2
Qualora invece effettuassimo una lettura storica degli eventi,
probabilmente ci accorgeremmo che una mafia “buona” non è mai
esistita.
È perciò uno sforzo storiografico quello che può contribuire a
riportare alla realtà ciò che è spesso immaginazione, amplificata e
moltiplicata tanto da entrare nell‟immaginario collettivo anche a
livello mediatico.
A tale proposito si deve riconoscere che alla costruzione del
mito della mafia hanno spesso contribuito, sia pure involontariamente,
la cultura e l‟arte, anche ad alto livello. Uno degli scrittori più letti del
1800, il francese Alessandro Dumas, con il romanzo “Pasquale
Bruno” (edizioni del 1838-1842), ambientato nella Sicilia dei primi
decenni di quel secolo, creava una rappresentazione del bandito
“buono”, che toglieva ai ricchi per dare ai poveri. Era una
rappresentazione destinata a durare a lungo: siamo alle origini di un
tòpos che per molti aspetti arriva fin quasi ai nostri giorni.
Vale per questo la pena citare un brano del “Pasquale Bruno”:
“in Paesi come la Spagna e l‟Italia, dove la cattiva organizzazione
3
della società porta sempre a respingere e mantenere in basso chi è
nato in basso, e dove l‟anima non riesce a mettere le ali per sollevare
il corpo, possedere uno spirito elevato per chi ha la nascita oscura è
una disgrazia, una maledizione. Si comincia con lo sperare e si finisce
col maledire. Allora chi si trova in quelle condizioni si ribella contro
questa società nella quale Dio ha fatto una divisione in due parti
cieche, il benessere per gli uni, e le sofferenze per gli altri. E
reagendo contro questa ingiustizia divina, decide di farsi da se stesso
difensore del debole e nemico del potente. Ecco perché il bandito
spagnolo e quello italiano sono figure così poetiche e così popolari:
perché quasi sempre è stato un gran dolore che li ha spinti a farsi
banditi. E per conseguenza il loro pugnale e la loro carabina cercano
di ristabilire l‟equilibrio divino falsato dalle istituzioni umane 1”.
Le considerazioni suesposte mettono in risalto una forma di
religiosità rudimentale e formalistica, che rivestiva i briganti di una
patina cavalleresca, e che si sarebbe perpetuata fino a società criminali
più recenti, come si può osservare nell‟abbondante iconografia dei
1
A. DUMAS, “Pasquale Bruno”, con traduzione e note di G.Celona, Tipolito Lo Presti, Messina,
1988, p.62
4
funerali religiosi di capimafia, specie nei primi anni del secondo
dopoguerra.
Non si può, inoltre, non fare riferimento a quel personaggio che
insanguinò la Sicilia negli anni aspri e magmatici del secondo
dopoguerra (1943-1950), e che risponde al nome di Salvatore
Giuliano2, le cui gesta acquistarono grande popolarità anche fuori
dell‟isola, tanto da essere raccontate anche dai cantastorie. Con
Giuliano, si può dire di essere alla fase finale della costruzione
romantica e ottocentesca del bandito buono, una mitologia assunta
dalla subcultura mafiosa in chiave auto giustificativa. Operazione
suggestiva sul piano letterario, con forti ricadute sull‟immaginario
collettivo, ma fonte di gravi equivoci rispetto alla nuda e cruda realtà
storica.
Nella tradizione calabrese le origini sono ancora più
leggendarie: l‟”onorata società”, costituita per difendere il debole e
discacciare il forte, sarebbe stata fondata da tre nobili cavalieri
2
Montelepre, 16 novembre 1922 – Castelvetrano, 5 luglio 1950, bandito e indipendentista
siciliano, capo di un gruppo di separatisti le cui gesta ebbero luogo a partire dalla fine della
seconda guerra mondiale. Si veda il volumetto di RENDA, “Salvatore Giuliano. Una biografia
storica”, Sellerio, Palermo 2002.
5
spagnoli, Osso, Mastrosso e Carcagnosso, nell‟isola di Favignana, al
largo della Sicilia. Qui si è, chiaramente, nella leggenda, con valenze
addirittura nobilitanti3. Lo stesso termine dialettale calabrese che
indica l‟associazione mafiosa, ha valenza semantica positiva:
„ndrangheta deriva dal greco andràgathos, e significa “uomo valente,
coraggioso”. È significativo anche ricordare che nella comune parlata
Calabrese fino a qualche decennio fa, dire di una persona che “è della
„ndrangheta”, non aveva un significato negativo, bensì significava
appartenere alla categoria degli scaltri, di quelli che non si lasciano
calpestare, né infastidire.
Tale leggenda cavalleresca calabrese accomunava le tre
famiglie criminali, perché da Osso, Mastrosso e Carcagnosso sarebbe
scaturita una tripartizione in Mafia, Camorra e „Ndrangheta, tre
sorelle carnali che, pur memori delle comuni origini, avrebbero avuto
competenze territoriali diverse: Sicilia, Napoli, Calabria.
