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Premessa
In questo lavoro tratto del pensiero di Pierre Bourdieu
soffermandomi sul concetto di habitus, concetto che, assieme a
quelli di “campo”, “capitale culturale e sociale”, “gusti” e “stile
di vita”, costituisce uno dei pilastri dell‟impianto teorico di
questo grande sociologo.
Mi occuperò anzitutto (capitolo 1) dell‟aspetto semantico del
concetto di habitus percorrendo la storia di questa nozione a
partire da Aristotele. Esaminerò in seguito (capitolo 2) sedici
delle opere più importanti di Bourdieu mettendo in evidenza
come egli ha definito il concetto di habitus attraverso citazioni
tratte da questi stessi testi. Sottoporrò poi (capitolo 3) queste
citazioni all‟analisi delle parole chiave per stabilire quali siano i
termini più frequentemente correlati a habitus nell‟opera di
Bourdieu. Mi occuperò infine (capitolo 4) del libro di Bourdieu
del 1979, La distinction: critique sociale du jugement, del quale
esporrò in modo particolareggiato il contenuto, ciò allo scopo di
mostrare come Bourdieu ha concretamente usato la nozione di
habitus nella ricerca empirica. Terminerò (capitolo 5) con
alcune considerazioni su “habitus e libertà” ispirate ad un
articolo di Mathieu Hilgers.
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I. Prima di Bourdieu
“Habitus”, come viene indicato da Bourdieu stesso in alcuni
suoi scritti, è un concetto di tradizione filosofica che risale ad
Aristotele. Ripreso da Boezio e dalla scolastica di San
Tommaso, approda alla filosofia fenomenologica di Husserl.
Il termine viene dal latino habeo “avere”, verbo che non si può
volgere al passivo e non comporta un distacco del soggetto
dall‟oggetto (es., io ho un gatto). Esso esplicita una relazione
che il soggetto intrattiene con sé stesso, con le sue abitudini, con
ciò che attinene a lui. Il fatto poi che avere diventa un “verbo
ausiliario” (nella maggior parte delle lingue europee) e quindi
venga utilizzato per i tempi composti (habeo + participio
passato), fa sì che i verbi il cui passato è costruito con “avere”
denotino, in aggiunta alle informazioni del semplice “perfetto”,
il possesso di un habitus individuale costituito nel corso
dell‟esperienza sensibile e critica.
Sappiamo che la definizione di habitus di San Tommaso e
della scolastica è la diretta emanazione del termine aristotelico
hexis (questo secondo la traduzione di Boezio all‟inizio del VI
secolo).
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Il termine hexis deriva dal verbo greco “echein”da cui deriva, a
sua volta, l‟espressione “kakòs èchòn”, ovvero malato, che
traduce l‟espressione latina “male habitus”. Infatti,
indipendentemente dalla scolastica, il termine perdura nel
linguaggio medico per definire l‟apparenza esteriore che traduce
una condizione generale del soggetto.
Ma chiediamoci, ora, cosa sia esattamente l‟hexis per
Aristotele. Egli la colloca nel suo famoso elenco delle 10
“categorie”, assieme alle categorie “sostanza”, “qualità”,
“patire”, ”agire”, ovvero i modi di definire un “soggetto”, di
assegnargli dei predicati. Curiosi i suoi esempi con verbi che
non sono né passivi e né attivi (intermedi) quali: il soggetto “è
cacciato” (hypodedetai), il soggetto “è armato” (hoplistai), i
quali c‟informano che l‟oggetto non è esteriore al soggetto ma
tocca la persona stessa. L‟usare poi il tempo perfetto fa si che
l‟hexis appaia anche in questo caso come il risultato attuale di
un‟azione passata. Come definizione generale possiamo dire che
l‟hexis è un‟etica corporale e di atteggiamenti posturali
interiorizzati inconsciamente dall‟individuo nel corso della sua
storia e differenziarla dallo éthos che invece è la forma
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interiorizzata e non cosciente della morale che regola la vita
quotidiana ovvero principi e valori nella loro concretezza.
L‟éthos si distingue ancora dall‟etica che è la forma teorica,
argomentata, esplicita e codificata della morale.
Aristotele nelle sue opere fa ancora riferimento all‟hexis
quando distingue le tre modalità del comportamento umano: la
potenza, l‟habitus e l‟atto compiuto.
L‟esempio che formula il filosofo è quello legato
all‟apprendimento della grammatica che può trasformare la
voglia d‟imparare, che è in ciascuno di noi, in un possesso
individuale capace di crescere oppure di degradarsi: questo è
l‟hexis per Aristotele.
