Capitolo I – La negoziazione processuale
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In questo senso, si conviene senz’altro con chi afferma che «l’azione
penale è (...) pubblica per lo scopo5 che si propone e per l’oggetto cui si
riferisce»6, ma – occorre aggiungere – anche per le prerogative soggettive
dell’iniziativa processuale, emblematicamente affidata, non ad un organo
“parziale”, ma ad un procurator della Repubblica, che, proprio in veste di
tutore del bene pubblico7, è chiamato a vegliare sull’«osservanza delle
leggi, (sulla) pronta e regolare amministrazione della giustizia» (art. 73, 1°
co. R.D. 30 gennaio 1941, n. 12) e, pertanto, a svolgere anche
«accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle
indagini» (art. 358 c.p.p.).
Ai fini di quanto ci occupa, si deve, tuttavia, evidenziare che, proprio
per l’ambiguità di tale figura – che ha, addirittura, indotto la dottrina a
ravvisare un singolare caso di «ermafroditismo processuale»8 – le
attribuzioni derivanti dal “mandato” processuale a questi conferito
risultano rigidamente tipizzate9, al punto che l’azione penale è, non solo
obbligatoria (art. 112 Cost.), ma, una volta esercitata, anche irretrattabile
(art. 50, 3° co. c.p.p.) e comporta l’insorgere di un dovere decisorio in
capo al giudice.
5
L’accertamento penale, definendo le responsabilità di un soggetto rispetto ad
un’ipotesi di reato, «placa la aspettativa della società nei confronti di una notitia
criminis; placa l’aspettativa di giustizia dei soggetti del reato e di quegli altri individui ai
quali il reato incide direttamente» (LEONE, Il mito del giudicato, in Riv. it. dir. proc.
pen., 1956, p. 179).
6
GUARNIERI, Diritto processuale penale, cit., p. 1112.
7
Legum ministri, come definito da CICERONE, Pro Cluentio, LIII, 146.
8
GIOSTRA, Quale contraddittorio dopo la sentenza 361/1998 della Corte
costituzionale?, in Quest. giust., 1999, p. 202; «una parte con il dovere dell’imparzialità e
per questa ragione il Calamandrei lo definiva un avvocato senza passione ed un giudice
senza imparzialità; un avvocato senza passione in quanto pur essendo una parte, gli era
richiesto di essere obiettivo ed un giudice senza imparzialità in quanto, pur dovendo
essere obiettivo, gli competeva il ruolo e una funzione di una parte» (LOZZI, Lezioni di
procedura penale, Torino, 6ª ed., 2004, p. 113).
9
In questo senso si comprende il valore della pubblicità, quale contrassegno tipico
della giurisdizione penale, per mezzo della quale si permette ai “mandanti” di vegliare
sul corretto esercizio della potestà punitiva. Indicativo, all’uopo, il pensiero espresso da
autorevole dottrina, che «distingue (…) tra partecipazione dello Stato e partecipazione
della società mediante il pubblico, che diventa non tanto l’autore quanto il destinatario
del giudizio: l’imputato è colui sul quale si giudica, il pubblico colui per il quale si
giudica» (CARNELUTTI, La pubblicità nel processo penale, in Riv. dir. proc., 1955, p. 1).
Capitolo I – La negoziazione processuale
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Ciò sta evidentemente a significare che l’oggetto del processo penale
è indisponibile per l’attore, posto che, contrariamente ai conflitti
privatistici, ove «la volontà delle parti è sovrana e il processo non sempre
è necessario per attuare i singoli rapporti giuridici e il più delle volte non
lo è e in fatto non si adopera»10, esso tende a legittimare la potestà di
punire, che, manifestazione della sovranità statale, risulta estranea a
qualunque forma di negoziazione11.
Per di più, considerato che la pena “criminale” non mira a ristabilire
lo status quo ante, né a compensare sul piano patrimoniale gli effetti
dell’illecito, ma a colpire negativamente un bene giuridico che non ha un
rapporto diretto con l’inosservanza del precetto12, la definizione della
vicenda penale fuori dalla sede giudiziale appare eventualità
impraticabile, non fosse altro che per la riserva costituzionale, per cui
«fra il diritto alla pena e l’esecuzione (attuazione) della stessa si pone ed
inserisce come momento imprescindibile e necessario il processo»13.
