2
Nel mondo greco il problema relativo all’informazione del paziente sullo stato
della malattia, veniva riassunto nell’espressione philantropia, con cui si indicava il
ruolo di superiorità del curante rispetto al curato, ma caratterizzato anche da una
profonda umanità nei confronti del paziente (
4
).
Con l’avvento del Cristianesimo, al concetto di philantropia subentra quello di
pietas, in base al quale il malato viene identificato con il prossimo e la malattia viene
vissuta come una circostanza in cui attraverso la sofferenza è possibile raggiungere la
salvezza dell’anima.
Quindi, se nel mondo greco il paternalismo era comunque spunto di una riflessione
razionale relativa anche ad eventuali abusi che potevano essere compiuti dal medico, nel
Tardo impero e durante il Medioevo, il sanitario, che di regola era anche teologo e
dottore della Legge, si trovava su un piano del tutto superiore rispetto a quello del
paziente, con l’inevitabile conseguenza della totale indifferenza verso il consenso del
malato.
In un trattato del XVII, Rodrigo De Castro afferma che “Il medico ha il potere di
governare il corpo umano, così come il monarca governa lo stato e Dio governa il
mondo” (
5
).
La volontà del paziente ricompare soltanto nella seconda metà del Settecento e
nei primi anni dell’Ottocento nel Codice deontologico inglese, dove, da un, lato si
afferma l’autorevolezza della professione medica, ma, dall’altro, si sostiene anche la
necessità di ascoltare il malato, che, come persona, viene a trovarsi in un momento
estremamente difficile della vita (
6
).
Con il Novecento inizia una vera e propria ‘rivoluzione’, per il diffondersi di
tecnologie nuove e sempre più avanzate e per le importanti scoperte che sono state
compiute in vari ambiti della medicina (
7
).
Lo studio delle problematiche che stanno alla base delle decisioni compiute dai sanitari,
ha portato alla nascita della bioetica, disciplina che, “attraverso un continuo confronto
(
4
) L. Laquidara, Note di Bioetica, in “Kos”, luglio 1998, p.18.
(
5
) R. De Castro, Medicus-Politicus: sive De Officiis medico, 1614.
(
6
) L. Laquidara, Note di Bioetica, cit. p.20.
(
7
) Jean Bernard ha parlato di ”rivoluzione terapeutica”, cominciata nel 1936 con i sulfamidici e poi
proseguita con gli antibiotici, e di “rivoluzione biologica”, legata alla scoperta del codice genetico e delle
leggi che presiedono alla formazione della vita.
J. Bernard, La Bioéthique, Flammarion, Paris, 1994, p.7.
3
fra studiosi e operatori di matrice diversa” (
8
), tenta di affrontare e chiarire le
problematiche che vengono sollevate in medicina, in rapporto all’etica, alla filosofia e al
diritto.
A fondamento della bioetica vengono individuati i processi di Norimberga, che
si sono svolti fra il 1945 e il 1946, in cui furono giudicati i maggiori esponenti del
Nazismo tedesco, accusati, insieme ad altri gravissimi crimini, di aver compiuto
esperimenti medici senza il consenso dei pazienti.
E’ con il Codice di Norimberga, redatto in seguito a tali procedimenti, che l’essenzialità
del consenso viene posta al centro della sperimentazione sugli esseri umani (
9
).
Infatti al primo dei dieci postulati di cui è composto il codice si sancisce che:
“Il consenso volontario dell’essere umano è essenziale. Ciò significa che la
persona coinvolta dovrebbe essere legalmente capace di acconsentire: dovrebbe essere
in condizioni di esercitare un libero potere di scelta senza l’intervento di qualsiasi
elemento di forza, frode, inganno, costrizione, sopraffazione o qualsiasi altra forma di
coercizione e dovrebbe avere sufficiente consapevolezza e comprensione degli elementi
della questione, da metterlo in grado di formulare una decisione illuminata da
comprensione e consapevolezza […].”
Pertanto, è in questo complesso settore della medicina che, per la prima volta,
viene stabilito l’obbligo per lo sperimentatore di ottenere il consenso informato della
persona che, volontariamente, si sottopone ad uno studio clinico.
Non a caso tale necessità è stata avvertita dopo i terribili abusi compiuti sull’uomo
durante la Seconda Guerra Mondiale e in questo modo si è voluto assicurare un
controllo più approfondito sia sullo stato di salute dei pazienti, sia sulle ricerche che
venivano effettuate (
10
).
Ma, se nell’ambito della sperimentazione medica il consenso del paziente dato in
seguito ad una puntuale informazione del sanitario, è un traguardo raggiunto ormai più
di mezzo secolo fa, così non è per gli altri settori della medicina.
