consiste nell’annullabilità del contratto concluso in situazione di contrasto
o di concorrenza tra l’interesse del rappresentante e quello del
rappresentato; inoltre, presumendo il legislatore, iuris et de iure, che in
talune circostanze sia sempre ravvisabile un conflitto di interessi tra le due
parti, egli ha voluto impedire all’origine il loro verificarsi, sancendo
particolari incapacità: si pensi a quella dei rappresentanti come possibili
acquirenti dei beni dei soggetti da loro rappresentati sancita attraverso un
divieto assoluto di acquisto (art. 1471 Cod. Civ.). In altri casi, il legislatore
afferma una presunzione iuris tantum di conflitto d’interessi, come nel caso
del contratto con se stesso (art. 1395 Cod. Civ.), superabile con la prova
contraria dell’autorizzazione o della predeterminazione.
Particolare rilievo, quale terreno di scontro di interessi differenti, viene
attribuito dal legislatore alle società di capitali: in relazione a situazioni
conflittuali ravvisabili nell’organizzazione e nell’attività delle società,
l’ordinamento ha predisposto una disciplina mirata a seconda che il
conflitto si manifesti in seno al consiglio di amministrazione o in seno
all’assemblea, ed ha previsto una disciplina differenziata per le società con
azioni quotate in borsa.
Il parametro caratterizzante del conflitto di interessi societario consiste
nella lesione dell’interesse sociale, la cui definizione non è univoca in
dottrina. Al di là dell’adesione all’una o all’altra delle due teorie che si
fronteggiano, quella istituzionalistica che privilegia l’interesse dell’impresa
in sé, e quella contrattualistica che afferma l’interesse comune dei soci, o
ancora, al di là del convincimento che la storica antinomia tra le due sia
ormai superata, il fine che l’ordinamento si pone è quello di controllare le
deviazioni dell’attività societaria dalla sua propria direzione. Gli strumenti
utilizzati a tale scopo consistono nella sanzione di un obbligo di
comunicazione, a carico degli amministratori in conflitto, nei confronti
degli altri amministratori e del collegio sindacale, circa la situazione
conflittuale in cui versino e in un obbligo di astensione dal partecipare alle
deliberazioni relative alle operazioni rispetto alle quali si riveli tale loro
interesse (art. 2391 Cod. Civ., co. I). In questo modo il legislatore ha voluto
creare il terreno più favorevole affinchè l’amministratore adempia al suo
compito, quello di agire sempre con il proposito di fare il meglio a
vantaggio della società, evitando che nello svolgimento delle attività che gli
competono sia turbato da interessi propri. Per quanto concerne il conflitto
di interessi assembleare, ciò che risulta inibito è il voto del socio che in una
determinata deliberazione ha un interesse in conflitto con quello della
società (art. 2373 Cod. Civ., co. I): infatti il voto contribuisce a formare una
deliberazione soltanto in quanto finalizzato al raggiungimento
dell’interesse comune.
La problematicità della questione si accentua quando si ha a che fare non
più con un’unica grande impresa ma con una pluralità di imprese che
esercitano attività economiche unitarie o coordinate tra loro allo scopo di
realizzare determinati risultati economici; la difficoltà è, allora, quella di
condurre la politica di ampio respiro tipica del gruppo nel rispetto
dell’interesse dei componenti del gruppo stesso: non è raro, infatti, che la
innegabile contrapposizione tra l’autonomia giuridica delle singole società
e l’unicità dell’attività economica conduca a situazioni di contrasto tra
l’interesse del gruppo e quello di ciascuna società componente il gruppo
stesso. Il problema è, quindi, quello di tracciare il confine oltre il quale
l’interesse del raggruppamento non può essere perseguito a danno di quello
delle singole società che lo compongono. Acceso è il dibattito in dottrina
tra coloro che sostengono la preminenza dell’interesse del gruppo,
riconoscendo il connotato di tale realtà proprio nella dialettica tra vantaggi
e sacrifici dei singoli membri a favore dell’interesse unitario, coloro che
riconoscono l’impermeabilità dell’interesse sociale di ogni singola società
all’interesse del gruppo, e coloro che giustificano il perseguimento di
quest’ultimo con l’esistenza di vantaggi compensativi che controbilancino
il sacrificio subìto da società ad esso appartenenti.
I provvedimenti di riforma succedutisi in questi ultimi dieci anni hanno
disegnato un sistema che, anche in materia di regole di condotta degli
intermediari finanziari e di soluzioni per i possibili casi di conflitto di
interessi, afferma il primato del principio della trasparenza. Nei successivi
interventi legislativi si è cercato di sistemare organicamente le disposizioni
poste a disciplinare le attività di intermediazione finanziaria e di costitutire
un corpus di norme peculiare che si affiancasse coerentemente alle norme
di diritto comune, cui frequente in precedenza era il rinvio, ma che allo
stesso tempo desse una risposta alle esigenze specifiche della materia.
