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Il concetto di wyrd nel poema Beowulf.
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I
IL CONCETTO DI DESTINO E LE SUE DIVERSE SFUMATURE
1.1 Il destino
Parlare di cose immateriali ed irrazionali con cui ogni giorno abbiamo a che fare,
seppur in modo silente, significa entrare in un campo scivoloso ed ostico, cosi come lo
è cercare di parlare e di dare interpretazioni circa il destino.
Tanta è la difficoltà che si presenta nel parlare di cose che sfuggono alla nostra
razionalità che lo scrittore irlandese Samuel Beckett, interpellato sul tema del destino,
disse <<Che cosa so del destino dell’uomo? Potrei dirvi di più a proposito dei ravanelli>>
1
.
La risposta del drammaturgo, seppur velata d’ironia, evidenzia la difficoltà nel fornire
una precisa ed univoca individuazione del concetto di destino.
Sembrerebbe questo un tema assurdo, ma d’altro canto lo ritroviamo tutti i giorni in
ambiti diversi della nostra vita, basti pensare alla costruzione molto utilizzata nella
nostra lingua ‘rassegnarsi al destino’ e sono innumerevoli i riferimenti al destino che
vengono fatti in romanzi, poesie e testi di canzoni di tutti i tempi.
L’uomo spesso si confronta con quello che sembra disegnarsi come il suo destino, a
volte cerca di fronteggiarlo e combatterlo, altre ancora, cerca di fuggirne per poi
accettarlo in maniera passiva e riluttante nel momento in cui capisce che niente può fare
per alterarlo.
Parlare del destino significa cercare di capire le sue diverse componenti insopprimibili
e come questo ha un impatto sulle nostre esistenze; innumerevoli possono essere le sue
interpretazioni a seconda dei diversi credo religiosi e dottrine filosofiche, ma la cosa
importante da rilevare è che si tratta di un entità sovrannaturale che è ed è stata
interesse di studio e di interpretazione da parte di religioni e pensieri filosofici.
Sebbene il destino ed il futuro siano concetti praticamente differenti, a volte possono
anche essere avvicinati fra di loro; in certi contesti, parlare del destino può essere inteso
1
Samuel Beckett, “Enough” in First Love and other shorts, London, Grove Press, (1974), pag. 60. Testo
originale: <<What do I know of man’s destiny? I could tell you more about radishes>>. La traduzione in
italiano è mia.
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come parlare del futuro e quindi di ciò che accadrà dopo il momento presente; la stessa
costruzione ‘leggere il destino di una persona’ può essere concepita come la lettura
della vita futura di quella data persona. Riferendosi al destino, piuttosto che collegarlo
ad una dimensione temporale futura, la scrittrice italiana Susanna Tamaro parla di
passato, definendo il fato come <<il risultato delle azioni passate>>
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ed aggiungendo che
<<siamo noi con le nostre mani a forgiare il nostro stesso destino>>
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, individuando in
quest’ultima asserzione che sono le nostre scelte e decisioni individuali a permettere di
scrivere il nostro destino.
Generalmente parliamo di destino, o di fato, riferendoci all’insieme di tutti gli eventi
inevitabili ed immutabili che accadono in una linea temporale; nel caso del destino
dell’uomo, la linea temporale sarà la sua vita.
Secondo questa prima definizione, il destino può quindi essere visto come una forza
d’irresistibile potere o come un agente che determina il futuro; in entrambi i casi il tutto
è basato sulla ferma convinzione che esista un ordine naturale prefissato nell’universo.
Secondo gli stoici, un gruppo di filosofi greci capeggiati da Zenone ed attivi in Atene
nel III secolo a.C., il destino è la legge necessaria che regge le cose, è l’ordine del
mondo e la concatenazione necessaria che tale ordine pone tra tutti gli esseri e quindi
tra il passato e l’avvenire del mondo.
Si capisce che la nozione di destino varia sensibilmente a seconda delle diverse
filosofie, religioni e periodi storici.
Il destino può essere visto come preordinato dal divino come nel caso della religione
protestante, dove parliamo appunto di predestinazione, o derivato dalla volontà umana,
com’ è nella religione cattolica, che riconosce il libero arbitrio.