(
8
) U. Scarpelli, Bioetica: prospettive e principi fondamentali, in M. Mori (ed.), La Bioetica. Questioni
fondamentali, politiche per il futuro dell’uomo, Bibliotechne, Milano, 1991, p.21.
(
9
) M. Barni, La sperimentazione dei farmaci nell’uomo, in “Politica del diritto”, 1970, p.285.
(
10
) M. Barni- A. Santosuosso (a cura di), Medicina e diritto: prospettive e responsabilità della
professione medica oggi, Giuffrè Editore, Milano, 1995, p.232.
4
Infatti, se da un lato già nei primi anni del Novecento parlare di consenso era pacifico
fra gli operatori (
11
), dall’altro, in Italia, è stata una conquista molto recente
l’associazione del termine consenso all’attributo informato.
Se il consenso in sé non è una novità, il problema è stabilire in quale senso la
trasformazione in ‘consenso informato’ costituisca un’evoluzione degli anni Novanta.
Innanzitutto il mondo giuridico italiano non ha mostrato una particolare apertura al
dibattito in corso nei paesi di lingua inglese, che ponevano al centro le decisioni del
paziente.
Alla fine degli anni Ottanta alcuni (
12
) parlavano di ‘moda statunitense’ per le questioni
relative al valore giuridico della volontà del malato.
Questo mostra la presenza, nella nostra società, di orientamenti morali e culturali
contrari all’affermazione del principio di autodeterminazione del paziente.
La dottrina maggioritaria ha, per lungo tempo, escluso che i conflitti sorti in
ambito medico potessero essere analizzati in termini giuridici, lasciando tali
problematiche o alle indicazioni morali della Chiesa Cattolica, oppure a sistemi
normativi di derivazione tecnico- scientifica (
13
).
Infatti, se si escludono le pronunce giudiziarie sulla responsabilità professionale del
medico conseguente alla violazione di leggi relative all’arte medica, le sentenze negli
altri settori sono rarissime e rimangono del tutto svincolate dal dibattito in ambito
bioetico: come è avvenuto per il caso Oneda (
14
). La Corte d’Assise di Cagliari, nel
1982, ha condannato per omicidio aggravato (
15
) i genitori di una bambina, deceduta a
soli due anni e mezzo, perché affetta da anemia mediterranea, malattia per cui
necessitava di regolari trasfusioni di sangue, che sono state più volte impedite dai
genitori perché Testimoni di Geova.
(
11
) Filippo Grispigni, giurista positivista, in un articolo del 1921 teorizzò la posizione del soggetto che si
sottopone alle cure mediche: “Un trattamento medico-chirurgico compiuto secondo le regole dell’arte
medica, ma senza il valido consenso del paziente o del suo rappresentante legale, costituisce, a meno che
non si verta in stato di necessità, un fatto civilmente illecito […].”
F. Grispigni, La volontà del paziente nel trattamento medico-chirurgico, in “La scuola positiva”, 1921,
parte I, p.493.
(
12
) F. Mantovani, Aspetti giuridici dell’eutanasia, in “Rivista italiana di diritto processuale”, 1988, p.448.
(
13
) M. Barni-A. Santosuosso, Medicina e diritto: prospettive e responsabilità della professione medica
oggi, cit. p.36.
(
14
) Sentenza Corte d’Assise di Cagliari 10 marzo 1982, in “Foro Italiano”, vol. II, p.27.
(
15
) Successivamente la Corte d’Assise d’Appello di Cagliari con Sentenza del 13 dicembre 1983, ha
ridotto la pena perché i genitori della bimba hanno agito in conformità dei loro principi religiosi.
Sentenza Corte d’Assise d’appello di Cagliari 13 dicembre 1983, in “Giurisprudenza italiana”, 1983, vol.
II, p.364.
5
Questa sentenza ha dato luogo ad un dibattito limitato fra i giuristi italiani ed ha
influito ben poco nelle problematiche relative alla bioetica.
Nonostante la parziale indifferenza del nostro mondo giuridico, è grazie alle
pubblicazioni scientifiche in lingua inglese che iniziano a circolare fra i medici, che
temi da tempo analizzati negli Stati Uniti, sull’importanza e sull’autodeterminazione
dell’individuo, vengono conosciuti anche in Italia: prima in ambienti medici e
successivamente in ambienti giuridici.
Infatti la stessa locuzione consenso informato è ricalcata sull’espressione
americana informed consent e tale principio, convenzionalmente, viene fatto risalire ad
una sentenza della Corte Suprema della California del 1957 (
16
), dove per la prima volta
si afferma che il medico ha il dovere di comunicare al paziente “ogni fatto che sia
necessario a formare la base di un intelligente consenso al trattamento proposto”.