La prima sistemazione organica dell’attività degli intermediari finanziari e
dei mercati viene attuata con la legge n° 1/1991, espressione del
convincimento che garanzia dell’ordinato funzionamento del mercato e
dello svolgimento delle attività, in presenza di una continua evoluzione del
sistema dell’intermediazione, fosse proprio un nucleo di regole di
comportamento e di meccanismi di reazione alla inosservanza di esse. Il
richiamo ai doveri generali di diligenza, correttezza e professionalità, agli
obblighi di informazione e di trasparenza nei confronti dei clienti nonché
ad un atteggiamento collaborativo dell’intermediario verso di essi, è attinto
dal sistema di conduct of business rules anglosassone, e attualizza
l’esigenza fortissima di tutelare gli interessi dei clienti, e di prevenire o
eliminare i possibili conflitti di interessi tra intermediari e investitori.
Specificamente la regola adottata per dirimere situazioni di contrasto
prevede un obbligo di disclosure (comunicazione) al cliente, da parte
dell’intermediario, circa la natura e l’estensione del conflitto, da darsi per
iscritto; tale comunicazione ha una funzione preventiva, dovendo
l’intermediario astenersi dall’operare se non abbia comunicato l’esistenza
della situazione conflittuale al cliente e se questi non abbia acconsentito
espressamente per iscritto all’effettuazione dell’operazione: si tratta,
dunque, di un divieto di operare derogabile se l’intermediario assolve a
determinati obblighi verso il cliente. Con il D. Lgs. n° 415/1996, meglio
conosciuto come decreto Eurosim, le regole menzionate vengono inserite in
un contesto di più ampio respiro: la cura dell’interesse del cliente quale
parametro fondamentale di valutazione della diligenza e della correttezza si
estende ora al coinvolgimento di interessi della collettività, per quanto
eterogenei, al fine di garantire “l’integrità dei mercati” nonché la stabilità,
la competitività ed il buon funzionamento del sistema finanziario. Le regole
di condotta rivestono interesse generale poiché capaci di influire sul
funzionamento dei mercati, infatti la violazione di esse è in grado di
produrre forti conseguenze sia sull’esecuzione delle contrattazioni sia
sull’immagine di affidabilità degli intemediari agli occhi dei clienti, quali
deterrenti o incentivanti dell’investimento. A sua volta l’integrità dei
mercati è funzionale all’interesse generale ed anche a quello particolare dei
clienti.
L’obbligo di trasparenza è sì richiamato ma con formula di minore intensità
rispetto alla disciplina previgente, così come meno rigorose appaiono le
disposizioni in tema di conflitti: ciò che viene stabilito è che il rischio di
conflitto di interessi debba essere ridotto al minimo, nessuna previsione,
invece, di preventiva autorizzazione del cliente per il compimento
dell’operazione relativa. Soltanto in sede regolamentare è stata ribadita la
regola del divieto di compiere operazioni in conflitto senza il preventivo
consenso scritto del cliente.
Il processo di razionalizzazione del settore dell’intermediazione mobiliare e
dei mercati finanziari culmina nella redazione del Testo Unico della
Finanza, nel D. Lgs. n° 58/1998, in attuazione della delega conferita al
Governo dall’art. 8 delle legge comunitaria del 1994. La tutela degli
investitori è ancora una volta alla base della previsione di una sana e
prudente gestione dei soggetti abilitati e di quella della correttezza e
trasparenza dei loro comportamenti: tali norme di condotta sono richiamate
specificamente anche in tema di conflitti di interessi, essi devono essere sì
ridotti al minimo, ma nel momento in cui si verifichino, gli intermediari
dovranno agire “in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed
equo trattamento”. Ma è soprattutto con riferimento alla gestione dei fondi
comuni di investimento che il richiamo alla trasparenza, attraverso un
costante flusso di informazioni verso i clienti, scansa qualsiasi intervento
repressivo: il conflitto di interessi è tenuto sotto controllo non attraverso
l’imposizione di divieti ma tramite una adeguata informazione dei clienti
ed un equo trattamento degli stessi.
E ancora una volta trasparenza ed informazione sono alla base della
disciplina dei fondi pensione, in una sorta di continuazione di intenti
rispetto alle menzionate disposizioni in materia finanziaria e, allo stesso
tempo, di accentuazione della loro funzione di tutela, nei confronti degli
iscritti ai fondi, da eventuali deviazioni dall’interesse degli stessi. Al fine di
prevenire eventuali conflitti non occorrono divieti, infatti fondamentale a
tale proposito è la predisposizione di un’articolata rete di controlli e di
canali informativi. L’impronta liberista spicca soprattutto a livello
regolamentare, ma finisce per smentire se stessa nelle fin troppo dettagliate
previsioni sul tema.
Gli articoli 7 e 8 del D. M. n° 703/1996 rappresentano il primo esempio di
disciplina puntuale delle possibili situazioni di contrasto tra il fondo ed il
soggetto gestore, non troviamo una disposizione di carattere generale ma
un insieme di norme relative ai diversi rapporti che si instaurano intorno
all’affare fondi pensione ed alle diverse operazioni effettuate dal gestore.
