6
2.Le ragioni della scelta del modello unitario
E’ necessario premettere che i compilatori del Codice Penale del 1930 attualmente vigente, non
senza polemiche a livello dottrinario, scelsero il modello unitario; più precisamente dobbiamo di re
che tale scelta fu accompagnata da due fondamentali postulati:1)accettazione di una concezione
restrittiva di autore2)riconoscimento di una concezione estensiva della punibilità.
Infatti, nonostante le insistite e, per certi aspetti, fondate critiche basate sull'accentuazione del ruolo
creativo della giurisprudenza, adottando il modello unitario, e del maggior rispetto del principio
della determinatezza della fattispecie, adottando il modello differenziato, le ragioni che spinsero i
compilatori del codice a preferire il modello unitario furono di natura dogmatica, politico-criminale,
e pratica.
Sotto il profilo dogmatico si osservò che il criterio di una eguale responsabilità per tutte le persone
che sono concorse nel reato è in diretta dipendenza del principio che si è accolto nel regolare il
concorso di cause nella produzione dell’evento, in forza del quale tutte le condizioni che
concorrono a produrre l’evento sono causa di esso.
Sotto il profilo politico-criminale indubbiamente fortissime furono le influenze del regime fascista
allora imperante. Infatti vennero richiamate late esigenze di difesa sociale per giustificare un
generale inasprimento delle pene, che nella disciplina del concorso di persone nel reato trova
esplicita conferma.
Sotto il profilo pratico si notarono le insuperabili difficoltà create dal modello differenziato adottato
dal Codice Zanardelli; infatti il prestabilire i diversi ruoli e, in conseguenza di ciò, i diversi apporti
dei concorrenti dava luogo ad una insostenibile arbitrarietà. Inoltre, sotto il profilo comparatistico,
in paesi come la Germania Occidentale esigenze di semplificazione probatoria hanno dettato una
scelta di tale tipo.
7
3.Il fondamento della punibilità del concorso
Si ha concorso di persone nel reato (societas sceleris) quando più persone producono un’azione od
una omissione prevista dalla legge come reato che ,potenzialmente, può essere commessa anche da
un solo soggetto agente. Il fenomeno in questione viene chiamato concorso eventuale per
distinguerlo dal concorso necessario ove è la stessa legge che richiede una pluralità di agenti per
l’esistenza del reato (ad esempio il duello).La dottrina più moderna ha chiamato tali reati col nome
di reati plurisoggettivi per distinguerli dai reati monosoggettivi che prevedono soltanto una forma
eventuale di realizzazione plurisoggettiva di un reato originariamente concepito in astratto come
monosoggettivo.
Relativamente al fondamento politico-sostanziale della punibilità a titolo di concorso bisogna
prendere in considerazione il fatto che all’uomo vanno imputati non solo i risultati della sua
condotta, ma anche quelli causati con il concorso di forze esterne, umane o naturali, altre rispetto
alle proprie, ma che l’agente ha calcolato e considerato nel perseguimento dei suoi obbiettivi. In tali
casi la societas sceleris si origina dalla necessità e dalla opportunità dettata dal caso concreto di
unire le proprie forze e dividere i compiti per realizzare, o facilitare la realizzazione di imprese
criminose individualmente difficilmente realizzabili.
Da questo punto di vista le condotte criminose appaiono tutte dirette ad un medesimo risultato e,
integrandosi vicendevolmente perdono la loro individualità per divenire un tassello di un progetto
unico e comune. Come parte di un tutto, quindi, appartengono non solo a chi materialmente le ha
poste in essere ma anche, senza alcuna differenziazione, ad ogni altro concorrente, che ne
risponderà per intero come di un fatto proprio. Quanto al fondamento tecnico-formale il problema
sorge allorchè si considera che le fattispecie incriminatrici sono costruite sul modello dell’autore
individuale
.Negli ordinamenti a legalità sostanziale la punibilità dei concorrenti non ha bisogno di essere
espressamente prevista ma si ricava sulla c.d. concezione estensiva dell’autore. Tale tesi è fondata
8
su una equivalenza ontologica di tutte le condotte causali per cui devono considerarsi autori tutti
coloro che hanno cooperato a realizzare l’evento.
