2
Amendola pubblica tra maggio e giugno del 1923 sul “Mondo”,
per descrivere il comportamento del governo Mussolini in
relazione alle elezioni amministrative di quell’anno e cioè la
presentazione contemporanea da parte del partito di liste di
minoranza e maggioranza, comportamento che egli indica
come “sistema totalitario”. In questa prima accezione il termine
indica, quindi, un disprezzo per i diritti della minoranza ed un
dominio assoluto ed incontrollato nella vita politica ed
amministrativa.
Per quanto riguarda, poi, il sostantivo ‘totalitarismo’, è
probabilmente Lelio Basso ad utilizzarlo inizialmente sulle
pagine della rivista <<La rivoluzione liberale>> quando, nel
1925, analizzando la situazione politica, scrive di uno Stato il
cui potere penetra in tutti gli organi istituzionali con l’obiettivo di
instaurare un “totalitarismo indistinto”, un ordine politico che
prevede la soppressione di ogni contrasto e che si fa interprete
di un’unica volontà di partito, unanimamente condivisa dalla
società.
2
La coppia di termini totalitario-totalitarismo viene
successivamente utilizzata anche da Gramsci nei suoi
Quaderni quando è ormai chiaro che la politica sta vivendo una
nuova stagione ed è necessario utilizzare delle nuove
definizioni per la sua comprensione. Egli non solo indica come
totalitaria la politica del fascismo ma ne spiega anche il perché:
essa tende ad isolare i membri del partito da ogni altra
organizzazione distruggendo le altre o inglobandole in sé, in
2
Ivi, pag.6
3
modo da rimanere l’unica fonte di soddisfazione delle proprie
necessità intellettuali.
3
La paternità dell’utilizzo del termine da parte degli antifascisti
italiani è riconosciuta anche dalla voce Totalitarianism della
Encyclopedia of the social science che si rifà all’Oxford English
Dictionary del 1933, dove si citano proprio alcuni articoli di
G.Amendola, P.Godetti ed altri.
4
Probabilmente, però, la legittimità all’utilizzo delle “nuove”
parole proviene proprio da Mussolini, quando, al IV Congresso
del Partito Nazionale Fascista nel giugno 1925, indicherà nella
feroce volontà totalitaria, una delle caratteristiche dell’ideologia
del suo movimento e quindi un termine adatto a definire l’enfasi
rivoluzionaria del fascismo; da quel momento, anzi, “totalitario”
acquista agli occhi dei suoi seguaci una connotazione positiva,
come indicativo di forza e di orgoglio.
Una tale connotazione acquistano, sia il sostantivo che
l’aggettivo, negli scritti che Giovanni Gentile dedica alla
formulazione della filosofia del partito; infatti, lo Stato fascista è
totalitario nel senso che “tutto è nello Stato e nulla di umano o
spirituale esiste e tanto meno ha valore al di fuori dello Stato”
5
.
Poiché l’individuo e la sua libertà coincidono con questo Stato,
esso non può che essere una realtà che domina incontrastata
sia il corpo che la mente dell’uomo: per Gentile è in questo
modo configurato l’aspetto di un potere statale etico e
promotore di vita spirituale.
3
Ivi, pag. 7
4
C.Pavone,Fascismo e dittature:problemi di una definizione;in
Nazismo,fascismo,comunismo;(a cura di)M.Flores;pag 81
5
S. Forti, Il totalitarismo, cit., pag. 8
4
Questi scritti confermano a livello internazionale la diffusione
dei termini ‘totalitario’ e ‘totalitarismo’, anche se nel frattempo il
loro riconoscimento, in accezione assolutamente negativa, era
già avvenuto grazie alla traduzione in lingua inglese del libro di
Sturzo, Italia e fascismo.
Se negli anni ’20 il dibattito si concentra soprattutto sulla genesi
dei termini, se essi possano o meno essere utilizzati in modo
positivo o negativo, successivamente lo scontro intellettuale si
sposterà sul terreno dell’elaborazione del concetto, sulla sua
capacità di indicare questo o quel regime politico.