Pertanto, in Italia è accaduto il fatto singolare, che teorie e concetti giuridici del
diritto americano hanno cominciato a circolare fra i medici, senza che ci fosse stata una
rielaborazione critica alla luce del nostro diritto; un esempio riguarda il dibattito
sull’accanimento terapeutico che ha portato alla proposta di Legge Fortuna, la cui
ultima formulazione è del 2 luglio 1987, dove sono tradotte espressioni tratte dal
Natural Death Act dello Stato della California del 1976 (
17
).
Tali elaborazioni mostrano che anche in Italia il rapporto medico-paziente
comincia ad essere affrontato con una sensibilità e un’attenzione del tutto diverse
rispetto al passato.
(
16
) Sentenza Corte Suprema della California sul caso Salgo v. Leland Stanford Jr. University, Board of
Trustees, del 1957, in “Faden, R.R, Beauchamp, T.L”, A history of informed consent, Oxford University
Press, New York, p.125.
(
17
) M. Barni-A. Santosuosso, Medicina e diritto: prospettive e responsabilità della professione medica
oggi, cit. p.39.
6
§ 1.2.Le novità legislative degli anni Novanta e ‘il caso Massimo’.
Nell’ultimo decennio grazie all’attenzione posta ai temi della salute e delle
modalità di svolgimento dell’attività medica, il dibattito etico-giuridico nel rapporto
medico-paziente, ha avuto un importante sviluppo.
Questo è dimostrato da un lato, dall’istituzione, anche in Italia, di un Comitato
Nazionale per la Bioetica (
18
), organo consultivo composto da medici, scienziati, giuristi
e filosofi; dall’altro grazie all’emanazione di leggi che riconoscono l’essenzialità del
consenso.
Infatti, dopo due importanti leggi del 1978, la numero 180, in materia di assistenza
psichiatrica e la numero 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, in cui la
volontà del malato occupava già un ruolo importante (
19
); negli anni Novanta sono state
emanate norme, in specifici settori della medicina, dove per la prima volta si è affermata
l’essenzialità del consenso informato.
In particolare la Legge 107/90, sulla “Disciplina per le attività trasfusionali relative al
sangue umano e ai suoi componenti per la produzione di emoderivati”, definisce le
trasfusioni come pratiche rischiose, per cui è indispensabile il consenso informato del
ricevente (
20
).
La Legge 135/90, sul “Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta
contro l’AIDS”, stabilisce all’articolo 5 che “nessuno può essere sottoposto, senza il suo
consenso, ad analisi tendenti ad accertare l’infezione da HIV, se non per motivi di
necessità clinica nel suo interesse.”
Infine è necessario ricordare due decreti ministeriali del 27 aprile 1992 e del 15 luglio
1997, che, nel recepire le norme europee di Good Clinical Practice, individuano nel
consenso informato la condizione imprescindibile per l’esecuzione della
sperimentazione dei farmaci sull’uomo (
21
).
(
18
)Il Comitato Nazionale per la Bioetica è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio con decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28 marzo 1990.
(
19
) P. Borsellino, Bioetica: tra autonomia e diritto, cit. p.81.
(
20
) Art. 3 legge 4 maggio 1990, n.107 “Per donazioni di sangue e di emocomponenti si intende l’offerta
gratuita di sangue intero o plasma , o piastrine, o leucociti, previo il consenso informato e la verifica della
idoneità fisica del donatore.”
(
21
) P. Borsellino, Bioetica: tra autonomia e diritto, cit. p.82.
7
Il legislatore dell’inizio degli anni Novanta, ha riconosciuto nel consenso
informato il requisito indispensabile per la validità dell’atto medico in particolari settori
della medicina, come le pratiche trasfusionali, la lotta contro l’AIDS e la
sperimentazione dei farmaci sull’uomo; l’affermazione di questo principio in ogni altro
ambito della medicina, come fondamento della relazione fra medico e paziente, segna il
definitivo superamento del modello tradizionale, legato al paternalismo e alla centralità
del medico e stabilisce la supremazia del volere del paziente, che è libero di
autodeterminarsi e scegliere come e se farsi curare.
Secondo il modello paternalistico, il sanitario era l’unico soggetto capace, grazie
alla sua competenza, ad individuare le terapie migliori per il bene del paziente e a
quest’ultimo non restava altro che il ruolo di destinatario passivo di tali scelte (
22
).
In questa prospettiva, in primo piano, non c’era il problema di informare il malato sulla
diagnosi, sulla prognosi e sulle eventuali alternative terapeutiche, perché i trattamenti
venivano decisi unilateralmente dal medico.
Il passaggio dal paternalismo al modello liberale, in cui al paziente viene
riconosciuta la capacità di autodeterminarsi e decidere le cure da compiere sulla propria
persona, non avviene attraverso un dibattito etico-culturale, ma grazie ad una sentenza
che rappresenta un vero e proprio spartiacque nei rapporti sanitari.