Al di là della questione se il risparmio previdenziale debba godere o no di
una maggiore tutela rispetto a quello normale, la preoccupazione del
legislatore si fonda proprio sulla peculiarità della funzione dei fondi, la
funzione previdenziale: essa non può essere tradita o messa a rischio dal
perseguimento di interessi che nulla hanno a che vedere con quelli degli
aderenti al fondo, né può venire subordinata al sostenimento di scelte di
qualsiasi politica industriale. L’effetto propulsivo che i fondi sono destinati
a produrre sui mercati finanziari, nonché la figura di investitori istituzionali
che sono destinati ad assumere, potrebbero scatenare deviazioni dal già
difficile equilibrio di interessi che li caratterizza. E’ per questo motivo che
il ricorso ai canoni della trasparenza e dell’informazione non sembra essere
sufficiente alla gestione o alla prevenzione di eventuali situazioni
conflittuali. Tanto più che la dettagliata casistica contemplata a livello
regolamentare rischia di sortire soltanto l’effetto di imbrigliare
eccessivamente l’attività dei fondi senza essere risolutiva: le operazioni che
il gestore potrebbe compiere non in odore di conflitto di interessi sono
talmente poche che nella pratica la sua attività risulta fortemente
burocratizzata. Inoltre, nulla dice il decreto su come la Commissione di
vigilanza possa esplicare il suo potere di intervento: l’attività di controllo,
cui essa presiede, circa il potenziale manifestarsi delle singole fattispecie di
conflitto, rappresenta certamente una assoluta novità, poiché la funzione
dell’Authority non è limitata ad una attività di vigilanza e di verifica ex post
sulla correttezza dell’operato e sul rispetto delle regole di comportamento
dei soggetti gestori, tuttavia in un contesto di stringenti previsioni anche
tale potere della Commissione risulta svuotato, non avendo modo di
esplicarsi concretamente.
Una soluzione potrebbe consistere nel fissare soltanto una norma, a
carattere generale, che sancisca il divieto di compiere operazioni in
conflitto di interessi, prevedendo che sia l’Authority a renderla
effettivamente operante grazie ad una capacità di discernimento tra le
concrete situazioni: potrebbero, infatti, essere consentite specificamente
operazioni che, pur costituendo terreno di scontro di interessi diversi, sul
piano pratico risultino convenienti per il fondo.
Soltanto una gestione intelligente delle potenziali conflittualità di interessi
rilevabili in un fondo pensione, unitamente ad una equilibrata disciplina del
rischio, può contribuire al decollo dei fondi e a quell’effetto trainante
dell’intero mercato finanziario che da essi ci si aspetta.
CAPITOLO I
Il conflitto d’interessi nella rappresentanza
1. La rappresentanza nella lettera del Codice Civile-2. L’altruità dell’interesse da
perseguire quale presupposto della rappresentanza. Diverse teorie a confronto-3.
Riconoscere il conflitto d’interessi: rassegna dottrinaria-4. Il conflitto d’interessi alla
luce dell’esperienza giurisprudenziale-5. Il conflitto d’interessi nella rappresentanza
legale-6. Effetti del conflitto d’interessi-7. Il contratto con se stesso-8. Rappresentanza
senza potere.
1. La rappresentanza nella lettera del Codice Civile
L’istituto della rappresentanza offre un prezioso e celere supporto allo
svolgimento di relazioni e al compimento di atti nella società moderna.
Nella pratica attuale, sono innumerevoli gli esempi di gestione di affari e di
interessi attraverso rappresentanti legali e convenzionali, o a causa della
complessità dell’attività svolta, in special modo se a carattere
imprenditoriale, o per via dell’incapacità dei soggetti di manifestare di
persona la propria volontà; e ricco ne è il Codice Civile: i riferimenti allo
strumento della rappresentanza sono presenti ovunque, in tema di potestà
dei genitori, di tutela, di curatela fallimentare, in tema di funzionamento e
di organizzazione di persone giuridiche. Nonostante tale riconoscimento
sociale e legislativo, non è dato trovare nel Codice Civile alcuna
definizione di rappresentanza ma, tra le varie norme che dettano le linee
generali della disciplina dell’istituto, fondamentale è l’art. 1388 che, nella
lettura combinata con l’art. 1394, offre lo spunto di partenza alla nostra
riflessione. E’ proprio nell’articolo in questione, l’art. 1388 Cod. Civ., che
trova posto l’espressione “nell’ interesse del rappresentato”, chiave di
volta della nostra analisi: soltanto dopo averne compreso il significato e la
portata è possibile capire cosa sia un CONFLITTO DI INTERESSI. Detto
in altro modo, tale fattispecie va esaminata e identificata proprio
nell’ambito dell’istituto della rappresentanza; bisogna, infatti, ricordare che
mentre sotto il codice del 1865 non esisteva una norma che si occupasse del
conflitto d’interessi, il codice attuale prevede una norma generale, almeno
per la rappresentanza.