Dall’Italia e dal fascismo si ci sposta, allora, in Germania dove,
negli anni ’30 si comincia a discutere sulla nuova dimensione
della politica e sul concetto di Stato totale e Stato autoritario.
L’opera che segna l’inizio di questo nuovo interesse è La
mobilitazione totale di Ernst Junger, dove vengono messi in
risalto i caratteri della società contemporanea scaturiti da quella
grande rivoluzione politica e tecnica avutasi con la Grande
Guerra: gli individui si sono trovati ad essere coinvolti in una
“mobilitazione totale” che li ha trasformati in una “massa”
uniforme, li ha ridotti ad essere semplicemente degli ingranaggi
al servizio della tecnica, dei “soldati del lavoro”, li ha costretti in
una vita dove non esistono più differenze tra esistenza, politica
e tecnica.
Questa configurazione dello Stato totale viene ripresa anche da
Carl Schmitt con l’intenzione di sottolinearne, però, la
debolezza; una debolezza dovuta al fatto che l’invadenza della
società lascia liberi di intervenire sulla scena politica partiti che
non rappresentano altro che interessi particolari e corporativi. E’
a questo punto che interviene la figura del Capo, colui che
combatte la debolezza dello Stato, che si libera di quei partiti
5
con una legittimità che gli deriva dall’essere parte integrante di
un popolo “razzialmente” omogeneo. In questi scritti, e in quelli
dei seguaci di Schmitt, lo Stato totale è una necessità per far
acquistare alla politica quella dignità che secondo costoro essa
aveva perso seguendo il liberalismo e il pluralismo sociale. Si
cominciano a delineare, così, quei principi che diverranno in
seguito il fulcro della propaganda del regime nazista.
In questo periodo non c’è ancora una netta distinzione tra gli
aggettivi “ totale” e “totalitario” ed infatti, dopo la presa del
potere da parte di Hitler, è lo stesso Gobbels a definire
l’avvento del nazionalsocialismo come una “rivoluzione totale”
che ha l’intenzione di instaurare “uno Stato totalitario che
abbracci ogni sfera della vita pubblica”.
6
Per avere una collocazione più precisa del concetto bisogna
aspettare la metà degli anni ’30 e il cosiddetto laboratorio di
Parigi dove verrà forgiata non solo una prima interpretazione
del regime totalitario ma si cominceranno anche a sottolineare
le differenze filosofiche tra fascismo e bolscevismo. Questo è
un periodo molto importante perché in un clima aperto a diverse
correnti di pensiero, verranno gettate le basi per tutte le
elaborazioni future sul dominio totalitario.
Per quanto riguarda l’Urss, è proprio Trockij ad aprire il dibattito
sulla degenerazione della rivoluzione bolscevica, sulla
burocrazia diventata “una casta” che, ormai incontrollata,
esercita sulle masse un dominio totale. Per l’autore della
Rivoluzione permanente e della Rivoluzione tradita, Stalin è
stato l’artefice di questo fallimento, avendo lasciato la
6
S.Forti,Il totalitarismo,cit., pag.13
6
burocrazia libera di acquisire potere politico da sfruttare per i
propri interessi.
Sulla stessa scia di pensiero, si colloca anche Victor Serge che
ha, per la prima volta, utilizzato, per l’Urss, l’aggettivo totalitario.
Si legge infatti nei suoi scritti come l’Unione Sovietica sia
diventata un regime “castocratico”, “burocratico” e soprattutto
“totalitario”: dallo scopo iniziale di promuovere il controllo
razionale sull’uomo e sul suo destino, si è arrivati ad uno Stato
“ubriaco della sua potenza, per il quale l’uomo non conta più”
7
e
per il quale è necessario accentrare in sé tutto il potere, politico,
economico e culturale che sia.
Un altro personaggio importante in questa fase del dibattito è
Boris Souvarine che dalle pagine della sua rivista <<Critique
Sociale>> lancia un durissimo attacco alla politica staliniana:
questa non rappresenta solamente un deviazione dal cammino
rivoluzionario, ma diventa “l’esperienza assoluta” alla quale
rapportare tutte le altre. E’ infatti proprio Souvarine a formulare
una prima analogia tra la struttura del fascismo e del
comunismo: entrambi, nonostante i presupposti ideologici
differenti, tendono alla costruzione di uno Stato accentratore, al
monopolio su tutte le istituzioni ed entrambi si avvalgono della
personalità forte di un capo carismatico.