Da ultimo, occorre evidenziare che il “mandato alle liti” che
l’ordinamento ha scelto di conferire al pubblico ministero attribuisce a
questi il potere di agire per conto della collettività, rimanendo,
nondimeno, impregiudicata la titolarità della potestà punitiva in capo al
primo, che, anche nelle more del procedimento, continua a disporne in
modo pieno ed esclusivo, depenalizzando, ad esempio, fattispecie
criminose ovvero concedendo provvedimenti di clemenza (indulto,
grazia, amnistia). Appare, pertanto, giuridicamente improbabile una
composizione bonaria del rapporto penale ad opera di un «attore
10
GUARNIERI, Diritto processuale penale, cit., p. 1111-1112.
11
Diversamente opinando, infatti, si finirebbe per presupporre «la privatizzazione
di un fenomeno, quale l’accertamento giudiziale dei fatti di reato e la conseguente
applicazione della sanzione penale, il quale, al contrario, è incontestabilmente regolato
dal diritto pubblico» (D’ASCOLA, Oblazione, in Enc. Giur., vol. XXI, Roma, 1990, p. 1).
12
Cfr. PADOVANI, Diritto penale, Milano, 5ª ed., 1999, p. 402.
13
SANTORO, Diritto processuale penale, in Nov.mo Dig. It., vol. V, Torino, 1968, p.
1015; a conferma di ciò l’Autore opportunamente rileva che «il 1° comma dell’art. 25
Cost. lo conferma, vietando che l’imputato sia distolto dal giudice naturale; ed è così
pure il 2° comma dell’art. 27, il quale dispone che l’imputato non può nemmeno essere
considerato colpevole prima della condanna definitiva; donde si ricava a fortiori che
non può essere assoggettato a pena se la giurisdizione non ha svolto la sua attività e dato
risultato positivo».
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artificiale»14, che difetta evidentemente di legittimazione attiva15 (art.
1966, 1° co. c.c.).
Quanto appena detto ci induce ad un’ulteriore e pressoché obbligata
riflessione; se l’oggetto del processo penale è indisponibile per colui che
ha l’onere/obbligo di esercitare l’azione, a fortiori lo è evidentemente per
colui che a tale azione resiste, il quale, trovandosi in una situazione di
mera soggezione16, non può utilmente avanzare alcuna istanza
transattiva, attesa l’impossibilità di volere con efficacia nel contesto di
specie17.
A tal proposito si aggiunga, infine, che il complesso di norme
processuali, finalizzato a soddisfare le aspettative di giustizia
dell’ordinamento, assicura, in ogni caso, il conseguimento di un risultato
utile, posto che «l’assoluzione dell’innocente è interesse dello Stato come
e più che la punizione del colpevole»18. Così, preso atto che «non si tratta
della composizione di una lite ma della verificazione di una pretesa, cioè
della pretesa penale o punitiva», l’accertamento giudiziale costituisce
garanzia irrinunciabile, «quand’anche tale pretesa non incontri una
resistenza»19, proprio perché «non vi sono due interessi contrapposti, ma
14
BRUNO, Processo penale, in Nov.mo Dig. It., vol. V, Torino, 1968, p. 127.
15
Illuminanti, in tal senso, i rilievi di VASSALLI, La potestà punitiva, Torino, 1942,
p. 172 ss., secondo cui «è lo stesso principio del procedimento accusatorio, al quale il
nostro ordinamento si ispira (sic), ad esigere nel processo penale la presenza di due parti,
accusatore ed accusato, e del giudice, e ad esigere che la funzione dell’accusatore sia,
fino ad un certo punto, analoga a quella dell’attore nel processo civile. Ma questa
analogia non va poi sospinta sino al punto di configurare il pubblico ministero (…)
come titolare d’un diritto di natura sostanziale da far valere presso il giudice».
16
PEDRAZZI, Diritto penale, in Dig. pen., vol. IV, Torino, 1990, p. 70.
17
Così CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, vol. I, Padova, 1936, p.
91.
18
VASSALLI, La potestà punitiva, cit., pp. 186-187. Sul punto l’Autore sottolinea
ulteriormente che, se l’«opposizione di interessi che il processo tutela esiste sempre,
normalmente, nel processo civile ed esiste fra i subbietti attivi e passivi della azione
civile che si congiunge all’azione penale, non è regola nel processo penale, fra l’imputato
e il pubblico ministero, perché l’interesse e il diritto dello Stato, che il pubblico
ministero impersona, non è interesse o diritto a una sentenza di condanna, ma alla
sentenza giusta; e quindi non è di sua natura opposto all’interesse e al diritto
dell’imputato» (VASSALLI, La potestà punitiva, cit., p. 186).
