5
INTRODUZIONE
L’approccio al tema della pericolosità sociale non può non incominciare con
l’analisi dell’evoluzione del concetto stesso di pericolosità sociale. Il punto da cui
partire sono le prime concezioni giuridiche di pericolosità sociale affermatesi con
la Scuola Classica e con la Scuola Positiva, le quali hanno contribuito in maniera
determinante all’evoluzione del diritto penale italiano fra Ottocento e Novecento.
L’incontro delle due Scuole ha fatto sì che nel Codice penale Rocco del 1930
venisse introdotto il cosiddetto “sistema del doppio binario”: alla pena vennero
affiancate le misure di sicurezza, le quali, però, avevano un fine di prevenzione
speciale. Prima del Codice Rocco, il Codice Zanardelli del 1889 diede una sua
lettura del concetto di pericolosità, lettura particolarmente influenzata dalla
scienza psichiatrica, che portò alla legge n. 36 del 1904 introduttiva dei manicomi
in Italia. Poco dopo, nel 1930, la nascita di un Codice penale attento alla
pericolosità sociale del soggetto - fosse esso autore di un reato o di un quasi-reato
- valutata alla luce della sua personalità e non solo del fatto da lui commesso.
L’entrata in vigore della Costituzione nel 1948, il vento di cambiamento che stava
soffiando in Occidente e l’intervento della Corte Costituzionale, portarono alla
diffusione di un’idea più realistica e sana di pericolosità sociale; fecero sì che il
diritto - insieme alla psichiatria - si dedicasse non tanto alla punizione quanto
alla rieducazione e al rinserimento in società dei soggetti ritenuti socialmente
pericolosi.
Una volta definito – non senza difficoltà – il concetto di pericolosità sociale, è
bene analizzare la forma di accertamento di tale pericolosità. Improntare un
giudizio prognostico circa il futuro dell’agire criminoso è un compito
superlativamente arduo, ma indispensabile. Sia che si debba applicare una
misura di prevenzione
1
che di sicurezza, il giudizio contempla due fasi: la prima
1
“Qualunque sia il valore scientifico che si voglia attribuire alla nozione di pericolosità, […] un fatto è
certo: essa costituisce oggi, in Italia, come altrove, la pietra miliare delle pratiche e delle politiche di
internamento, nonché strumento essenziale di gestione della delinquenza e del sistema di amministrazione
6
(diagnosi) volta ad individuare quegli elementi strutturali che permettono di
inquadrare il caso concreto in una determinata fattispecie di prevenzione o di
sicurezza; la seconda (prognosi) dedicata al giudizio di pericolosità
2
nei confronti
del soggetto attivo di quelle fattispecie, il cui contenuto è la valutazione della
probabilità che questi commetta in futuro altri crimini o, comunque, fatti
antisociali.
Il giudicante realizza un accertamento che si limita, mediante un’adeguata
motivazione, a descrivere fatti e qualità personali avvicinandosi quanto più
possibile al vero, ma finendo poi per “prescinderne”
3
. Difatti, il reo è dichiarato
pericoloso ai soli fini del diritto penale e della possibilità di sottoporlo a misura
di sicurezza. Si tratta di provvedimenti che normalmente si sottraggono al vaglio
del giudice di legittimità, cioè la Suprema Corte: il provvedimento produce effetti
senza poter essere soggetto a censura finché adeguatamente motivato con
argomentazioni idonee e coerenti. Il sindacato di legittimità sulla motivazione
del provvedimento è volto unicamente a verificare che quest’ultima sia congrua
e giustificativa delle ragioni poste alla base del provvedimento dal giudice, che
non sia viziata né contraddittoria né incompatibile con gli altri atti della
procedura
4
.
Oggetto dell’accertamento non è il solo fatto di reato, ma anche la persona del
reo: il pericolo è e rimane la probabilità di un “male”
5
e si concretizza nella
persona che si ritiene andrà a realizzare quel male.
della giustizia” (Cfr. G.B. TRAVERSO, Il giudizio di pericolosità ed il suo accertamento, in Riv. It.
Med. Leg., VIII, 1986.)