Si tratta della pronuncia del 1990 della Corte d’Assise di Firenze, confermata nei
successivi gradi di giudizio (
23
), sul cosiddetto ‘Caso Massimo’, dal nome del chirurgo
condannato per omicidio preterintenzionale (
24
) per aver eseguito un intervento senza il
consenso della paziente, che, in seguito ad esso, è deceduta.
(
22
) P. Borsellino, Informazione, consenso e riservatezza nella relazione medico-paziente. Dalla
deontologia alla L.675/96, in “Sociologia del diritto”, 2000, p.95.
(
23
) Corte d’Assise di Firenze Sentenza 18 ottobre-8 novembre 1990, n.13, in “Foro Italiano”, 1991, vol.
II, p.236.
Tale pronuncia è stata confermata anche in secondo grado dalla Corte d’Assise D’Appello di Firenze con
Sentenza del 26 giugno-10 agosto 1991, n.5 e dalla Corte di Cassazione con Sentenza del 21 aprile 1992,
n.699, in “Cassazione Penale”,1993, p.63.
(
24
) Art.584 c.p. “Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dagli articoli 581e 582,
cagiona la morte di un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni.”
8
La vicenda si svolge all’Ospedale di Careggi a Firenze, dove viene ricoverata
un’anziana signora di 83 anni; dopo alcuni esami di accertamento, il medico di reparto
comunica alle figlie la necessità di operare la madre per asportare un polipo rettale
benigno. La tipologia dell’intervento doveva essere analoga a quella a cui era già stata
sottoposta in precedenza e, a tale tipo di operazione la donna fornisce il consenso.
L’intervento viene compiuto dal chirurgo Carlo Massimo, che, senza alcuna necessità
ed urgenza tali da giustificare l’atto, anziché compiere l’asportazione del polipo, esegue
l’amputazione totale del retto, creando un ano artificiale nell’addome.
L’invasività dell’operazione provoca numerose sofferenze all’anziana, che è
costretta a trascorrere gli ultimi mesi di vita con forti dolori e in un degrado psico-fisico,
che viene più volte evidenziato dai giudici.
La sentenza della Corte d’Assise è senza precedenti in Italia: non solo per la gravità
della sanzione a cui viene condannato il chirurgo, ma anche per i principi espressi in
materia di diritto alla salute e rapporto medico-paziente.
Il malato viene posto al centro del processo decisionale, come titolare dei diritti di
libertà personale e del diritto alla salute per cui “nulla il medico può fare senza il
consenso del paziente o contro il volere di lui” (
25
); nel rapporto con il sanitario è “un
uomo-persona, uomo-valore e non un uomo-cosa o uomo-mezzo” a cui può essere
imposta, anche senza la sua volontà, una certa terapia clinica, piuttosto che un’altra.
Inoltre, la Corte sottolinea che l’attività medico-chirurgica si deve svolgere nel rispetto
di fondamentali principi, come il diritto alla salute e all’integrità fisica, che vengono
sanciti in Costituzione all’articolo 13, comma 1 e 32, comma 1 e 2 (
26
) e il consenso del
paziente è la condizione imprescindibile perché tale attività sia legittima, tenendo conto
(
25
) Sentenza Corte d’Assise di Firenze n. 13/90, in “Diritto di Famiglia e delle persone”, 1991, p.978.
(
26
) Art.13 Costituzione “La libertà personale è inviolabile.”
Art.32 Costituzione “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse
della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La
legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
9
delle eccezioni previste dalla legge relative ai trattamenti sanitari obbligatori (TSO) (
27
),
richiamati dallo stesso articolo 32 della Costituzione.
I giudici, partendo dalla vicenda dell’anziana signora di Firenze, affermano che
il diritto alla libera determinazione del malato, in relazione agli atti che vengono
compiuti sul proprio corpo, comprende anche la legittimità del rifiuto alle cure:
lasciando che la malattia segua il suo corso anche fino alle estreme conseguenze:
il che non può essere considerato il riconoscimento di un diritto positivo al suicidio, ma
è invece la riaffermazione che la salute non è un bene che possa essere imposto
coattivamente al soggetto […], ma deve fondarsi esclusivamente sulla volontà
dell’avente diritto, trattandosi di una scelta […] che riguarda la qualità della vita e che
pertanto lui e lui solo può legittimamente fare.
Questa decisione è un riconoscimento pieno e assoluto del principio di
autonomia nel rapporto medico-paziente, il quale viene colto in ogni sua sfumatura,
anche psicologica, per cui l’unico soggetto in grado di compiere delle scelte sulla
propria salute, non può essere altro che il diretto interessato.
