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La mancanza di apertura dei Borbone verso le novità politico-culturali,
quale era senz’altro la stampa libera di massa, sarà una costante del nostro
studio.
Oggetto principale di questa ricerca sono gli organi supremi di governo del
Regno delle Due Sicilie (1816-1860), due consessi in stretta correlazione
fra loro denominati Consiglio di Stato e Consiglio de’ Ministri Segretari di
Stato.
Dopo un sommario inquadramento storico-politico, il secondo capitolo avrà
per oggetto lo studio di figure e corpi pubblici in cui affonda le radici
l’organo ministeriale. Soprattutto ci si soffermerà sulle novità introdotte nel
corso del decennio francese (1806-1815) che, specie nel campo della
amministrazione pubblica, saranno confermate dal restaurato Ferdinando di
Borbone. Destino diverso sarà tuttavia quello del Consiglio di Stato
dell’occupazione militare, fiore all’occhiello dell’amministrazione
napoleonica ed emblema di quella monarchia consultiva instaurata a Napoli
da Gioacchino Murat. In particolare, sarà analizzata la portata della
soppressione di questo consesso, in parte sostituito dal Supremo Consiglio
di Cancelleria e successivamente dalle Consulte.
Proprio le Consulte saranno oggetto principale del terzo capitolo. Questi
organi furono introdotti su pressione delle Potenze della Santa Alleanza,
Austria in primis, riunite a Lubiana dopo il rovesciamento dell’effimero
regime costituzionale del 1820-’21. Il cancelliere austriaco Metternich
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premeva per l’instaurazione a Napoli di una monarchia consultiva, vista
come terza via fra l’assolutismo ed i regimi rappresentativi. In questo
modo, nel convincimento dello statista asburgico, le aspirazioni liberali dei
popoli italiani sarebbero state tenute a freno.
Analizzeremo i tentennamenti e le ambiguità dei governanti borbonici
nell’attuazione delle direttive di Lubiana e valuteremo infine se le
Consulte, così come istituite con ritardo con l. 14 giugno 1824, possano a
bastare ad identificare il Regno delle Due Sicilie come una monarchia
consultiva.
In riferimento a ciò sarà riportato in appendice del materiale epistolare fra
Ferdinando I, i suoi governanti ed i plenipotenziari stranieri concernente
problemi riguardanti l’istituzione degli organi consultivi.
Il quarto capitolo sarà interamente incentrato sull’esame del Consiglio di
Stato ordinario e del Consiglio dei Ministri soffermandoci innanzitutto
sull’ordinamento e sulle funzioni individuate dalla avanzata legislazione
pubblicistica borbonica. Il punto di partenza dell’esame non potrà che
essere il dato legislativo, giacché il materiale normativo sul punto è preciso
ed organico. Nella seconda parte del capitolo saranno invece analizzati i
problemi emersi nel funzionamento concreto degli organi di governo,
basandoci sul racconto della critica dell’epoca e sulle risultanze dei
Protocolli delle sedute del Consiglio di Stato, conservati presso il Grande
Archivio di Napoli.
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Il materiale normativo di riferimento, leggi e decreti promulgati
essenzialmente fino agli anni ’30 del XIX secolo è facilmente reperibile
essendo pubblicato nella Collezione delle Leggi e dei Decreti Reali, ad
eccezione del notevole regolamento del 10 maggio 1826, non pubblicato
per ordine del Re, ma comunque conservato al Grande Archivio di Napoli.
Il testo di tale regolamento sarà per tanto esposto in appendice.
Nel quinto capitolo il nostro studio abbandonerà del tutto i riferimenti
normativi per analizzare nel dettaglio un episodio cruciale della storia del
Regno delle Due Sicilie, la questione degli zolfi di Sicilia. La vicenda verrà
tuttavia esaminata da una prospettiva diversa rispetto alla abbondante
bibliografia in materia, privilegiando gli aspetti istituzionali. Verranno
evidenziati l’accentramento del potere nelle mani di Ferdinando II e la
conseguente perdita di prestigio della classe ministeriale, basandoci
essenzialmente sulle esposizioni e sui pareri del Ministro degli Affari Esteri
del tempo, Antonio Statella principe di Cassaro.
Alla luce delle difficoltà incontrate dai Ministri per svincolarsi dal ruolo di
“favoriti” e meri esecutori degli ordini regi gli ultimi paragrafi
concerneranno anche questioni di ordine più generale sui rapporti fra Re e
Ministri.