2
A. MARTINI, Essere pericolosi. Giudizi soggettivi e misure personali, Giappichelli, 2017.
3
A. MARTUFI, Nulla pericolositas sine actione? Pericolosità sociale e materialità del fatto alla
prova delle fattispecie di quasi reato, Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2015.
4
C. Cass. II, 12 gennaio 2017 n. 3934.
5
“Il danno potenziale è dunque una cosa distinta dal pericolo. E il pericolo è esso pure di due specie. Altro
è il pericolo appresso il quale non ha mai presentato uno stato di fatto che rendesse imminente la violazione
del diritto: per esempio, le male qualità e tendenze di un uomo, la sua inimicizia e simili. Altro è il pericolo
corso il quale nasce da uno stato di fatto che ha ad un dato momento reso imminente quella violazione. Il
7
A fronte delle numerose problematiche emerse dalla trattazione del tema della
pericolosità sociale - anche quando correlata al sistema delle misure di
prevenzione e di sicurezza - la giurisprudenza nazionale e sovranazionale ha
approntato nel tempo molti interventi, allo scopo di garantire una disciplina
quanto più omogenea possibile in tale ambito.
Nonostante, però, la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo abbiano apportato delle modifiche e delle innovazioni ogni volta cje
emergeva un contrasto fra disciplina e, rispettivamente, Costituzione e
Convenzione Europea, oggi non si può dire che esista una normativa totalmente
priva di punti di incompatibilità fra le varie fonti dell’ordinamento giuridico
italiano e sovranazionale. Allo stesso modo, nonostante sia evidente il bisogno
che viga oggi un concetto ontologicamente unitario di pericolosità sociale – date
le sue innumerevoli implicazioni in tanti ambiti giuridici - non si può dire che
attualmente tale nozione unitaria esista.
Per meglio comprendere, è bene considerare gli approfondimenti dei capitoli che
seguono.
pericolo appreso non dà mai ragione di incriminare e cade soltanto sotto le misure di buon governo”. (Cfr.
F. CARRARA, Programma del Corso di diritto criminale, Del delitto, della pena, Bologna, 1993)
8
CAPITOLO I - IL CONCETTO DI PERICOLOSITA’ SOCIALE E
LA SUA EVOLUZIONE
SOMMARIO: 1. La Scuola Classica 2. La Scuola Positiva 2.1. Cesare Lombroso: la tesi del
“delinquente nato” 2.2. Enrico Ferri: la tesi del “pentagono criminale” 2.3. Raffaele Garofalo: la
tesi dell’anomalia fisica 3. Quadro introduttivo: il diritto incontra la psichiatria 3.1. L’avvento dei
manicomi criminali 4. Il Codice Zanardelli del 1889 5. La legge 36 del 1904 6. Il Codice Rocco del
1930 7. Misure di sicurezza e Costituzione 8. Pericolosità e malati di mente: la soluzione 8.1. La
legge 180 del 1978 9. La sentenza n. 139 del 27 luglio 1982 della Corte Costituzionale 9.1. Gli
interventi successivi alla sentenza n. 139 del 1982: eliminazione della pericolosità sociale presunta
e la Legge Gozzini 10. Disposizioni generali in materia di misure di sicurezza: brevi cenni 11.
Destinatari delle misure di sicurezza: brevi cenni 12. Le singole misure di sicurezza: brevi cenni
1. La Scuola Classica
Sui passi di Cesare Beccaria
6
, nella prima metà dell’Ottocento si diffuse in un
Italia illuminista e liberale e in altri Paesi la corrente che Enrico Ferri denominò
“Scuola Classica Criminale”. Esponenti principali di tale Scuola furono - oltre a
Beccaria - Filangieri, Carmignani, Carrara, Romagnosi, Pessina ed altri. La Scuola
Classica muoveva dalla volontà di abbandonare i meccanismi crudeli e barbari
della giustizia penale medievale. Difatti la situazione era critica: lo Stato poteva
permettersi di punire chiunque volesse senza limiti di sorta e, di fronte ad esso, i
cittadini vantavano pochi diritti e poche garanzie. La Scuola, in questo scenario,
6
Cesare Beccaria, influenzato dalla corrente illuminista del suo tempo, invitava ad abbandonare
le arretrate e crudeli leggi e prassi del Medioevo, per lasciare spazio ad una giustizia penale meno
sadica nei confronti dei rei e basata su garanzie di libertà .
