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INTRODUZIONE
Ho voluto cominciare questo mio lavoro cercando di riassumere la storia del Jazz
dalle sue origini fino alla sua manifestazione stilistica più “genuina”, ovvero quella
legata alla tradizione di New Orleans, considerata la città-natale di questa musica. Ho
cercato dunque di ripercorrere le varie tappe, spiegando come i contributi delle diverse
culture che ne compongono gli elementi essenziali abbiano nel corso dei secoli
determinato la sua nascita e il suo sviluppo. Quindi ho provato a definire il significato
della parola “Jazz” e a trasmettere come il concetto di “contaminazione” si ponga alla
base non solo dello stile in questione, ma di tutta la musica dalle sue origini fino ad
oggi. Mi sono infatti addentrato anche nell’Europa del Medioevo per spiegare come
l’introduzione della notazione su tetragramma di Guido d’Arezzo abbia consentito alla
musica di toccare ed unire compositori di ogni parte del Vecchio Continente,
permettendogli di fissare e diffondere le proprie idee che una volta unite hanno via via
generato l’immenso repertorio della musica propriamente detta “colta”, la quale dal
Rinascimento fino al primo ‘900 ha restituito alla cultura mondiale le composizioni
più complesse di ogni tempo, e nelle quali si identifica un pilastro fondamentale per la
futura nascita e lo sviluppo del Jazz.
Ho spiegato come l’improvvisazione musicale e la complessa armonia legata al
discorso jazzistico abbia attecchito negli ultimi decenni anche nel bagaglio culturale
dei classici, facendo alcuni esempi di importanti concertisti che hanno compreso
l’importanza dello studio del Jazz al fine di acquisire una certa padronanza armonica
e maggior consapevolezza musicale, cosa che fino a poco tempo fa non veniva colta
dai più a causa del forte pregiudizio che c’era verso questa musica.
Dopodiché ho pensato di approfondire il discorso della contaminazione
concentrandomi sull’influenza che la moderna musica latino-americana ha avuto sul
Jazz, che dai primi anni ’40, con l’emigrazione cubana verso New York, ha creato
quella corrente musicale che oggi si identifica nel Latin-Jazz. Ho scavato dunque nelle
origini della musica locale di Cuba per arrivare fino alla forma che più si accredita il
ruolo di antenato della salsa, ovvero il son, e dalla quale è nato il connubio tra la cultura
cubana e il nascente bebop afroamericano.
Non potevo quindi non parlare anche della tradizione brasiliana, che è sempre
parte della famiglia musicale del Latino-America, per cui anche in questo caso ho
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ripercorso le tappe e identificato i protagonisti che hanno portato alla nascita delle
prime forme musicali del paese, e che nel tempo hanno contribuito allo sviluppo dello
stile che oggi rappresenta il Jazz brasiliano nel mondo: la bossanova.
Infine ho proposto una lista di brani da eseguire durante il mio concerto di laurea
definendo un repertorio coerente con l’approfondimento svolto sul tema della
contaminazione, ovvero brani del repertorio Latin-Jazz.
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CAPITOLO 1 - Il Jazz: significato, origini e sviluppi
1.1 Cos’è il Jazz?
Voglio cominciare cercando di dare un significato alla parola “Jazz”, termine
che da oltre un secolo crea numerosi dibattiti circa la sua etimologia ed il suo
significato, e che ancora oggi non trova certezza su quale delle tante valide ipotesi sia
quella reale. A parte il significato letterale che in diverse lingue si presume possa
esprimere concetti legati alla sessualità, per la collettività denota un “genere” musicale
nato nel sud degli Stati Uniti alla fine del XIX secolo e che per tutto quello successivo
trova una rapidissima evoluzione, nonché un’espansione globale che lo porta ad essere
apprezzato, studiato e suonato in tutti i principali paesi del mondo. Ho usato le
virgolette per la parola “genere” perché definirlo tale è estremamente limitativo, oltre
che essere un modo scorretto di chiamarlo.
Dunque che cos’è il Jazz? Il Jazz lo si può immaginare come un grosso
contenitore in cui convergono influenze di tradizioni e consuetudini musicali
provenienti da tutti i paesi del mondo. Alla radice di tali influenze, come già noto, ci
sono quelle degli africani che a partire dal XVII secolo vengono importati sul territorio
americano e venduti ai coloni europei per essere impiegati come schiavi nelle
piantagioni degli Stati Uniti meridionali. Qui è dove nascono i canti di lavoro, le
“Work Songs” basate sul botta e risposta (calls e hollers), l’unico spiraglio che i neri
trovano per cercare di contrastare la frustrazione provocata dallo schiavismo. Quindi
canti di speranza, di preghiera, caratterizzati da fratellanza e condivisione, canti che,
seppur involontariamente, creano le basi per quella che da lì a poco diverrà la musica
del popolo americano le cui ricche evoluzioni e mutazioni assunte in pochi decenni del
secolo scorso designano un’era musicale oggi diventata patrimonio culturale
dell’umanità. Il passaggio dai canti di lavoro al Jazz che ascoltiamo oggi comunque
non è stato così immediato, nonostante l’evoluzione di questa musica dal suo stato
embrionale alla sua massima espressione si possa riassumere in un solo secolo.