Vi saranno ampi riferimenti all’esperienza inglese ed alla lunga evoluzione
del cd. modello Westminster. Ci si porrà il problema della influenza degli
organi rappresentativi sui rapporti fra Re e Ministri, chiedendoci in che
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misura la chiusura dei Borbone verso tutto ciò che anche latamente
costituisca ente esponenziale di gruppi ed interessi possa aver influito sulla
mancata evoluzione del Consiglio dei Ministri napoletano.
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I. QUADRO STORICO-POLITICO
1.1. I Regni di Napoli e Sicilia prima dell’Unificazione
La formale fusione degli antichi regni di Napoli e di Sicilia si ebbe con il
riconoscimento, nel Congresso di Vienna (1815), a favore di Ferdinando
IV di Borbone del titolo di Re del Regno delle Due Sicilie
3
. La Sicilia,
tuttavia, non abbastanza divisa dalla terraferma dallo Stretto di Messina,
raggiunse l’unità politica con la parte meridionale della penisola italiana
già a partire dal secolo XII sotto la monarchia normanna.
4
L’estinzione della casa normanna d’Altavilla trasferì il “Regno di Sicilia”
agli Svevi della casa di Hohenstaufen (1194), ma dopo gli splendori
dell’età federiciana la lotta tra Chiesa ed Impero travolse l’Italia
meridionale. Al re Manfredi, figlio di Federico II, il Papato oppose Carlo
d’Angiò che sconfisse lo svevo presso Benevento (1266) determinando
l’avvento della dinastia angioina a Napoli
5
.
3
La legge 8 dicembre 1816 recepì le determinazioni del Congresso, al punto di essere definita legge
organica del Regno delle Due Sicilie. All’art. 1 Ferdinando I statuisce che “tutti i nostri dominj al di quà
(sic) e al di là del Faro costituiranno il regno delle due Sicilie”
4
Guido LANDI, “Istituzioni…”,Milano 1977, pp.1‐2
5
Carlo I d’Angiò fu incoronato da papa Urbano IV col titolo completo di “rex Ierusalem, Siciliae, ducatus
Apuliae ac principatus Capuae”: cfr. Michele AMARI “La Guerra dei Vespri”, Torino 1853, p. 525
13
In queste vicende medioevali si trovano le radici di quei contrasti, di quelle
discordie tra Napoli e Sicilia che giungeranno sino al XIX secolo rendendo
così ardua la strada verso l’unità giuridica dei regni.
La guerra del Vespro (1282-1302) scoppiò dopo che con la decapitazione
di Corradino di Svevia, sconfitto dagli Angioini a Tagliacozzo (1268), il
Regno di Sicilia sembrava ormai definitivamente assoggettato a Carlo
d’Angiò che, peraltro, sostituì come capitale Palermo con Napoli.
La guerra, iniziata per sostituire in Sicilia gli angioini con gli aragonesi,
eredi degli svevi, si concluse con la Pace di Caltabellotta (31 agosto 1302),
che sanzionò la divisione politica dell’isola dal continente. L’accordo
prevedeva la distinzione tra il Regno di Sicilia spettante a Carlo II d’Angiò,
comprendente la parte continentale del meridione d’Italia (e dunque non la
Sicilia, intesa come isola) ed il Regno di Trinacria, spettante a Federico III
6
d’Aragona comprendente la Sicilia e le isole circostanti. Era previsto altresì
che alla morte di Federico il regno di Trinacria si riunificasse con quello di
Sicilia sotto la dominazione degli Angioini che avrebbero dovuto
contestualmente corrispondere agli Aragonesi centomila once d’oro.
La riunificazione prevista dal trattato non si verificò. Federico III rivendicò
il titolo di Re di Trinacria per il figlio Pietro, evitando di farlo confluire agli
6
A Federico d’Aragona spetterebbe in realtà il numerale “secondo”, ma scelse “terzo” in continuità con
gli Hohenstaufen da cui discendeva per parte di madre. Per questo motivo modificò lo stemma del
regno inserendo le insegne imperiali della dinastia sveva accanto a quelle aragonesi: FODALE S. –
“Dizionario Biografico degli Italiani” alla voce “Federico III (II) d’Aragona, re di Sicilia (Trinacria)”‐ Roma
2004, XLV p. 682‐694
14
Angioini che non rientrarono più nella corte di Palermo giacché l’impresa
di Roberto d’Angiò di riprendere possesso della Sicilia (1314) si rivelò
infruttuosa.
