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Introduzione
Anche il decennio appena trascorso, come i precedenti, ha visto l‟area mediorientale al
centro della scena internazionale. Il motivo principale va ricercato nella politica estera
promossa dall‟amministrazione americana del Presidente George W. Bush, basata sulla
guerra senza quartiere al terrorismo nelle enclavi in cui questo si riteneva avesse le sue
basi. In questo quadro, tutta l‟attenzione dell‟opinione pubblica è stata catturata dagli
eventi susseguitisi in Afghanistan prima e in Iraq dopo.
Per questa ragione, il conflitto che nell‟estate del 2006 ha visto confrontarsi nel
territorio libanese l‟esercito israeliano e le milizie di Hezbollah ha colto molti di
sorpresa, non perché la zona sia solitamente tranquilla, ma piuttosto in quanto la rapidità
dell‟escalation, la durata insolitamente lunga e la violenza dell‟ennesima guerra che
insanguinava l‟area sono state certamente inattese. Tutto ciò ha riportato l‟attenzione
internazionale su una regione la cui visibilità era passata in secondo piano, a causa delle
guerre ben più lunghe e cruente che si combattevano contemporaneamente nei Paesi
vicini.
Questo lavoro si propone di analizzare quanto accaduto per fornire una chiave di lettura
che ne valuti l‟importanza complessiva e per poter meglio comprendere le dinamiche
geopolitiche che interessano non solo i due attori direttamente coinvolti, ma anche lo
Stato libanese, la Siria e l‟Iran, oltre ovviamente agli Stati Uniti e all‟ONU.
Per farlo, è stata necessaria un‟analisi approfondita dei numerosi documenti che sono
stati pubblicati sia nel corso dei giorni di guerra che successivamente.
Rivestono un‟importanza fondamentale le Risoluzioni dell‟ONU che si sono occupate
delle vicende libanesi nel corso dei decenni, per arrivare alla Risoluzione 1701, che
rappresenta lo sbocco finale della crisi. Altrettanto importanti le numerosissime
conferenze stampa e comunicazioni ufficiali degli Stati coinvolti, in primis quelle del
Gabinetto israeliano, in particolare del Primo Ministro e del Ministero degli Esteri, gli
interventi del Primo Ministro libanese, oltre alle dichiarazioni rese attraverso canali non
ufficiali da Hezbollah, contendente atipico che si esprimeva attraverso le frequenze
della propria televisione.
Per comprendere la concatenazione e lo sviluppo diplomatico che ha portato al cessate il
fuoco sono state analizzate anche le varie conferenze stampa e le comunicazioni
ufficiali rilasciate dal Segretario Generale dell‟ONU, dal Presidente e dal Segretario di
Stato americano, dal G8 e dall‟Unione Europea. L‟abbondanza di fonti relative alle
posizioni dei Paesi occidentali contrasta con la difficoltà riscontrata nel reperire
altrettanto riguardo ai Paesi arabi coinvolti, i quali, pur giocando dietro le quinte un
ruolo decisivo, non hanno prodotto una mole documentale rintracciabile in una lingua
diversa dall‟arabo, ma solo attraverso organi di stampa.
Oltre allo sviluppo diplomatico, è stato altresì analizzato l‟effetto della guerra a livello
umanitario, attraverso l‟ampia documentazione fornita sia da organismi facenti
riferimento alla comunità internazionale, come lo Human Rights Council, che opera in
seno all‟ONU, sia ai organizzazioni non governative dal valore ampiamente
riconosciuto, come Amnesty International e Human Rights Watch. I documenti ufficiali
resi pubblici dallo Stato di Israele sono stati inoltre necessari per descrivere le
conclusioni cui è giunta la Commissione Winograd, istituita per indagare le
responsabilità interne circa l‟andamento della guerra, mentre le conclusioni ufficiali
5
della Conferenza di Roma e della Conferenza dei Donatori per il Libano sono state utili
per descriverne le risultanze.