La sentenza, inoltre, conferma la tesi di una parte della dottrina (
28
) secondo la
quale, l’attività medica, pur essendo idonea a integrare i reati di lesioni e di omicidio, è
(
27
) L’imposizione dei trattamenti sanitari obbligatori ha un diretto fondamento costituzionale, ma entro
precisi limiti, infatti essi devono essere diretti alla cura e alla prevenzione delle malattie ed è necessaria
una coincidenza fra la tutela della salute individuale e collettiva, per cui il singolo non può mai essere
solo uno strumento per la realizzazione della salute della società.
I trattamenti sanitari obbligatori possono essere non coattivi, quando la legge parla di obbligo, oppure
coattivi, quando il trattamento può essere imposto anche contro la volontà del paziente.
Sono TSO non coattivi:
a. quelli imposti al lavoratore dal DPR del 30 giugno1965, n.1124 (artt. 87-89), al fine di ridurre
l’incapacità permanente al lavoro;
b. accertamento dello stato di ebbrezza da alcool o da sostanze stupefacenti, in base al Codice della
Strada entrato in vigore con Decreto Legge del 30 aprile 1992, n.285 e modificato dal Decreto Legge
27 giugno 2003, n.151;
c. le vaccinazioni.
Sono TSO coattivi:
a. per le malattie mentali, in base all’articolo 34 della Legge 23 dicembre 1978, n.833 “La legge
regionale, nell’ambito della unità sanitaria locale e nel complesso dei servizi regionali per la tutela
della salute, disciplina l’istituzione di servizi a struttura dipartimentale che svolgono funzioni
preventive, curative e riabilitative relative alla salute mentale.”
b. malattie veneree in fase contagiosa (art.6 Legge n. 837/56);
c. malattie infettive e diffusive articolo 253 T.U. Leggi Sanitarie 27 luglio 1934, n.1265.
A. Santosuosso, Il consenso informato, fra giustificazione per il medico e diritto per il paziente, cit. p. 32.
(
28
) U.G. Nannini, Il consenso al trattamento medico, Giuffrè, Milano, 1989, p.74.
F. Mantovani, I trapianti e la sperimentazione nel diritto italiano e straniero, Cedam, Padova, 1974, p.54.
L’autore ritiene che, in assenza del consenso del paziente, il medico non possa effettuare la terapia in
modo lecito e se l’intervento dà esito positivo, il sanitario risponde comunque dei reati previsti agli
articoli 610 e 613 del Codice Penale.
10
considerata, tuttavia, lecita dall’ordinamento giuridico, qualora ricorra una causa di
giustificazione codificata, in particolare lo stato di necessità (
29
); i giudici aggiungono
che la finalità terapeutica perseguita dall’operatore sanitario, non vale di per sé a
fondare l’esistenza di una causa di giustificazione non prevista dal codice, perché, anche
un’operazione chirurgica con esito favorevole, ma non preceduta da un valido consenso,
è idonea ad integrare il reato di lesioni.
In questo modo, vengono prese le distanze da quella parte della dottrina, facente capo a
Grispigni(
30
), che aveva differenziato la qualificazione penale dell’atto medico privo di
consenso, in base all’esito fausto o infausto dello stesso (
31
).
Viene anche respinta in parte, l’opinione sostenuta da alcuni giuristi (
32
), in base
alla quale gli atti clinici non consentiti, configurano il delitto di violenza privata (
33
),
perché tale fattispecie di reato è limitata all’eventualità che l’atto medico non comporti
alcuna lesione, il che appare ben difficile, proprio per la natura stessa degli interventi
chirurgici.
In base a tali principi, la giurisprudenza più recente ha affermato che i trattamenti
clinici, eseguiti senza il consenso del malato ed in assenza di cause di giustificazione
codificate, integrano il reato di lesioni volontarie, e se da essi consegue la morte della
persona, quello di omicidio preterintenzionale (
34
).
Pertanto, il consenso informato è l’espressione del diritto di ogni uomo di
compiere una scelta relativa al proprio corpo e alla propria persona, sia sul tipo di
terapia a cui sottoporsi, sia sull’eventualità di rifiutare le cure.
Le sentenze sul ‘Caso Massimo’ sono importanti anche perché non rappresentano delle
pronunce isolate: infatti si inseriscono in un quadro di decisioni delle più alte
magistrature, che hanno, come denominatore comune, da un lato, il progressivo
(
29
) Art.54 c.p. “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di
salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente
causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.”
(
30
) F. Grispigni, La responsabilità penale per il trattamento medico-chirurgico, cit. p.24.
(
31
) D. Rodriguez, nota a sentenza Corte di Cassazione 13 maggio 1992, n.5639, in “Rivista italiana di
Medicina Legale”, 1993, p.460.
(
32
) F. Aragona, Medicina legale e delle Assicurazioni, Ed. Ermes, Milano, 1992, p.71.
