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– Capitolo 1 –
Il concetto di faccia e le sue implicazioni culturali
Il modo in cui noi ci presentiamo agli altri e quello in cui veniamo giudicati dalle altre
persone sono aspetti fondamentali dell‟interazione sociale. Il valore sociale di una persona,
giudicato sia in termini di percezioni interiori sia in termini di percezioni degli altri,
rappresenta il nucleo del concetto di faccia. Infatti, la faccia è un aspetto universale
dell‟interazione umana, riguardante il modo in cui presentiamo noi stessi agli occhi degli
altri e il modo in cui gli altri percepiscono l‟immagine da noi presentata. Si tratta di
un‟immagine che dipende sia da necessità e da idee puramente personali, sia da importanti
differenze culturali.
Questo capitolo pone le basi per la comprensione del concetto di faccia, fornendone
innanzitutto una definizione generale ed una distinzione nei due aspetti della faccia
positiva e della faccia negativa. Segue poi una descrizione dei comportamenti che i
partecipanti possono assumere a causa della propria faccia e una spiegazione delle
conseguenze di tali atteggiamenti, in termini generici, e più nello specifico nei casi di
conflitto conversazionale. Il capitolo propone inoltre un excursus sulle differenze culturali
riguardanti la faccia, soffermandosi sulla distinzione tra culture collettiviste ed
individualiste come base per l‟esposizione della teoria della negoziazione della faccia.
Quindi, si è qui scelto di trattare il concetto di faccia sia in una prospettiva culturale,
sia interculturale per mostrare come, nonostante sia un concetto universalmente diffuso, la
faccia e il modo di relazionarsi ad essa possano avere chiavi di lettura e di interpretazione
anche molto diverse tra loro.
1.1 Introduzione al concetto di faccia
Il concetto di faccia è stato definito in modi molto differenti. Una definizione spesso
citata di faccia è “il valore sociale positivo che un individuo rivendica per se stesso
5
mediante la linea
1
che gli altri riterranno che egli abbia assunto durante un particolare
contatto”
2
. Anche le concettualizzazioni della faccia come “immagine di sé delineata in
termini di attributi sociali riconosciuti”
3
o come “metafora di un‟immagine di sé, emotiva
e sociale, di fronte ad un pubblico”
4
sono ampiamente accettate dagli studiosi . Dunque, in
altri termini, la faccia rappresenta un‟immagine del sé, proiettata in una specifica
situazione relazionale, definita dai partecipanti a tale situazione
5
.
La faccia di una persona consta di una componente interna e di una esterna
6
. La
componente interna è una sorta di voce interiore, mentre quella esterna corrisponde a
quell‟aspetto della presentazione del sé di una persona che gli viene attribuito dagli altri.
Secondo Goffman, un aspetto della componente esterna della faccia è la natura simbolica
delle azioni di una persona all‟interno di un dato contesto sociale
7
. Infatti, un impiegato
che commette un furto perderà la faccia se lavora in un‟azienda caratterizzata dal rispetto
di alti standard morali, ma non la perderà se lavora presso un‟azienda in cui tali atti
vengono del tutto ignorati o sono all‟ordine del giorno. Quindi, in questa prospettiva, la
faccia ingloba sia gli aspetti del self che un soggetto mostra agli altri, sia modelli di
riferimento interiori che derivano da un importante confronto con il contesto in cui si
agisce. E‟ per questo che Earley ha definito la faccia come “la valutazione del self basata
su giudizi interni ed esterni (all‟individuo), riguardanti la conformazione di una persona
alle regole morali di condotta e alla posizione occupata all‟interno della struttura sociale”
8
.
La faccia riveste un ruolo di primaria importanza anche nella società, tanto che Ho l‟ha
descritta come “la rispettabilità e/o la deferenza che una persona può rivendicare per se
stessa dagli altri, attraverso la rilevanza della posizione che occupa nella rete sociale, il
grado di adeguatezza del proprio comportamento rispetto alla posizione rivestita e
l‟accettabilità della sua condotta in generale”
9
.
1
Per “linea” si intende “un modello di atti verbali e non verbali con i quali si esprime la propria opinione
sulla situazione e, attraverso questa, la propria valutazione su coloro che vi partecipano e, in particolare, su
noi stessi”. Cit. Goffman, E. (1988). Il Rituale dell’Interazione. Bologna: Il Mulino, p. 7.
2
Ibidem.
3
Cfr. Goffman, E. (1955). On Face-Work: an Analysis of Ritual Elements in Social Interaction. Psychiatry:
Journal for the Study of International Processes 18, p. 213.
4
Cfr. Van Ginkel, E. (2004). The Mediator as Face-Giver. Negotiation Journal, p. 475.