Molti testi accademici e riviste specializzate, oltre ai rapporti ufficiali prodotti dal
Congressional Research Service e dal Centro Studi del Senato della Repubblica Italiana,
sono invece stati preziosi per ricostruire l‟evoluzione storica del Libano moderno e di
Israele, al fine di poter comprendere in che condizioni politiche e sociali è maturata la
guerra, mentre per analizzarne le conseguenze, considerata la vicinanza storica
dell‟evento e la conseguente mancanza di testi veri e propri al riguardo, sono stati molto
utili le inchieste giornalistiche e gli editoriali di riviste specialistiche quali Foreign
Policy, Time e Limes, o di centri studi di livello internazionale come il CSIS e l‟ISPI.
Il lavoro si compone di tre capitoli. Nel primo viene tratteggiata la storia del Libano
moderno, dalla sua indipendenza, raggiunta negli anni della Seconda Guerra Mondiale,
fino ad oggi. In particolare, più che prestare attenzione al susseguirsi cronologico degli
eventi, si è preferito sottolineare gli aspetti più rilevanti in ambito politico, militare e
sociale utili a comprendere in quali condizioni il Paese è giunto alla guerra del 2006. In
particolare, è stato descritto l‟odierno assetto politico e confessionale del Paese dei
cedri, le conseguenze dell‟invasione israeliana del 1982, il ruolo degli accordi di Ta‟if
che posero fine alla guerra civile, l‟epoca della pax siriana, i meccanismi che portarono
alla nascita di Hezbollah, le condizioni nelle quali maturò il ritiro delle truppe israeliane
nel 2000, l‟uccisione del Primo Ministro Rafiq Hariri e la cosiddetta “Rivoluzione dei
cedri”.
Per quel che riguarda Israele invece il periodo considerato è molto più breve, in virtù del
fatto che i fatti principali che lo riguardano vengono già efficacemente esposti nella
parte riguardante il Libano: viene pertanto analizzata solo la situazione politica interna,
a partire dal ritiro del 2000, per spiegare con quale assetto politico Israele si è presentata
all‟appuntamento con la guerra. In particolare, viene spiegato in quali condizioni maturò
l‟ascesa della coalizione di governo che ha gestito il periodo considerato e quello
successivo.
Il secondo capitolo costituisce invece il cuore documentale della tesi, e raccoglie la
descrizione dettagliata degli eventi dei 34 giorni di guerra attraverso le voci dei
protagonisti, i documenti e la descrizione delle principali operazioni militari. È stata
fatta la precisa scelta di dare all‟aspetto militare una visibilità decisamente inferiore,
non per sminuire l‟importanza degli eventi bellici, ma per dare spazio al posizionamento
diplomatico degli attori in campo che determinava conseguentemente lo sviluppo delle
azioni militari. Per questo, dopo una descrizione approfondita delle circostanze che
hanno portato allo scoppio del conflitto, ossia il rapimento di due soldati israeliani,
viene dato ampio risalto alle reazioni internazionali, a partire da quelle dei Primi
Ministri di Israele e Libano e del Segretario Generale di Hezbollah, passando per gli
Stati Uniti, l‟Unione Europea, il G8, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, e infine
il Comandante della missione UNIFIL. Viene successivamente dato spazio alla
prosecuzione degli sforzi diplomatici, con la descrizione delle conclusioni raggiunte
dalla Conferenza di Roma, nella quale vide la luce il Piano Siniora, e della tappa
israeliana del viaggio mediorientale del Segretario di Stato americano. Trovano spazio
anche le reazioni ai due eventi più contestati e sanguinosi dell‟intero conflitto:
l‟uccisione di quattro osservatori ONU e la strage di Cana, entrambe opera dell‟esercito
israeliano. L‟insieme degli eventi chiariscono un quadro nel quale l‟azione diplomatica
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tende a orientarsi verso una soluzione condivisa, per questo vengono analizzati gli sforzi
che si incanaleranno verso l‟adozione della Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza
dell‟ONU, descrivendone le previsioni e le caratteristiche, specie in relazione al rinnovo
della missione internazionale UNIFIL.
La parte finale del capitolo analizza le fonti documentali che descrivono alcune
conseguenze dirette del conflitto: la pubblicazione in Israele dei Rapporti della
Commissione Winograd, gli effetti delle distruzioni in Libano e gli sforzi di
ricostruzione portati avanti dalla comunità internazionale, le valutazioni circa le
violazioni dei diritti umani e infine l‟evento che chiude idealmente i fatti relativi alla
guerra, cioè lo scambio di prigionieri concluso nel 2008.