19
CARNELUTTI, Istituzioni del nuovo processo civile, vol. I, Roma, 1951, pp. 27 s.
Allo stesso modo VASSALLI, La potestà punitiva, cit., pp. 42-43, secondo cui «contro
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un unico interesse quello attinente all’esatta applicazione della legge»20,
depositario del quale è evidentemente colui che per definizione è
chiamato a jus dicere.
2. (segue) la forma del processo penale.
L’accertamento penale, oltre ad essere irrinunciabile21, viene
scandito esclusivamente da regole imperative dell’ordinamento, tali da
ingenerare una situazione di soggezione, non solo rispetto all’oggetto, ma
anche alle forme del processo22; fissare una procedura significa, invero,
comporre idealmente una sequenza logica di atti, orientandola al
raggiungimento di un dato obbiettivo, cosicché assume rilevanza, non già
ciò che si vuole o è opportuno, ma ciò che ivi è consentito fare.
Analoghe le considerazioni nella materia che ci occupa, rispetto alla
quale si impongono, tuttavia, alcune precisazioni.
La procedura penale scandisce, infatti, una serie ordinata di atti,
preordinata al raggiungimento di un obbiettivo finale, consistente in un
atto del tipo pronuncia-dichiarazione giuridica23, per mezzo della quale si
accerta una data realtà e, quindi, si stabilisce una «ipotesi tanto probabile
quella conseguenza ideale che l’ordinamento giuridico riconnette alla commissione del
reato nulla può – salvo eccezioni – la volontà del reo: egli non già è obbligato a
sottostare alla pena, ma ne subisce ineluttabilmente la necessità».
20
GUARNIERI, Diritto processuale penale, cit., p. 1113.
21
In ciò è possibile cogliere un’importante nota differenziale rispetto al sistema
civile, ove è, addirittura, contemplata la possibilità per le «parti di far decidere da arbitri
le controversie tra di loro insorte» (art. 806, 1° co. c.p.c.) e di «stabilire (…) le norme che
gli arbitri debbono osservare nel procedimento» (art. 816 bis, 1° co. c.p.c.).
22
«Il monopolio statuale del potere di punire, è declinato anzitutto come aspetto
del principio di legalità sostanziale (artt. 3, 1° co., e 25, 2° e 3° co., Cost.), laddove è
stabilita, in materia penale, riserva assoluta di legge. Inoltre è escluso il riconoscimento,
cioè la stessa esistenza giuridica, di sentenze rese da chi non è giudice od in assenza di
un processo regolato dalla legge. Lo si ricava agevolmente dal principio di riserva di
giurisdizione (art. 102, 1° co., Cost.) e dal principio nulla poena sine iudicio,
riconosciuto a pieno titolo in sede costituzionale, anche se non in modo espresso»
(MAMBRIANI, Giurisdizione penale, in Dig. pen., Agg. III, Torino, 2005, p. 608).
23
GALEOTTI, Osservazioni sul concetto di procedimento giuridico, in Jus, 1955, p.
539.
Capitolo I – La negoziazione processuale
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da rendere irrilevanti le probabilità contrarie»24 che fisiologicamente si
originano dalla conflittualità del rapporto; così, al di là del «tributo che
l’umana fralezza quotidianamente paga alla natura inesorabile»25,
concreto è il rischio che la percezione di un fatto possa risultare distorta
proprio a causa della sintesi processuale, che, costringendo l’attività delle
parti entro uno schema finito, può determinare il sacrificio di un atto
potenzialmente funzionale all’accertamento sull’altare delle forme26.
Ebbene, con riferimento all’efficacia, all’idoneità, cioè, di produrre
un risultato quanto più aderente alla “verità storica”, la tradizione
giuridica registra la contrapposizione di due modelli ideali di processo
penale: l’uno – c.d. inquisitorio – leviatanico, noncurante degli individui,
per il quale conta soltanto fare giustizia; l’altro – accusatorio – ispirato ad
un forte sentimento dell’individuo, per il quale il processo è contesa ad
armi pari27.
Ciò posto, le definizioni appena proposte, pur nella loro genericità,
lasciano chiaramente intendere in quale misura l’auctoritas del gruppo
incida sulla scelta e sull’applicazione delle metodiche processuali; mentre,
infatti, «il sistema inquisitorio si basa sul principio di autorità, secondo il
quale la verità è tanto meglio accertata quanto più potere è dato al
soggetto inquirente»28, in quello accusatorio la componente autoritaria
viene sensibilmente ridotta a beneficio del «principio dialettico, in base al
quale la verità è tanto meglio accertata quanto più spazio è dato allo
scontro tra le parti animate da interessi contrapposti»29.
