un’alleanza militare potente ai confini della Russia avrebbe significato, per essa,
dover ricorrere ad una decisa ristrutturazione delle capacità difensive, comportando uno sforzo finanziario
eccessivo del comparto della difesa, in fase di ripensamento, indebolendo il potenziale militare del paese. Non
stupisce l’affermazione, nella nuova dottrina militare russa del 1993, per la quale «l’allargamento di alleanze
militari ai propri confini è una delle maggiori fonti di pericolo militare per la Russia». A questo proposito si veda
anche il report del servizio di intelligence russo, internazionalmente noto come FSR – Foreign Intelligence Service
(Russia), SVR – Sluszhba Vneshney Razvedki, (1993) “The Prospects of NATO Enlargement and the Interests of
Russia”.
60
NATO Handbook (2006), Op. cit., p.61.
61
Smi t h, J . ( 2008) The NATO-Russia Relationship: Defining Moment or Déjà vu?, IFRI (Institut Français des
Relations Internationales) e CSIS (Center for Strategic and International Studies), Parigi e Washington DC, p.8.
62
NATO Handbook (2006), Op. cit., p.61.
13
clintoniana per la quale «la domanda ora non è più se la NATO accetterà nuovi membri, ma quando e
come»
63
esprimeva chiaramente l’intenzione alleata di avanzare verso est con o senza l’assenso russo
64
.
Tutto ciò poneva Yeltsin e Kozyrev di fronte ad un dilemma: cedere alle spinte di chi, dall’interno,
chiedeva un allontanamento dalla NATO, al fine di diversificare le proprie opzioni di politica estera,
magari “recuperando” il “vicino estero”; ovvero, procedere verso il rapprochement, cercando di
approfondire il legame con la NATO, formalizzandolo, attraverso l’adesione al Partenariato per la Pace.
Yeltsin ed il suo entourage scelsero di aderire alla PfP, cercando di sedere al tavolo negoziale – se non in
condizioni paritarie – investiti almeno di uno status speciale, commensurato al ruolo storico ricoperto
dalla Russia negli affari internazionali. Kozyrev era fermamente convinto della necessità di aderire al
Partenariato, imperniando la sua azione diplomatica su due convinzioni:
1. nella politica estera degli Stati Uniti e dei suoi alleati europei, la Russia occupava un ruolo di
prim’ordine
65
;
2. il rafforzamento della collaborazione con la NATO all’interno del NACC e della PfP avrebbe in
qualche modo reso meno necessario, per l’Alleanza atlantica, allargarsi ad est
66
.
Si trattò di un grande errore di valutazione, che costò al Ministro la propria carica. In primo luogo, le
condizioni economiche e militari della Russia di quegli anni non permettevano al paese di essere
considerato dagli Stati Uniti e dai suoi alleati europei una vera, Grande Potenza. L’assenza di un’azione
di governo coerente impediva l’esercizio di un potere centrale stabile nella Federazione russa, intaccando
tale autorità anche a livello regionale, dove erano sorti centri di potere concorrenti. Il riorientamento della
NATO verso obiettivi strategici differenti, poi, unitamente ad una politica estera statunitense centrata sul
rafforzamento del legame transatlantico, suggerisce a gran voce come l’Occidente, in quel momento, non
considerasse la Russia un potenziale avversario strategico
67
. Pertanto, la NATO non concesse ai russi
alcun rango particolare che li distinguesse dagli altri partecipanti al Partenariato. Ciò inferse un duro
colpo alla sensibilità della popolazione russa ed obliterò la credibilità politica del Ministro degli Esteri.
In secondo luogo, la NATO non considerava la Partnership una soluzione di compromesso alle
richieste russe, bensì un passo propedeutico, per alcuni paesi dell’Europa centro-orientale, per poter
accedere all’Alleanza in un secondo momento. Questo concetto era stato coniato e sostenuto con vigore
dall’amministrazione Clinton, che ne fece uno dei suoi pilastri di politica estera
68
. L’allargamento si era
63
Conferenza stampa del Presidente degli Stati Uniti d’America Bill Clinton con i leader del “Gruppo di Visegrad”,
Residenza dell’ambasciatore degli Stati Uniti, Praga, 12 gennaio 1994. Il testo dell’intervento è consultabile sul
sito: www.presidency.ucsb.edu/ws/index.php?pid=49832.
64
Smith, M.A. e Timmins, G. (2001) “Russia, NATO, and the EU in an Era of Enlargement: Vulnerability or
Opportunity?”, Geopolitics, Vol. 6, No.1, Estate 2001, p.73.