A tale proposito gli artt. 1388 e 1394 costituiscono, nella loro
complementarietà, il nostro riferimento normativo: l’art. 1394 Cod. Civ.,
infatti, sancendo l’annullabilità del contratto concluso dal rappresentante in
conflitto d’interessi con il rappresentato (se tale conflitto era conosciuto o
riconoscibile dal terzo), formula in modo analitico e negativo il principio
espresso in forma sintetica e positiva dall’art. 1388, il quale richiede l’agire
del rappresentante “nell’interesse del rappresentato” . Ma anche prima
dell’entrata in vigore del Codice Civile del 1942, forte si sviluppava il
dibattito in dottrina circa il peso da attribuire, nella rappresentanza,
all’interesse del dominus. Anzi, si trattava di un punto cruciale della teoria
dell’istituto attuandosi con esso la sostituzione di fronte ai terzi di un
soggetto (rappresentante) nell’attività giuridica di un altro (rappresentato o
dominus), ed essendo, quindi, elemento qualificante proprio l’altruità
dell’interesse da perseguire.
2. L’altruità dell’interesse da perseguire quale presupposto della
rappresentanza. Diverse teorie a confronto
Il rappresentante è titolare di una potestà, quella di spendere il nome altrui
(contemplatio domini): essa si risolve nella facoltà di dichiarare che l’atto è
compiuto a nome del rappresentato oltre che nel suo interesse, affinché
esso possa avere efficacia diretta nella sfera giuridica del dominus ex art.
1388 Cod. Civ.; il rappresentante ha anche il potere di formare la volontà
negoziale, eventualmente sulla base delle indicazioni fornite
dall’interessato. Trattandosi dell’esercizio di un diritto altrui, tale potere
non è libero ma è vincolato al costante perseguimento dell’altrui interesse,
con il quale, appunto, il rappresentante non deve mai entrare in conflitto. E’
questo, dunque, un potere-dovere: potere di esercitare il diritto altrui,
dovere di esercitarlo avendo sempre come finalità la realizzazione
dell’altrui interesse.
Il rappresentante è, quindi, “cooperatore del rappresentato” e la
rappresentanza attiene al modo in cui l’incarico affidato dal principale al
cooperatore deve essere svolto
1
: motivo ispiratore della condotta del
rappresentante sono la cura e la realizzazione esclusive dell’interesse del
principale
2
; se tale cura viene meno, il conflitto che ne nasce paralizza tutto
il rapporto rappresentativo
3
.
1
Cosi’ PUGLIATTI, S., Il conflitto d’interessi tra principale e rappresentante, in Studi sulla
rappresentanza, Milano, 1965, pagg. 40 a 54, secondo il quale la rappresentanza si realizza
nella sostituzione di un soggetto ad un altro, al fine di conseguirne lo scopo, nei confronti di una
terza persona. In questo atteggiamento il rappresentante è più che un semplice cooperatore, egli
è l’alter ego del principale in quanto pone in essere rapporti che vincolano direttamente
principale e terzo come se non ci fosse stata alcuna intermediazione.
2
L’HOLLANDER, H., Die gewillkurte stellvertretung, 1910, pag. 8, afferma che: “il
compimento del negozio giuridico rappresentativo avviene…nell’interesse del rappresentato”.
L’ASQUINI, A., Conflitto d’interessi tra il socio e la Società nelle deliberazioni di assemblee
di società per azioni, in Rivista di diritto commerciale, 1912, II, pagg. 654 a 659, con
riferimento alla rappresentanza legale, ribadisce la necessità che la rappresentanza si svolga
esclusivamente e rigorosamente nell’interesse dei rappresentati.
Il SOTGIA, S., Nullità di avallo e conflitto d’interessi nella rappresentanza, in Foro italiano,
1933, I, pag. 814, riconosce quale principio ispiratore della rappresentanza quello per cui il
conferimento viene effettuato solo nell’interesse di chi la conferisce, cioè il rappresentante deve
mirare, col proprio operato, all’interesse esclusivo del rappresentato. Cosi’ anche il
COBIANCHI, C.A., Sulla nullità degli atti compiuti dal mandatario nell’interesse proprio, in
Foro italiano, 1934, I, pag. 213, secondo il quale: “ la procura deve intendersi conferita al
procuratore perché egli agisca nell’interesse del conferente”.