5
Cfr. Ting –Toomey, S. and Cole, M. (1990). Intergroup Diplomatic Communication : a Face-Negotiation
Perspective. Communicating for peace, pp. 78-79.
6
Cfr. Earley, C. P. (1997). Face, Harmony and Social Structure: an Analysis of Organizational Behavior
across Cultures. New York: Oxford University Press, p. 42- 43.
7
Ibidem, p. 43.
8
Ibidem.
9
Cfr. Ho, D. Y. (1976). On the Concept of Face. American Journal of Sociology, 81, p. 883.
6
Secondo Lim
10
, la faccia possiede tre caratteristiche peculiari: è pubblica; è
un‟immagine proiettata del sé che potrebbe corrispondere o meno alle valutazioni degli
altri; ed è costituita da tutti quegli aspetti del self che un individuo ritiene positivi.
Per quanto riguarda il primo punto, Lim ritiene che la faccia sia pubblica e non privata,
perché non può mai essere facilmente separata da uno specifico contesto sociale. In altre
parole, la faccia è l‟immagine di una persona agli occhi degli altri e, per questo, non è
sufficiente che una persona faccia da sé delle considerazioni sulla propria immagine,
perché potrebbero non corrispondere alla realtà o al giudizio degli altri. Inoltre, aggiunge
Lim, la faccia si distingue dalla stima di se stessi e dall‟orgoglio personale perché non si
può mai guadagnare, perdere o salvare la faccia attraverso azioni private. Ad esempio, se
una persona riesce a mettere eroicamente fine ad un incendio divampato in un edificio
abbandonato, senza testimoni, la sua faccia non ne uscirà rafforzata.
Riguardo alla seconda caratteristica, Lim evidenzia che un importante aspetto della
faccia è ciò che gli altri vogliono dire di una persona, piuttosto che ciò che potrebbero
pensare; cioè è l‟atto locutorio, prodotto da altri soggetti, che permette di rinforzare la
propria faccia. Tuttavia, qualora i soggetti interagenti fossero membri della stessa famiglia
o dello stesso team lavorativo, essendo più stretto il legame che li unisce, sarebbe
importante tener conto anche dei giudizi taciti dei partecipanti.
Infine, Lim ha sottolineato che la faccia è focalizzata sui valori sociali positivi
rappresentanti il sé. Tuttavia, il giudizio di positività dei valori dipende anche dalla cultura
di appartenenza. Per esempio, nel mondo degli affari negli Stati Uniti, l‟espressione troppo
diretta delle proprie idee, viene giudicata come mancanza di tatto o di sensibilità. Invece,
nel mondo del business in Israele, una franca espressione delle proprie opinioni viene
valutata positivamente.
Di conseguenza, si può dire che la faccia di una persona si costruisca e si delinei in un
processo di continua interazione tra le sue percezioni ed impressioni riguardo la propria
immagine pubblica e quelle degli altri. In genere, una persona prova un‟immediata
reazione emotiva alla faccia che gli deriva dall‟incontro con altri individui, tale da
generare una sorta di “attaccamento sentimentale” ad essa
11
. Se l‟incontro conferma
l‟immagine che questa persona da tempo considerava ovvia, nella maggior parte dei casi
10
Cfr. Lim, T. (1994). Facework and Interpersonal Relationships. In Ting-Toomey, S. The Challenge of
Facework: Cross-cultural and Interpersonal Issues. Albany, State University of New York Press, pp 209-
229.
11
Cfr. Goffman, E. (1988). Op. cit., p. 8.
7
non si avranno reazioni emotive di grande rilevanza. Se, invece, l‟immagine risulterà
superiore alle aspettative, il soggetto si sentirà appagato; mentre proverà un senso di
disagio o di frustrazione, se tale immagine risulterà inferiore a ciò che si aspettava
12
.
E‟ proprio in virtù di quest‟attaccamento alla propria immagine e della facilità con cui
quest‟ultima può essere messa in discussione, che ognuno considera il contatto con gli
altri come qualcosa di estremamente impegnativo, nonché di potenzialmente “pericoloso”
per la propria faccia. E‟ per questo motivo che noi tendiamo sempre a mostrare sentimenti
di comprensione per la faccia degli altri, e anche qualora questi sentimenti fossero diversi
da quelli che proviamo per la nostra faccia, li poniamo comunque alla base di una
partecipazione spontanea
13
.
1.2 I due aspetti della faccia: la faccia positiva e la faccia negativa
La faccia, già definita come “l‟immagine di sé pubblica, emotiva e sociale di una
persona”
14
, possiede due aspetti distinti
15
:
- La faccia negativa, che corrisponde al bisogno di un soggetto di essere
indipendente e di avere libertà di agire;
- La faccia positiva, che corrisponde al bisogno di un soggetto di essere accettato
dagli altri e di piacere loro.