65
Intervista personale a Sabine Fischer, EUISS – European Union Institute for Security Studies, Research Fellow,
EU-Russia Relations, 13 dicembre 2009. «La Russia si aspettava di essere una “first rank priority” nelle agende
occidentali, interpretando il corso politico della NATO attraverso questo prisma. Vi era quindi uno scollamento tra
le aspettative russe e la realtà dei fatti – divario che diede inevitabilmente vita a fraintendimenti e risentimenti».
66
Gorskii, V. (2001), Op. cit., p. 23.
67
MacFarlane, S.N. (2001) “NATO in Russia’s Relations with the West”, Security Dialogue, Sage Publications on
Behalf of IPRI – I n t e r n a t i o n a l P e a c e R e s e a r c h I n s t i t u t e , O s l o , V o l . 3 2 , p . 2 8 2 . D i s p o nibile sul sito:
http://sdi.sagepub.com.
68
Asmus, R.D. (2002) “L’élargissement de l’OTAN: Passé, Présent, Futur”, Politique étrangère, Persée, Vol.67,
No.2, Parigi, p.353. Disponibile sul sito: www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/polit_0032-
342x_2002_num_67_2_5184.
14
fatto necessario, secondo gli USA, a causa del profilarsi di minacce nuove, figlie della globalizzazione.
Minacce differenti, sorte al di fuori del contesto europeo, ma che lo avrebbero coinvolto direttamente. La
NATO, dunque, avrebbe avuto – attraverso la PfP – per l’Europa orientale lo stesso ruolo di provider di
sicurezza, stabilità e democratizzazione che ebbe a suo tempo in Europa occidentale.
5.1 La Partnership for Peace.
La base formale della Partnership for Peace consisteva in un Documento Q u a d r o ( « Framework
Document») del 1994, unitamente all’invito ai paesi interessati all’iniziativa
69
. Tale documento esprimeva
la volontà dei membri NATO di consultarsi con i partner qualora questi ultimi avessero percepito una
minaccia diretta alla propria sovranità territoriale, all’indipendenza politica o alla propria sicurezza. Ogni
Partner, con l’adozione del Documento, si impegnava a rispettare:
• la Carta delle Nazioni Unite – c o n p a rt i c o l a r e ri f e ri m e n t o a l l e p r e s c r i z i o n i c o n t e n u t e n e l
Cap.VII, laddove s i r i c h i e d e l a s o l u z i o n e p a c i fi c a d e l l e c o n t r o v e r s i e e l ’ a s t e n s i o n e d a l l a
minaccia dell’uso della forza;
• i diritti umani, delineati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e nell’Atto Finale
di Helsinki;
• la promessa di sottoscrivere accordi internazionali sul disarmo e sul controllo degli armamenti.
L’adozione del documento implicava anche l’impegno, per i Partner, a rafforzare il controllo civile
delle Forze Armate, a promuoverne la trasparenza e, soprattutto, a «sviluppare le capacità necessarie ad
un’azione congiunta con la NATO in operazioni umanitarie e di peacekeeping
70
». L’essenza del
Partenariato, però, non si esauriva certamente nell’adozione di particolari strumenti di diritto
internazionale. Essa, invece, risiedeva nel legame individuale che si formava tra ogni paese Partner e la
NATO, un legame che prevedeva il raggiungimento di obiettivi concordati nei contenuti, nei modi e nei
tempi. Si trattò, quindi, di una sorta di kit di m ec ca ni sm i prati ci fi na li zz at i a d una c oll a bora zi one
sostanziale con la NATO in numerosi ambiti, selezionati dall’Alleanza in un Documento di Presentazione
che funse da base per i Programmi Individuali di Partenariato (PIP)
71
. La cooperazione delineata nei
programmi aveva una fortissima componente militare, dedicata allo sviluppo di competenze specifiche da
impiegare nella riforma della Difesa, nella gestione delle sue conseguenze e, soprattutto, nel
raggiungimento della interoperabilità, obiettivo che da quel momento in avanti costituì il perno della
collaborazione militare della NATO con i paesi Partner. Per interoperabilità si intende
la capacità di organizzazioni militari differenti di condurre operazioni congiunte. […]
L’interoperabilità richiede la condivisione di dottrine e procedure, le rispettive
infrastrutture e basi e di essere in grado di comunicare tra loro, permettendo di
accumulare risorse e dar vita a sinergie tra i membri
72
.
69
NATO Handbook (2006), Op, cit., p.199-200.
70
Ibidem, p.200.
71
Ibidem.
72
“ I n t e r o p e r a bi lity for Joint Operations” (2006), NATO Backgrounder, luglio 2006, p.1. Disponibile sul sito:
www.nato.int/docu/interoperability/interoperability.pdf. «Le organizzazioni militari coinvolte possono appartenere