Negli ordinamenti a legalità formale la punibilità dei concorrenti deve essere espressamente
prevista; vale, infatti, la c.d. concezione restrittiva dell’autore per cui è tale solo colui che pone in
essere la fattispecie tipica in tutti i suoi momenti costitutivi, e non chi in qualche modo contribuisce
alla realizzazione del reato. I vari ordinamenti penali prevedono una norma generale incriminatrice
del concorso con cui si tipizzano e si rendono punibili azioni non sussumibili dalla fattispecie di
parte speciale. Nell’ordinamento penale italiano tale funzione estensiva è assolta da una norma
contenuta, ovviamente, nella parte generale del codice ,cioè l’art.110 il quale così recita: ”Quando
più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo
stabilita”.
3.1 I diversi indirizzi per la spiegazione della disciplina concorsuale
Nell’ambito della dottrina italiana sono tre le teorie utilizzate per spiegare tecnicamente la punibilità
del concorso: A)dell’equivalenza causale; B)dell’accesorietà; C)della fattispecie plurisoggettiva
eventuale.
Pressochè abbandonata è la teoria causale accolta peraltro nel Progetto definitivo del Codice Penale.
Essa fonda il concorso sulla equivalenza causale delle condizioni concorrenti, ossia: ogni persona
che contribuisce a produrre un evento considerato unico e indivisibile, lo produce nella sua totalità,
e perciò questo andrebbe imputato integralmente a ognuno dei concorrenti. A questa teoria è facile
obbiettare che contrasta con i principi fondamentali del nostro ordinamento penale; in particolare
con il principio di tipicità, il quale, se tale teoria fosse accettata, sarebbe disatteso stante il fatto che
il nostro ordinamento è a legalità formale, e non sostanziale come, invece, richiederebbe la suddetta
teoria.
9
Altra teoria è quella della accessorietà sorta in Germania e dominante per lungo tempo
incontrastatamente. Per essa la norma sul concorso estenderebbe la tipicità della condotta
principale, descritta nella norma di parte speciale, alle condotte accessorie dei compartecipi, cioè in
sé atipiche. Quindi il semplice partecipe risponde del reato a titolo di concorso in quanto la sua
condotta atipica accede, aderisce alla condotta tipica dell’autore, dal quale “trae” la sua rilevanza
penale. E’ evidente che non può sussistere la compartecipazione criminosa senza una condotta
principale, o meglio, tipica, senza cioè che un soggetto ponga in essere una condotta in sè capace di
integrare gli estremi di una fattispecie di parte speciale. Proprio dalla “relazione di dipendenza” tra
condotta atipica e reato commesso dall’autore, tali condotte (atipiche) troverebbero il fondamento
della loro incriminazione.
Tale tesi ha il merito di avere evidenziato che, per l’incriminazione a titolo di concorso, non è
sufficiente il mero apporto causale, ma occorre una integrazione tra la fattispecie di parte speciale
con la fattispecie generale relativa al concorso. Tuttavia non si può mancare di sottolineare che tale
tesi si espone ad almeno un duplice ordine di insuperabili critiche. Innanzi tutto non riesce a
giustificare la punibilità dei compartecipi nei casi di c.d. esecuzione frazionata in cui nessuno da
solo realizza per intero l’azione tipica, ma ognuno ne compie una frazione soltanto, per cui
solamente l’insieme di tali condotte frazionate dà luogo alla fattispecie di reato.