Il terzo capitolo cerca invece di fornire un quadro il più possibile completo delle
differenti valutazioni emerse nella stampa specialistica riguardo agli esiti del conflitto
israelo-libanese. Vengono a tal proposito analizzati diversi articoli, pubblicati da
numerosi autori in varie riviste specializzate o per conto di centri di ricerca, per cercare
spunti di riflessione, al netto della propaganda, su chi abbia vinto e chi abbia perso, su
quali siano i pericoli e le opportunità per Israele, per il Libano e per Hezbollah, quale
ruolo ricoprano la Siria, l‟Iran e gli Stati Uniti sia in questo scenario che nella totalità
del Medio Oriente, nonché le prospettive per il funzionamento della missione
internazionale.
La tesi che si intende argomentare con l‟intero lavoro è quella di chi vuole rappresentare
la guerra dell‟estate del 2006 come la cartina di tornasole dell‟intero scenario
mediorientale, o perlomeno quello degli ultimi dieci anni. La descrizione degli eventi
storici recenti mira a dimostrare come l‟evoluzione politica interna, le alleanze regionali
e gli eventi mondiali abbiano posto le basi per una riscossa generale del gruppo
religioso sciita, fino ad allora minoritario e represso in Medio Oriente, con l‟eccezione
dell‟Iran.
Il riferimento è alla crescente potenza e sete di gloria degli sciiti, che nel nuovo
millennio, dopo il preludio della Rivoluzione degli ayatollah in Iran, hanno trovato
spazi di espansione politica prima semplicemente impensabili, soprattutto grazie ad
Hezbollah. Si tratta di un ragionamento esposto da esperti di politica mediorientale
1
che
tuttavia stenta a trovare riconoscimento, a causa di fattori quali la semplificazione
operata dai media, l‟obiettiva difficoltà dell‟opinione pubblica nel seguire numerose e
complesse vicende connesse tra loro e l‟impossibilità di dare ad un approccio così
ampio una corrispondenza politica immediata e chiara.
Inoltre, parallelamente, si vuole argomentare come la crescita del valore aggiunto degli
sciiti e delle minacce provenienti dal Libano e da Hezbollah sia stata favorita
dall‟indebolimento degli Stati Uniti, di Israele e dell‟ONU, che non riescono più ad
agire con la stessa risolutezza che mostravano un tempo, e prospettare la necessità di un
cambio di rotta nelle politiche portate avanti, per evitare l‟incancrenirsi di situazioni
nelle quali il fondamentalismo islamico può trovare terreno fertile.
1
Si veda, ad esempio, Vali Nasr – La rivincita sciita – Iran, Iraq, Libano: la nuova mezzaluna –
Università Bocconi editore, 2006
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CAPITOLO PRIMO - La situazione generale del Medio
Oriente alla vigilia del conflitto israelo-libanese
1.1 - Israele, Hezbollah e Libano: il triangolo della guerra
L‟estate del 2006 è stata sicuramente caratterizzata a livello internazionale
dall‟esplodere della tensione nella zona mediorientale tra Israele e la milizia sciita di
Hezbollah, che in arabo significa “Partito di Dio”; i suoi membri operano all‟interno del
territorio libanese sia come partito politico che come movimento armato di resistenza
contro Israele.
Le violenze, da ambo le parti, si sono prolungate per 34 giorni e hanno segnato uno
spartiacque per la politica libanese, per quella israeliana e per le relazioni internazionali
degli attori coinvolti, che sono tanto i diretti interessati quanto gli Stati vicini, in primis
Siria e Iran, oltre ovviamente agli Stati Uniti e all‟ONU.
Per poter comprendere adeguatamente lo sviluppo militare e diplomatico del conflitto è
utile fare una panoramica che illustri la situazione poliica e sociale degli attori in
questione.
Per il Libano, la cui condizione è certamente la più complessa, occorre partire almeno
dalla fine del periodo coloniale; per Israele è invece sufficiente limitarsi all‟ultimo
decennio. Hezbollah sarà oggetto di un‟analisi accurata che ne spieghi la collocazione
politica sia interna che internazionale.
