6
Capitolo primo
LA POTESTÁ GENITORIALE: DA POTERE ASSOLUTO A POTERE –
DOVERE
La potestà genitoriale e la famiglia costituiscono, nel quotidiano vivere di genitori e
figli, il contesto entro cui vengono delineate decisioni e comportamenti che riguardano i
membri del nucleo familiare, soprattutto in merito ad atti di natura personale, ad
esempio per il consenso ad un trattamento sanitario da sottoporre al figlio minore.
Oggi, la concezione comune di potestà genitoriale e del ruolo della famiglia non
rispecchiano il modo di concepirla del passato ove, secondo l’etimologia della parola,
potestà esprime l’idea del potere nella forma più immediata, comando diretto e
supremazia di un soggetto su altri che inevitabilmente versano in una posizione di
soggezione.
È vero che l’istituto in questione nasce nel mondo romano, ma ricordare che cosa sia la
patria potestas originaria e la sua evoluzione nel corso dei secoli sino all’Europa
postnapoleonica pare poco rilevante, quando società, costumi, diritti e la stessa
concezione di famiglia sono così mutati, tali da rendere non comparabili i modelli
attuali con quelli anteriori.
Se è pur vero che sia il modello di famiglia riconosciuto dal Codice unitario Pisanelli del
1865, che il contesto sociale italiano per oltre un secolo ancora, continuavano ad
attribuire al marito padre capofamiglia, l’esercizio esclusivo della potestà
1
, in una
famiglia ancora intesa come ente dotato di un proprio interesse preordinato (tale da
sopprimere e limitare gli interessi individuali dei singoli membri) e dominio assoluto
del maschio adulto, il secondo dopoguerra e la nascita della nuova Carta Costituzionale
italiana cominciano ad incrinare questa concezione della potestà e della famiglia,
retaggio di epoche ormai passate.
La caduta del fascismo e l’entrata in vigore dal primo gennaio 1948 della Costituzione,
innovano la natura nonché i contenuti dell’intero ordinamento italiano. Vengono
introdotti nuovi valori e principi, espressi nell’esigenza di tutelare la dignità della
persona umana e nella garanzia del suo sviluppo; la Costituzione inaugura una società in
cui la persona è il suo centro motore; gli articoli 2, in merito ai diritti inviolabili
dell’uomo come singolo e come membro di formazioni sociali ove si svolge la propria
1
Alla madre spettava l’esercizio della potestà solo in caso di morte del marito. La consorte veniva ritenuta
soggetto da proteggere, tale da obbligare il marito a tenerla presso di sØ somministrandole tutto ciò necessario
ai bisogni della vita, in proporzione alle sue sostanze, ritenendo quale unica posizione consentita per la
moglie, quella di accondiscenza verso le scelte in merito all’esercizio della potestà del marito.
7
personalità e 3 Cost., in tema di uguaglianza formale e sostanziale, rappresentano il
fondamento di tutto l’edificio costituzionale.
La famiglia diventa “formazione sociale” che contempera le esigenze e gli interessi di
tutte le componenti familiari senza sovrapporsi ad esse; e l’eguaglianza diviene lo
strumento primo attraverso il quale, e nel rispetto del quale, quel comportamento si
realizza
2
”. La famiglia così intesa, quale prima cellula sociale, costituisce il banco di
prova nel quale ci si pone in confronto con le contraddizioni che attanagliano la società
italiana, ineguale e discriminatoria, nel bisogno di costituire il modello per l’intera
comunità.
L’articolo 29 della Costituzione riconosce i diritti della famiglia, intesa come società
naturale fondata sul matrimonio e ordinata sull’eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi, il 30 enuncia come dovere e diritto in capo ai genitori di mantenere, istruire
ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio, ai quali la legge deve assicurare
ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia
legittima. L’articolo 31 espressione del nuovo Stato sociale, a favore della famiglia, ne
impone l’agevolazione con misure economiche e altre provvidenze, ne favorisce la
formazione e l’adempimento dei compiti relativi, protegge la maternità, l’infanzia, la
gioventù, favorendo gli istituti necessari a tal scopo.
Cambiati i principi cardine su cui instaurare il regime dei rapporti familiari, non più sul
modello ottocentesco vittoriano, proprio della concezione liberale e classista, ci si
chiede quale sia ora il rapporto con l’autorità statale in relazione ad una maggiore
tutela degli interessi individuali. La famiglia non assume la funzione di mero satellite
dello Stato privo di una propria autonomia, ma è da intendersi dotata di una vitalità
rigogliosa comprensiva di tutte le risorse che i singoli membri sono capaci di esprimere.
Il nucleo familiare conserva una sua architettura e funzione insostituibile, sia
nell’assicurare la coesistenza dei coniugi nel reciproco rispetto della raggiunta parità,
sia nel fornire al minore quel clima idoneo a far germogliare quei principi e valori etici e
spirituali che formeranno il suo carattere e che nelle diverse stagioni della vita lo
ispireranno nelle condotte future. Lo Stato con le proprie strutture si è dimostrato
pressoché inefficiente nella sostituzione di tale modello autentico della famiglia, in
quanto nessuna struttura assistenziale è riuscita ad assicurare al minore quelle
condizioni per garantirne lo sviluppo, per fornirgli quel nutrimento affettivo e formativo
che indirizzi la sua educazione senza condizionarla. Ciò dimostra che gli equilibri
necessari per assolvere ai bisogni familiari appartengono ad una sfera di valori e di
risorse che non possono essere raggiunti dalla legge, ma posseggono una propria radice
2
VINCENZI AMATO, La famiglia e il diritto, in La famiglia italiana dall’800 ad oggi, Laterza, Bari, 1988
8
su cui non opera la volontà dello Stato, né la forza dell’ordinamento; ciò è il significato
che la dottrina riconosce al concetto “autonomia familiare
3
”.