Accanto a Serge ed a Souvarine si trovano le posizioni di molti
altri intellettuali che, appurata l’importanza del dibattito,
intervengono in vario modo ampliando l’area di indagine del
concetto, dal suo significato più spiccatamente politico allo
studio dell’ideologia che ne è alla base.
7
Ivi pag.17
7
Così, per Raymond Aron è importante lo sviluppo di un
concetto chiaro di totalitarismo che non si accontenti solo di
paragonarlo alle tirannie del passato, ma che mostri la sua
reale novità: il fatto cioè che questi regimi non tendono solo
all’annullamento di ogni pluralismo, ma che siano fondati su
una ideologia che si presenta come una dottrina religiosa,
capace di redimere la società e di salvarla; è questo orizzonte
prospettico, questa lotta fra bene e male che fa accettare ogni
tipo di oppressione violenta e ogni specie di crimine.
Il dibattito a questo punto entra in una ulteriore fase che
coinvolge non solo gli ambienti liberali ma anche la sinistra
eterodossa, interessata a spiegare i legami che il totalitarismo
ha con le radici della cultura occidentale: George Bataille e
Simone Weil sono i rappresentanti di questo tipo di studi che
tentano di rintracciare nel passato i sintomi e le tendenze che
hanno reso possibile lo sviluppo dei regimi totalitari; Jules
Monnerot trova i precedenti di questi regimi nella debolezza
delle democrazie occidentali e Emmanuel Mounier sottolinea
come sia stato il tramonto della spiritualità a dar loro forza, in
quanto essi sono stati capaci di dare delle risposte, sebbene
false, ai bisogni “di trascendenza” dell’animo umano.
E’ chiaro, a questo punto, che il ‘totalitarismo’ ha acquistato una
rilevanza fondamentale sulla scena intellettuale, dimostrata
anche dal fatto che il dibattito si sposta dall’uso del termine alle
teorie necessarie a spiegarlo: saranno, allora, gli anni ’40 che
vedranno svilupparsi le teorie di base e gli scritti fondamentali
per tutte le indagini successive.
8
Le teorie più significative.
Se il laboratorio di Parigi aveva, in qualche modo, messo in
evidenza come questo tipo di regime fosse una degenerazione
politica nata dall’interno delle regole costitutive del nuovo Stato
moderno, negli anni ’40, prende corpo l’idea dell’assoluta novità
dello Stato totalitario.
Sono soprattutto gli autori ebrei-tedeschi, emigrati negli Stati
Uniti, a mettere l’accento su questo aspetto, ritenendo non
comparabile a nessun tipo di autoritarismo precedente questa
terribile realtà e sono, soprattutto, i primi a demolire l’immagine
di uno Stato totalitario monolitico nel quale tutto viene
manovrato dall’alto.
L’opera che segna l’inizio di questa nuova stagione è Il doppio
Stato di Fraenkel pubblicato nel 1941: l’autore analizzando la
struttura politica e giuridica della Germania nazista non trova un
predominio di quest’ultima sulla vita sociale, ma piuttosto una
assoluta discrezionalità del settore politico che interviene con
decisioni “su misura” da applicare ad ogni caso singolo.Il
cosiddetto “Stato discrezionale”, quindi, non si avvale della
normale attività giuridica e amministrativa per governare, ma
della polizia che può imporre la propria legge anche sui
tribunali. Si verrebbe così a creare, per Fraenkel, uno stato
d’assedio permanente che vede contrapposti Stato di diritto e
Stato discrezionale, in una lotta che rappresenta la dissoluzione
e non la continuazione della costruzione giuridica europea e
che, soprattutto, metterebbe in luce l’impossibilità di
considerare lo Stato totalitario portatore di un ordine rigoroso.