Cesare Pavese mostrò una chiara posizione contraria al pensiero di predestinazione
dicendo <<Non è che accadono a ciascuno cose secondo un destino, ma le cose accadute
ciascuno le interpreta, se ne ha la forza, disponendole secondo un senso, vale a dire un
destino>>
4
. Il destino dell’uomo, secondo Pavese, è definito dalle scelte e decisioni
individuali che l’uomo fa e dalla sua capacità di riflessione e di comprensione degli
eventi e dei fatti che costituiscono la sua esistenza.
Il fato può in taluni casi essere personificato da un dio, o una dea, ma più spesso rimane
qualcosa di vago e di indicibile; nella cultura greca era personificato dalle tre Moire
(Cloto, la filatrice, filava il tessuto della vita, Lachesi, la dispensatrice dei destini, ne
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Susanna Tamaro, Va dove ti porta il cuore, Milano, Baldini & Castoldi, (1994), pag. 24
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Ibidem, pag. 24
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Cesare Pavese, Il mestiere di vivere 1935-1950, Torino, Einaudi, (2000), pag. 345
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assegnava uno a ogni individuo stabilendone la durata ed Atropo, l'inesorabile, tagliava
il filo della vita al momento stabilito).
In altre culture non mancano le dee che personificano il destino: nella cultura romana ci
sono le Parche, mentre in quella norrena, e più in generale quella germanica, ci sono le
Norne.
Nella lingua inglese il termine destino viene tradotto con destiny o fate ma nell’inglese
antico corrispondeva alla forma wyrd (inglese contemporaneo weird) che stava a
significare il fato, la sorte, il destino e la fortuna. Il termine deriva dalla base
protogermanica *wurpiz, riconducibile alla forma protoindoeuropea *wert, equivalente
al latino vertere e nel suo senso letterale si riferiva a ‘ciò che accade, ciò che sta
passando’ ma anche a ‘ciò che cambia, ciò che diventa’.
Oggigiorno, con lo stretto contatto tra culture e religioni è sempre più facile e veloce
l’introduzione di parole nuove nei dizionari delle diverse lingue: la parola inglese
kismet che deriva dall’arabo quismah significa sia ‘la volontà di Allah’ che ‘parte
assegnata dal fato’ ed è recentemente entrata nel vocabolario inglese come sinonimo di
fate e destiny.
Nell’antica Grecia, il fato era invincibile ed inesorabile e persino gli dei vi dovevano
sottostare; le Moire, rappresentate come filatrici, tessevano la tela e la lunghezza del
filo che esse concedevano ad un mortale dipendeva esclusivamente da loro e nemmeno
Zeus, capo degli dei, poteva cambiare la loro decisione.
1.2 Predestinazione e libero arbitrio
Una delle più antiche e dibattute questioni di tutti i tempi è se le nostre vite siano
governate dal fato o dalle nostre scelte personali, in altri termini, se la nostra esistenza
sia la successione di momenti ed azioni che fanno parte di un piano predestinato o se
invece siamo noi a creare momenti e situazioni con le nostre scelte e decisioni.
Tale differenza di pensiero sta alla base di dottrine religiose e filosofiche molto
importanti; da una parte la religione protestante che crede nell’esistenza di un piano di
predestinazione per ogni uomo già dal momento della sua nascita, dall’altra il pensiero
cattolico basato sul libero arbitrio, sulla libertà di scelta.
La predestinazione si riferisce ad ogni evento che accadrà nel futuro, ed in un universo
predestinato il futuro è immutabile, perché già scritto e solo certi avvenimenti possono
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accadere, a differenza di questo, in un universo non predestinato il futuro è
modificabile.
Chi più ha parlato della predestinazione è Sant’Agostino (345-430 d.C.), secondo il
quale tutto è già fermo e predestinato ab aeterno nel giudizio divino; ciò che deve
accadere, accadrà e l’uomo nulla ne può mutare dato che la sua parte nel mondo è in
ogni punto prestabilita.
I padri della riforma protestante, nel XVI secolo ripresero il tema della predestinazione
elaborandolo in maniera differente. Lutero (1483-1596), scrivendo Il servo arbitrio nel
1525 si scagliò contro l’opera precedente di Erasmo da Rotterdam (1466-1536), Il
libero arbitrio dove si rivendicava per l’uomo la libertà di salvarsi. Secondo Lutero,
non si può ammettere allo stesso tempo la libertà divina e quella umana e che il libero
arbitrio è nulla perché Dio prevede, propone e manda a compimento con volontà eterna
ed infallibile tutto ciò che accade.
