BREVE INTRODUZIONE
Questa tesi intende trattare il concetto del “diverso” nella società
giapponese, verificare se esiste e analizzare chi sono i “diversi” in
Giappone.
Durante la ricerca, ho appurato che molte persone sono considerate
“diverse” in Giappone e vista l’ampiezza dell’argomento da trattare ho
scelto di circoscriverlo ad alcune “categorie”.
Nel capitolo I introduco il concetto del “diverso” in Italia e in
Giappone, andando ad elencare le diverse categorie di persone
considerate “diverse” in Giappone.
Nel capitolo II analizzo coloro che ho definito “i diversi storici”
della società giapponese, ossia le minoranze etniche: i burakumin
(benché non siano propriamente una minoranza etnica perché sono
giapponesi a tutti gli effetti, ma sono considerati come “non-uomini”,
al pari delle bestie), gli Ainu, i coreani e i Ryūkyūjin. L’ultima sezione
del capitolo è dedicata ad uno studio sul come categorizzare i
“giapponesi” e i “non-giapponesi”.
Il capitolo III è dedicato ai sopravvissuti alle bombe di Hiroshima e
Nagasaki e ai sopravvissuti all’attentato al gas sarin nella
metropolitana di Tōkyō del 1995. Come vedremo, le persone
sopravvissute a questi eventi sono considerate “diversi” dalla società
Giappone e discriminati.
Dal capitolo IV al VI mi sono avvalsa delle traduzioni da me fatte
di alcuni volumi della collana Nihon no kaiso shistemu (Statrification
System in Japanese Society) edita dall’università di Tōkyō, la più
prestigiosa e accreditata università del Paese che si avvale di una
redazione costituita dai professori più importanti del Giappone.
6
Nel capitolo IV descrivo il posto occupato nella società giapponese
dalle donne; le discriminazioni lavorative subite e le scelte che si
trovano a compiere di fronte alle due alternative della vita: carriera o
famiglia. Servendomi dei testi da me tradotti, analizzo la divisione del
lavoro per sesso, l’ingresso nella società delle donne e le ragioni che
portano le donne a ritornare nel mondo del lavoro ad orario part-time
dopo aver cresciuto i figli.
Nel capitolo V analizzo la condizione degli stranieri in Giappone,
specialmente i coreani, i quali rappresentano il maggior numero di
immigrati presenti in Giappone.
Infine, il capitolo VI è dedicato ai mestieri in Giappone, dove
ponendo l’accento sul prestigio dato dal lavoro svolto, descrivo i gesti
e i linguaggi differenti che le persone usano a seconda
dell’interlocutore che hanno di fronte e della stratificazione sociale
connessa ai mestieri (andando a trovare i “diversi” in ambito
lavorativo).
7
CAPITOLO I
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IL CONCETTO DEL “DIVERSO”
Il “diverso” è difficile da accettare. L’uomo l’ha sempre ritenuto
ostile, impuro, indegno a volte anche forestiero. Il “diverso” è tutto ciò
che non fa parte dei “nostri”, della “normalità” e che per questo deve
essere contrassegnato da difetti caratterizzanti e gli sono attribuite
cattive abitudini. Il “diverso” è la persona la cui condizione differisce
da quella che, secondo l’opinione dei più, costituisce la normalità (per
esempio un omosessuale, un handicappato)” (Garzanti 1998). Questa è
la definizione italiana di “diverso”. Il “diverso” per la maggior parte
degli italiani è lo straniero, in particolare gli immigrati che ogni anno
arrivano sulle nostre coste, gli zingari, gli omosessuali, i portatori di
handicap, i senzatetto.
Ogni giorno nei telegiornali si sentono storie di bambini vittime di
razzismo a causa del colore della loro pelle o per il loro credo
religioso, soprattutto i bambini musulmani. Infatti ormai ovunque
dall’11 settembre 2001 i musulmani sono visti con diffidenza e
osservati con attenzione dai media che analizzano il loro modo di
vestire, il velo delle donne, il burka, il ritrovarsi in nuovi luoghi di
culto come per esempio sotto la tettoia di Porta Palazzo
1
per le
preghiere in nome di Allah.