A. Franchini, Medicina legale, Cedam, Padova, 1985, p.106
C. Gerin, F. Antoniotti, S. Merli, Medicina legale e delle Assicurazioni, Ed. Universo, Roma,
1991, p.401.
(
33
) Art.610 c.p. “Chiunque, con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche
cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.”
(
34
) G. Passacantando, Informazione e consenso e i suoi riflessi sulla responsabilità penale del medico, in
“Rivista italiana di Medicina legale”, 1999, vol. I, p.785.
11
riconoscimento della rilevanza dell’aspetto psichico della salute e dall’altro, il passaggio
da una dimensione passiva del diritto di libertà, come diritto alla tutela della propria
sfera individuale, a una dimensione attiva, come diritto di essere e disporre liberamente
di sé (
35
).
In questo contesto si inserisce la sentenza del 1990 della Corte
Costituzionale(
36
), che ha riconosciuto nell’ambito della libertà personale, sancita
all’articolo 13 della Costituzione, la libertà di ognuno di disporre del proprio corpo.
I giudici hanno collegato il diritto fondamentale alla libertà personale, al diritto alla vita
e all’integrità fisica, attribuendo all’articolo 13 della Costituzione il ruolo di “matrice
prima, di ogni altro diritto costituzionalmente protetto della persona” (
37
).
Il diritto alla salute, da connotazioni pubblicistiche, viene ad essere configurato
come un diritto dell’individuo, che si manifesta nei confronti di ogni persona,
prevalendo, di regola, anche sugli interessi della collettività.
È nel dettato della Costituzione che si fonda la necessità del consenso al
trattamento medico e, in particolare, sugli articoli 13 e 32 della Carta. La Corte di
Cassazione in una sentenza del 1997(
38
), afferma che nell’articolo 13 della Costituzione,
oltre ad essere sancita esplicitamente l’inviolabilità della libertà personale, è ricompresa
anche la libertà di tutelare la propria salute e la propria integrità fisica (
39
).
(
35
) A. Santosuosso, Il consenso informato e i medici: tra aperture formali e conflitti radicali, in
“Bioetica”, 1997, p.209.
(
36
) Corte Costituzionale Sentenza 22 ottobre1990, n.471, in “Foro Italiano”, 1991, vol. I, p.14.
La questione analizzata dalla Corte riguardava l’ammissibilità dell’accertamento tecnico preventivo sulla
persona dell’istante (Art. 696, comma 1, c.p.c. “Chi ha urgenza di far verificare, prima del giudizio, lo
stato dei luoghi o la qualità o la condizione di cose può chiedere, a norma degli articoli 692 ss., che sia
disposto un accertamento tecnico o un’ispezione giudiziale.”). Essa ha dichiarato l’incostituzionalità della
norma nella parte in cui non consente di disporre l’accertamento tecnico o l’ispezione giudiziale sul
soggetto stesso che lo richiede, osservando che, in base all’articolo 13 della Costituzione, non possono
essere esclusi gli accertamenti richiesti dalla stessa persona che intende effettuarli sul proprio corpo, con
l’unico limite del rispetto della dignità umana.
(
37
) G. Passacantando, Il consenso e i suoi riflessi sulla responsabilità penale del medico, in “Rivista
italiana di Medicina legale” 1999, vol. I, p.785.
(
38
) Corte di Cassazione Sentenza 15 gennaio 1997, n.364, in “Foro Italiano” 1997, vol. I, p.771.
(
39
) G. Iadecola, Potestà di curare e consenso del paziente, Cedam, Padova, 1998, p.27.
12
§ 1.3.Natura giuridica del consenso informato.
La problematica relativa al significato giuridico del consenso riguarda
essenzialmente due profili: il primo attiene al dibattito relativo al fatto che il consenso
del paziente si identifichi o meno con il consenso dell’avente diritto, previsto
all’articolo 50 del Codice Penale (
40
); il secondo riguarda l’individuazione degli
interessi che vengono tutelati da esso.
Per quanto attiene al primo profilo, è opportuno rilevare che, se si identifica il
consenso del paziente con l’articolo 50, si verrebbe ad avere una forte riduzione
dell’efficacia attuativa della scriminante nell’ambito delle terapie cliniche e sanitarie,
perché “insufficiente a coprire tutti i possibili esiti dell’attività medico-chirurgica” (
41
).
In base ad un orientamento dottrinale, l’articolo 5 del Codice civile (
42
) è stato
posto in relazione ad alcune norme della Costituzione, in particolare agli articoli 2, 3 e
32 (
43
); di conseguenza, il potere di disposizione del proprio corpo, non viene più
interpretato come espressione di un diritto di proprietà, ma come libertà di compiere
delle scelte in relazione ad esso (
44
).