San Tommaso nel suo commento sul
“De anima” (11,5,20) traduce come habitus questo significato
del termine hexis a cui aggiunge, attualizzando il concetto di
disposizione individuale, un significato di segno opposto:
dall‟habitus passa all‟”actus” (atto); ovvero: dal concetto di
hexis a quello di “en-ergeia”.
L‟ habitus-hexis diventa così nel tomisto un concetto “cerniera”
nello studio della sensazione ma anche nel campo morale, la
molteplicità delle sue possibili applicazioni è ampia, si delinea il
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concetto, ripreso da Bordieu, di habitus come ruolo
“intermediario” o come “ schema trasferibile”.
S. Tommaso, al pari di Aristotele, sottolineerà l‟aspetto di
potenzialità dell‟habitus (intensio o remissivo) ma ne
sottolineerà anche la sua finitezza dicendo che solo in Dio la
potenza esiste tutta intera in “atto”e che quindi non esiste un
habitus divino.
Il concetto di “potenza”, intesa in senso aristotelico e tomistico,
e che vede proprio nella scolastica il suo apogeo, verrà in
seguito eliminato dalla fisica e dalla logica e si vedrà “l‟atto
virtuale” rifugiarsi nel suo punto di partenza ovvero
“nell‟antropologia del comportamento”. Questo in
considerazione del fatto che la fisica di Aristotele è a tutti gli
effetti una fisica “antropomorfa” che applicava a tutti i corpi la
capacità potenziale d‟agire come agire specifico del corpo
umano stesso.
Bordieu, scrive François Héran (1), testimonia con la sua
opera la difficoltà di concepire dei comportamenti situati senza
(1)Héran ,1987, La seconde nature de l‟habitus-Revue française de
sociologie,
XXVIII, 385-416.
Il presente excursus sulla nozione di habitus prima di Bourdieu è largamente
ispirata a questo testo.
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fare ricorso agli ” schemi” di questa antropologia di base.
Inoltre, sostiene ancora Héran, Bordieu è di fatto più influenzato
da Max Weber che da S.Tommaso. Weber infatti dissociò con
successo i termini “éthos” ed “Ethik” (2), come faranno in
seguito Husserl e per altri fenomenologi tedeschi che
sostituirono “habituell” a “gewohnlich”.
Il passaggio al doppio termine si può vedere nella coppia
habitus-abitudine e nella continuità di significati tra il primo
termine ed il secondo. Il rapporto tra i due termini ( habitus-
abitudine) è dinamico, così com‟è dinamico il concetto di
habitus che non ricade nella logica delle dicotomie antitetiche
(soggetto-oggetto, attore-struttura, individuo e società etc.). Non
mancano gli esempi di questo ragionare per dicotomie da
Platone sino a Husserl. Quest‟ultimo cerca di superare questo
problema con la ricerca di un “terzo termine” che medi tra i
primi due.
(2) Weber, 1916. - Dal saggio, Tra due leggi – Tr., it. Roversi in “La critica
sociologica” n.53,80, pag.112-115.
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Kant nella Critica della ragion pura parla appunto di un
“terzo termine”o di una “rappresentazione intermedia” fornita
dall‟immaginazione che egli denomina “schema” e che permetta
alle categorie della conoscenza di essere applicate ai fenomeni
sensibili.Questo riferimento a Kant è importante se si considera
la connessione intima che esiste tra l‟etimologia della nozione di
habitus e quella di schema, il cui significato presso gli antichi
era legato al modo di essere, di vestirsi, di comportarsi (il
magazzino degli accessori per il teatro si chiamava
“schematoteca”); in seguito la parola schema designerà, com‟è
noto, l‟abito dei monaci.
Il significato, poi, è molto vicino a quello di habitus presso il
Latini, cioè termine che copre da solo i significati di schema e di
hexis. Questi termini, a loro volta, hanno una radice, perché
come ho detto, entrambi derivano da echein, “avere”. Se li si
analizza sotto l‟aspetto morfologico si vede che il termine
schema sta ad “echein” nello stesso rapporto in cui habitus sta
ad “habere”ovvero, entrambi esprimono il significato di un
risultato acquisito dal soggetto che diventa, per il soggetto
stesso, un modo stabile sul quale egli appare agli altri.
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Per inciso, Weber, in Economia e società (1922) definirà il
concetto di habitus come una sorta di “griglia” di comprensione
da utilizzare per il sociologo nell‟interpretazione delle
trasformazioni sistematiche delle abitudini fisiche esociali
nell‟ascesi religiosa.