1.2 - Il Libano post-coloniale: il Patto Nazionale
La storia, la politica e la religione sono i tre elementi che caratterizzano nel profondo la
società libanese, determinandone i destini sociali e politici.
Storicamente il Libano, data la sua favorevole posizione geografica, è stato un crocevia
commerciale che ha favorito il mescolarsi di numerose culture e tradizioni. Un crogiolo
di religioni che hanno trovato qui piena libertà di espressione, incontrando però non
pochi problemi di convivenza.
Circa 3.874.000 abitanti popolano il Libano: la quasi totalità è di origine araba, anche se
i cristiani preferiscono farsi chiamare fenici, rivendicando le loro discendenze cananee e
non arabe. A loro si aggiungono circa 400.000 palestinesi rifugiati in Libano, ma non
godono di alcun diritto di cittadinanza. Le stime sulla consistenza della popolazione non
sono ufficiali: dal 1932 non si tiene alcun censimento, per evitare di accertare
mutamenti nelle proporzioni tra le varie confessioni, che esaspererebbe le tensioni
settarie già abbondanti nella politica libanese.
Le comunità religiose censite sono numerose: alcuni arrivano a contarne addirittura 17-
18. Le principali sono comunque quella cristiana e quella musulmana. A loro volta i
cristiani, circa il 40% della popolazione, si dividono tra numerose correnti; quella
8
maronita e quella ortodossa sono sicuramente predominanti. Anche i musulmani vedono
una divisione tra sciiti, maggioranza con circa il 35%, sunniti, circa il 20% (anche i
palestinesi sono sunniti), e i drusi, circa il 5%, più affini agli sciiti. Conseguentemente il
Libano è uno dei pochi Stati mediorientali dove la presenza sciita è tollerata ed è
consistente.
2
La forte frammentazione religiosa si riflette anche politicamente, con uno specchio
parlamentare che raggruppa numerosi partiti divisi sia dal punto di vista confessionale
che da quello di classe, ma non solo.
Il Libano moderno nacque nel 1943, quando venne raggiunto un accordo per una
riforma costituzionale che eliminò dalla Carta fondamentale del 1926 tutti i vincoli
verso la Francia, potenza che a suo tempo aveva ricevuto dalla Società delle Nazioni il
mandato per governare la zona libano-siriana; la Gran Bretagna si era assicurata invece
la zona egiziana, compresa la Palestina, oltre a tutta l‟area del Golfo Persico.
La Francia continuerà ad avere un rapporto speciale con il Libano, specialmente con la
componente cristiano-maronita, che dall‟occupazione coloniale aveva sicuramente tratto
i maggiori vantaggi, sia politici che economici.
Parallelamente alla riforma costituzionale si diede vita a un Patto Nazionale che sanciva
in sostanza la creazione di una Repubblica, fondata su un difficile compromesso tra le
diverse anime sociali e religiose del Libano.
Il Patto Nazionale si caratterizzava per essere più un gentlemen agreement che un vero e
proprio emendamento costituzionale. Di fatto, questo Patto non scritto è la base
dell‟accordo che reggerà il Libano per qualche decina d‟anni, fino allo scoppio della
guerra civile nel 1975, mettendo fine alle dispute tra le due comunità più potenti, sia per
numero che per ricchezza: i cristiani maroniti e i musulmani sunniti. Occorre infatti
considerare che allora gli popolazione sciita era numericamente minoritaria e molto più
povera rispetto a quella sunnita.
Se i maroniti rinunciavano all‟influenza occidentale sul Libano, che si esplicava con
l‟estromissione dei francesi dalla vita del Paese, i sunniti abbandonavano i progetti di
unificazione con gli Stati arabi vicini, in primis la Siria. La comunità sciita dovette
adeguarsi.
In concreto, il Patto Nazionale prevedeva la suddivisione delle cariche politiche e
amministrative sulla base della confessione religiosa; erano inoltre previsti sistemi
giuridici differenti per le varie comunità religiose. La legge elettorale rispecchiava la
necessità di garantire rappresentanza alle varie confessioni, seppur modulata in modo da
favorire di volta in volta i potenti di turno.