Nata la nuova famiglia sulla carta costituzionale, bisognava assolvere il compito più
arduo, ossia quello di cambiare i costumi sociali, come anche l’intero quadro normativo,
ancora impregnati dalla vecchia concezione della famiglia patriarcale fondata sulla
patria potestà paterna.
A livello sociale, l’ Italia dalla seconda metà del 900, mutava sostanzialmente, a seguito
di un maggiore inurbamento delle città industriali che offrivano maggiori garanzie
lavorative rispetto all’ambiente rurale, nasceva la famiglia a modello nucleare come
comunità di consumo e non più di produzione. La donna per la prima volta, cominciava
ad acquisire maggior consapevolezza del proprio potenziale e dei propri mezzi, sia
grazie al successo dei movimenti culturali femministi, che condannavano l’immagine di
angelo del focolare domestico, rivendicando una parità sostanziale di opportunità e
diritti per le donne nei confronti degli uomini, ma soprattutto grazie al lavoro
extrafamiliare che iniziava ad intraprendere con naturali e legittime maggiori esigenze
di indipendenza economica e culturale dai mariti.
Questa situazione che andava delineandosi infliggeva un duro colpo alla legittimazione
del ruolo del padre come capo indiscusso della famiglia sia nei rapporti fra i coniugi che
soprattutto nei rapporti con i figli. Grazie alle trasformazioni economiche e sociali,
come anche la frenata del numero di figli per ogni famiglia, cambia radicalmente la
posizione del minore al suo interno, non più come individuo in stato di soggezione ad un
potere altrui, ma come vero e proprio soggetto di diritto che esercita un ruolo
partecipativo e decisionale nelle scelte che lo riguardano, portatore di un interesse
comunque prevalente nell’ambito dell’esercizio della potestà, indipendentemente dal
comportamento più o meno colpevole dei genitori.
A livello giuridico, importanti furono le leggi che attuarono i principi costituzionali in
materia familiare:
• n. 431 del 5 giugno 1967 che introduce l’adozione speciale, con le successive
modifiche apportate dalla l.n. 184 del 4 maggio 1983, che per la prima volta nel
nostro ordinamento si pone nella prospettiva di un’incisiva protezione degli
interessi del “fanciullo” al di là e al di sopra di qualsiasi altro. Al minore
abbandonato viene attribuita una nuova famiglia, nella cui egli entra con uno
status del tutto assimilato a quello di figlio legittimo, sia nel caso in cui non ne
avesse avuto una prima, sia in cui, seppur già membro di una famiglia, essa sia
venuta meno ai propri compiti educativi.
3
BUCCIANTE, La potestà dei genitori, la tutela e l’emancipazione, in Tratt. Di diritto priv. Rescigno, 4,
Persone e Famiglia, III, Torino, 1997
9
• n. 898 del 1 dicembre 1970, poi modificata dalla l. 6 marzo 1987, che introduce
nell’ordinamento lo scioglimento del matrimonio. Nasce così un modello di
divorzio, espressione di garanzia per la parità fra i coniugi, come rimedio ad una
situazione ormai irreparabile in merito alla rottura della comunione di vita fra i
coniugi, scontandosi dalla ratio che caratterizzava fino ad allora l’istituto della
separazione, basata solamente sul principio sanzionatorio, dove essa si riteneva
legittima solo a seguito di un comportamento contrario ai doveri matrimoniali.
• n. 39 dell’8 marzo 1975 che fissa ai diciotto anni il raggiungimento della
maggiore età, riducendo il momento di acquisto della legale capacità di agire.
Tale riforma assolve ad una funzione fondamentale per quanto riguarda la
posizione del minore, sia nei rapporti patrimoniali che in quelli personali che lo
riguardano, in quanto ci si rende conto dell’esigenza di garantire al figlio una
propria autonomia decisionale, soprattutto quando raggiunge gli anni della post-
adolescenza, in cui si forma in lui quella capacità naturale necessaria sia per il
discernimento dell’atto giuridico che si intende compiere, sia per la
comprensione degli effetti e conseguenze che si riverberano inevitabilmente su
di lui.
• n. 194 del 22 maggio 1978 che introduce nell’ordinamento l’interruzione di
gravidanza. Oltre all’importante riconoscimento che consiste in una decisione
che spetta solamente alla donna, ove l’uomo può semmai esprimere una mera
opinione non vincolante, tale legge (articolo 12) riconosce il potere di scelta
anche alla donna di età inferiore ai diciotto anni, unita però all’assenso espresso
di chi ne esercita la potestà o la tutela.
• n. 151 del 19 maggio 1975 quale legge di riforma dell’intero diritto di famiglia
che mira ad attuare i principi e valori previsti dagli articoli 2, 3, 29, 30, 31 della
Costituzione. Tale riforma innova il concetto di potestà giuridicamente inteso
dagli articoli 315 e seguenti del codice civile, nonché i diritti e doveri nascenti
dal matrimonio fra i coniugi e verso i figli.