Va infine ricordato che Liebniz parla di “abitudine”( come
schema) nel quadro della sua ricerca sull‟”alfabeto dei pensieri
umani” in cui tenta di rappresentare i concetti fondamentali del
nostro pensiero in termini simbolici (3).
Mettendo da parte il contributo di Max Weber, il passaggio
del concetto di habitus dalla filosofia alla sociologia è stato
possibile grazie alla fenomenologia che ha legato espressamente
una teoria del giudizio ad una teoria dell‟habitus. Nell‟opera di
Husserl, infatti, l‟habitus è considerato un mediatore essenziale
tra la somma delle esperienze passate, i principi della percezione
e i comportamenti futuri. Merleau-Ponty, riprende il vecchio
(3) Leibniz ,1666,-Dissertatio de arte combinatoria. ,in Samliche Schriften
und Briefe,Berlin, Akademie1923,p.163.
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concetto di “abitudine”, sminuito dal comportamentismo, ma
non lo distingue dal concetto di habitus, pur arrivando a parlare,
nella sua opera La fenomenologia della percezione (1945) di
habitus del corpo.Egli distinguerà invece il concetto di
“costume” dal concetto di ”abitudine”, definendo il primo come
risultato di automatismi o reazioni passive e meccaniche mentre
il secondo, al contrario, sarà visto come un richiamo ad
immagini di potenza. Merleau-Ponty si occuperà dello “schema
corporeo” e combatterà le posizioni di chi vuole vedere
l‟”abitudine del corpo” paragonabile ad un automatismo o di chi
vuole considerarla come una semplice reazione ad uno stimolo
esterno. Il fenomenologo, cambiando l‟analisi degli psicologi
Gestalt che considerano lo “schema corporeo” come ciò che
“definisce la forma da prendere nel mondo sensoriale ”, lo
definisce come “il punto di vista a partire dal quale lo spazio è
costruito attivamente ed è orientato” (4).
Quest‟idea del “punto di vista” si ritrova già in Kant secondo
cui il concetto di spazio, con i suoi principi di divisione e i suoi
schemi d‟orientamento, viene generato dal corpo. Husserl,
invece, distingue l‟habitus dalla semplice abitudine e il concetto
(4) Merleau- Ponty ,1945, Phénoménologie de la percetion, Paris, Gallimard,
pag.141.
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ha così un ruolo decisivo nella teoria della percezione e
dell‟oggettivazione. Egli affermava che in ogni nostra
percezione, in ogni nostro giudizio o decisione, noi chiamiamo
in causa un habitus precostituito che struttura le nostre
aspettative e i nostri interessi e che, a sua volta, in ogni nuova
esperienza, va ad arricchire ulteriormente il nostro habitus.
Husserl si occupa di “percezione” a livello sensibile e non tratta
che raramente di fenomeni più specificatamente sociologici
come i giudizi di valore o quelli estetici.
Nondimeno, in questo percorso dal semplice al complesso, il
mezzo si potrebbe definire come un ”substrato di habitus”.
Husserl vede una dimensione pre-riflessiva del giudizio quando
questi non è ancora un giudizio formale ma è una forma
elementare di oggettivazione e di classificazione.
Come nei passi che seguono, per esempio. ”Il momento della
percezione può essere dimenticato ma nulla può sparire senza
lasciare una traccia, egli è solamente diventato latente. Quello
che è accaduto in lui è “un’acquisizione in habitus”, sempre
pronta ad essere di nuovo evocata da un‟associazione in atto”
[…] ” l‟oggetto ha preso su di sé le forme di significato
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costituite originariamente nell‟atto esplorativo all‟insegna di un
sapere in forma di “habitus”. Ancora, tutte le considerazioni che
agiscono su di un oggetto hanno su di lui un risultato duraturo.
L‟attività soggettiva compiuta rimane legata all‟oggetto allo
stesso modo che l‟oggetto intenzionale rimane legato al titolo di
“habitus”. D‟ora in avanti, il soggetto in questione ravviserà
l‟oggetto, anche se gli apparirà dopo delle esperienze interrotte
[…] come un oggetto sconosciuto[…]” (5)
Le analisi di Husserl hanno una ricaduta nella sociologia
dell‟habitus rispetto al grado della sua oggettivazione e rispetto
al grado di attività e passività del giudizio.La fenomenologia
procede per gradi partendo dalla semplice percezione
individuale sino a raggiungere il giudizio scientifico a validità
universale: “Ciascuna tappa del giudizio predicativo – dice
ancora Husserl - ha un suo risultato duraturo. Essa crea degli
habitus che si realizzano nei modi più disparati nel successivo
corso del giudizio in atto. Man mano che si progredisce ad un
grado superiore d‟oggettivazione, l‟habitus individuale tende a
divenire un habitus anonimo, un “tesoro di conoscenza”
trasmissibile, in breve: un capitale intellettuale ”(ibidem, 5).
