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Introduzione
I bicchieri semivuoti tintinnarono.
―Quando ci lascerete in pace?‖ chiese Morgado.
―Chi a chi?‖
―Voi gringos a noi messicani.‖
‖Mai. Siamo vicini. O te lo sei scordato?‖
―Neanche noi vi lasceremo in pace.‖
―We know.‖
―E allora?‖
―È come un matrimonio malriuscito. E senza possibilità di divorzio. Da qui all'eternità.‖
―Che fregatura.‖
Gabriel Trujillo Muñoz, Il banchetto dei corvi, 2002
Quando la linea di confine tra Messico e Stati Uniti venne definitivamente disegnata,
nel 1848, l'asimmetria tra i due mondi che pretendeva di separare risaltava già come
sua principale caratteristica. Oggi, non diversamente, «the U.S.-Mexican border es
una herida abierta where the Third World grates against the first and bleeds».
1
I rapporti tra il coloso del Norte ed il suo vicino meridionale sono sempre stati
complicati, oscillanti tra l'isolazonismo negligente e la cooperazione reticente.
Sebbene le relazioni tra i due paesi siano decisamente migliorate con la fine della
guerra fredda, i motivi di dissidio tra Washington e Città del Messico, unite da vincoli
economici, politici, sociali sempre più forti, non sono scomparsi. La gestione del
confine che i due paesi condividono rappresenta attualmente l'aspetto più
problematico delle relazioni tra Messico e Stati Uniti, segnate dalle spinose questioni
progressivamente affermatesi come fulcro dell'agenda politica bilaterale: il
narcotraffico e l'immigrazione illegale.
Dal 2006, lungo il confine messicano-americano, si va costruendo un muro che
pretende di separare i lavoratori in cerca di impiego da chi è disposto ad assumerli, e i
venditori di narcotici dagli acquirenti ansiosi di comprarli. Ciò che rende
particolarmente peculiare questa barriera è il suo sorgere nel bel mezzo di una regione
dinamica, estesa su territorio sia messicano che statunitense dalle caratteristiche
proprie e profondamente distinta dai due paesi. Caratterizzata da una popolazione in
forte crescita —i 12 milioni di abitanti raddoppieranno, secondo le stime attuali,
1
Gloria Anzaldúa, Borderlands/La Frontera. The New Mestiza, Aunt Lute Books, San Francisco, 2007,
p. 25
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intorno al 2025— un'intensa integrazione economica e commerciale, un'interazione
continua tra le due sponde —annualmente il confine viene attraversato legalmente
circa 250 milioni di volte,
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specialmente in corrispondenza delle quindici ―twin cities‖
che si sviluppano lungo tutto il confine, intersecandolo in una relazione simbiotica.
«The symbiotic relationships shared by the many pairs of border towns,
such as El Paso and Ciudad Juarez or Calexico and Mexicali, are born of
necessity. The cities couple like reluctant lovers in the night, embracing for
fear that letting go could only be worse.»
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Tale dinamismo è stato ulteriormente accentuato dall'entrata in vigore, nel 1994, del
North America Free Trade Agreement (NAFTA), a seguito del quale il volume del
traffico commerciale transfrontaliero è, a quindici anni di distanza, più che
raddoppiato.
Tuttavia, contemporaneamente alla facilitazione dei flussi ―desiderabili‖ di
beni, di capitali, di servizi, venivano erette nuove barriere ai flussi ―indesiderabili‖ di
migranti illegali e di narcotici, percepiti sempre di più come minacce alla sicurezza
nazionale. Il muro nasce dunque da una tensione tra le forze economiche
transnazionali e le reazioni suscitate dai movimenti che esse mettono in moto, da una
contraddizione che in alcune occasioni si è apertamente manifestata nella stessa
realizzazione materiale della barriera, costruita proprio per mano di coloro che si
proponeva di mantenere fuori: i migranti irregolari.
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La traiettoria paradossale rappresentata da questa strategia biforcuta di
apertura al lecito e chiusura all'illecito ha raggiunto un punto di frizione massimo con
l'ansia securitaria generatasi nel periodo successivo all'11 settembre 2001. A seguito
degli attacchi terroristici, sebbene nessuno dei perpetratori degli attentati l'avesse
effettivamente attraversato, il confine meridionale degli Stati Uniti è stato
prontamente individuato come punto debole della sicurezza nazionale e si è visto
travolgere da un'enfasi e da un senso di urgenza senza precedenti.
2
informazioni tratte dal sito della United States-México Border Health Commission,
http://www.borderhealth.org/border_region.php
3
Tom Miller, On the Border: Portraits of America's Southwestern Frontier, Tucson, Arizona, 1981, p.