In secondo luogo tale teoria è inappropriata per giustificare la punibilità dei concorrenti nel reato
proprio, ove la condotta materiale è posta in essere dell’extraneus, dato che l’autore della condotta
tipica non può che essere l’intraneus, cioè il soggetto dotato della qualifica soggettiva. Tali
problemi sono superati dalla più recente teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale, in base
alla quale dall’incontro della norma generale sul concorso con la norma incriminatrice diparte
speciale si origina, nasce una nuova fattispecie plurisoggettiva, autonoma e distinta da quella
monosoggettiva ,avente una sua “ nuova tipicità”: la fattispecie del concorso di persone nel reato.
Ed è in relazione a tale fattispecie che si valuta se la condotta di ogni concorrente è, o meno, tipica
.La responsabilità dei concorrenti con condotta atipica non è più basata sulla relazione di
10
dipendenza dalla condotta tipica dell’autore ( come invece è richiesto dalla teoria della
accessorietà), ma dal convergere dei contributi di ogni concorrente nella realizzazione del fatto
tipico. E’ evidente, da questo punto di vista, che non è piè necessaria la presenza di una condotta
tipica o principale in quanto ogni azione, ogni contributo, ogni condotta del compartecipe si rivela
tipica rispetto alla nuova tipicità creata dal “fondersi” della norma generale sul concorso con la
singola fattispecie di parte speciale. In tal senso trovano una convincente spiegazione tanto i casi di
esecuzione frazionata, quanto i casi di reato proprio in cui la condotta esecutiva principale è
commessa dal soggetto privo della qualifica soggettiva (extraneus).
Rimane, però, essenziale una analisi strutturale delle disposizioni incriminatrici di parte speciale per
valutare ove tale integrazione sia ammissibile. Per completezza va segnalata una particolare
“evoluzione” della teoria suddetta. Infatti secondo il Pagliaro dall’unione dell’articolo 110 con la
fattispecie di parte speciale non si originerebbe una sola fattispecie plurisoggettiva, ma tante
fattispecie plurisoggettive differenziate quanti sono i concorrenti che collaborano alla realizzazione
del reato. In particolare tali diverse fattispecie hanno in comune il medesimo nucleo del fatto
materiale, ma si distinguono tra loro per l’elemento soggettivo e per taluni aspetti esteriori.
11
Capitolo 2. L’associazione a delinquere
1.La storia del fenomeno associativo
Una delle prime sensazioni che si hanno nell’analisi di un fenomeno complesso come quello
associativo è quella di una materia in cui le esigenze di natura sistematica hanno, spesso, lasciato il
passo a esigenze di natura politico-criminale.
Il Codice Rocco, infatti, offre una straordinaria ed esasperata proliferazione dei reati associativi. Del
resto già a partire dal 1925 si registra una intensa attività legislativa creatrice di sconosciute
fattispecie di reato, al fine di sanzionare comportamenti attinenti alla sfera di manifestazione del
pensiero e riconducibili a forme di dissenso ideologico.
La ragione di tali scelte politico-legislative è da ricercarsi nella concezione hegeliana dello Stato
etico che, in coerenza con scelte autoritarie e illiberali, vieta ogni disobbedienza al comando tanto
più se manifestata in forma asssociata. Conseguentemente, innanzi ad un regime che occupa
pesantemente ogni spazio della società con certosina abnegazione, la repressione della criminalità
organizzata comune assume un ruolo secondario tanto da essere affidata ,sul piano normativo, alla
sola disposizione di cui all’art.416,rendendo difficile, tale regime, la formazione di gruppi
delinquenziali caratterizzati da una presenza continuativa e stabile nel territorio.
Con l’avvento della repubblica il mutamento delle condizioni politiche fa s“ che nascano nuove
esigenze di tutela: il nuovo Stato democratico e liberale pone come fondamento delle sue istituzioni
la Costituzione del ‘48.
Infatti alle tradizionali fattispecie di partecipazione delittuosa, recanti un indelebile stampo di natura
autoritaria e in via teorica incompatibili con un ordinamento liberale, il legislatore inserisce “infelici
inserzioni” volte a proibire la ricostituzione del partito fascista e le associazioni aventi fini
destabilizzanti.