Calvino (1509-1564) aggiunse qualcosa in più parlando di ‘doppia predestinazione’
dicendo che Dio predestina non solo alla salvezza ma anche alla dannazione e che la
volontà dell’uomo è nulla di fronte alla predestinazione.
Secondo San Tommaso, i padri della Chiesa e gli esponenti della Scolastica, la volontà
umana è un libero arbitrio che non è tolto né diminuito dall’ordine finalistico del
mondo né dalla prescienza divina e neppure dalla grazia che è in aiuto straordinario di
Dio.
Emilio Morselli sostiene che <<la nozione di libero arbitrio implica la possibilità da parte
dell’uomo di sottrarsi ai condizionamenti di qualsiasi tipo, che possono influenzare il suo
comportamento ma non determinarlo in modo assoluto in un senso o nell’altro>>
5
. Nell’etica,
questo concetto è alla base della responsabilità personale.
Arlea Æðelwyrd Hunt-Anschütz sostiene che <<se siamo consapevoli che ogni azione che
intraprendiamo, o che falliamo nel portare avanti, ha delle implicazioni per le nostre stesse
scelte future e per le scelte future degli altri, abbiamo un obbligo morale a pensare attentamente
alle possibili conseguenze di tutto ciò che facciamo>>
6
.
Resta celebre il dilemma conosciuto come ‘asino di Buridano’ dal nome del suo
coniatore, lo scolastico francese Giovanni Buridano (1290-1358) secondo il quale, un
asino posto tra due mucchi di fieno equidistanti ed ugualmente allettanti, muore di fame
5
Emilio Morselli, Dizionario di filosofia e scienze umane, Milano, Signorelli Editore, (1993), pag.23
6
Arlea Æðelwyrd Hunt-Anschütz, “What is wyrd?” in Cup of Wonder 5, pag.3. Testo originale: <<If we
know that every action we take (or fail to take, for that matter) will have implications for our own future
choices and for the future choices of others, we have an ethical obligation to think carefully about the
possible consequences of everything we do>>. La traduzione in italiano è mia.
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non sapendo scegliere quale mangiare, mentre l’uomo, dotato di libertà d’indifferenza,
può effettuare a secondo del proprio arbitrio la sua scelta.
Si tratta chiaramente di un paradosso che viene utilizzato per spiegare la libertà di
volontà e di scelta.
1.3 Fatalismo e determinismo
Il fatalismo è la concezione secondo la quale ogni evento e circostanza è causata da un
destino prefissato ed immutabile che non può essere controllato né modificato dalla
volontà individuale. Più in generale, può essere definito come un atteggiamento umano
che prevede un’accettazione passiva e di rinuncia degli eventi, senza quindi tentare di
modificarne il corso.
La cultura greca antica è in gran parte fatalista; i più grandi miti greci, come quello
delle Moire o di Edipo mostrano una grande fiducia ed attenzione dell’uomo al fato,
guardato in maniera vigile al fine di poter apprendere come questi lavori e controlli le
esistenze umane.
L’uomo non cerca di modificare il corso degli eventi e di fronteggiarlo perché ha capito
che tale decisione sarebbe vacua, mostra quindi un atteggiamento di passiva
approvazione senza possibilità di scelta e decisione di fronte al corso degli eventi.
Tale atteggiamento sminuisce le potenzialità del genere umano, ma d’altra parte è
l’unico possibile e porta l’uomo a pensare in una chiave parzialmente negativa e
disfattista.
Il concetto di divina provvidenza va ulteriormente differenziato da quello del fatalismo;
il Dizionario Teologico del Catechismo della Chiesa Cattolica, curato da Luis
Martinez-Fernandez definisce la provvidenza come <<la custodia ed il governo di Dio
sulla creazione, da lui guidata con le sue disposizioni verso la perfezione, fatto salvo il libero
agire delle sue creature>>
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. Dio è quindi padrone sovrano del suo disegno però, per
realizzarlo, si serve anche della cooperazione delle creature.
7
Luis Martinez-Fernandez, Dizionario Teologico del Catechismo della Chiesa Cattolica, Traduzione di
Tommaso Stancati, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, (1998), pp. 172-73