Prima della riforma del diritto di famiglia, già alcune pronunce giurisprudenziali, nel
sostenere scelte esistenziali compiute dal figlio, davano rilevanza giuridica a conflitti di
interessi fra minori e genitori, evidenziando come fossero maturi i tempi per una
profonda analisi ed un necessario ripensamento dell’istituto della potestà e a maggior
ragione della famiglia; particolarmente significativa fu la decisione del Tribunale per i
minorenni di Bologna del 26 ottobre 1973
4
. Fu un caso che ebbe molta risonanza, in
quanto venivano stabiliti con fermezza gli obblighi educativi della famiglia nel rispetto
della personalità del minore, impedendo ai genitori di inserirsi nelle scelte ideologiche
4
Tribunale Min. Bologna del 26.10.1973, in Dir. Fam. Pers., 1974 (p. 1069)
10
e sentimentali del figlio, autorizzandolo, benché minore, a vivere al di fuori della
famiglia a lui ostile, al fine di raggiungere l’indipendenza economica e psicologica.
I principali punti della riforma del 1975 sono:
• Pressoché totale equiparazione dei coniugi nel governo della famiglia; la rubrica
del titolo IX libro primo del codice civile diventa: “Della potestà dei genitori”.
Non si distingue più fra titolarità ed esercizio: entrambi i coniugi ne sono titolari
e la esercitano congiuntamente e di comune accordo.
• In merito all’equiparazione dei ruoli fra i coniugi nel governo della famiglia,
maggior rigore assume l’intervento del giudice (Tribunale per i minorenni), per
suggerire le determinazioni più utili o per attribuire potere decisionale al
genitore che nel caso concreto di specie sia ritenuto più idoneo a curare il
miglior interesse del figlio (316 cc); tra cui viene meno il potere del padre di far
rinchiudere il figlio “traviato” in apposite case di correzione, che col D.P.R.
n.616/1977 verranno chiuse definitivamente.
• Si mira ad equiparare sostanzialmente la posizione dei figli legittimi e naturali,
con la liberalizzazione del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio,
l’eliminazione delle limitazioni alla ricerca della paternità, la pienezza dei diritti
dei figli naturali nei confronti dei genitori ed in materia successoria.
• Importantissimo è il nuovo contenuto dell’articolo 147 del codice riguardo ai
doveri verso i figli, ove ad ambedue i coniugi si impone l’obbligo di mantenere,
di istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione
naturale e delle aspirazioni dei figli. Tale previsione esprime la soggettivazione
dei criteri guida per l’esercizio dei doveri inerenti alla potestà, la quale esplica
una funzione educativa in un contesto di famiglia comunitaria e non più
autoritaria, ma fondata su relazioni affettive tra i membri. Il principio dettato è
fortemente innovativo, in quanto è resa arbitraria ogni iniziativa dei genitori
volta a forzare senza motivo la personalità del minore, in modo tale da porlo
nella legittimità di resistere ad ogni compressione ed alterazione della propria
individualità. La rilevanza delle relazioni affettive in ambito familiare viene poi
espressa dalla legge di riforma n. 149/2001 sull’adozione di minori, ove uno dei
criteri da rispettare per l’idoneità genitoriale consiste appunto nelle potenzialità
affettive da concretizzarsi nell’espletamento dei doveri di mantenimento, di
istruzione ed educazione dei genitori verso i figli. A seguito di tale previsione è
da sottolineare il mutamento del rapporto tra genitori e figli, in una
valorizzazione della personalità e responsabilità del minore (vedi l’intervento
nella ricerca della paternità e maternità, la possibilità di opporsi al
riconoscimento, il dovere di contribuire ai bisogni della famiglia…).
11
Riguardo l’importanza che è stata riconosciuta al rapporto affettivo nell’esercizio della
potestà, è necessario anche richiamare la nuova disciplina sull’affidamento condiviso
introdotta con la legge n. 54 dell’8 febbraio 2006 (nuovi articoli 155bis e seguenti cc),
ove si afferma che il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e
continuativo con ciascuno dei genitori separati, ricevendo cure, educazione ed
istruzione, conservando inoltre rapporti con tutti gli ascendenti e parenti. Ruolo
fondamentale ricade sul giudice, in quanto la potestà permane ad entrambi i genitori,
ma spetta a lui definire tempi e modalità della presenza dei minori presso ciascun
genitore, come anche precisare le modalità di mantenimento, privilegiando forme
dirette, e assegnando la casa familiare nell’esclusivo interesse dei figli
5
.
Il legislatore della riforma del 1975 ha elevato l’interesse del minore a rango di
interesse preminente in merito alle questioni che direttamente o indirettamente lo
riguardano. Attorno a tal interesse, si armonizzano le altre componenti del nuovo
assetto familiare: i minori diventano l’essenza di questa cellula della società, a
differenza dei coniugi, che invece fanno un passo indietro; il tutto esprime un equilibrio
basato sull’avvenire dei figli, i quali quando saranno genitori a loro volta dovranno, al
pari dei propri ascendenti, limitare i propri interessi in favore della propria prole e così
via.
L’interesse familiare non viene soppresso, ma lo si concepisce in modo diverso, ossia
come sommatoria di interessi degli individui che vivono nella stessa comunità (compreso
quello del minore), i quali vengono fra loro mediati in relazione alle esigenze di
ciascuno: l’unità familiare è si un valore da prendere come faro guida, ma non va
salvaguardato ad oltranza quando arriva a soffocare l’individualità dei singoli
6
.
Capire il contesto entro cui si inserisce la questione del consenso ai trattamenti sanitari
per il minore e quindi come viene concepito oggi il ruolo della famiglia
7
e dei singoli
membri, diventa utile per poter analizzare, senza pregiudizi e preconcetti, le reali
capacità del figlio minore di poter intervenire legittimamente ed in modo rilevante, se
non decisivo, nelle decisioni che lo riguardano.