12
Il legislatore cerca ,quindi, di colpire le svariate forme associative attraverso una minuziosa e
continua proliferazione delle ipotesi delittuose. Ciononostante, le norme penali volute dal regime
fascista rimangono perlopiù in vigore, e coesistono, non senza problemi, con le norme in cui si
affermano i nuovi valori di libertà.
Successivamente la stagione del terrorismo e dell’eversione impongono un argine alla criminalità
intesa come fenomeno ancora del tutto politico; ma dagli anni ‘80 in poi comincia a proporsi con
inusitata violenza il problema della delinquenza comune tale da indurre, anche a causa delle
pressioni dell’opinione pubblica, una tendenza legislativa favorevole alla specificazione normativa
dei nuovi poteri criminali.
L’emersione di tali nuove associazioni produrrà un diverso e nuovo modo di accostarsi alle
fattispecie incriminatrici del Codice Penale. Da questo punto di vista il fenomeno criminale mafioso
rappresenta un esempio assoluto di come la giurisprudenza, accostandosi a tale nuova tendenza,
esalti il suo ruolo creativo, facilitata dalla astrattezza delle norme associative.
Essa interpreta il suo ruolo “come quello di un potere che supplisce i ritardi e le manchevolezze
della legge con una esasperazione connessa al clima di eccezionalità belligerante, divenendo in tal
modo la protagonista assoluta dell’esegesi della legislazione penale e cosa di inaudita gravità, della
sua evoluzione.
13
1.2.Tecniche di tutela penale nell’associazione a delinquere
Nell’analisi delle fattispecie associative quello che notiamo immediatamente è una avversione verso
il principio della tassatività della fattispecie penale, della sua necessaria offensività e della
sussidiarietà della tutela penale.
Infatti le fattispecie anzidette contengono spesso rinvii a nozioni sociologiche avulse da elementi di
carattere strettamente normativo, risultando, in tal modo, un eccezionale strumento modulabile a
piacimento della pubblica accusa, senza però che sia garante del rispetto dei principi di un moderno
Stato di diritto.
Più precisamente possiamo dire che la fattispecie dell’associazione a delinquere è “tanto più gonfia
e succosa nella vita sociale, quanto più sfuggente e umbratile in sede processuale ove il deficit di
tipicità finisce per condizionarne la vulnerabilità probatoria”.
La dottrina è così costretta a offrire sostegni dogmatici a delle norme che sentono con maggiore
intensità il richiamo delle nozioni storiografiche o ancor peggio, sociologiche piuttosto che a precisi
e stringenti concetti giuridici. La normativa relativa alla associazione a delinquere risulta
assolutamente scoperta sul piano della tassatività sia sotto il profilo della struttura della norma, sia
sotto il profilo dell’individuazione dei beni protetti. Ma non basta! Infatti alla indeterminatezza
suddetta si aggiunge una colpevole disattenzione verso il principio di offensività, non
comprendendosi il tipo di lesione, reale o potenziale, ad un bene intangibile quale l’ordine pubblico.
Appare, così, chiara la preclusione di controlli di tipo causalistico a vantaggio di più facili
scorciatoie probatorie fondate su aprioristiche definizioni; siamo probabilmente innanzi ad una
legislazione che ha il solo fine di offrire alla magistratura inquirente uno strumento duttile per
colpire comportamenti prodromici alla realizzazione di un delitto.
Testimonianza di tutto ciò è un “naturale” accantonamento del principio della personalità della
responsabilità penale, in cui è l’aberrante concetto del tipo d’autore a definire il comportamento
14
dell’associato, coinvolgendo nella repressione dell’associazione condotte di dubbia rilevanza
penale.
2. La nozione di associazione per delinquere. Differenze con l’art. 110 c.p.
Il delitto di cui all’art.416 si verifica “quando tre o più persone si associano allo scopo di
commettere più delitti. Coloro che partecipano all’associazione sono per ciò solo puniti”.