Federico III il 9 agosto 1314 ripudiò il titolo regio di Trinacria in favore di
quello di Re di Sicilia. Pertanto nel medioevo venne detto rex Siciliae tanto
l’Aragonese di Palermo, quanto l’Angioino di Napoli fintantoché
quest’ultimo non mutava il glorioso titolo dei re normanni con quello
consuetudinario di “Re di Napoli”.
7
1.2 Le dominazioni straniere
Fu Alfonso V d’Aragona nel 1434 a riunire le due corone, sconfiggendo
l’ultimo degli Angioini, Renato, proclamandosi “rex utriusque Siciliae”.
Ma il destino dei due regni era segnato: indeboliti ed impoveriti da guerre
esterne e discordie interne finirono per cadere in mani straniere.
La Sicilia, attratta nella sfera di influenza degli Aragonesi fu riunita ad una
corona straniera nel 1412, quando Ferdinando I fu eletto re di Aragona,
Valencia e Catalogna, e divenne così mera provincia del Regno di Aragona,
retta da un vicario. Nel 1512, a seguito delle nozze tra Ferdinando
d’Aragona ed Isabella di Castiglia, la corona siciliana fu unificata a quella
di Spagna.
7
Guido LANDI – “Istituzioni…”, 1977, I, p.3
15
Nel 1494 il re di Francia Carlo VIII scese in Italia, sconvolgendo il delicato
equilibrio politico tra le città. Il sovrano francese vantava una lontana
parentela con gli Angioini re di Napoli, che gli bastò per rivendicare la
corona partenopea. Tutte le provincie gli si sottomisero, mentre gli
Aragonesi si rifugiarono in Sicilia anche in cerca del sostegno di
Ferdinando il Cattolico, mentre Carlo si proclamava Re di Napoli.
L’ambizione del sovrano d’Oltralpe preoccupò tuttavia il pontefice
Alessandro VI e l’imperatore Massimiliano d’Asburgo che costituirono una
lega contro Carlo VIII, sconfitto infine a Fornovo il 6 luglio 1495
8
.
Seguirono anni in cui le terre tanto care a Federico II, stupor mundi, furono
teatro di conflitti fra due potenze straniere. La lotta tra Francesi e Spagnoli
per la supremazia nel Meridione fu decisa solo il 29 dicembre 1503 nella
battaglia del Garigliano, in cui l’esercito del Gran Capitàn Gonzalo
Fernandez de Cordoba sconfisse quello al servizio del Regno di Francia,
determinando per oltre due secoli le sorti politiche del Regno di Napoli.
La casa reale aragonese divenuta indigena in Italia si era ormai estinta con
Federico I, e anche Napoli cadde sotto il diretto controllo della Corona di
Spagna che vi istituì un vicereame. Il cd. periodo del Viceregno durò sino
alla Guerra di Successione Spagnola nel 1713. Isola e Continente pur
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Le conseguenze della campagna di Carlo VIII furono disastrose per l’Italia nonostante la vittoria della
lega antifrancese. Attraverso i soldati francesi e tedeschi per l’Europa si diffuse l’idea dell’Italia come
una terra incredibilmente ricca e facilmente conquistabile. La penisola si trasformò per decenni in
campo di battaglia, ed ad esclusione della Repubblica di Venezia non vi erano stati indipendenti: AA. VV.
“Harper Enciclopedy of Military History”, New York 2001, p. 462
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perdendo dunque entrambi l’indipendenza rimasero politicamente divisi
essendo i due vicereami spagnoli completamente distinti ed autonomi.
Il Trattato di Utrecht, che poneva fine alla guerra di successione spagnola,
sancì l’avvento degli Asburgo nell’Italia Meridionale, con Napoli e la
Sardegna sotto il controllo di Carlo VI del Sacro Romano Impero ed
attribuì il titolo di re di Sicilia a Vittorio Amedeo II con la condizione che,
una volta estinta la discendenza maschile dei Savoia, l’isola sarebbe tornata
alla corona di Spagna.