5
DOGLIOTTI, La potestà dei genitori e l’autonomia del minore, Giuffrè, Milano, 2007
6
BUCCIANTE, La potestà dei genitori, la tutela e l’emancipazione, in Tratt. Di diritto priv. Rescigno, 4,
Persone e Famiglia, III, Torino, 1997
7
Tralasciando tutte le implicazioni etiche in merito al dibattito su cosa sia e cosa no oggi la famiglia.
12
I contenuti della potestà genitoriale nei rapporti personali genitori –
figli
Data l’importanza e la complessità dell’istituto in esame, l’analisi di seguito riportata
riguarderà, per coerenza al tema trattato (Il consenso ai trattamenti sanitari dei
minori), esclusivamente l’ambito dei rapporti personali fra genitori e figli, focalizzando
l’attenzione più sulla disciplina sostanziale rispetto a quella procedurale per la
risoluzione delle controversie nell’esercizio della potestà genitoriale.
1) Natura giuridica dell’istituto
Cos’ è la potestà genitoriale?
La potestà genitoriale viene oggi intesa come un ufficio di diritto privato, composta da
diritti e doveri spettanti ai genitori nei confronti dei figli. Essa consiste in quelle
posizioni giuridiche soggettive per cui il titolare è preposto alla tutela di un interesse
altrui, quello dei figli minori; non si esprime come diritto soggettivo, bensì in un potere
in senso stretto nella più limitata accezione di potere – dovere, i quali sono
inscindibilmente connessi fra loro. Il prius è il dovere, nel senso che il diritto positivo
pone in primo piano il dovere dei genitori di provvedere ai figli ed il potere come
strumento per poter adempiere al suddetto obbligo.
La potestà si differenzia dall’essere intesa come mero diritto soggettivo, sia per la
natura dell’interesse tutelato, in quanto i genitori titolari la esercitano nell’esclusivo
interesse dei figli e non nel proprio, sia in quanto, seppur la struttura possa
corrispondere a quella dei diritti potestativi, il comportamento del figlio oggetto della
potestà non ha carattere patrimoniale, anche quando si riferisce ai suoi beni, talchè
esso andrà riferito non già ad obbligazioni, ma a semplici doveri od obblighi, perchè tra
il potere del genitore ed il dovere del figlio manca quel nesso di correlatività proprio di
un rapporto giuridico privatistico che instaura diritti soggettivi
8
.
Per comprendere la natura giuridica della potestà genitoriale, è necessario analizzare le
due relazioni che la compongono, ossia quella di potere e di dovere dei genitori verso i
figli.
Relativamente alla prima, per il solo fatto che il fine consiste nella tutela dell’interesse
del figlio, ciò non significa che egli non sia giuridicamente sottoposto a quel potere,
sempre però in riferimento non ad una sua posizione di “piena soggezione”, bensì in una
più sfumata di “rispetto” verso il titolare di tale funzione, in ragione alla ratio
partecipativa del minore nella vita familiare introdotta con la Costituzione e poi con la
8
BUCCIANTE, La potestà dei Genitori – Trattato di diritto privato / diretto da Pietro Rescigno. – Torino, IV
UTET, 1997
13
riforma del diritto di famiglia
9
. I poteri possono consistere sia nella pretesa di un
determinato comportamento del figlio, e sia in poteri con struttura propria dei diritti
potestativi, a dimostrazione che l’istituto in esame è da considerare non come un
potere unico dal contenuto complesso, bensì come l’insieme di singoli poteri collegati
per la loro funzione e per l’appartenenza ad entrambi i genitori.
La relazione propria del dovere dei genitori nei confronti dei figli, rispetto a quella del
potere, esprime, di contro, in un certo qual modo il carattere proprio del rapporto
giuridico: per quanto riguarda il versante patrimoniale della potestà, essendo il minore
dotato oltre che degli strumenti giurisdizionali espressi dagli articoli 330 – 334 cc, anche
dell’azione di risarcimento danni (con l’ausilio di un curatore speciale nominato) nei
confronti degli inadempimenti genitoriali, per parte della dottrina
10
ciò pare pacifico, in
quanto, esistendo un rapporto di gestione fra genitori e figlio non è legittimo degradare
l’interesse giuridico del minore amministrato a qualcosa di meno del diritto soggettivo.
Sul versante dei rapporti personali, i doveri dei genitori sorgono non in relazione ad un
mero rapporto patrimoniale, basato sulla capacità dei contraenti ad obbligarsi, bensì
dal complesso obbligo di educazione del minore, che si instaura tramite il rapporto di
genitorialità (sia legittima, naturale, adottiva, che derivante da procreazione
medicalmente assistita) con il figlio, tale da garantirgli una tutela espressione di un
diritto costituzionalmente protetto (art. 30)
11
.
In tale ottica si può comprendere come la potestà genitoriale sia un istituto giuridico
complesso, non riconducibile alle normali categorie di diritto soggettivo e di
obbligazione giuridica connesse all’insorgere di un rapporto giuridico patrimoniale; essa,
soprattutto in relazione all’aspetto dei rapporti personali fra genitori e figli, mira ad
assolvere alla fondamentale funzione educativa del minore, collegando tra loro, nel suo
espletamento, sia aspetti privatistici (espressione dell’autonomia dei soggetti coinvolti),
sia aspetti pubblicistici del diritto (in ragione all’interesse del figlio in gioco
costituzionalmente protetto), tale da definirla appunto come ufficio di diritto privato.
In base a ciò appena affermato quindi la potestà genitoriale è caratterizzata come una
posizione giuridica “strettamente personale, insuscettibile di rappresentanza e di
valutazione pecuniaria, indisponibile ed irrinunciabile, non soggetta a prescrizione”
12
.