Secondo il PUGLIATTI, S., Abuso di rappresentanza e conflitto d’interessi, in Studi sulla
rappresentanza, Milano, 1965, pagg. 268-269 e Il conflitto di interessi…, op. cit., “l’agire
nell’interesse del dominus” è un requisito della rappresentanza anche se è su un piano diverso
dal requisito dell’ “agire in nome del dominus”: senza la spendita del nome non vi è
rappresentanza, senza l’agire nell’interesse del dominus vi è potere rappresentativo ma
La costruzione teorica del PUGLIATTI si basa proprio sulla convinzione
che scopo caratterizzante dell’istituto della rappresentanza siano la
realizzazione e la cura dell’interesse esclusivo del rappresentato cosicché
tutto l’agire del rappresentante deve conformarsi a questo fine senza che
intervenga un suo proprio interesse: agire al fine di perseguire unicamente
l’interesse giuridico del rappresentato significa conformarsi alla sua
manifestazione di volontà. Il mandato in rem propriam o nell’interesse di
un terzo sono ammissibili proprio perché in linea con tale principio; è vero
che con questo tipo di mandati anche il mandatario o un terzo realizzano un
interesse proprio, ottenendo un vantaggio economico, ma è sempre un
interesse del mandante (che può consistere nel mantenimento di una
promessa, in un atto di liberalità o nell’adempimento di un’obbligazione
precedentemente assunta) a muovere tale vantaggio e a vivificarsi con la
creazione di quella situazione giuridica.
Parte della dottrina, guidata dal MINERVINI
4
, oppone a questa tesi
un’opinione contraria, alla luce della lettera del Codice Civile: è vero che in
ogni rapporto obbligatorio il debitore cura un interesse del creditore ma ciò
non significa che, ad esempio, il mandatario nell’adempiere al suo obbligo
di prestazione debba mirare esclusivamente a realizzare l’interesse del suo
esercitato illegittimamente. Cosi’ anche NEPPI, V., La rappresentanza nel diritto privato
moderno, Padova, 1930, n° 34, pagg.199-200: “ la cura dell’interesse altrui da parte del
rappresentante deve sempre essere presente, in piena luce, alla sua coscienza…, il
rappresentante, in quanto tale, non può prefiggersi altro obiettivo nella propria attività”.
Contra HUPKA, Die vollmacht, Leipzig, 1900, pagg. 286-287, secondo cui: “la cosciente cura
dell’interesse delle parti nella conclusione di un negozio giuridico non costituisce né un
requisito di validità del negozio giuridico come tale né un elemento essenziale della
rappresentanza”. Anche secondo il CARRARO, L., Il mandato ad alienare, Padova, 1947, la
cura dell’interesse altrui non sarebbe elemento essenziale della rappresentanza, mentre lo sono,
per l’imputabilità dell’atto compiuto dal rappresentante nella sfera giuridica del rappresentato, la
spendita del suo nome e l’esercizio dell’attività da parte del rappresentante nei limiti dei poteri
conferiti. Non si accenna alla cura dell’interesse del rappresentato neanche in SANTORO
PASSARELLI, F., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1970, e in STOLFI, G., Teoria
del negozio giuridico, Padova, 1961.
3
Il BETTI, E., Conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentato e sua influenza sulla
obbligazione cambiaria del rappresentato, in Rivista del diritto commerciale e del diritto
generale delle obbligazioni, 1926, XXIV, 2, pagg. 20 a 35, con riferimento alla sentenza della
Corte di Cassazione del 26 Aprile 1924 (relativa alla nullità dell’avallo prestato dal mandatario
generale, in nome del suo mandante, per l’emittente di una cambiale all’ordine dello stesso
mandatario in nome proprio), afferma che quando la rappresentanza è: “incongrua alla funzione
sua, appunto perché non disinteressata”, il conflitto d’interessi sottostante tra rappresentato e
rappresentante (che espone il rappresentato al pericolo di veder sopraffatto il proprio interesse
da quello del rappresentante) è causa d’invalidità, secondo la Corte, dell’obbligazione del
rappresentante.
4
MINERVINI, G., Il conflitto d’interessi tra rappresentante e rappresentato nella recente
codificazione, in Archivio giuridico, 1946 e Il mandato, la commissione, la spedizione, Torino,
1957.
mandante; è evidente che il mandatario, nel prestare l’attività dovuta
persegue la realizzazione anche di un suo proprio interesse (interesse ad
evitare le sanzioni dell’inadempimento e a conseguire un compenso per
l’attività svolta). Il rappresentante ha, comunque, un interesse (anche non
economico ma di consistenza morale o spirituale, si pensi all’affectio del
genitore esercente la potestà) al compimento dell’atto, interesse per lo più
potenziato ponendo a suo carico un obbligo di svolgimento (tale, per
esempio, la funzione del mandato) dell’attività rappresentativa: si può
quindi affermare che la volontà del rappresentante di compiere il negozio
rappresentativo è mossa dalla realizzazione di un suo interesse
5
.
Chiaramente una cosa è l’interesse allo svolgimento della attività
rappresentativa, altro è l’interesse tutelato dall’esercizio di tale attività;
l’Autore arriva alla conclusione che il dettato dell’art. 1388 Cod. Civ.,
riferendosi all’agire “nell’interesse del rappresentato”, richiede soltanto che
l’operato del rappresentante non sia in conflitto d’interessi col
rappresentato.