La ratio di tale norma risulta evidente: la presenza di un’associazione a delinquere suscita un forte
allarme sociale e di per sè in grado di turbare l’ordine pubblico. Affinchè si verifichi tale delitto è
necessaria la sussistenza di alcuni requisiti: occorre un minimo di organizzazione a carattere stabile
seppure del tutto irrilevante è la forma dell’organizzazione, e la presenza o meno di una ripartizione
di gradi o funzioni.
In secondo luogo l’associazione deve essere costituita per la commissione di più delitti (non
contravvenzioni). Occorre, infine, la partecipazione di almeno tre persone; in questo senso il codice
prevede le figure dell’associato semplice, del promotore, del costitutore, dell’organizzatore e del
capo.
Va innanzi tutto precisato che pur, apparentemente, presentando elementi simili al concorso di
persone, il delitto in esame ne differisce molto. Possiamo individuare almeno tre forti differenze tra
le due fattispecie: nel concorso, infatti, l’accordo è preciso e contingente e una volta realizzato il
proposito criminoso si esaurisce automaticamente.
Nell’associazione, invece, l’accordo è programmatico e permanente essendo indifferente, ai fini
dell’esaurimento del pactum sceleris, la commissione di uno o più delitti.
In secondo luogo il concorso nel reato altrui è eventuale, mentre il concorso di più persone è sempre
necessario per il reato di associazione a delinquere. Infine, in terzo luogo, la collaborazione nel
concorso è sostanzialmente atipica, mentre nell’associazione è tipica.
15
2.1 Critiche
Il primo rilievo da fare riguarda il fatto che se nelle fattispecie associative di stampo politico la
struttura organizzativa materiale è accertabile attraverso elementi esteriori e tangibili, ciò non è
nelle fattispecie associative di carattere comune.
In queste, infatti, la mancanza di atti formali di costituzione provoca una difficoltà enorme
nell’individuazione dei ruoli e delle qualifiche, con un conseguente abbandono del requisito della
creazione di una organizzazione, e quindi di quel necessario quid pluris. Al contrario viene esaltato
il più duttile elemento dell’affectio societatis sceleris.
L’inversione appare di grande rilievo: la sussistenza dell’associazione è così ricondotta non ad un
criterio oggettivo( il quid pluris della creazione di una organizzazione), ma ad un lato elemento di
natura psicologica.
Conseguenza di ciò è che la giurisprudenza si è sbizzarrita, in questi anni, nel valutare la presenza
dell’associazione riconducendola all’esistenza dei più disparati elementi.
D’altro canto la intangibile nozione associativa si offre come straordinario strumento elastico, al
servizio delle esigenze di politica giudiziaria del momento.
Come esempio basti il fatto che la Suprema Corte di Cassazione ha attribuito all’associazione a
delinquere diverse sembianze, cioè quelle di un organismo precostituito o quelle di un semplice
sodalizio rudimentale o quelle di un vincolo basato dalla medesima affectio o quelle ancora di una
mera convergenza di interessi.
Potremmo dire che la concreta ma problematica dimostrabilità dell’esistenza di una struttura
materiale, tangibile, cede il passo alla più elastica verifica dell’accordo, il cui carattere discrezionale
è evidenziato dalla forzatura con cui condotte assimilabili a partecipazioni concorsuali, vengono
catapultate nello schema del reato associativo senza la pur minima presenza della affectio societatis
o dell’accordo criminoso.
16
E’ il trionfo della associazione in re ipsa. Tutto ciò, sicuramente, sarebbe stato evitato se il
legislatore avesse individuato una nozione di associazione precisa ed inattaccabile eliminando
questa pletora di controverse interpretazioni, o addirittura non istituendo una categoria giuridica
complessa e di difficile interpretazione come quella dei reati associativi, che in altri sistemi non ha
trovato mai spazio.
3.La nozione di partecipazione all’associazione
Spostando l’attenzione dalla nozione di associazione a quella di partecipazione occorre rilevare
l’esistenza di due principali, seppur non confliggenti, correnti giurisprudenziali.