11-12
4
Joe Richey, La pared que nos divide, in «Expansión», 1-13 settembre 2009, pag. 63
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Il presente lavoro si propone di analizzare la tensione in vigore attualmente sul
confine tra lo smantellamento e la costruzione di barriere, pratiche spesso
intimamente interconnesse tra loro ed alimentate dagli stessi meccanismi della
globalizzazione, schiacciate tra pressioni economiche transnazionali e reazioni
politiche nazionali
Con il primo capitolo ci si propone di ripercorrere le fasi salienti del processo di
costruzione del confine, dalle travagliate vicende della guerra del 1846-48, che si
concluse con la cessione messicana di un terzo di territorio agli Stati Uniti, e gli
strascichi conflittuali che ne conseguirono, fino alla traiettoria di fortificazione in
intrapresa alla fine degli anni '60. Quella della frontiera è una realtà sociale costruita
storicamente tanto dalla sua pretesa dello Stato di affermare il confine della propria
sovranità, attraverso il mantenimento di una linea divisoria e la predisposizione dei
criteri per l'accesso legittimo al proprio territorio, quanto dalla prassi individuale del
suo attraversamento, secondo pratiche che talvolta valicano i confini della legalità.
Questa dialettica rappresenta una costante che ha accompagnato l'intero processo
storico e geografico che ha reso la divisione territoriale sancita dal confine e le
pratiche sociali ad essa correlate un fatto normale, non problematico. La novità
risiede piuttosto nel fatto che a partire dagli anni '70 le questioni considerate cruciali
nell'economia della frontiera —l'immigrazione ed il narcotraffico— hanno
progressivamente acquisito una rilevanza prioritaria, alimentando un'escalation nella
fortificazione del confine, divenuta particolarmente stridente vent'anni più tardi, con
il parallelo approfondirsi dell'integrazione economica.
La risposta al dilemma posto da un confine che si pretendeva
contemporaneamente membrana permeabile e barriera impenetrabile venne
individuata nella costruzione di un ―muro intelligente‖, di cui la barriera fisica
rappresentava la componente più visibile, che fosse capace grazie a soluzioni
altamente tecnologiche di discriminare tra attraversamenti illeciti e non, funzionando
da filtro. L'attuazione del progetto del muro virtuale, momento culminante di una
lunga traiettoria di politiche di controllo del confine, costituisce l'oggetto del secondo
capitolo, che tenterà di tracciare un bilancio della misura in termini di obiettivi
prefissati e risultati ottenuti.
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Muovendo dalle conseguenze negative generate dalle recenti politiche di
border enforcement, spesso non riducibili al rango di esternalità negative o effetti
collaterali ma piuttosto veri e propri risultati controproducenti e assolutamente
divergenti rispetto agli espliciti scopi delle politiche, si tenterà, nel terzo capitolo, di
delineare alcuni aspetti che potrebbero mettere in luce alcuni risvolti diversamente
razionali della riconfigurazione del confine. Innanzitutto, si tenterà di
problematizzare il termine ―illegal alien‖ (immigrato illegale o clandestino), spesso
utilizzato nel discorso politico per designare una condizione sociale fissa, razzializzata
e spazializzata, sottolineandone al contrario il carattere contingente e definibile
soltanto a partire da una relazione specifica con la produzione legislativa. Particolare
attenzione verrà prestata poi alle costruzioni discorsive e alle trame narrative
utilizzate per descrivere l'immigrazione in generale e i migranti messicani sui mezzi di
comunicazione e nel dibattito pubblico, che hanno costituito lo sfondo del processo di
securitizzazione delle problematiche relative al narcotraffico e all'immigrazione. Il
vocabolario utilizzato nel discorso politico, oggetto oltre che soggetto delle strategie
degli attori politici, contribuisce a plasmare i termini attraverso cui determinati temi
vengono intesi, giocando perciò un ruolo fondamentale nel processo di formulazione
delle politiche.
La seconda parte del terzo capitolo prenderà infine in considerazione l'arena in
cui prendono forma le politiche migratorie, articolata da interessi organizzati e attori
politici che, interagendo secondo logiche clientelari e dinamiche elettorali, si
ricombinano in coalizioni strategiche atipiche. Il processo di policymaking, oltre che
dal campo di forze sotteso all'elaborazione delle politiche migratorie, è notevolmente
complicato dallo scarto tra l'ottica limitata, nazionale, dello Stato e la portata
transnazionale dei problemi che si intendono affrontare. Come si vedrà, da ciò
risulta, nel tentativo di equilibrare interessi divergenti, una strategia di mediazione
che spesso comprende un'importante dimensione simbolica. In questa prospettiva il
confine assume il ruolo di un palcoscenico dove proiettare un'immagine di controllo,
dove affermare in modo inequivoco il potere dello Stato e sottolineare visibilmente i
confini della sovranità nazionale.