Nel 1718 Filippo V di Spagna tentò di ristabilire il dominio iberico in
Sicilia ed a Napoli; l’impresa non riuscì anche per l’intervento diretto di
Inghilterra, Francia, Austria e Olanda che sconfissero Filippo a capo
Passero. La pace che ne seguì, stipulata a L’Aia nel 1720, determinò un
riavvicinamento della Sicilia al Regno di Napoli: pur mantenendosi come
entità statale separata passò insieme a Napoli sotto la corona austriaca,
mentre il Regno di Sardegna diventava sabaudo.
Gli Asburgo controllarono Napoli e la Sicilia fino al 1735, quando a
seguito della conclusione della Guerra di Successione Polacca,nefasta per
le ragioni austriache, fu sottoscritto un preliminare di pace concernente fra
l’altro il riassetto degli Stati italiani: l’Austria cedeva a don Carlos di
Borbone, lo Stato dei Presidi, il Regno di Napoli ed il Regno di Sicilia.
Il regno di Carlo di Borbone ottenne la formale autonomia dalla Spagna
solo con la pace di Vienna del 1738, mentre le velleità asburgiche di
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riconquistare il meridione vennero meno solo nel 1744 quando l’esercito
borbonico, ancora forte della presenza di truppe spagnole, sconfisse quello
asburgico a Velletri. Napoli e Sicilia ebbero così finalmente un re proprio,
ma rimase pur sempre un’unione dinastica, proprio come durante il periodo
asburgico.
La crisi europea provocata dalla Rivoluzione Francese non fece che
accentuare il distacco: Napoli si proclamò Repubblica nel 1799, mentre la
Sicilia fu rifugio di Ferdinando IV e base della riconquista conclusa dal
cardinale Fabrizio Ruffo.
E la Sicilia si mostrò ospitale con il re borbone anche nel 1806 quando il
continente accoglieva Giuseppe Bonaparte prima, e Gioacchino Murat
dopo (1806-1815) determinando un nuova guerra tra i due “regni”. In
particolare, fu proprio Gioacchino Murat, incoronato col nome di
Gioacchino Napoleone Re delle Due Sicilie per effetto della Costituzione
di Baiona a muovere da Napoli per la conquista della Sicilia. L’impresa,
constatate le difficoltà già presso l’accampamento reale di Scilla, non ebbe
neppure inizio, ma ciò non toglie che ai sensi di detta costituzione le corone
di Sicilia e Napoli saranno unite seguendo la discendenza maschile di
Gioacchino Napoleone.
Come è noto la sconfitta di Napoleone Bonaparte ed il successivo
Congresso di Vienna apriranno la stagione della Restaurazione, che
riconsegnerà ai Borbone i reami di Napoli e Sicilia.
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1.3 L’unione dinastica
L’unione formale dei regni, sanzionata nel Congresso di Vienna proseguirà
fino all’Unità d’Italia nel 1860 e troverà riscontro nel titolo ufficiale del
sovrano di “Re del Regno delle Due Sicilie”
9
. Che non si tratti di un
pleonasma, come pure è stato affermato
10
, è determinato dal fatto che il
Congresso di Vienna trasformò in uno Stato unitario due Stati
precedentemente collegati solo dal legame dinastico sancito col Trattato di
Vienna del 1738, che destinò ai Borbone i domini al di qua ed al di là del
Faro. Quella risultante dal citato accordo non era tuttavia individuabile
come una unione meramente personale, cioè fondata sulla accidentale
identità della persona fisica del monarca (Re delle Due Sicilie). Si trattava
al contrario di una unione reale: quantunque la Sicilia conservasse
bandiera, armi araldiche e cittadinanza distinte da quelle napoletane era
presupposta l’unità giuridica della corona e l’esistenza di organi comuni.
Si consideri peraltro che nel periodo spagnolo ed in quello austriaco,
ancorché decorati dal titolo di “regni” Napoli e Sicilia restavano semplici
dipendenze di una corona straniera. Era al sovrano ed ai relativi ministri
che spettavano le determinazioni supreme, con l’assistenza del Consiglio
d’Italia. Il sovrano era rappresentato dal vicerè, alto
9
Guido LANDI – “Istituzioni…”, 1977, p. 37
10
Niccolò PALMIERI, “Saggio Storico e Politico sulla Costituzione del Regno delle Due Sicilie infino al
1816”, Losanna 1847, p. XL nell’introduzione anonima, ma risultante di Michele AMARI.