9
si accreditò il merito di aver imposto allo Stato dei limiti nel punire i propri
cittadini e di essersi battuta per l’abolizione di quelle pene particolarmente
gravose, come la pena capitale e altre di tipo corporale
7
.
Gli aderenti alla Scuola Classica avevano come punto di partenza e di incontro
delle proprie teorie il concetto di “libero arbitrio”: l’essere umano, dotato di
ragione, nasce capace di prendere le proprie scelte e di comportarsi
conseguentemente
8
. Nel momento in cui sceglie e agisce, si assume una
responsabilità morale nei confronti della collettività. Ciò posto, quando decide di
violare una norma penale e, quindi, di arrecare del male ad altri, è obbligato ad
assumersene la responsabilità morale. Per il danno arrecato verrà punito
attraverso l’applicazione di una pena. Una pena etico-retributiva, concepita come
necessaria retribuzione del male causato: dovrà essere personale, afflittiva,
determinata, proporzionata ed inderogabile
9
.
Il dogma della Scuola Classica si fondava su tre principi fondamentali. Il primo
era quello della volontà colpevole: il fatto criminoso compiuto è violazione
cosciente e volontaria della legge penale. Il secondo era quello
dell’imputabilità , per cui il reo deve essere dotato della capacità di intendere e
di volere al momento dell’azione perchè gli si possa riconoscere una volontà
colpevole. E il terzo principio era quello della pena come necessaria retribuzione,
per cui la pena deve essere inflitta a chi ha compiuto un gesto che ha comportato
del male ad altri.
7
V. FERRI, Principi di diritto criminale, Torino, 1929.
8
F. MANTOVANI, Diritto penale, 7
a
ed., Padova, 2011; A. MANNA, Corso di diritto penale,
Parte generale, I, Padova, 2007.
9
G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale, Parte generale, 6
a
ed., Bologna, 2010.
10
È chiaro come la Scuola Classica non si focalizzasse sulla figura del soggetto che
compie reati, sul suo comportamento, le sue inclinazioni, l’ambiente da cui
proviene e al quale deve ritornare una volta scontata la pena che gli è stata
comminata
10
. Quello su cui si focalizzava la Scuola Classica era il delitto, quindi
il dato oggettivo del reato, e la pena, conseguenza del primo e vista nell’ottica
etico-retributiva. La Scuola avvertiva la necessità di realizzare un sistema penale
che potesse rispondere in maniera efficace ad una funzione preventiva: gli
individui, posti dinanzi ad una scelta consapevole, si sarebbero astenuti dal
delinquere qualora avessero avuto chiare le norme penali. Norme che avrebbero
previsto una sanzione proporzionata al fatto commesso.
Nonostante la Scuola Classica fu d’ispirazione per numerosi codici penali, sia in
Europa che in Sud America, ed in particolare, per il nostro codice Zanardelli del
1889
11
, la concezione di diritto penale da essa divulgata non passò esente da
critiche. Il merito della Scuola fu sicuramente quello di essersi opposta
all’eccessivo arbitrio del giudice, che fino a quel momento aveva preso il
sopravvento. Ma essendosi focalizzata solo ed unicamente sulle entità giuridiche
del reato e della pena, finiva per non attribuire la giusta importanza alla figura
del reo e per rifiutare ogni tipo di analisi della sua personalità e dell’ambiente
esterno, che inevitabilmente in diversi modi condiziona la volontà
dell’individuo. Era sufficiente che il reo fosse capace di intendere e di volere al
momento del fatto, per far sì che gli venisse riconosciuta una volontà colpevole.
Un soggetto, quindi, assolutamente dotato di libero arbitrio. Di conseguenza, ai
soggetti non imputabili, perchè non dotati di libero arbitrio, non veniva
riconosciuta alcun tipo di responsabilità morale nei confronti dei consociati e
quindi non veniva loro inflitta alcuna pena. Evidente il vuoto di tutela: soggetti
10
E. DE NICOLA, Le due scuole penali, (Dissensi teorici e consensi pratici), in AA.VV., Scritti in
onore di Enrico Ferri, Torino, 1929.
11
F. MANTOVANI, Diritto penale, 7
a
ed., Padova, 2011.