(5) Husserl,1948 – Erfahrung und Uteil.Untersuchungen zur LHamburg,
Claassen e Goverts.
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Abbiamo visto, quindi, come via, via, l‟habitus abbia assorbito
l‟éthos in nome della percezione, l‟estetica e l‟axiologia e gli
altri ambiti della pratica. L‟hexis stesso, da lungo tempo
separato dall‟habitus, per poter definire specificatamente le
attitudini del corpo, subisce la sorte dell‟éthos visto che tutti gli
schemi di percezione, di giudizio e di azione si trovano
incorporati nell‟habitus.
Somiglianze ci sono anche tra l‟habitus e la “ riflessività” del
senso comune di cui parla H. Garfinkel, cioè la capacità
dell‟individuo di “rendersi conto” dell‟accumulazione o
stratificazione delle sue pratiche di vita.
In Husserl non si trova niente di simile, a meno che non si
voglia tradurre nell‟ “auto-referenza” la “reattività ”dell‟ habitus
che accompagna le esperienze individuali.Si può
ragionevolmente affermare che la “riflessività” degli
etnometodologi corrisponde all‟ “habitus” o, meglio ancora alla
“abitudine”, nel senso forte che viene attribuito al termine da
Merleau – Ponty, con questa differenza, però, che negli
etnometodologi, il campo della riflessività è limitato dalla
”routine”, mentre, per l‟habitus, nuovi orizzonti si aprono grazie
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alla congiunzione di questo concetto con quello di “strategia”.
Ed è la strada che imbocca Bourdieu.
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Habitus e definizioni..
In questo capitolo riporto e commento le definizioni che
Bourdieu dà dell‟habitus in 16 suoi testi, dal 1962 al 2000.
Nell‟articolo “Celibat et condition paysanne” (1962,
ripubblicato in Bourdieu 2002)
Bourdieu si occupa del tema del celibato dei primogeniti nella
regione del Bearn. L‟autore stesso spiega come segue gli
obiettivi di questo primo lavoro: “Nel testo scritto agli inizi
degli anni ‟60 in un momento in cui l‟etnografia delle società
europee esiste appena e la sociologia rurale resta a rispettosa
distanza del “terreno”, intrapresi, in un articolo calorosamente
accolto nelle “Etudes rurales” […] di risolvere l‟enigma sociale
che consiste nel celibato dei figli maggiori in una società famosa
per il suo attaccamento forsennato al diritto dei
primogeniti”(Bourdieu, 2002, 10).
Nell‟articolo viene citato per la prima volta l‟habitus, la cui
filiazione è chiaramente riferita al concetto aristotelico e
tomistico di hexis, ma che Bourdieu mutua direttamente da
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Marcel Mauss, e precisamente dall‟articolo di questi ”Les
tecniques du corps”, Mauss,1934.
In questo testo Mauss definisce l‟habitus come una
disposizione, sia di natura che di costume, che integra l‟hexis.
L‟habitus varia con gli individui, le società, l‟educazione, le
mode ed il prestigio.Nell‟ Esquisse pour une auto-analyse
(2004, trad.it., 2005), Bourdieu aggiungerà che nel 1962 egli era
sotto l‟influenza di Claude Lévi-Strauss e dello strutturalismo
allora imperante.
Le seguenti citazioni sono tratte dal paragrafo intitolato “ “Le
paysan et son corps”: “ I cittadini, abili a scoprire l’habitus dei
contadini dai loro tipici comportamenti, mettono, criticamente,
l‟accento sulla lentezza e sulla pesantezza
dell‟andatura”(Bourdieu, 2002, pag.114).
[..] “come le danze moderne della civiltà urbana; che esigono
dei nuovi modi di usare il corpo, esse reclamano un profondo
cambiamento della “natura”, gli habitus corporali e tutto quello
che è vissuto come il più naturale possibile e su cui l‟azione
cosciente non ha presa” (ibid.,115).
“In effetti, l‟hexis corporale è soprattutto un signum sociale”
(ibid.,116).