Pertanto è il frutto di un articolato processo di metamorfosi musicale provocato dai
diversi contributi culturali, che nel corso degli ultimi tre secoli alimentano il calderone
degli elementi sonori d’oltreoceano arricchendolo con le informazioni proprie di ogni
terra di origine, da quelle africane a quelle europee, da quelle di cultura anglosassone
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a quelle di estrazione latina, da quelle mediorientali fino ad arrivare a quelle
dell’Estremo Oriente, e che una volta incontrate si contaminano inevitabilmente a
vicenda dando vita ad una musica tanto variegata quanto unita da un unico ed
inconfondibile linguaggio, che oggi chiamiamo Jazz!
Per cui il Jazz possiamo definirlo più correttamente con il termine “linguaggio”,
perché è proprio grazie all’eterogeneità dei tanti contributi culturali dei quali esso si è
nutrito che oggi esiste una musica che parla una lingua universale, quella che rende
possibile l’interazione musicale globale.
1.2 Il Jazz , un “folklore” di successo
La conseguenza di questo processo contaminante è lo sviluppo di una musica
“del popolo”, ovvero una musica dalla lingua facilmente comprensibile, dai testi che
descrivono argomenti vicini alla gente comune come la quotidianità, le problematiche
sociali, la fede religiosa, nonché testimonianze di esperienze galeotte come raccontano
i testi di gran parte del repertorio Blues, ma anche una musica fatta di melodie e ritmi
che riescono ad intrattenere il grande pubblico con il ballo. Si può dunque affermare
che il Jazz nasce come musica popolare nei territori meridionali dell’America
Settentrionale, principalmente in Louisiana dove fa capo New Orleans e nella quale
a Congo Square si riuniscono le comunità africane e creole per dare luogo a riti e feste
danzanti. Le musiche prodotte in questi contesti ispireranno musicisti come Louis
Moreau Gottschalk, Buddy Bolden, Jelly Roll Morton e altri a seguire, grazie ai
quali in pochi decenni questa matrice musicale si avvierà verso un percorso
multidirezionale che, dopo New Orleans, troverà la sua massima espressione
attraverso le principali città degli Stati Uniti come Chicago, New York e Kansas City,
prima di conquistare anche l’interesse europeo. Dunque, a differenza di gran parte
delle altre musiche folkloriche rimaste circoscritte al territorio natio (come per
esempio la “cueca” cilena, la “giava” francese o lo “horò” bulgaro) o che comunque,
seppur divenute famose nel mondo non trascinano la moda dei loro costumi al di fuori
del territorio di appartenenza (come il “flamenco” andaluso, le varie danze della
musica celtica o il più moderno “liscio” romagnolo), essa invece si evolve e si espande
a macchia d’olio per tutto il pianeta assorbendo e contaminando a sua volta alcune
peculiarità delle musiche tradizionali di ogni angolo del globo, radicandosi così nella
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cultura mondiale e conquistando un’identità svincolata da quel limite cultural-
geografico proprio del folklore. Questo fenomeno lo si può accostare a quello della
canzone napoletana la quale, dai tempi dell’emigrazione italiana negli USA e nel
mondo, trova facile consenso e si espande rapidamente per tutto il pianeta grazie alla
sua forma semplice, alla sua armonia di facile ascolto e decodificazione, nonché al bel
canto per il quale l’Italia ha sempre goduto di particolar prestigio. Essa difatti ispira
molti compositori americani, compresi i maestri del Jazz; la forma dello standard
A-A-B-A deriva appunto da essa, così come i successi dei più famosi Musical di
Broadway. Non a caso è proprio dalla canzone napoletana che in tempi meno recenti
ha avuto origine anche l’Opera in Italia, le cui arie più belle sono divenute celebri in
tutto il mondo lasciando un’impronta indelebile nella storia della musica.