Le cariche fondamentali erano tre: la Presidenza della Repubblica, appannaggio della
comunità cristiano-maronita, la Presidenza del Consiglio, appannaggio dei musulmani
sunniti, e la Presidenza del Parlamento, affidata ad uno sciita.
La Presidenza della Repubblica era di gran lunga la carica più importante, infatti il
sistema di governo era di tipo spiccatamente presidenziale. Il numero dei parlamentari
era determinato con una proporzione di 6 a 5 per i cristiani. I primi tre decenni del
Libano moderno, fino allo scoppio della guerra civile, sono quindi sovrapponibili alle
avventure politiche dei presidenti succedutisi nel tempo.
2
Libano – Dossier Servizio Studi del Senato della Repubblica – maggio 2008 – consultato il 10 agosto
2010 - http://www.senato.it/documenti/repository/dossier/studi/2008/Dossier_007%20.pdf
9
Non è necessario analizzare le vicissitudini dei vari Presidenti; è invece utile capire il
tipo di rapporto che il Libano instaurò con l‟ingombrante vicino israeliano, che nel 1948
aveva creato il suo Stato indipendente.
Quell‟anno il Libano si schiera con la coalizione di Stati arabi che scatenano l‟offensiva
contro il neonato Stato di Israele. Gli esiti del conflitto porteranno ad un armistizio tra
Libano e Israele nel 1949, ma soprattutto alla creazione nel Sud del Libano di numerosi
campi profughi popolati da circa 200.000 palestinesi, tra i quali si rifugia nel corso degli
anni un consistente numero di fedayin (combattenti) appartenenti all‟OLP di Arafat,
allora spostata su posizioni estreme e terroristiche.
I primi anni della nuova Repubblica saranno costellati da una buona crescita economica,
accompagnata però da tensioni striscianti che iniziano a erodere la solidità del Patto
Nazionale, specie a seguito della scelta del Libano di appoggiare il Presidente
statunitense Eisenhower nella sua lotta contro l‟omologo egiziano Nasser, spostando
quindi il Paese nella sfera di influenza americana. Ciò fu causa di forti scontri: tale
atteggiamento non era tollerabile per i sunniti, che vedevano nel panarabismo
nasseriano una nuova via verso la quale dirigersi dopo l‟abbandono delle suggestioni di
un unione con la Siria.
Nonostante i cambi di presidenza e varie riforme economiche che favorirono
l‟affermarsi del Libano come crocevia finanziario della regione mediorientale, cosa che
le valse l‟appellativo di “Svizzera del Medio Oriente”, la situazione politica rimase
difficile.
3
4
5
1.3 - Cambiamenti sociali, crisi del compromesso e guerra civile
La presenza in Parlamento di numerosi notabili contrari a qualsiasi riforma che potesse
compromettere i loro interessi, congiuntamente all‟impossibilità di superare la
costruzione confessionale della Repubblica, criticata da tutti ma sostanzialmente non
emendabile, rese possibile l‟infiltrarsi dell‟esercito nella vita politica del Paese.
Ma i problemi più grave erano due: la presenza dei palestinesi nel Sud del Libano, con
una consistenza e un attivismo troppo elevati per non incidere sulle sorti dello Stato, e la
crescita esponenziale della popolazione sciita, che poco a poco prese coscienza della
propria sottovalutazione politica, chiedendo a gran voce eguaglianza di diritti: questo
significava rimodulare di fatto il Patto Nazionale e la distribuzione delle cariche con
esso decisa. Ma per fare questo era necessario procedere a un censimento che definisse
nuovamente le proporzioni delle varie comunità confessionali libanesi, e nessuna di
queste, sciiti a parte, era disposta a correre questo rischio.