9
BIANCA, Le autorità private, Napoli, 1977
10
BUCCIANTE, La potestà dei Genitori – Trattato di diritto privato / diretto da Pietro Rescigno. – Torino,
IV UTET, 1997; RUSSO, Le idee della riforma
11
di tale avviso: GERMANÓ, Potestà dei genitori e diritti fondamentali dei minori, in Rapporti personali
nella famiglia; PATTI, Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984
12
VILLA, Potestà dei genitori e rapporti con i figli, in Il diritto di famiglia, trattato diretto da Bonilini e
Cattaneo, vol. III, Utet, Torino, 1997
14
2) La potestà genitoriale secondo il dato normativo
La potestà genitoriale, in quanto ufficio di diritto privato e coinvolgendo sia l’ambito
del diritto pubblicistico che privatistico, è sia un dovere, perché il genitore non vi può
abdicare lasciando fare al figlio ciò che vuole, che un diritto, dato che le modalità per
esercitarla sono lasciate alla discrezionalità del genitore; tali affermazioni sono
confermate dalle fonti normative che verranno prese in esame, quali la Costituzione,
fonti di diritto internazionale ed il Codice Civile e leggi ordinarie in seguito alla riforma
del diritto di famiglia.
Nel mutato contesto di cosa si intenda per famiglia e di quale sia la sua funzione oggi,
rientra l’esigenza di comprendere la complessità del rapporto genitori – figli, in quanto
“esso non è solamente costituito dalla vicenda educativa, ma esprime una serie di
poteri, di diritti, di obblighi, di doveri; tale rapporto non può e non deve esser
ricostruito esclusivamente come contrapposizione, ma anche come collegamento tra le
diverse situazioni giuridiche complesse che lo compongono. Il suo contenuto non è fisso
e immutabile, ma si evolve con le mutate esigenze del minore anche in relazione con
l’avanzare dell’età”
13
.
La famiglia diventa quindi quel nucleo di persone che condividono una concreta
esperienza di vita, in un progetto comune di solidarietà, attento alle singole esigenze
dei suoi componenti ed in particolare a garantire il massimo di tutela al minore, tanto
sul piano del mantenimento (148 cc), quanto su quello dello sviluppo della personalità
14
.
Costituzione
La nostra Carta Costituzionale nel porre i principi e valori fondamentali per la disciplina
della famiglia e del rapporto genitori – figli, parte dall’impostazione sopra descritta in
merito alla tutela dei diritti di personalità e di libertà di ogni uomo. Gli articoli 2 e 3
mirano a garantire quei diritti inviolabili della persona e l’uguaglianza, sia formale che
sostanziale, a tutti gli esseri umani sia come singoli (sia genitori che figli), che come
membri delle formazioni sociali (quali appunto i nuclei familiari) in cui si esplica la
propria personalità senza porre differenze in ordine di età. La Costituzione non
costruisce uno statuto chiuso di tutela del soggetto “minore”, evitando quella logica di
separazione, di fatto discriminatoria, per la disciplina dei soggetti istituzionalmente
deboli, ma introduce invece il principio del favor minoris per una più globale
realizzazione della pienezza umana: espressione di ciò, è il riconoscimento del
fondamentale ed omnicomprensivo diritto soggettivo all’educazione del minore, che
racchiude in sé tutti quei diritti specifici nei vari settori dell’ordinamento giuridico
15
.
13
STANZIONE, Scelte esistenziali e autonomia del minore, in DFP, 1983
14
QUADRI, La rilevanza costituzionale della famiglia: prospettive e caratteristiche, in DFP, Giuffrè,
Milano, 1983
15
MORO, Manuale di diritto minorile, Zanichelli, Bologna, 1996
15
L’articolo 29 riconosce esplicitamente quei diritti sopra citati, quali diritti della famiglia
come società naturale fondata sul matrimonio, riconoscendo e garantendo l’uguaglianza
morale e giuridica fra i coniugi quale criterio di ordinamento dei rapporti orizzontali
all’interno del nucleo familiare e ponendo le basi per la disciplina del principio
dell’accordo nella governance familiare, introdotto con la riforma del diritto di
famiglia.
L’articolo 30 esprime in che cosa consiste la relazione giuridica nei rapporti verticali nel
nucleo familiare; è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli,
anche se nati fuori dal matrimonio. Oltre che intesa la potestà come un dovere, è
importante segnalare l’aspetto del diritto, che i genitori hanno, di crescere i figli
secondo i loro affetti e le loro competenze specialmente in una società complessa e
variegata come l’attuale. Diversamente alle norme civili che non esprimono il carattere
del diritto insito nella potestà, ma si limitano al riferimento al dovere, all’obbligo, la
Costituzione non si è solo preoccupata di precisare l’ambito interno della vita familiare,
ma pure di delineare la garanzia dell’autonomia di tale gruppo sociale da interferenze
esterne ad esso, specie di quelle statali
16
. Tale diritto dettato dalla norma
costituzionale però va inteso come “diritto a schema chiuso”, in quanto è anche un
dovere e va esplicato secondo le linee guida indicate: il mantenimento, l’istruzione e
l’educazione dei figli.
L’articolo 31 prevede il dovere (più politico che giuridico però), di erogare misure
economiche ed altre provvidenze, della Repubblica Italiana a sostegno della famiglia
per l’adempimento dei compiti relativi e mira a proteggere la maternità, l’infanzia e la
gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo. Questa previsione è da intendersi
come norma programmatica, in quanto necessita di specifiche norme d’attuazione
interne all’ordinamento giuridico, ma è importante in quanto esprime il ruolo dello
Stato come parte attiva nella tutela della famiglia e dei suoi membri, pronto ad
intervenire per rimuovere quegli ostacoli che impediscono la possibilità di esercitare
quei diritti fondamentali che la Costituzione prevede in capo ad ogni uomo, espressione
del nuovo Stato sociale post 1948.