In altro significato, il rappresentante deve sempre agire nell’interesse del
rappresentato nel senso che l’atto posto in essere dal rappresentante sia
utiliter coeptum, cioè sia stato utilmente intrapreso; in quest’ottica la
nozione rilevante è quella di interesse obiettivo del rappresentato, che
spinge all’identificazione dell’agire nell’interesse del rappresentato con
l’utilità obiettiva del negozio rappresentativo: l’atto è nell’interesse del
rappresentato se in quelle circostanze il dominus, agendo da buon padre di
famiglia, l’avrebbe sicuramente in quel modo intrapreso
6
.
5
Anche secondo TORRENTE, A., In tema di conflitto d’interessi tra rappresentante e
rappresentato, in Giur. compl. Cass. Civ.,1954, I, pag. 364, il rappresentante non è mai
completamente disinteressato; un interesse, se non altro quello di evitare sanzioni per
l’inadempimento degli obblighi derivanti dal negozio, c’è sempre! E’ chiaro, pero’, che
l’interesse del rappresentante non ha il rilievo che assume l’interesse del rappresentato; il
vantaggio, positivo o negativo, che egli ricava è indiretto, sempre subordinato a quello del
rappresentato.
Cfr. D’IPPOLITO, S., e LOMEO, N., Il conflitto d’interessi nella rappresentanza, in Vita
notarile, 1965, pag. 153, che riscontrano la costante esistenza, nell’istituto della rappresentanza,
di un interesse del rappresentante, ma si tratta comunque del normale interesse ad adempiere ad
un proprio obbligo.
6
Il MINERVINI, Il conflitto…, op. cit., pag. 137, critica questa impostazione osservando che se
l’elemento qualificante del rapporto rappresentativo fosse l’utiliter coeptum, al di fuori della
negotiorum gestio, verrebbe meno la ragion d’essere di tutte le altre ipotesi del fenomeno
rappresentativo (rappresentanza legale e convenzionale); in particolare verrebbe meno la
rappresentanza convenzionale, uno degli strumenti più utili per lo svolgimento dell’attività
giuridica privata: spesso infatti accade che il rappresentato voglia che vengano conclusi negozi
che con l’interesse obiettivo rilevante sono in netto contrasto.
3. Riconoscere il conflitto d’interessi: rassegna dottrinaria
I risultati del dibattito di cui sopra sono diversi proprio perché differenti
sono le posizioni di partenza e il contesto giuridico all’interno del quale si
sono sviluppati.
Il PUGLIATTI
7
riconosce una situazione di conflitto, in linea con
l’opinione prima espressa, nello sviamento dal fine della rappresentanza
(cura e perseguimento esclusivi dell’interesse del rappresentato) dovuto
alla presenza di un interesse contrario del rappresentante che tende ad
escludere o totalmente o parzialmente quello del rappresentato: si tratta di
un vero e proprio impedimento al normale svolgimento del rapporto
rappresentativo
8
. D’interessi in conflitto si può parlare quando essi siano
tali da escludersi a vicenda, cioè quando sono sullo stesso piano e vanno in
direzioni opposte, ossia sono incompatibili: in sintesi, il conflitto consiste,
secondo l’Autore, in una “incompatibilità di forze contrastanti”
9
. Poiché il
7
PUGLIATTI, Il conflitto…, op. cit.
8
Secondo SOTGIA, Nullità d’avallo…, op. cit., pag. 814, un conflitto d’interessi è ravvisabile
ogni volta che l’operato del rappresentante non corrisponda alla tutela degli interessi del
rappresentato ma a quella dell’interesse esclusivo del rappresentante: ciò elimina il presupposto
essenziale della rappresentanza, determina uno svuotamento del suo contenuto e ne distrugge la
funzione.
TORRENTE, Conflitto…, op. cit., pag. 364, riconosce un conflitto d’interessi tra rappresentante
e rappresentato laddove l’attività del rappresentante sia posta in essere contro l’interesse del
rappresentato provocando un abuso, la deviazione dal fine per cui il potere rappresentativo fu
concesso. Ma è insufficiente ad integrare gli estremi del conflitto l’esercizio del potere anche
nell’interesse del rappresentante se tale esercizio non si volga contro quello del rappresentato:
occorre sganciare una volta per tutte l’idea del conflitto d’interessi da quella di un
rappresentante interessato, non è detto infatti che per non esservi conflitto il rappresentante
debba essere completamente disinteressato. Nel caso deciso dal Tribunale di Avellino con
sentenza del 13 Maggio 1953, il conflitto d’interessi è stato individuato nella contrapposizione
di due interessi contrastanti: quello del rappresentato-venditore, che ha l’interesse ad ottenere
dalla vendita il maggior prezzo possibile, e quello del compratore, che mira ad ottenere la cosa
con il minor sacrificio pecuniario possibile; nella situazione di specie, il rappresentante mira ad
avvantaggiare il compratore a causa di vincoli che a lui lo legano, quindi mira a perseguire un
interesse opposto a quello del da lui rappresentato.
9
Scrive il MORTARA, L., in Commentario del Codice e delle leggi di procedura civile, IV ed.,
II, n° 518, pag. 660: “l’esistenza di un interesse comune o concorrente in confronto di terzi non
è caso di conflitto; bisogna che vi sia vera inconciliabilità tra gli interessi dell’uno e quelli
dell’altro” (cioè del rappresentante e del rappresentato).