9
Una situazione di guerra permanente è la caratteristica del
regime totalitario anche per Sigmund Neuman, il cui lavoro
rappresenta un ulteriore sviluppo nel processo di comprensione
del fenomeno,in quanto sposta l’analisi su un terreno diverso e
più sociologico: per l’autore di Permanent Revolution,infatti, c’è
un nuovo soggetto che interviene sulla scena politica e cioè le
masse.Sono queste gli interlocutori preferiti del dittatore
totalitario che si presenta proprio come uno di loro, capace di
capire le loro necessità,di ristabilire quei valori che sembrano
ormai perduti.La società reduce dalla guerra che avverte la
dissoluzione dei vecchi principi, che non si riconosce nei nuovi
Stati-nazione creati dai trattati di pace, ha bisogno di sicurezza,
ha bisogno dell’”uomo forte” che la possa guidare, che gli dica
dove andare.E’ questa società atomizzata che non riconosce
più alcun tipo di solidarietà sociale, alcun tipo di legame di
gruppo, ad essere la più adatta alla manipolazione e
all’indottrinamento, caratteristiche essenziali, secondo Neuman,
all’instaurarsi di un regime totalitario
8
.
Queste analisi aprono prospettive molto ampie, indagano
aspetti anche psicologici oltre che politici e sociologici e
mostrano che lo studio del fenomeno non può essere racchiuso
in una formula universalmente valida; per la sua comprensione
non è possibile chiudersi in strutture mentali ma è necessario
spingersi oltre le categorie storiografiche fin’ora conosciute.
E’ proprio questa la sfida che Hannah Arendt lancia con il suo
Le origini del totalitarismo, opera fondamentale che ha
suscitato, e suscita ancora oggi, polemiche e consensi, ma che
8
S.Forti, Il totalitarismo, cit. , pag. 30
10
rimane una tappa imprescindibile per capire realmente
quest’evento.
La Arendt esplora diversi campi, interpreta le tendenze sociali,
sviluppa una sua filosofia, si pone delle domande, anche
scomode, e cerca in questo modo di “capire” come sia potuto
accadere che nel cuore dell’Europa democratica si sia
sviluppato un consenso così ampio verso un regime così
efferato che faceva della violenza e della sopraffazione una sua
peculiarità: la risposta sembra essere che “il totalitarismo non è
caduto dal cielo”,
9
per tanto sono necessarie indagini sul
passato più o meno recente per rintracciarne le “origini”.Come
gli autori che l’avevano preceduta,la Arendt non crede che il
regime totalitario sia semplicemente un irrigidimento del
cosiddetto Stato forte,anzi,sottolinea con molta energia, le
caratteristiche di assoluta novità dello stesso: un’ideologia che
diventa pratica,l’utilizzo sistematico del terrore e più di ogni altra
cosa,l’istituzione di campi di sterminio; sono questi a
rappresentare la verità ultima del totalitarismo,il luogo dove
l’onnipotenza del regime afferma praticamente la sua volontà
del “tutto è possibile”, anche trasformare la condizione umana.
10
Le origini del totalitarismo rappresenta davvero una cesura nel
dibattito sul concetto perché, successivamente alla sua prima
pubblicazione nel 1951, si è avuta una vera e propria
proliferazione di scritti sull’argomento.Questi si possono, in
estrema sintesi, dividere in due grandi gruppi: i primi, interessati
più a sviluppare la tipologia politica che è alla base dei
totalitarismi, lasciano da parte gli aspetti tipicamente filosofici e
9
Ivi, pag. 34
10
Enciclopedia delle scienze sociali, voce Totalitarismo,(a cura di ) S.Forti
11
si preoccupano di studiare il funzionamento del regime; i
secondi che basandosi sulle considerazioni della Arendt sulla
novità del sistema totalitario, si dedicano principalmente
all’aspetto ideologico, partendo dalle domande più radicali che
l’autrice si era posta.
Il dibattito del secondo dopoguerra porta ad un’estensione tale
nell’uso del termine da considerare “totalitario” ogni regime che
non sia liberal-democratico: si cerca perciò, soprattutto da parte
di esponenti della politologia anglosassone, di costruire un
modello su basi strettamente empiriche tralasciando quelle
implicazioni filosofiche che erano state le caratteristiche
dell’opera della Arendt.