La rottura dei confini geografici del Jazz ha inizio con la musica della “Original
Dixieland Jass Band” di Nick La Rocca, band formata da soli musicisti bianchi che
offre la sua versione di quel sound americano degli anni ’20, raggiungendo in
brevissimo tempo la popolarità mondiale grazie all’incisione del disco “Livery Stable
Blues” del 1917, il primo della storia del Jazz mai prodotto e diffuso su scala mondiale.
Ciò a dispetto dei neri ai quali si attribuisce l’originalità stilistica, ma che per le stesse
ragioni razziali per cui sono sempre stati regolarmente discriminati, i privilegi artistici,
che includevano contratti discografici e la possibilità di esibirsi in pubblico, venivano
concessi solo ai musicisti bianchi, e dunque è proprio “grazie” a questo che la ODJB
ottiene il primato discografico nel Jazz.
Per avere l’idea di come anche il Jazz post Congo Square possa considerarsi
folklore basti confrontare le nostre mamme con quelle americane; le italiane mentre
svolgono le faccende di casa ballano e canticchiano sulle note dei loro beniamini
proposte in radio, che per la mia generazione di figlio potrebbero essere
Edoardo Vianello, Orietta Berti, Gianni Morandi o Rita Pavone per esempio, e
quelli delle generazioni precedenti Beniamino Gigli, Vittorio Parisi, Claudio Villa
o Domenico Modugno. Le mamme americane degli anni ’30 facevano esattamente lo
stesso però con lo swing di Benny Goodman o con la musica di Duke Ellington, e
addirittura qualche anno dopo si potevano sentire quelle afroamericane canticchiare e
vederle seguire il passo sulle note di John Coltrane, cosa inimmaginabile in Italia o
in Europa, sia quella di vedere mamme muoversi sui ritmi del Jazz che accendere la
radio nazionale e ascoltare brani come “Just Friends” o “Giant Steps”.
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Personalmente ho potuto avere riscontro diretto di questo fenomeno legato alla
popolarità del Jazz attraverso le c.d. “generazioni silenziose”
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statunitensi. È avvenuto
durante un contratto su una nave da crociera americana in cui ero impegnato a suonare
Jazz sets con il quartetto, e lì ho potuto osservare con leggero e piacevole stupore
coppie di signori alzarsi dalla poltroncina per mettersi a ballare sulle note degli
standard più famosi, allo stesso modo in cui i nostri anziani si alzano istintivamente
per ballare un Valzer, una Mazurka o una Polka suonati da “Radio Zeta” o da
un’orchestra di liscio in sala da ballo. Difatti questo tipo di orchestre nostrane offrono
al loro pubblico un repertorio che include tutte le canzoni più famose dei cantanti
italiani dall’inizio del ‘900 fino ad oggi, oltre che eseguire le danze classiche derivanti
dalla tradizione europea stilizzate con il tipico sound romagnolo da Carlo Brighi e poi
rese popolari da Secondo Casadei, che ne è diventato l’emblema. Dunque, così come
il liscio è divenuto parte del nostro folklore, nell’accezione di “popolare”, lo stesso
vale per l’Hot Jazz e lo Swing per gli americani. Sembra assurdo ma in realtà il liscio
e il Jazz, seppur così distanti stilisticamente e geograficamente, hanno delle affinità
molto strette; ciò che li rende stuzzicanti ai piedi irrequieti dei giovani di un tempo è
proprio il ritmo brillante che tali musiche sanno creare, un ritmo pensato e studiato per
divertire e far ballare, una musica destinata quindi all’intrattenimento, alla
convivialità, alla congregazione e alla festa, ed è proprio grazie a questo connubio tra
“beat” e melodie allegre che si deve il loro successo. Questa analisi dunque ricorda
molto le origini della musica di Congo Square, nata proprio per accompagnare
vivacemente rituali e feste in cui la congregazione e la convivialità erano i fini primari.
Pertanto i New Orléanians
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Louis Armstrong, Fats Waller, e persino
Jelly Roll Morton possono considerarsi tra i maggiori esponenti della musica pop del
tempo, perché nonostante l’origine folklorica delle loro composizioni sono ben presto
divenuti popolari in tutta l’America prima, e in tutto il mondo poco più avanti. Se
parliamo di folklore in senso stretto scopriamo che forse il Jazz ne è uno dei più genuini
risultati, in quanto è l’unica musica derivante da un popolo che non aveva proprio
niente. I neri americani erano poveri, non avevano soldi, non avevano diritti, dunque
non avevano né cultura né tantomeno una musica propria, non di certo per colpa loro,
ma per una storia che ormai conosciamo bene.
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Per la classifica generazionale adottata nella sociologia moderna la g.s. è la categoria di individui nati tra il 1928
e il 1945.
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Così vengono chiamati gli abitanti di New Orleans.