Più si va indietro nel tempo, quindi, più la mafia diviene
3
Su questa leggenda: FALCONE, “Strutture organizzative, rituali e Baccagghiu della
„ndrangheta”, in AA.VV. Mafia e potere. Società civile, organizzazione mafiosa ed esercizio dei
poteri nel Mezzogiorno contemporaneo, a cura di Di Bella, Rubettino, Soveria Manelli, 1983,
Vol.1, 253-274.
6
impalpabile e mitica, rispetto ad una macroscopica e ben determinata
realtà storica. Per questo motivo la storiografia più recente ha puntato
decisamente il dito sugli anni 1861-1865 per individuare il concreto
inizio della mafia in quanto tale4, a fronte invece di un‟altra più datata,
tendente a spostare indietro anche di molto le lancette della storia5.
Tra gli argomenti più convincenti a favore della prima ricostruzione
storica, va ricordato soprattutto che i termini mafia e „ndrangheta
praticamente non erano in uso nella comune parlata prima dell‟Unità
d‟Italia6.
L‟aver individuato la genesi del fenomeno significa dunque
aver contribuito ad una sua più concreta storicizzazione, ma ancora
4
RENDA, “Storia della mafia”, Sigma, 2° edizione, Palermo, 1998: “il passaggio dalla preistoria
alla storia della genesi mafiosa avviene dopo il 1860 (…). [Il 1865] è da assumere come una data
segnatempo. Prima si ha il periodo di incubazione della mafia; poi, si ha il periodo dell‟inizio
vitale (…). Nel caso della mafia, il passaggio da una fase all‟altra non è così lineare (p. 42). “Tale
accumulo improvviso di problemi economici, sociali, politici, ideologici, morali, si condensò in
modo tale che dalla sua esplosione nacque una cosa ed un nome che prima in Sicilia non c‟erano
mai stati” (p.43) (cfr. F. Renda, Storia della mafia, cit., pp. 37-68.).
5
MACK SMITH, “Storia della Sicilia Medievale e moderna”, Laterza, Bari 1970: l‟autore tende a
retrodatare le origini della mafia almeno fino al „500. MINNA, “Breve storia della mafia”, editori
riuniti, 1984: l‟autore afferma che la risposta alla domanda sulle origini della mafia va ricercata
nel feudo, ed in particolare nei “gabellotti”. Costoro erano i discendenti dei “servi” del feudatario,
un gruppo sociale nuovo nelle campagne siciliane del primo Ottocento, i quali, con il passare del
tempo, e con l‟accrescersi del loro potere economico e “militare”, garantivano la sicurezza ad
alcune comunità locali, previo pagamento di una congrua somma, o stipulavano “accordi” con i
briganti al fine di compiere razzie contro questo o quel feudatario o proprietario terriero.
6
Il termine mafia è apparso per la prima volta nel 1862-1863, quando venne rappresentata, con
larghissimo successo, la commedia scritta da Giuseppe Rizzotto :“I Mafiusi di la Vicaria”, a
Palermo, dove esisteva appunto il carcere della “Vicaria”.
7
non significa aver sanato la scissione tra stereotipi e realtà storica. La
Mafia, da agraria e territorialmente limitata quale era dopo l‟Unità, si
è evoluta e diffusa anche fuori d‟Europa, fino a diventare, oramai, una
sorta di multinazionale del crimine.
A tutto ciò ha contribuito fortemente il connubio tra
gangsterismo americano e mafia siciliana, amplificato sul piano
letterario e mediatico grazie soprattutto al cinema7, il quale ha
contribuito a creare degli stereotipi presenti nell‟immaginario
collettivo, rappresentanti il mito dell‟inafferrabilità e quasi
onnipotenza della mafia stessa. Si tratta di una mentalità devastante,
che bisogna contrastare e combattere in tutti i modi, anche con quella
che è forse una delle migliori armi: la storia, uno degli strumenti più
utili a sfatare miti e leggende.
La storia della mafia è una “storia italiana”, appartiene
essenzialmente alla storia del nostro Paese. Prima ci si renderà conto
e si metabolizzerà questa verità storica, prima crescerà la coscienza
e la capacità di impegno civile di ogni cittadino8.
7
La saga de “Il Padrino” del regista americano F.F.Coppola è un capolavoro nel suo genere.
8
Sindoni, docente di storia moderna, università di Messina.
8
CAPITOLO PRIMO
IL RICONOSCIMENTO GIURIDICO DELLA MAFIA:
DAL/¶$57416 AL/¶$57 416 - BIS
1 Art. 416 c.p.: associazione per delinquere.
³Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere
più delitti [305, 306], coloro che promuovono o costituiscono od
organizzano l'associazione sono puniti, perciò solo, con la reclusione da
tre a sette anni.
Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della
reclusione da uno a cinque anni.
I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
Se gli associati scorrono di armi per le campagne o le pubbliche
vie, si applica la reclusione da cinque a quindici anni.
La pena è aumentata se il numero degli associati e dieci o più [32
quater].