Si sentono storie di ragazzi omosessuali che ancora oggi vengono
portati da psichiatri o psicologi per “debellare la malattia” di cui
soffrono, come se l’amare una persona del tuo stesso sesso e cercare
di viverne ogni momento sia una malattia. E’ da notare che la maggior
parte delle persone a cui ho detto il titolo della mia tesi hanno subito
1
Quartiere di Torino.
12
collegato la parola “diverso” agli omosessuali, pensando che volessi
fare una tesi esclusivamente su di loro.
Gli zingari sono considerati “diversi” per i loro costumi, il loro
aspetto esteriore e l’impossibilità di integrarli nei modelli sociali
vigenti
2
. Sono considerati sporchi e portatori di sporcizia, ladri di
bambini, di galline e ladri d’appartamento ed è difficilissimo vederli
integrati nella nostra società.
I portatori di handicap, i disabili, sono visti nella maggior parte dei
casi con compassione, apparentemente si cerca di integrarli nella
società delle “persone abili” facendoli frequentare un corso di studi
nelle scuole statali “normali” e non “speciali”, ma finito il percorso
scolastico è molto difficile, e lo dico per esperienza
3
, integrarli nel
mondo del lavoro.
Infine ci sono i senzatetto, che ritornano ogni anno alla ribalta in
tutti i telegiornali nel periodo natalizio o comunque nel periodo
invernale, quando ci sono casi di uomini e donne senza dimora che
dormono per strada e perdono la vita a causa del freddo.
Ma in Giappone chi sono i “diversi”? Non vivendo in quella realtà,
avendo solo studiato la letteratura e conoscendo in parte i
comportamenti e il linguaggio che bisogna utilizzare in azienda, non
avevo a mia disposizione degli elementi per poter dire chi sono e se ci
sono delle persone considerate “diverse” per i giapponesi. Sapevo che
nell’epoca Edo c’erano dei fuori casta, ma nei libri gli venivano
dedicate quattro o cinque righe e non sapevo se dopo centotrentasette
2
F. FALOPPA, Parole contro, Milano, Garzanti, 2004, p. 156
3
Ho un’esperienza di 10 anni come volontaria presso il C.S.T. (Centro Socio-Terapeutico) dove
vengono organizzate attività di laboratorio, attività sportive e integrazione nel mondo del lavoro di
ragazzi portatori di handicap sia fisici che psichici dai 14 anni in su.
13
anni dalla fine del periodo Tokugawa
4
e dopo la restaurazione Meiji
5
,
il boom economico e l’alta industrializzazione che ha portato il
Giappone ad essere uno dei Paesi più tecnologicamente evoluti
esistesse ancora questa realtà. All’inizio ho posto la domanda alla mia
professoressa di giapponese, la Prof.ssa Yagi, che mi ha seguito nella
stesura della tesi e che alla mia domanda ha risposto così:
In giapponese non esiste una parola che abbia una sfumatura equivalente alla
vostra "diverso" ma questo uso in italiano è pure recente.
Forse l'attuale problema maggiore di "diversi" per i giapponesi sono gli
immigrati.
"Kichigai"(pazzo, schizofrenico) o "henjin"(strano) non hanno quel tono e
sfumatura. Invece per chi ha la tendenza sessuale diversa, storicamente
considerato normale in Giappone, almeno per gli uomini, ora con l'introduzione
della cultura occidentale è stato ribattezzato "non normale", ma comunque, credo
che siano abbastanza tolleranti i giapponesi. Forse la tradizione teatrale rispecchia
un po' quel gusto ambiguo dei giapponesi. Si dice per gli uomini di tendenza
femminile "okama" e poi ci sono i soliti accorciamenti delle parole inglesi "homo"
per uomini e "rezu" per donne ma non c'è una parola che contiene tutte queste
cose come "diverso".
Storicamente "Ainu", un popolo minore, o in epoca di Edo "Eta" "Hinin"
(coloro che non sono uomini) sono stati sicuramente una categoria di "diversi", il
problema di "Buraku-min" è attuale, erano coloro che per mestiere, in epoca di
Edo, macellavano e conciavano la pelle degli animali oppure erano dei boia. In
Giappone per shintoismo il sangue era da evitare, rappresentava l'impurità, quindi
la gente era considerata sporca e impura.