Le norme costituzionali compongono una visione circolare, dinamica e funzionale della
potestà genitoriale, che si fonda su due pilastri normativi: le norme specifiche attinenti
alla relazione genitori – figli e le norme che tutelano gli aspetti essenziali della persona
fisica, della sua integrità psicologica, della sua vita familiare e sociale
17
. Tali
fondamenti normativi non sono in contraddizione, in quanto l’articolo 30 esprime un
precetto inequivocabile: “educare non in termini precettistici ed abilitanti, ma educare
16
SANTOSUOSSO, Il matrimonio, In Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale fondata da
W. Bigiavi, UTET, Torino, 1989
17
CERATO, La potestà dei genitori, i modi di esercizio, la decadenza e l’affievolimento, Giuffrè, Milano,
2000
16
per fare l’uomo capace di opzioni libere e coscienti, per conquistare nella cultura il
mezzo della libertà”
18
.
Fonti di diritto internazionale
Le fonti di diritto internazionale, quali appunto le Convenzioni, in ragione della loro
peculiare importanza come fonti del diritto dei vari ordinamenti statali, giocano un
ruolo primario nel concepire l’evoluzione, significato e contenuti della potestà
genitoriale, fino ad escludere la necessità di farne cenno, come all’interno della
Convenzione sui diritti del fanciullo stipulata a New York il 20 novembre 1989 e
ratificata dallo Stato Italiano con legge del 27 maggio 1991 n. 176. Anche se è vero che,
essendo una fonte di diritto da applicare in tutti gli ordinamenti dei paesi che l’hanno
firmata e ratificata, la specifica previsione letterale della potestà genitoriale avrebbe
creato problemi di attuazione di tal disciplina in quegli ordinamenti che o non la
regolano o la intendono in modo diverso, la ratio di fondo della Convenzione mira a
garantire al fanciullo quella tutela di quei diritti fondamentali della personalità che
comportano una sua piena interazione nel mondo che lo circonda, anche verso i genitori
nel contesto familiare.
Il minore diventa partecipe ed ago della bilancia degli equilibri familiari, in quanto sia il
preambolo che l’articolo 12 esprimono tale principio: la capacità di discernimento del
fanciullo indica quel criterio, in ragione del quale gli deve essere garantito il diritto di
esprimere liberamente la sua opinione su questioni che lo interessano e l’obbligo di
tenerne conto in ragione all’età ed al suo grado di maturità; a tal fine egli potrà esser
sentito in ogni procedura giudiziaria e amministrativa che lo riguardi.
L’articolo 3 riconosce come criterio guida per intraprendere tutte le decisioni relative al
fanciullo l’esclusivo interesse superiore del minore; gli articoli 18 e 27, nell’indicare il
principio comune secondo cui ricade in capo ai genitori la responsabilità (e non la
potestà) di educare e di allevare il fanciullo ad un livello di vita sufficiente per
consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale, indicano come, i
genitori, gli affidatari e persino gli Stati aderenti, a cui la Convenzione direttamente si
rivolge, debbano interpretare il rapporto coi figli, sia per il fine a cui si vuol tendere
che per le modalità attraverso le quali lo si mira a raggiungere. L’articolo 28 afferma
solennemente che si tratta di un vero e proprio diritto all’educazione in capo al minore
ed il 29 indica in modo esplicito i contenuti e quali debbano essere i risultati
dell’attività educativa del fanciullo, ossia:
“A) di favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo nonché lo sviluppo delle sue
facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità;
B) di inculcare al fanciullo il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e
dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite;
18
Trib. Min. Bologna, 26 Ottobre 1973
17
C) di inculcare al fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua
lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del paese nel
quale vive, del paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua;
D) preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in
uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di
amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi, con le persone di origine
autoctona;
E) di inculcare al fanciullo il rispetto dell'ambiente naturale”
19
.
La Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, promossa dal Consiglio
d’Europa, firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e ratificata dallo Stato Italiano con
legge del 20 marzo 2003 n. 77, mira a promuovere un'ampia partecipazione del minore
nei procedimenti familiari che lo riguardino riconoscendogli il diritto ad essere sempre
ascoltato, ad essere rappresentato in giudizio da un proprio rappresentante, a rivestire,
in alcuni casi, il ruolo di parte nei procedimenti che investono la sua persona. Essa
ambisce, infatti, ad essere considerata un completamento della Convenzione di New
York, in particolare del suo articolo 12 e in tal senso, vuole porsi come strumento
giuridico complementare e specifico dell'area europea in materia di diritti dei minori.
Il cammino intrapreso con la Convenzione del 1989, volto a riconoscere una piena
soggettività del minore di fronte al diritto, trova con la Convenzione di Strasburgo il
raggiungimento di una tappa fondamentale; essa, esprimendo l’idea del minore capace
di agire autonomamente nei processi che lo riguardano per la tutela dei suoi diritti,
diventa cassa di risonanza del principio, secondo cui, egli, soggetto di diritto, in ragione
al proprio discernimento e grado di maturità, è capace di compiere quegli atti che sono
esplicazione dei suoi diritti fondamentali della persona
20
.
19
Convenzione sui diritti del fanciullo, New York, 20 Novembre 1989
20
I principi sopra affermati ed espressi dalle Convenzioni Internazionali di New York e Strasburgo, vengono
recepiti sia dalla Giurisprudenza, che dal Legislatore, che ne usufruiscono quale criterio guida dei loro atti,
come lo si evince da tali due pronunce della Corte di Cassazione:
• Cassazione, sezione I civile, sentenza 26 novembre 2004 n. 22350.