La prima, accogliendo l’opinione secondo cui lo schema associativo è il necessario quid pluris dato
dalla formazione di una struttura organizzativa complessa, identifica la condotta partecipativa come
sostegno effettivo ed attuale volto al raggiungimento degli scopi dell’associazione.
La condotta punibile, allora, non può ridursi al mero accordo della volontà, ma è costituita da un
quid pluris il cui momento centrale è proprio il sostegno effettivo ed attuale apportato dai singoli
associati e diretto alla realizzazione degli scopi dell’associazione, da perseguire con i metodi propri
della stessa: in sostanza l’attualità del contributo alla vita dell’ente, seppure minimo, è un requisito
della condotta punibile.
Naturalmente differente è il secondo indirizzo. Secondo tale indirizzo l’associazione a delinquere,
tipico delitto contro l’ordine pubblico, richiede l’esistenza di un vincolo associativo fra almeno tre
persone, le quali si prefiggono l’attuazione di un programma delinquenziale in via generale e
continuativa, cioè un serie indeterminata di delitti.
In questa “serie” l’atteggiamento psicologico degli associati deve constare nell’affectio societatis
scelerum, cioè nella coscienza e volontà di associarsi al fine di commettere delitti. In tale reato di
pericolo a concorso necessario(è indifferente infatti ai fini della consumazione che gli associati
passino o meno all’azione da un lato, ed essendo la plurisoggettività requisito intrinseco da altro
17
lato) l’individuazione delle condotte di partecipazione necessaria non può che aversi nella semplice
adesione al sodalizio criminale; adesione che può risolversi peraltro in un mero vincolo psicologico,
non fisicamente apprezzabile.
Sarà, dunque, la natura dell’accordo a valere come discrimen tra le ipotesi plurisoggettive eventuali
e quelle a concorso necessario, potendo una stessa attività criminale di tipo concorsuale tramutarsi
in ipotesi associativa per il semplice mutamento dell’animus socii.
Tale tesi interpretativa mostra ancora una volta a cosa può condurre una carente tipicizzazione
legislativa. L’animus socii, infatti, viene individuato attraverso elementi di dubbia riconoscibilità
logica prima ancora che giuridica, bene potendo una finalità egoistica essere intesa, anche con
meccanismi presuntivi , quale accettazione di una più generale utilità collettiva propria dello
schema associativo. Ancora una volta drammaticamente il profilo introspettivo diviene elemento
fondamentale cossichè la partecipazione all’associazione trova nella natura dell’affectio l’unico
requisito di identificazione.
4. Critica dell’associazione come categoria unitaria
In questi anni la dottrina è stata concorde nell’affermare che la nozione di associazione per
delinquere è suscettibile di valutazioni sociologiche e culturali assai diverse, tanto da ricomprendere
al suo interno molteplici tipi di partecipazione delittuosa, e da rendere superfluo ogni tentativo di
rigida tipicizzazione del contributo esterno quale nozione omogenea all’associazione.
Infatti l’azione collettiva è scissa in più volontà e in più condotte individuali convergenti verso la
comune realizzazione delittuosa: quindi non un unico “reato di associazione” ma diversi reati di
partecipazione, di direzione, di costituzione, di promozione e di organizzazione di una associazione
che, assumendo un valenza concettuale e dogmatica differente, produce vari criteri di tipicizzazione
concorsuale esterna.
A questo punto ci sembra opportuna una rapida analisi delle condotte associative.
18
Il legislatore affianca le attività di promozione, costituzione e organizzazione ovvero: “promozione”
come enunciazione o preparazione di un sodalizio o di un programma volto alla commissione di
varie attività delittuose; “costituzione” come creazione concreta ed effettiva del sodalizio, tramite
una serie di attività successive alla promozione dell’ente ma essenziali alla sua nascita;
“organizzazione” come predisposizione della cellula operativa dell’associazione con una
ripartizione di ruoli e competenze volte all’ottenimento dello scopo sociale. A parte abbiamo la
figure della ”direzione” intesa come superiorità gerarchica all’interno del gruppo, e le meno diffuse
ipotesi di “sovvenzione o fiancheggiamento” costituenti le classiche forme di propaganda ovvero di
finanziamento.