Ancora oggi accade che certe persone non vogliono che la figlia sposi uno
delle famiglie di Buraku. Un problema nascosto ma esiste.
4
Il periodo Tokugawa va dal 1600 al 1868.
5
Il periodo Meiji va dal 1868 al 1912.
14
Nel 2004 mi sono recata in Giappone per due mesi. Sapevo già
l’argomento che volevo trattare nella mia tesi e il viaggio sarebbe
stato anche un modo, oltre per migliorare il mio giapponese, per
trovare il materiale necessario alla stesura. Ho riscontrato notevoli
difficoltà nell’ottenere informazioni. Ogni volta che un giapponese mi
domandava quale fosse l’argomento della mia tesi io rispondevo
“Nippon shakai ni okeru sabetsu mondai ni tsuite” che in italiano
suona più o meno così: “Il problema dei discriminati nella società
giapponese” e il mio interlocutore mi chiedeva sempre: “Vuoi parlare
dei burakumin, ainu e coreani? Ma non esistono più questi problemi!
Sono cose passate!” In realtà non volevo parlare solo di quelle
minoranze e cercavo di spiegarglielo, volevo parlare dei portatori di
handicap, degli omosessuali che pensavo fossero considerati “diversi”
anche in Giappone come in Italia, ma non c’era verso loro rimanevano
dell’idea che volevo scrivere la mia tesi su dei problemi che non
esistevano più e cambiavano argomento. Ma non era vero che i
burakumin, gli Ainu e i coreani fossero dei problemi passati. Non se
ne parlava più, come non se n’era mai parlato del resto. E’ una realtà
quella delle minoranze che conoscono tutti, ma che non viene
riconosciuta apertamente. Il Giappone, infatti, è il Paese del detto non
detto, ossia dici una cosa ma non è quella che in realtà vuoi, i
giapponesi difficilmente dicono di no, si esprimono in forme più
sottili per esempio rispondendo con Chyotto…che può essere tradotto
come “ma…” oppure “purtroppo…”, è un Paese ricco di
contraddizioni apparentemente pare omogeneo, ma in realtà la
“diversità” non viene tollerata
6
.
6
R. PISU, Alle radici del sole. I mille volti del Giappone: incontri, luoghi, riti e follie, Milano,
Sperling & Kupfer Editori, 2000, p. 56
15
Secondo la professoressa Yagi non sono stata abbastanza a lungo
in Giappone per avvicinarmi sufficientemente ai giapponesi per poter
parlare di questo argomento così delicato. I giapponesi non sono
immediati o aperti come noi italiani, prima di arrivare a certi
argomenti ci vogliono a volte anni e questo accade anche tra gli stessi
giapponesi oppure ci vuole una tattica o un giusto tatto per rivolgere
tali domande, un tatto che io gaijin, straniera, non potevo avere (forse
il mio modo troppo diretto ha fatto chiudere la porta del dialogo ai
miei interlocutori giapponesi).
Il viaggio dal punto di vista “reperimento materiale” è stato un
fallimento, ma una volta tornata a casa sono andata avanti cercando
quindi delle risposte in libri più specifici e ho prestato maggiore
attenzione a ciò che leggevo anche nei romanzi giapponesi per vedere
se scoprivo qualcosa in più rispetto ai “diversi” in Giappone.
Un libro che mi è servito molto è il Jinken Nenkan 2003
7
A Year
book of Human Rights 2003 (Libro annuale dei diritti umani del 2003).