I sostenitori di quest’approccio sono Carl J.Friedrich e Zbigniew
Brzezinski che con il loro Totalitarian Dictatorship and
Autocracy del 1956 elencano, per la prima volta, un insieme di
elementi distintivi del regime totalitario.Per questi autori sono
sei le peculiarità che lo contraddistinguono: a) un’ideologia che
deve essere fatta propria da ogni membro della società e che
cerca di sovvertire l’ordine sociale vigente;
b) un partito unico di massa, al cui interno non trova spazio
alcuna divergenza con le direttive date dal vertice e i cui
membri devono promuoverne l’ideologia.Alla guida di questo
partito si trova un capo che accentra su di sé tutto il controllo e
la direzione della politica e gestisce l’intero apparato statale e
governativo; c) un controllo totale sui mezzi di comunicazione di
massa; d) un controllo totale sui mezzi di coercizione e sulla
polizia; e) un terrore diffuso tramite operazioni della polizia
12
segreta non solo contro i nemici del regime, ma contro intere
classi di cittadini; f) una direzione centralizzata dell’economia.
11
Come avvertono gli stessi autori, quest’elencazione può essere
applicata per rivelare il ‘grado’ di totalitarismo presente in alcuni
regimi che sebbene non presentino il livello di purezza del
nazismo e dello stalinismo, hanno in sé alcune delle sue
caratteristiche, come le cosiddette “autocrazie del Novecento”
quali il fascismo italiano o i regimi comunisti della Cina e dei
paesi dell’est Europa.
Influenzati da queste teorie saranno anche i lavori di Raymond
Aron degli anni ’50 e ’60, nei quali oltre a riproporre il ruolo
quasi religioso delle aspirazioni ideologiche dei regimi, si cerca
una differenziazione tra gli stessi proprio sulla base della
cosiddetta “sindrome totalitaria” messa a punto da Friedrich e
Brzezinski.
In questi anni, influenzato anche da Tocqueville, Aron vede i
fenomeni totalitari come una deviazione della democrazia, un
tradimento degli ideali che ne rappresentano la base, da parte
di quelle masse che sono il nuovo soggetto della vita politica.
Queste hanno permesso che il potere non fosse più diviso tra
tanti partiti, come ogni sana democrazia dovrebbe assicurare,
ma hanno lasciato che un nuovo sistema s’instaurasse: un
governo monopartitico, che fa leva sui sentimenti di fede e
paura per legittimarsi. Ma, dice Aron, non tutti i sistemi basati
sul partito unico sono totalitari; infatti, guardando soprattutto
all’Est europeo, egli individua una nuova categoria, quella dei
regimi monopartitici non totalitari.Questi hanno, comunque, il
11
S.Forti ,Il totalitarismo, cit., pag.43
13
monopolio dell’attività politica, ma non diffondono un’ideologia
che vuole penetrare in ogni aspetto della vita privata.
Queste teorie hanno avuto una diffusione molto ampia, ma
proprio per la loro rappresentatività sono state anche
fortemente criticate, soprattutto negli anni ’60 e soprattutto per il
loro carattere ideologico, influenzato dalla necessità di una
costante critica al comunismo e dalla sterile contrapposizione
tra società liberale, quindi Occidentale, e schiavitù totalitaria, e
quindi società Orientale.
I critici di queste impostazioni rilevavano come, la mancanza di
profondità delle indagini e gli studi superficiali avrebbero
rafforzato le idee di quanti cominciavano a negare la verità dei
totalitarismi e a divulgare posizioni negazioniste.
Se, infatti, fino a questo momento, il dibattito aveva visto
confrontarsi posizioni differenti, ma comunque accomunate dal
riconoscimento della categoria, alla fine degli anni sessanta, si
nota una volontà revisionista del tutto nuova.