24
CRISTIANI, La revisione del giudicato nel sistema del processo, Milano, 1970, p.
12.
25
MARINI, Le vittime degli errori giudiziari, Camerino, 1911, p. 3.
26
Vale la pena ricordare che non sono mai fruibili, neanche in presenza di
concorde volontà delle parti, i risultati di una narcoanalisi o del lie-detector, le parole di
un testimone incompatibile, il compendio delle intercettazioni escluse dall’art. 271
c.p.p., e ciò perché il legislatore, fissando la procedura, li ha ritenuti inutilizzabili.
Significativo, a tal proposito, il pensiero espresso da ZAGREBELSKY, La domanda di
giustizia, Torino, 2003, p. 20, secondo cui «la legalità, alle volte, ha poco o nulla a che
fare con la giustizia».
27
Cfr. TRANCHINA, Il processo penale e le sue caratteristiche, in SIRACUSANO-
GALATI-TRANCHINA-ZAPPALÀ, Diritto processuale penale, vol. I, Milano, 2006, p. 40.
28
TONINI, Manuale di procedura penale, Milano, 6ª ed., 2006, p. 6.
29
TONINI, Manuale di procedura penale, cit., p. 26.
Capitolo I – La negoziazione processuale
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In questi termini, modulando l’intensità della propria autorità,
l’ordinamento individua lo schema più idoneo30 a garantire «il farsi del
diritto»31 e a riprodurre, quindi, una risposta dell’apparato giurisdizionale,
attraverso l’accertamento del fatto e la punizione del responsabile.
Una risposta che, tuttavia, presenta inevitabili fragilità, poiché il
risultato è valida garanzia di efficacia, ma non anche di efficienza del
sistema: inutile, a tal proposito, dire che gli interessi sottesi al processo
penale non si limitano a postulare l’accertamento del fatto, ma esigono
una più generalizzata coerenza e sostenibilità della reazione punitiva.
Esempio senz’altro emblematico quello che ci offre il processo penale
minorile, ove, come noto, le disposizioni di rito comune trovano
applicazione «per quanto (…) non previsto» da quelle del d.P.R. 448/1988
e «in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del
minorenne» (art. 1, 1° co. d.P.R. 22 settembre 1988, n. 48): una cautela
che, in un contesto istituzionalmente votato al favor minoris, traduce in
modo significativo la voluntas legis di salvaguardare l’evoluzione
psicologica del minorenne32, addirittura, ove necessario, anche a scapito
del risultato. Infatti, pur consapevole che «l’intervento giurisdizionale
non deve mai abdicare al suo compito istituzionale di accertamento delle
responsabilità penali, attraverso le medesime regole procedimentali»33, il
legislatore, in nome dell’«esigenza primaria di recupero del minore», ha
allestito «istituti e meccanismi volti a far concludere il processo in modi e
30
La scelta di un modello processuale non avviene in ambito asettico, ma risente,
al contrario, delle influenze provenienti dall’esterno; non sorprende, pertanto, che un
«regime politico totalitario trova nel sistema penale inquisitorio lo strumento di potere
più efficace. Attraverso giudici parziali il potere politico può far iniziare, o anche
fermare, il processo penale; può far assumere o meno le prove; può favorire o meno gli
appartenenti alla propria fazione. La mancanza del contraddittorio è uno strumento
efficace per realizzare ogni arbitrio e per creare una “verità di Stato”. (…) Viceversa, un
processo di tipo accusatorio è connaturale ad un regime politico garantista. Solo al
potere esecutivo spetta di indicare quale è l’interesse pubblico da perseguire. Il giudice
non deve porsi questo problema; deve soltanto accertare se l’accusa ha dimostrato che
l’imputato è colpevole al di fuori di ogni ragionevole dubbio» (TONINI, Manuale di
procedura penale, cit., p. 13).
31
CARNELUTTI, Lezioni sul processo penale, vol. I, Roma, 1946, p. 23.
32
Cfr. GIOSTRA, Commento art. 1 d.P.R. 448/1988, in AA.VV., Il processo penale
minorile, Milano, 2007, p. 10.
33
GIOSTRA, Commento art. 1, cit., p. 14.