Nella sezione in cui parla di “Attività di difesa dei diritti umani anti-
discriminatori” vi è l’elenco delle persone discriminate in Giappone e
per le quali è stato richiesto di salvaguardare i loro diritti in quanto
esseri umani e permettergli di poter vivere una vita dignitosa e senza
discriminazioni. Queste persone sono:
- Donne
- Bambini
- Bambini nati fuori dal matrimonio
- Anziani
- Disabili
7
Buraku kaihō Jinken Kenkyūjo (Isutituto della Liberazione dei buraku e degli studi sui diritti
umani) Jinken Nenkan 2004/03 (Annuario dei diritti umani 2003-04), Ed. Kaihō Shuppan-sha
16
- Okinawa
- Ainu
- Coreani e coreani residenti in Giappone
- La famiglia e i lavoratori stranieri
- Clandestini che vengono scoperti e rinchiusi in galera
- Incarcerati penalmente
- Vittime di un crimine
- Persone che sono state rilasciate dalla prigione scontata la pena
- Homeless
- Lavoratori a contratto a tempo determinato
- Minorità sessuale
- Persone affette dal morbo di Hansen (lebbra)
- Persone contagiate dall’HIV
- Burakumin
Ho cercato un libro equivalente che trattasse i diritti umani in
Italia, ma un libro di questo tipo non esiste. Esiste invece un Manuale
dei diritti umani
8
redatto per la prima volta in Italia nel 2004 che
raccoglie tutti i trattati, le convenzioni, le dichiarazioni, gli statuti e i
protocolli redatti dall’Onu, di cui sia l’Italia sia il Giappone fanno
parte. Questo manuale parla dei diritti umani riconosciuti a grandi
linee alle diverse persone menzionate già in precedenza come le donne,
i bambini, i portatori di handicap, le minoranze, le vittime di guerra,
ma non è un trattato molto specifico, non vengono riconosciute per
esempio le varie minoranze come avviene invece nel Jinken Nenkan
2003.
8
Senato della Repubblica Italiana in www.senato.it (10/02/2006)
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Ho avuto poi modo di leggere un saggio molto interessante del
sociologo Mori Shunta
9
che riporto qui per intero che, invece di
parlare di “diversi” parla di “devianti” (itsudatsusha).
Da quando la società ha cominciato a differenziarsi, gruppi di persone che
venivano etichettate come “devianti” cominciano a ridefinirsi “solo diverse” e a
rinforzare la propria immagine pubblica. In questi gruppi includiamo i disabili
fisici e mentali, gli omosessuali, le persone che lavorano nel settore dei locali
notturni e simili, i residenti stranieri, minoranze come gli ainu e i coreani, gli
studenti che sono tornati in Giappone dopo aver studiato all’estero (kikokushijo),
gli studenti che smettono di studiare prima di diplomarsi (chūto taigakusha),
coloro che cambiano spesso lavoro (tenshokusha), gli anziani e le donne. Questi
gruppi di persone vivevano rinchiusi nel loro ambiente nascondendosi dalla
società, e non reclamavano apertamente una risoluzione alla discriminazione
sociale che stavano subendo. Ma ora hanno cominciato ad “uscire allo scoperto” e
ad affermare il loro diritto di coesistere e manifestarsi in pubblico senza
nascondersi o vergognarsi della loro identità.
Questi gruppi di persone rifiutano ogni stereotipo, ogni maltrattamento, non
intendono diventare un puro oggetto di curiosità, e vogliono essere anche loro dei
membri della società a tutti i diritti. […] le due categorie di studenti erano
considerate devianti perché fuoriuscivano dal normale percorso scolastico,
secondo la mentalità per cui è normale completare un ciclo di istruzione, e coloro
che non lo fanno devono per forza avere dei problemi. Esistono molti tipi di
persone che hanno ricevuto un’istruzione all’estero. Alcuni hanno frequentato le
scuole elementari o medie in altri paesi, altri vi hanno trascorso un anno, ad
esempio un programma di scambio al liceo. Altri ancora hanno ottenuto dei titoli
universitari fuori dal Giappone. Ma l’esperienza che hanno fatto tutte queste
persone è stata quella di essere considerate “culturalmente contaminate”, e quindi
nella necessità di essere accettate come dei veri e propri membri della società. Le
persone invece che cambiano frequentemente il proprio lavoro, nell’ottica ormai
9
MORI Shunta, Cambiamenti sociali nel Giappone contemporaneo, 1999, Atti del XXIII
convegno di Studi Giapponesi, San Marino, pp. 15-20
18
scontata dell’impiego a vita, erano considerate immorali o comunque persone su
cui non poter fare affidamento. Gli anziani dovrebbero sempre dimostrare un
comportamento gentile, benevolo. Le donne invece dovrebbero rimanere nel loro
ruolo di sostegno agli uomini. Tutte queste idee hanno costretto vari gruppi di
persone a comportarsi in un determinato modo e a “stare al loro posto”, ma negli
ultimi venti anni, questi hanno cominciato a mettere in dubbio la definizione e la
posizione “assegnate” loro dalla società, e quindi la società stessa.