Le posizioni più estreme sono quelle di Ernst Nolte,che non
solo nega il totalitarismo come modello interpretativo, ma ne
rifiuta l’accostamento anche con la Germania nazista: per
l’autore di Nazionalsocialismo e Bolscevismo.La guerra civile
europea, il regime hitleriano era piuttosto “una dittatura fascista”
instaurata per combattere la minaccia della rivoluzione
comunista, un’istituzione, quindi, necessaria per la salvaguardia
dell’unicità della cultura europea.
Accanto a queste posizioni così estreme che arrivano a
proporre la cancellazione del termine ‘totalitarismo’
12
, ci sono
anche coloro che accettano il concetto, ma manifestano la
12
Ivi, pag.47
14
necessità di una sua rivalutazione.In particolare, si ridisegnano i
caratteri del leader, spogliandolo delle doti eccezionali che gli
erano state riconosciute, evidenziando, così, il ruolo di tutto il
vertice di partito nell’elaborazione dell’attività politica;
l’importanza dell’ideologia è studiata come espressione della
volontà del popolo e non più solo nei suoi contenuti specifici; ed
infine si ci interroga sulla reale influenza del partito
nell’economia e nell’amministrazione pubblica.
E’ Juan Linz con il suo Totalitarian and Authoritarian Regimes
del 1975, a rappresentare questa nuova stagione di sintesi del
concetto.Egli riprende tutti gli studi precedenti e le critiche
relative, estrapolando, così, un’insieme di elementi che,
combinati differentemente, possono dar vita non ‘al’
totalitarismo, ma a diversi tipi dello stesso.Gli elementi
individuati sono essenzialmente tre: a)un’ideologia che possa
giustificare tutte le attività del regime; b) un partito unico di
massa che condiziona e mobilita la popolazione; c) la
concentrazione del potere nella mani di pochissime persone
che sono inamovibili dalla posizione acquisita.
13
La scienza politica sembra, così, aver definitivamente accettato
il neologismo e, soprattutto, sembra aver trovato un terreno
comune in cui formulare una teoria più compiuta, più omogenea
e più chiara.
Riformulato, quindi, con questi accorgimenti, il totalitarismo
appare come un regime caratteristico del Novecento, scaturito
dagli sconvolgimenti sociali e politici del primo dopoguerra, nato
da quella necessità di razionalizzazione che le nuove scienze e
la tecnica propagandavano.Questo tipo di governo fa del terrore
13
Ivi,pag.49
15
uno strumento volto, non solo, alla sottomissione politica, ma a
rendere superflue intere categorie di persone che con la loro
presenza disturbano il progetto totalitario di cambiamento e
trasformazione della società.E’, infatti, questa volontà, la base
di quell’ideologia che rappresenta un elemento distintivo del
sistema, che vuole destrutturate ogni legame precedente tra gli
uomini, ed instaurarne un altro, basato sul principio di
costruzione di una nuova storia, fatta da uomini nuovi.
Ma la novità assoluta, l’istituzione che evidenzia più d’ogni altra
la volontà d’annientamento dell’essere umano in quanto tale, è,
chiaramente, il campo di concentramento: quell’universo creato
dall’ideologia e diventato pratica attraverso un sistematico
processo che parte dalla cancellazione di qualsiasi diritto, ed
arriva all’eliminazione fisica di milioni di uomini.
Coloro che hanno studiato il fenomeno sono giunti alla
conclusione, quasi unanime, anche sulla scia delle
considerazioni di Hannah Arendt, che, se è stato possibile
costruire e portare avanti pratiche così disumane nel cuore
dell’Europa democratica, ciò è stato possibile anche grazie alla
cosiddetta società di massa, una società, che ormai atomizzata,
non avverte più nessun legame tra gli uomini e alla quale
necessitano principi forti ai quali aggrapparsi.Questi principi
sono proprio ciò che propaganda il partito al potere, il quale,
con la loro diffusione, può raggiungere un altro dei suoi
obbiettivi e cioè, l’annullamento di ogni pluralismo sociale che
significa, a sua volta, una società nella quale esistono solo due
categorie: i dominanti, detentori del potere di vita e di morte, e i
dominati che, ovviamente, sono le loro vittime.
14
14
Ivi, pag. 52.