Così anche VENZI, G., in Note a Pacifici-Mazzoni, Istituzioni di diritto civile italiano, VII, p. 2,
Firenze, 1925, pagg. 201-202, il quale ribadisce l’attenzione a non confondere il conflitto con la
concorrenza d’interessi, riferendosi in particolare al padre che abbia un interesse nell’affare del
figlio: affinché si determini l’opposizione degli interessi, occorre che si tratti non di un interesse
qualunque ma di un interesse del padre antitetico a quello del figlio, in modo che il vantaggio
dell’una parte corrisponda al danno dell’altra.
Anche lo STOLFI, Teoria del negozio…, op. cit., pagg. 550-551, afferma che il conflitto:
“implica un movimento contemporaneo di diritti opposti”.
rappresentante non cura in modo esclusivo la realizzazione dell’interesse
del rappresentato, il conflitto che da tale sviamento scaturisce può risolversi
in un pericolo di danno per il rappresentato, cioè l’operato del
rappresentante in violazione delle finalità del rapporto rappresentativo può
provocare un danno al rappresentato
10
: generalmente, quindi, nei casi di
conflitto si verifica il binomio di effetti opposti pericolo di danno per il
rappresentato e vantaggio per il rappresentante
11
, anche se ciò non è
essenziale al concetto di conflitto (esso, infatti, può verificarsi anche
quando non vi sia un vantaggio per il rappresentante o per un terzo, e può
non esservi quando, invece, tale vantaggio si realizzi, come nel caso di
mandato in rem propriam). Gli interessi in conflitto possono essere
immediati, consistere in finalità prossime direttamente connesse al negozio:
in tal caso si parla di conflitto diretto, il quale determina un esercizio
illegittimo del potere rappresentativo ed ha come conseguenza un pericolo
di danno per il rappresentato, nonché la paralisi di tutto il rapporto
rappresentativo. Nel conflitto indiretto, invece, non esiste l’incompatibilità
obiettiva ed immediata delle posizioni dei soggetti del rapporto
rappresentativo, perciò esso è causa perturbatrice del rapporto soltanto se il
Secondo SOTGIA, Nullità d’avallo…, op. cit., pag. 813, conflitto d’interessi significa possibile
annientamento dell’interesse del rappresentato a favore del rappresentante. Esso determina
un’attività esplicata totalmente in contrasto con la volontà del rappresentato, perché dettata non
dalla procura ma da interessi personali del rappresentante, da sue determinazioni arbitrarie.
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n° 1057 del 21 Settembre 1963, in Dir. e giur.,
1964, pag. 318 e ss., riconosce che il conflitto d’interessi porta ad un abuso dei poteri relativi
alla procura, dovuto all’intento del rappresentante di soddisfare, con il contratto, un interesse
proprio in contrasto (anche solo potenziale) con l’interesse del rappresentato.
D’IPPOLITO e LOMEO, Conflitto…, op. cit., pagg. 154-155, ravvisano il sorgere di una
situazione di pericolo per l’interesse del dominus quando si manifesta un interesse personale del
rappresentante, diretto o indiretto, non giustificato dalla natura dell’atto (mandato in rem
propriam, ad es.) o da una manifestazione di volontà del rappresentato.
10
PEREGO, Spunti…, op. cit., pag. 1451, ribadisce che non è necessario che si sia verificato un
danno, basta che esso sia possibile. Il pericolo di danno sussiste quando il rappresentante può
trarre dal negozio che sta per concludere un’utilità personale diretta o indiretta (cioè favorendo
altri) a danno del rappresentato.
11
Il NAVARRINI, U., Delle società e delle associazioni commerciali nel Commentario al
Codice di Commercio, Milano, 1928, n° 353-bis, pag. 492, afferma che il conflitto d’interessi è
da ravvisarsi nella situazione in cui il vantaggio di una parte si risolva necessariamente in una
diminuzione di vantaggio per l’altra.
Anche MOSCO, L., Brevi considerazioni in materia di conflitto d’interessi tra rappresentante e
rappresentato, in Dir. e Giur., 1964, pag. 318 e ss., riconosce che la tutela dell’interesse
dell’uno non può avvenire senza il sacrificio dell’altro.
Così anche COSSU, C., La rappresentanza, in Giur. sist. civ. comm., fondata da Bigiavi, W.,
Torino, 1999, pagg. 2089-2093, che aderisce alla definizione tradizionale di conflitto d’interessi
tra rappresentante e rappresentato secondo la quale esso si verifica quando il rappresentante
persegua finalità in contrasto con quelle del rappresentato talché possa derivare un vantaggio o
un’utilità a lui o anche ad un terzo e correlativamente un danno, anche solo potenziale, al
rappresentato.
pericolo di danno ha intensità tale da produrre un ragionevole timore in una
persona di buon senso.