Nel procedimento di adozione dei minorenni in casi particolari ex lege n. 184 del 1983, l'audizione del
minorenne da parte della Corte di appello, in sede di gravame, è riservata all'apprezzamento del giudice del
merito, in virtø di una disciplina conforme ai principi recati dalla Convenzione di New York del 20 novembre
1989, sui diritti del fanciullo di New York, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge n. 176 del 1991, che
stabilisce l'obbligo di tenere conto delle opinioni del minore in ogni procedura giudiziaria o amministrativa
che lo riguardi soltanto se si tratti di «fanciullo capace di discernimento» e «tenendo conto della sua età e del
suo grado di maturità».
• Cassazione 10 ottobre 2003, n. 15145, in «Il Foro italiano», 2004, I, 2167).
L'entrata in vigore delle disposizioni di carattere processuale della legge 28 marzo 2001 n. 149 ha segnato un
ulteriore, fondamentale, passo verso la considerazione del minore non piø come «oggetto di proprietà» dei
genitori ma quale soggetto titolare di diritti soggettivi perfetti, autonomi e azionabili anche nei confronti degli
stessi esercenti la potestà parentale (del resto, già la giurisprudenza di legittimità aveva sostenuto che, a
seguito dell'evoluzione legislativa e giurisprudenziale avutasi in materia, «la posizione del fanciullo - non piø
mero oggetto di tutela, ma titolare di diritti soggettivi - deve essere considerata anche sul piano dei diritti
processuali»
18
La Convenzione di Oviedo per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità
dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina, firmata il
4 aprile 1997 e ratificata dall’Italia con legge del 28 marzo 2001 n. 145, nell’articolo 6
specifica che, quando secondo la legge, un minore non ha la capacità di dare consenso a
un intervento medico, questo non può esser effettuato senza l’autorizzazione del suo
rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge. Il
parere del minore va preso in considerazione come un fattore sempre più rilevante, in
funzione della sua età e del suo grado di maturità.
La Convenzione in esame applica quanto affermato poc’anzi sulle capacità del minore
nello specifico ambito dei trattamenti sanitari, riconoscendo sempre più un peso
determinante ai fini decisori al bambino – adolescente, seppur non ancora maggiorenne
e quindi incapace legalmente d’agire, che abbia ormai maturato quella capacità di
discernimento necessaria per esercitare quei fondamentali diritti della persona, senza
che la decisione in merito ad un qualsiasi intervento medico debba essere
esclusivamente presa da chi o ne eserciti la potestà o da chi ne debba provvedere alla
cura.
Norme ordinarie
A seguito della riforma del diritto di famiglia con la legge n. 151 del 1975, l’intera
disciplina sia dei rapporti verticali che quelli orizzontali all’interno del nucleo familiare
viene adeguata ai principi e valori costituzionali.
Per capire cosa comprenda l’istituto della potestà a livello di doveri e responsabilità dei
genitori, è necessario far riferimento agli articoli del codice civile che li disciplinano
(come il 147 cc). La potestà genitoriale è connotata da una limitazione spazio
temporale in merito agli obblighi, doveri e diritti che la compongono. L’articolo 316 cc
dispone che “il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino all’età maggiore o
all’emancipazione”; per quanto riguarda il momento iniziale, non è corretto sostenere
che essa sorga con la nascita del figlio, in quanto per taluni aspetti, di natura
patrimoniale come indicato dagli articoli 320, 462, 784, 254 cc, nasce con il
concepimento, da cui i genitori esercitano una rappresentanza legale e un obbligo di
tutela e protezione fisica del nascituro
21
. La potestà sorge o si esaurisce in seguito a
specifiche vicende giuridiziarie che coinvolgono gli interessati, come per l’adozione
legittimante, o a seguito dei provvedimenti ex articolo 330 cc che ne causano la
decadenza. Esulano dai limiti temporali quei contenuti etici della potestà, quali il
dovere del rispetto reciproco fra genitori e figli e l’attenzione verso le esigenze
personali (147 e 315 cc)
22
.
21
FERRI, Della potestà dei genitori, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, artt. 315-342,
Zanichelli, Bologna, 1988
22
CERATO, La potestà dei genitori, modi di esercizio, decdenza e affievolimento, Giuffrè, Milano, 2000
19
A livello spaziale pare che dal dettato dell’articolo 318 cc, al minore non sia consentito
abbandonare la casa dei genitori o di chi ne eserciti la potestà, ed i genitori possano
richiamarlo ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare. In giurisprudenza, si è venuta
tuttavia affermando, un’interpretazione che contempera le posizioni dei genitori con le
esigenze rappresentate dal minore; il Tribunale per i minori di Trieste, con il
provvedimento 21 giugno 1988
23
, stabilisce che non è corretta un’interpretazione
meramente letterale e riduttiva dell’articolo 318 cc, in quanto ciò non consentirebbe al
giudice di valutare le ragioni dell’abbandono dell’abitazione familiare ed inoltre
configurerebbe l’organo giudiziario come mero braccio secolare di una volontà
genitoriale assoluta ed incontrastata; tale filone giurisprudenziale impone di porre a
fondamento di ogni decisione in tale ambito il prevalente interesse del minore.