A questa lista di gruppi di devianti, aggiungo il popolo delle isole di Okinawa,
che costituiscono attualmente una prefettura del Giappone, ma che erano una
nazione indipendente con un’eredità culturale unica. La gente di queste isole,
situate nell’estremità sud dell’arcipelago giapponese vicino a Taiwan, sta dando
vita a un vasto movimento di protesta contro i problemi causati dalle numerose
basi militari americane impiantate sul loro territorio. Essi sostengono che hanno
dovuto sopportare per ben troppo tempo questi problemi, ed esigono che la
situazione venga risolta a livello nazionale.
Oltre a questi “devianti” vorrei citare ancora alcune persone
considerate diverse che ho trovato nelle mie ricerche: i murahachibu e
le vittime di ijime.
In passato in Giappone nel periodo Edo esisteva il murahachibu,
l’esilio pubblico dal villaggio, ossia coloro che infrangevano le regole,
coloro che venivano ritenute “cattive persone”, oppure coloro che
semplicemente apparivano o agivano diversamente dalla maggioranza
(in molti casi erano persone con problemi fisici e mentali) venivano
banditi insieme alle loro famiglie o al loro gruppo dal loro villaggio
natale e mandati in villaggi lontani, ma non troppo, perché tutti
potessero vedere la depravazione in corso che la sentenza del villaggio
aveva prodotto
10
. Intere famiglie diventavano homeless (mushuku) e
10
Vocabulary Essay in http://junana.com/CDP/corpus/Theory_Vocab2/GLOSSARY.html
(19/09/2005)
19
venivano assegnate ad un processo chiamato hinin teka per diventare
dei fuori casta (hinin
11
) e quindi destinati a vivere nei villaggi degli
hinin. Questo cambiamento di status non era solo riservato alla
persona o alla generazione che per prima aveva dato origine all’esilio,
ma era per sempre anche per le generazioni successive
12
. Chi viveva lì
non poteva più avere contatti con gli abitanti degli altri villaggi se non
in caso di incendio e di funerali. Tuttora si usa questa parola per
indicare che una persona è fuori dal gruppo e quindi esiliata,
discriminata perché diversa.
Le vittime di ijime sono le vittime di maltrattamenti o meglio del
bullismo che miete da anni vittime tra gli studenti di ogni ordine e
grado.
13
Secondo Amitrano gli sceneggiati televisivi, i terebi dorama,
in particolare Kizuna (“Legame”) mandato in onda dalla NHK alla
fine degli anni Ottanta, mostrano bene il tema della prepotenza
esercitata e subita all’interno delle aule scolastiche.
Un bambino giapponese, cresciuto negli Stati Uniti, per studiare alle scuole
medie torna in Giappone dove è ospite dei nonni. Pur parlando perfettamente il
giapponese, il bambino, “diverso” a causa della sua permanenza all’estero, diventa
oggetto delle prepotenze dei compagni, ignorate se non incoraggiate dagli
insegnanti, e in seguito a un’aggressione corre il rischio di morire. Il dramma
metteva a fuoco con molta chiarezza il meccanismo di chiusura del gruppo nei
confronti del “diverso” che è alla base dell’ijime, e nello stesso tempo, distingueva
il rigore sano della società giapponese (rappresentato dal nonno) dalla sua
degenerazione, una rigidità malsana tesa all’eliminazione dell’outsider.
11
Letteralmente significa “non uomini”
12
Vocabulary Essay..., op. cit.
13
G. AMITRANO, Il Giappone alle soglie del duemila, in Fosco Maraini, Ore giapponesi, Milano,
Corbaccio, 2000, (I ed., 1957) pp. 510 – 511
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