Come si può facilmente scorgere ognuna delle predette ipotesi ha una sua matrice giuridica diversa,
mantenendosi, così, concettualmente indipendente dalle altre. Infatti al di là del diverso nomen juris
e delle diverse sanzioni edittali le condotte associative si pongono in relazione alla struttura
organizzativa verso la quale sono volte nel senso della partecipazione qualificata ovvero non
qualificata, ed in termini cronologici e funzionali assai disparati.
L’idea di una prospettazione unitaria e statica di tale fenomeno inteso come una schematica
ripartizione di ruoli e funzioni si rivela suggestiva quanto fallace. Se, infatti, le attività di
promozione, costituzione e organizzazione hanno nei confronti della societas sceleris un rapporto di
funzionalità genetica essendo tali condotte protese alla realizzazione di un sodalizio che si pone
come evento naturalistico di tali condotte, e più particolarmente in termini di dipendenza
cronologica ed eziologica con la condotta qualificata. In una prospettiva totalmente diversa le altre
condotte: le condotte di partecipazione, direzione o supremazia gerarchica sono caratterizzate,
anche se in termini differenti, da un rapporto di funzionalità cronologica, essendo evidentemente
configurabili solo in un ente già esistente e funzionante.
Per tali attività il sodalizio stabile e permanente si pone non come posterius ma come prius logico di
un’attività delittuosa successiva o contestuale alla creazione di un sodalizio criminoso. Sul piano
strutturale dobbiamo sottolineare come venga unanimemente inteso quale requisito di fattispecie la
19
necessaria presenza di più persone la cui “unità” costituisce un elemento di tipicità di natura
oggettiva essenziale per l’integrazione della fattispecie delittuosa. Infatti le già citate condotte
partecipative da un lato, e direttive dall’altro non si distinguono da questa caratterizzazione nel
momento in cui traggono la loro qualificazione giuridica unicamente nell’unione con altre condotte
partecipative tutte insieme destinate a confluire nell’organizzazione illecita. Cosicchè la presenza
di più persone si appalesa quale requisito logicamente immanente all’ottenimento della fattispecie
associativa.
Al contrario nelle residue condotte di partecipazione qualificata viene meno questa interdipendenza
necessaria dei contributi, in quanto si tratta di una attività delittuosa ontologicamente
monosoggettiva sebbene proiettata alla promozione di un organismo indispensabilmente
plurisoggettivo.
Sul piano della natura della condotta delittuosa non sembrano esserci dubbi sul fatto che le condotte
di promozione, organizzazione e costituzione possano configurarsi da un punto di vista concettuale
come condotte di natura istantanea anche se indirizzate alla creazione di un organismo proiettato in
una dimensione temporale successiva e permanente; diversamente le condotte di partecipazione e
direzione immanenti alla esistenza del sodalizio sono proiettate in una dimensione logico-temporale
di carattere permanente.
L’idea fattasi innanzi in alcuna parte della dottrina e della giurisprudenza, quindi, relativa ad una
semplificazione concettuale tale da intendere il fenomeno associativo in una dimensione di
unitarietà al cui interno cogliere ruoli e competenze diverse tali da legittimare, in ultima analisi,
l’esistenza di una contribuzione esterna alla societas sceleris lato sensu intesa, non pare reggere ad
una più attenta analisi dogmatica.
Concludendo ci pare di poter dire che tale impostazione riduzionistica, sposata in pieno dal
legislatore, è dovuta alla necessità di affiancare autonome incriminazioni unite dall’elemento
comune della presenza di un sodalizio illecito “in una comune seppur autonoma lesività giuridica, al
di là della quale ciascuna fattispecie mantiene una sostanziale eterogeneità dogmatica”.