Quindi, in base a tale orientamento (
45
), sono ammessi anche oltre l’articolo 5 quegli atti
di disposizione del corpo, volti a salvaguardare la salute della persona.
Il collegamento fra l’articolo 13 e l’articolo 32 della Costituzione permette il riferimento
ad una concezione di libertà personale, come libertà di disporre di sé e della propria
(
40
) Art.50 c.p. “Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può
validamente disporne.”
(
41
) G. Vassalli, Alcune considerazioni sul consenso del paziente e lo stato di necessità nel trattamento
medico- chirurgico, in “Archivio penale” 1973, p.97.
(
42
) Art.5 c.c. “Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionano una diminuzione
permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al
buon costume.”
(
43
) Art.2 Costituzione “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
Art.3 Costituzione “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali.”
Art.32 Costituzione “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse
della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La
legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
(
44
) Dogliotti, Atti di disposizione sul corpo e teoria contrattuale, in “Rassegna di diritto civile”
1990, p.241.
(
45
) L. Eusebi, Beni penalmente rilevanti e trapianti d’organo, in “La Ca’ Grande” 1986, n.5, p.33.
13
persona, in modo autonomo e consapevole. Infatti, l’articolo 13 della Costituzione
rappresenta, secondo l’orientamento della Corte Costituzionale nella Sentenza del
1990(
46
), una garanzia costituzionale per ogni aspetto della libertà individuale; mentre
l’articolo 32 della Costituzione sancisce il diritto di ogni essere umano alla salute e alla
libera autodeterminazione in ordine al proprio corpo (
47
), con l’unica eccezione dei
trattamenti obbligatori previsti dalla legge.
Pertanto, non è condivisibile la sovrapposizione fra il consenso dell’avente diritto e il
consenso al trattamento medico, perché sostenerla significherebbe attribuire al primo, il
valore di scriminante del trattamento medico, negando che quest’ultimo abbia una
autonoma giustificazione.
Il fondamento costituzionale del diritto alla salute costituisce anche la legittimazione dei
trattamenti sanitari, di conseguenza il valore da attribuire al consenso fornito dal malato
è quello di essere il vero e proprio requisito di legittimità dell’attività medico-
chirurgica; infatti tra gli altri Mantovani afferma (
48
):
A scanso di equivoci va sottolineato che il consenso richiesto in attività medico-
chirurgica, non è il consenso che ai sensi dell’articolo 50 del Codice Penale, funge da
scriminante delle lesioni di un diritto disponibile e nei limiti della disponibilità del
medesimo, bensì uno dei requisiti limite dell’autorizzazione legislativa di tale attività,
necessario perché l’intervento medico-chirurgico possa dirsi autorizzato dalla legge e
rientri, perciò, nella scriminante dell’esercizio del diritto, lato sensu, dell’articolo 51 del
Codice Penale (
49
).
Pertanto il consenso informato è una rappresentazione del diritto di libertà, sancito
all’articolo 13 della Costituzione, che permette di escludere l’antigiuridicità delle
terapie sanitarie.
Per quanto riguarda il secondo profilo relativo alla natura giuridica del consenso,
sull’individuazione degli interessi da esso tutelati, è necessario sottolineare che:
l’espressione della voluntas del malato, costituisce al tempo stesso, sia la
manifestazione della libertà personale dell’individuo, sia la tutela della medesima
(
46
) Corte Costituzionale Sentenza 22 ottobre1990, n.471, in “Foro Italiano”, 1991, vol. I, p.14.
(
47
) A. Santosuosso, G. Turri, I trattamenti obbligatori, in M. Barni, A. Santosuosso (a cura di), Medicina
e diritto, prospettive e responsabilità della professione medica oggi, Giuffrè editore, Milano, 1995,
p. 101.
(
48
) F. Mantovani, I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano e straniero, cit. p.214.
(
49
) Art.51 c.p. “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o
da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità.”
14
libertà(
50
). In particolare, un atto medico compiuto senza il consenso necessario viene a
ledere tutti quei beni, che rientrano nell’ambito complessivo dell’articolo 13 della
Costituzione, come la libertà morale, il diritto del paziente al rispetto della propria
persona e della propria vita.
Quindi, come è già stato affermato (
51
), un intervento clinico privo di consenso,
configura, sul piano della responsabilità penale, il delitto di lesioni personali e di
omicidio preterintenzionale, qualora dal trattamento sanitario derivi la morte del
paziente.
È importante osservare fin da ora, che uno dei rischi connessi al consenso
informato, consiste nella sua riduzione ad un semplice mezzo al servizio del medico, al
fine di scongiurare ogni pericolo di responsabilità penale conseguente al suo operato.
Il sanitario e il suo assistito devono instaurare un rapporto di totale
collaborazione e fiducia reciproca, per permettere, da un lato, al paziente di affidarsi con
sicurezza e, dall’altro, al medico di procedere alla cura con serenità.