Essendo la cortesia “l‟insieme dei mezzi impiegati da un partecipante ad
un‟interazione per mostrare consapevolezza della faccia dell‟altro”
16
, sulla base della
precedente distinzione, si può operare un‟ulteriore differenziazione tra atti comunicativi di
cortesia positiva e di cortesia negativa.
Si dice che un atto comunicativo è di cortesia negativa quando è finalizzato a
preservare la libertà di azione di un altro locutore. Invece, si parla di atto comunicativo di
cortesia positiva quando esso è volto ad incoraggiare sentimenti di amicizia e di
solidarietà
17
. Ad esempio, immaginiamo che stiamo ascoltando un‟importantissima notizia
12
Cfr. Goffman, E. (1988). Op. cit., p. 8.
13
Ibidem.
14
Cfr. Bianchi, C. (2005). Pragmatica del Linguaggio. Laterza, pp. 92-93.
15
Distinzione tratta da Ibidem.
16
Ibidem, p. 92.
17
Differenziazione ripresa da Ibidem, pp. 92-93.
8
al Tg e che nostro fratello inizi a cantare, impedendoci di comprenderla a pieno.
Potremmo reagire dicendo: “Stai zitto!”, che ha il vantaggio della chiarezza, ma è una
seria minaccia per la faccia di nostro fratello. Invece, proferendo un enunciato come “Ti
sarei grato se non parlassi”, adotteremo una strategia di cortesia positiva, cioè una
strategia volta a salvare la faccia positiva del nostro interlocutore (in questo caso, nostro
fratello). Mentre, se affermassimo: “Ti dispiacerebbe non parlare ora”, impiegheremmo
una strategia di cortesia negativa, finalizzata a salvaguardare la faccia negativa del nostro
interlocutore.
Dal momento che il “salvare la faccia” o il “tener conto della faccia dell‟altro” non
sono gli obiettivi dell‟interazione, ma sono comunque condizioni che ne permettono la
realizzazione, il sociolinguista Robyn Lakoff
18
ha elaborato la categoria delle regole della
cortesia.
Le regole della cortesia
19
, pur riferendosi a meccanismi puramente linguistici,
mostrano una stretta correlazione con la dimensione sociologica della comunicazione e
soprattutto con il concetto di faccia. Queste regole sono state suddivise in tre categorie,
derivanti dalla differenza o meno di status sociale e di potere tra i partecipanti
all‟interazione. Infatti, nel discorso formale, in cui si presuppone una grande differenza di
status e/o potere tra i partecipanti, le regole della cortesia prevedono che si eviti di fare
domande o di esprimere opinioni personali, che si utilizzino espressioni impersonali o
costruzioni passive e che ci si astenga dal trattare argomenti come il denaro, la morte, i
bisogni fisiologici. Il rispetto di tali regole nel discorso formale è subordinato appunto alla
volontà di non mettere a rischio la faccia dell‟altro. Il discorso tra pari, essendo
caratterizzato da una sostanziale parità tra i soggetti interagenti, si fonda su regole di
cortesia differenti, secondo le quali bisogna lasciare all‟interlocutore la libertà di decidere
come strutturare il discorso, usando espressioni attenuative, esprimendo opinioni e
richieste in modo tale che non possano essere ignorate, ma senza perdere la faccia (Es:
“ Suppongo sia ora di andare”), ricorrendo all‟uso massiccio di implicature
20
, scegliendo
di usare eufemismi per trattare argomenti tabù. Infine, nel discorso informale, che si
18
Per una descrizione più dettagliata delle regole della cortesia, si veda Lakoff, R. (1973). The Logic of
Politeness: Or Minding your P’s and Q’s, in Corum, C., Smith-Stark, T.C., and Weiser, A., Papers from the
Ninth Regional Meeting of the Chicago Linguistic Society. Chicago: Chicago Linguistic Society, pp. 220-
239.
19
Le regole della cortesie sono state qui descritte riprendendo la trattazione sull‟argomento esposta in
Bianchi, C. (2005). Op cit., pp 94-96.
20
Per implicature si intendono “le proposizioni che, in determinati contesti, possono essere comunicate
(significato del parlante), senza essere esplicitamente dette, senza cioè essere parte del significato
convenzionale dell‟enunciato”. Cit. Bianchi, C. (2005). Op.cit., p.73.
9
contraddistingue oltre che per una parità di status e di potere, anche per un certo grado di
intimità tra i parlanti, secondo le regole della cortesia, si deve mettere l‟interlocutore a
proprio agio e dimostrare interesse per ciò che sta dicendo. Tali obiettivi possono essere
raggiunti attraverso l‟uso di nomi propri e di soprannomi, la scelta del tu piuttosto che del
lei o del voi, attraverso il ricorso ad un linguaggio diretto per trattare gli argomenti tabù e
l‟inserimento di espressioni che dimostrano partecipazione attiva, come “se ti va”, sai,
“voglio dire”.