La potestà genitoriale contiene sia diritti che doveri in capo ai genitori ed il vigente
ordinamento determina una soglia minima di assolvimento ai relativi obblighi inerenti:
esempio ne è la legge n. 184 del 1983 poi modificata dalla legge n. 149 del 2001
rubricata “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, in cui l’articolo 8
sancisce che sono dichiarati in stato di adottabilità i minori che si trovano in
“situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei
genitori o di chi è tenuto a provvedervi, purchè la mancanza di assistenza non sia
dovuta a forza maggiore di carattere transitorio”. Tale disposizione individua il livello
minimo delle cure genitoriali; al figlio minore vanno assicurati cure materiali, calore
affettivo ed aiuto psicologico; ove ne risulti privo, il giudice minorile provvede al suo
inserimento in un altro adeguato nucleo familiare, sempre nel rispetto del primario
interesse del bambino
24
. La giurisprudenza ha tracciato criteri costanti di valutazione
della condotta genitoriale, in relazione a:
lo stato di povertà dei genitori: se la povertà è determinata da
disoccupazione volontaria, la mancanza di assistenza non esime i genitori
dall’assolvimento dei doveri genitoriali (Trib. min. Catania, 7 gennaio 1986);
la delega di funzioni genitoriali: essa è ritenuta inconciliabile con l’esercizio
del diritto – dovere sancito dall’articolo 147 cc e prima ancora dall’articolo
30 Cost (Cass. 3038/87; Cass. 935/86; Cass. 5650/84);
lo stato detentivo di uno e di entrambi i genitori: esso è valutata come actio
libera in causa, quindi tale condotta genitoriale non integra la situazione di
forza maggiore di carattere transitorio e quindi non giustifica la mancata
assistenza del minore (Cass. sez. I 27 maggio 1995, n. 5911);
23
in tale caso due sorelle minori, dopo il decesso della madre e la conflittuale convivenza con la compagna
del padre, avevano deciso di allontanarsi da casa e di vivere presso la nonna materna che già in passato le
aveva seguite ed accudite.
24
Cassazione sez I, 6 dicembre 1991, n.13133
20
il carattere oggettivo della situazione di abbandono: esso sussiste anche se
determinato da fatto incolpevole del genitore, quale una malattia mentale
che lo renda inadeguato a prestare le cure genitoriali (Cass. sez. I 1 giugno
1994, n. 5325; Cass. sez. I, 16 marzo 1996 n. 2236);
la necessità dei genitori di un sostegno continuativo per svolgere le funzioni
genitoriali: essa è stata ritenuta dalla Cassazione elemento costituente della
situazione di abbandono per il minore (Cass. sez. I, 4 settembre 1998, n.
8779).
Secondo un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza, le condizioni personali
e sociali dei genitori, singolarmente, non possono far conseguire una valutazione
dell’adeguatezza delle cure genitoriali: ogni elemento della vita quotidiana va
analizzato in coerenza alle esigenze dei figli: “la dichiarazione di adottabilità
costituisce l’ultimo rimedio all’abbandono e non lo strumento per assicurare condizioni
di vita migliori” (Cass. 30 luglio 1997, n. 7128)
25
.
Per capire in concreto cosa significhi la potestà genitoriale, a livello contenutistico, è
necessario analizzare l’articolo 147 cc come regola cardine dei doveri dei genitori verso
i figli
26
.
L’articolo 147 recita: “il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di
mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione
naturale e delle aspirazioni dei figli”.
Prima di approfondirne i contenuti, è necessario ribadire che gli obblighi espressi da
tale norma, non vanno unicamente applicati alla cosiddetta famiglia legittima, secondo
una rigida interpretazione letterale della disposizione, in quanto con la riforma del
diritto di famiglia sia i doveri che i diritti in questione sono da ricondursi al rapporto
genitoriale inteso in senso lato, con la sostanziale equiparazione fra filiazione legittima
25
Cassazione del 30 luglio 1997, n. 7128: “(…) non basta sottolineare come hanno fatto i giudici di merito,
le anomalie della personalità dei genitori ai fini dell’accertamento della sitazione di abbandono, in quanto
occorre accertare un quid pluris che è dato dalle conseguenze pregiudizievoli che da tali circostanze siano
derivate o possano derivare all’equilibrata e sana crescita psicofisica del minore medesimo, tanto da
costituire quella situazione di abbandono in senso giuridico di quest’ultimo (…). Non è sufficiente il mero
fatto che la vita del minore in un istituto o presso terzi possa presentarsi come intrinsecamente piø adatta, in
quanto occorre che la vita offerta dai genitori sia talmente inadeguata da far considerare la rescissione del
legame familiare come l’unico mezzo per evitare al minore un pregiudizio piø consistente. Ne consegue che
la dichiarazione di adottabilità non può discendere da un mero apprezzamento circa l’inidoneità dei genitori,
affetti da rilevanti disturbi o da vere patologie della personalità, occorre invece che a tale apprezzamento si
accompagni l’ulteriore positivo accertamento che siffatte circostanze abbiano provocato o possano provocare
danni gravi e irreversibili alla equilibrata crescita del minore.”
26
Sebbene sia dibattuto in dottrina se a livello contenutistico vi sia o no equivalenza fra l’articolo 147 cc e la
potestà genitoriale, il legislatore del 1942 e poi della riforma del diritto di famiglia del 1975 ha ritenuto
adeguato che l’articolo 147cc non venisse inserito nel titolo IX rubricato “della potestà dei genitori”. La
ragione di tale scelta si può comprendere nella volontà di esprimere la differenza dei termini temporali entro
cui far cessare la doverosità giuridica degli obblighi in questione: se mentre la potestà termina con il
raggiungimento della maggiore età del figlio o con la sua emancipazione, i doveri genitoriali ex 147 cc,
permangono anche successivamente, fino a che il figlio non sarà in grado concretamente di provvedere
autonomamente ai propri bisogni psico-fisici senza piø far completo affidamento nella famiglia.