E’ necessario risolvere il problema relativo alla finalità della prestazione sanitaria, se
essa si identifichi con un’obbligazione di mezzi oppure di risultato (
52
).
Secondo parte della dottrina (
53
) è un’obbligazione di mezzi ad eccezione di discipline
quali la chirurgia estetica e l’odontoiatria, in cui non è accettabile un esito peggiorativo
dell’intervento proposto.
In particolare, già negli anni Cinquanta, si sosteneva l’esistenza di una vera e
propria obbligazione di risultati in capo al chirurgo estetico, avendo il compito di
migliorare l’aspetto fisico del paziente.
La dottrina maggioritaria tende a qualificare anche l’obbligazione del chirurgo estetico
come un’obbligazione di mezzi, per raggiungere una completa assimilazione della
chirurgia estetica a quella ordinaria.
Identificare la prestazione sanitaria in un’obbligazione di mezzi o di risultato incide
sulla distribuzione dell’onere della prova tra la persona danneggiata e il medico: infatti,
se si considera un’obbligazione di mezzi, graverà sul paziente l’onere di dimostrare la
(
50
) G. Iadacola, Potestà di curare e consenso del paziente, op. cit. p.37.
(
51
) Vedi Capitolo Primo, paragrafo § 1.2.
(
52
) La distinzione fra l’obbligazione di mezzi e di risultato, attiene all’oggetto dell’obbligo: nel primo
caso consiste in un dovere specifico di fare, mentre nel secondo si ritiene che l’adempimento
dell’obbligazione sia avvenuto solo quando si è raggiunto il risultato previsto.
(
53
) A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Cedam, Padova 1998, p.516.
A. Stillo, Malpractice: il consenso informato, in “I contratti” 2001, vol. II, p.117.
15
colpa del medico; se invece si considera come un’obbligazione di risultato, una volta
mostrato da parte del malato il mancato raggiungimento del fine perseguito, spetterà al
sanitario provare che l’inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile (
54
).
Un altro aspetto importante riguarda il fatto che i trattamenti medici si possono
inquadrare in uno schema contrattuale tipico: in particolare si fa riferimento al contratto
di prestazione d’opera intellettuale (
55
), però bisogna osservare che, mentre il rapporto
di un professionista con il cliente viene interamente regolato dalle disposizioni del
Codice Civile, quello del medico col paziente rientra in una serie di doveri etici e morali
che si intrecciano profondamente con quelli giuridici.
Inoltre, nel caso in cui un cittadino si rivolga ad una struttura sanitaria pubblica,
in seguito all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (
56
), l’assistenza che gli viene
prestata è concepita come vero e proprio servizio fornito dallo Stato, il quale ha assunto
fra i propri fini fondamentali quello della tutela della salute.
Pertanto, se prima del 1978, si parlava di contratto, anche se sui generis, dopo
questa data, non è più possibile farlo, in relazione alle strutture pubbliche.
I trattamenti forniti dalle cliniche private, permettono di inquadrare il rapporto medico-
paziente nella tipologia del contratto d’opera intellettuale: per cui il malato si sottopone
alle cure dietro il pagamento di un corrispettivo e il medico si obbliga a compiere le
terapie più utili per la persona (
57
).
La dottrina, però, ha sottolineato che le persone non si obbligano al trattamento
sanitario, perché possono rifiutarlo in ogni momento. Infatti l’articolo 2223 del Codice
Civile (
58
), prevede la possibilità per il cliente di recedere dal contratto, in seguito al
rimborso delle spese e al pagamento dell’opera svolta. Se si rapporta questa norma al
trattamento medico, al paziente viene riconosciuta la facoltà di recesso fino al momento
del compimento della prestazione, con l’obbligo di pagare le spese per le cure effettuate.
(
54
) Buzzi, La responsabilità in chirurgia estetica alla luce di alcuni indirizzi giurisprudenziali della
Corte di Cassazione, in “Rivista italiana di medicina legale” 1991, p.381.
(
55
) Art.2230 c.c. “Il contratto che ha per oggetto una prestazione di opera intellettuale è regolato dalle
norme seguenti e, in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto, dalle disposizioni del
capo precedente.”
(
56
) Legge 23 dicembre 1978, n.833, “Istituzione del Sevizio Sanitario Nazionale.”
(
57
) Dogliotti, Atti di disposizione sul corpo e teoria contrattuale, in “Rassagna di diritto civile”
1990, p.241.
(
58
) Art.2223 c.c. “Le disposizioni di questo capo si osservano anche se la materia è fornita dal prestatore
d’opera, purchè le parti non abbiano avuto prevalentemente in considerazione la materia, nel qual caso si
applicano le norme sulla vendita.”