La questione palestinese si mostrò nell‟immediato ben più spinosa, perché l‟OLP di
Arafat conduceva attacchi terroristici dal Libano contro il Nord di Israele. E se questo
3
Rosita Di Peri – Il Libano contemporaneo – Storia, politica, società – Carocci editore 2009 – pagg. 33 –
47
4
Libano – Dossier Servizio Studi del Senato della Repubblica – maggio 2008 – consultato il 10 agosto
2010 - http://www.senato.it/documenti/repository/dossier/studi/2008/Dossier_007%20.pdf
5
Lebanon – The Israel - Hamas – Hezbollah conflict – CRS Report for Congress – aggiornato al 15
settembre 2006 – consultato il 23 luglio 2010 - http://www.usembassy.it/pdf/other/RL33566.pdf
10
era da un lato tollerabile per via dell‟ostilità tra Libano e Israele (l‟ultimo scontro si era
verificato con la Guerra dei Sei Giorni del 1967), dall‟altro esponeva il Paese al rischio
di una creazione di uno Stato nello Stato. Israele lanciò un avvertimento nel 1968
bombardando l‟aeroporto di Beirut, e questo spaccò subito il fronte politico libanese tra
chi voleva una risposta dura contro Israele e chi invece accusò i palestinesi di essere i
responsabili dell‟aggressione subita.
Il 1969 fu caratterizzato da questi forti scontri tra libanesi, specie cristiani, e palestinesi:
la situazione venne ricomposta solo grazie alla mediazione di Nasser che ottenne la
firma degli accordi del Cairo.
Tali accordi però vennero tenuti segreti, visto il contenuto: essi prevedevano infatti
l‟autorizzazione libanese ad Arafat di disporre di milizie armate nel Sud del Libano, da
usare per lanciare attacchi contro il Nord di Israele. Inoltre l‟esercito libanese si
impegnava a non ostacolare le milizie palestinesi. Si trattava quindi di un accordo che di
fatto legittimava lo Stato nello Stato.
Gli anni successivi furono caratterizzati da convulsioni economiche cui si
accompagnarono forti tensioni politiche. Il Paese si arricchì grazie all‟afflusso dei
petrodollari, ma fu sostanzialmente incapace di usare queste ricchezze per promuovere
uno sviluppo economico equilibrato che sanasse le forti disuguaglianze sociali.
Ogni gruppo confessionale, a partire dagli sciiti, che ormai chiedevano diritti a gran
voce, si dotò di una propria milizia armata sul modello palestinese, ma si registravano
divisioni non solo di tipo religioso ma anche di tipo politico, sul classico asse destra-
sinistra.
È in questo contesto che, tra le varie milizie che nascono, sorge Hezbollah: nel corso
degli anni ‟80 diventerà uno degli attori principali della resistenza contro Israele.
Hezbollah occuperà il settore dell‟estremismo sciita di tipo rivoluzionario. Nacque
infatti dalla scissione della frangia più estrema del partito Amal, che fino ad allora
aveva raccolto la rappresentanza sciita, quando nel 1982, il suo leader Nabih Berri,
destinato poi a diventare Presidente del Parlamento per molti anni (dal 1992 ad oggi),
partecipò ad una serie di riunioni per giungere alla pacificazione nazionale con alcuni
leader cristiani, tra i quali l‟allora Presidente della Repubblica Elias Sarkis e quello in
predicato di diventarlo, Bechir Gemayel, che però fu ucciso lo stesso anno.
Oltre a questi problemi interni, la politica libanese, fondamentalmente divisa in
relazione al comportamento da tenere con i palestinesi, viene profondamente influenzata
dagli scenari internazionali, sia regionali che mondiali.
Dal punto di vista regionale il fattore di disturbo principale fu rappresentato dalle
ambizioni della Siria, che non aveva mai rinunciato alle sue velleità panarabe e spingeva
per una disgregazione dello Stato libanese che la ponesse nelle condizioni di
sottomettere l‟intera zona, creando così una “Grande Siria”, o perlomeno di imporsi
come interlocutore obbligato dell‟area mediorientale.
Dal canto suo Israele cercava di ostacolare questo piano, e doveva fronteggiare anche il
problema della resistenza palestinese: non poteva tollerare la presenza di nuclei
terroristici ben organizzati al confine con il consenso tacito dei governanti libanesi.
Sia Israele che la Siria si servirono delle milizie confessionali libanesi a loro più affini
per cercare di raggiungere questi risultati politici, creando un gioco complesso nel quale
era difficile capire se erano le prime a manovrare le seconde o piuttosto queste ultime a
servirsi dell‟appoggio di Damasco e Gerusalemme per ottenere armi e conquistare un
potere maggiore nella cornice istituzionale libanese.