Altro elemento di rilievo è l’attualità del conflitto, che indica che il pericolo
di danno (e non necessariamente il danno) deve sussistere al momento della
conclusione del negozio e risultare da elementi già certi a quel momento, e
non da congetture sul futuro che potranno verificarsi oppure no
12
.
Essenziale è anche che il conflitto sia reale, effettivamente esistente al
momento della conclusione del negozio, e non apparente, insussistente ad
un attento esame della realtà.
La situazione di conflitto si verifica, se ricorrono gli elementi citati, sia
nell’ipotesi in cui il rappresentante curi un proprio interesse sia in quella in
cui egli curi l’interesse di un terzo, è infatti inconcepibile che l’unico
rappresentante possa curare gli interessi di entrambi i soggetti
contemporaneamente in modo esclusivo, ma dovrà trascurare o l’uno o
l’altro. Anche nel contratto con se stesso (art. 1395 Cod.Civ.) e nella
doppia rappresentanza il conflitto è l’unico limite insuperabile.
Il MINERVINI aggiunge, nella sua interpretazione dell’art. 1394 Cod.
Civ., che il legislatore considera viziato soltanto il negozio concluso dal
rappresentante contro l’interesse del rappresentato per un interesse proprio
(vera espressione di conflitto), e che viceversa non potrà considerarsi
viziato il negozio concluso dal rappresentante, sia pure scientemente,
contro l’interesse del rappresentato ove non concorra alcun interesse
giuridicamente rilevante del rappresentante stesso alla realizzazione del
negozio rappresentativo. Ciò che è importante al fine del verificarsi del
conflitto è proprio l’opposizione di due interessi contrastanti. Secondo
l’Autore due sono gli elementi coesistenti in una situazione di conflitto:
1) il negozio rappresentativo è difforme dall’interesse del rappresentato, e
2) realizza l’interesse del rappresentante. Ne deriva che il negozio
rappresentativo è concluso in conflitto d’interessi tra rappresentante e
rappresentato quando tale negozio sia atto a soddisfare un bisogno del
rappresentante e invece, per soddisfare il bisogno del rappresentato si
12
Così anche il MARRACINO, A., in Digesto italiano, voce: Patria potestà, XVIII, I, Milano-
Roma-Napoli, 1906-1910, n° 262, pag. 731: “il conflitto deve essere attuale, effettivo e reale
non semplicemente ipotetico, eventuale o possibile…(esso può essere) anche futuro, purché
prevedibile”.
MOSCO, Brevi considerazioni…, op. cit., pag. 320, afferma che per aversi un conflitto
d’interessi, il contrasto tra l’interesse del rappresentante e quello del rappresentato deve sempre
essere attuale, solo così l’interesse del rappresentato può essere pregiudicato; se si ammettesse
l’idea di un contrasto d’interessi anche solo potenziale, si farebbe riferimento ad un contrasto
che può esserci ma che può anche non esserci, in quanto non si troverebbero elementi sufficienti
a dimostrare che il rappresentante abbia tutelato un interesse e sacrificato l’altro. Quindi il
contrasto deve essere necessariamente sempre attuale, il danno può essere anche solo potenziale
(ecco perché si parla di pericolo di danno).
sarebbe dovuto stipulare un negozio diverso: il conflitto consiste nel
divario tra il negozio compiuto e quello che avrebbe dovuto essere
compiuto. Tra l’altro si evidenzia, in questa corrente di pensiero, come il
legislatore non abbia fatto menzione di alcun “danno” o “pericolo di
danno” quali elementi essenziali del concetto esaminato; elementi
considerati, invece, fondamentali nel dibattito antecedente all’entrata in
vigore del Codice del 1942 per configurare un’ipotesi di conflitto
giuridicamente rilevante.
La nozione di conflitto d’interessi, seppur variamente definita in dottrina,
viene dunque generalmente ricondotta ad una situazione di contrasto o di
concorrenza tra l’interesse del rappresentante e quello del rappresentato. In
particolare, alcuni autori tendono ad identificare il conflitto di interessi con
l’abuso di rappresentanza, di cui costituirebbe la vera e tipica figura: infatti,
il potere di rappresentanza esiste ma se ne abusa in quanto viene utilizzato
deviando dal fine per cui era stato concesso, viene, cioè, utilizzato contro
l’interesse da tutelare o comunque tenendolo in secondo piano rispetto ad
interessi alieni
13
.
13
PUGLIATTI, Abuso di rappresentanza…, op. cit.
Anche secondo MOSSA, L., Abuso della procura, in Riv. dir. comm., 1935, II, pag. 252 e ss.,
l’agire del rappresentante in conflitto d’interessi col rappresentato integra gli estremi dell’abuso
di rappresentanza: essa esiste come identità esteriore ma devia dal suo fine al servizio dello
scopo del rappresentante; il potere esiste ma se ne abusa, se ne fa un esercizio illegittimo
rispetto allo scopo per cui fu conferito, un esercizio per fini relativi ad un soggetto diverso da
quello nel cui interesse il potere fu concesso.