In conclusione, il rispetto delle regole della cortesia permette di salvaguardare la faccia,
positiva o negativa, del proprio interagente. Tuttavia, essendo l‟interazione un‟attività
estremamente dinamica, può accadere che la faccia subisca evidenti mutamenti, come
descritto nel prossimo paragrafo.
1.3 Dinamiche di faccia
21
Come evidenziato precedentemente, la faccia riveste un ruolo di primaria importanza
ogni qualvolta si abbia un contatto con altre persone. I meccanismi con cui queste
interazioni si articolano e si sviluppano possono condurre a significative modificazioni
della faccia degli interagenti, modificazioni che qui si è scelto di definire “dinamiche di
faccia”.
Innanzitutto vi è l‟atto dell‟esporre la propria faccia, che consiste nel provare una
sensazione di fiducia e di sicurezza, grazie alla quale una persona riesce ad assumere e a
sostenere una certa linea con fermezza e a testa alta. Questo senso di fiducia permane
anche qualora gli altri pensassero che questa persona presenti una faccia inadeguata, ma
riuscissero a nascondergli questa sensazione
22
.
Si dice, invece, che un individuo conservi la faccia quando la linea di condotta che
egli ha assunto presenta un‟immagine di se stessa che sia interamente coerente, cioè
sostenuta dai giudizi e dalle testimonianze degli altri e confermata dagli elementi
21
L‟espressione “dinamiche di faccia”, corrispondente all‟inglese face dynamics, è stata coniata da Ho, D.
Y. (1994). Face Dynamics: From Conaceptualization to Measurement, in Ting-Toomey, S. The Challenge
of Facework: Cross-Cultural and Interpersonal Issues. Albany: State University of New York Press. Tale
espressione è stata qui utilizzata per far riferimento agli atti dell‟esporre la propria faccia, del conservare la
faccia, del presentare una faccia sbagliata,dell‟essere fuori posto rispetto alla propria faccia e del perdere la
faccia.
22
Cfr. Goffman, E. (1988). Op. cit., p. 9.
10
impersonali presenti nella situazione
23
. Questa coerenza si fonda, tuttavia, non solo sulla
posizione occupata dal soggetto in questione nello specifico contesto dell‟interazione, ma
anche sulla sua posizione in un contesto più ampio. Infatti, solo chi in passato si è astenuto
dal compiere azioni che non fossero in armonia con la propria faccia, è in grado di
conservarla nella situazione in corso
24
. E‟ proprio a causa dell‟eventuale disequilibrio tra
azioni passate e situazione presente, che si sviluppano altre dinamiche di faccia: l‟atto di
presentare una faccia sbagliata e quello di essere fuori posto rispetto alla propria faccia.
“Si può dire che un individuo presenti una faccia sbagliata quando le informazioni
che si possono ottenere sulla sua posizione sociale non sono in armonia con la linea di
condotta che gli ha assunto”
25
. Si dirà, invece, che “una persona è fuori posto rispetto alla
propria faccia quando, durante un incontro, non è in grado di assumere il comportamento
che gli altri si aspettano da lui”
26
.
Quando una persona assume una faccia sbagliata o è fuori posto rispetto alla propria
faccia, può provare un forte senso di disagio dovuto alla fiducia che riponeva nell‟incontro
come conferma dell‟immagine di sé a cui si era affezionato. Inoltre, il timore che
l‟interazione possa risolversi in un giudizio negativo sulla sua persona può provocare in
lui sorpresa e disorientamento, privandolo momentaneamente delle sue capacità di
interlocutore. Ne deriva, dunque, un generale senso di vergogna, che è uno dei segni più
evidenti dell‟aver perso la faccia. Invece, la capacità di fronteggiare la situazione,
reprimendo o celando ogni sentimento di vergogna durante un incontro con altri, è stata
definita “compostezza”
27
.
L‟espressione “perdere la faccia” in molte culture, come ad esempio in quella
anglosassone, sembra avere molteplici significati: assumere una faccia sbagliata, essere
fuori posto con la propria faccia e provare vergogna
28
.
Il “salvare la faccia” è, invece, il processo attraverso il quale una persona dà agli altri
l‟impressione di non aver perso la faccia. Rispetto a tale processo, un soggetto può
assumere due diversi atteggiamenti: un atteggiamento difensivo, finalizzato a salvare la
23
Cfr. Goffman, E. (1988). Op. cit., p. 9..
24
Ibidem, pp. 9-10.
25
Cit. da Ibidem.
26
Ibidem.
27
Ibidem, p. 11.
28
Ibidem.