pericolo che un qualche frammento li potesse raggiungere e
ferire.
4
Lo sviluppo delle miniere di ferro di Vizcaya e in particolare
quelle del bacino di Sommorrostro, il più importante, cominciò
negli anni Sessanta del XIX secolo, quando si eliminarono le
restrizioni all‟esportazione, la domanda dell‟industria
siderurgica crebbe e gli investimenti di capitali britannici
richiesero un incremento della produzione che, a parte
l‟interruzione provocata dall‟ultima guerra carlista, prese forza
a partire del 1876. Questo si tradusse nella creazione di posti
di lavoro che attrassero molti immigranti, prima delle province
limitrofe e poi di luoghi più lontani. Dei tredicimila lavoratori
sui quali contavano le miniere nei momenti di maggiore
produzione, fino al 1910, appena tremila erano nativi di
Vizcaya. Ma la rapida crescita della popolazione in questi
territori non fu accompagnata da un‟uguale crescita
architettonica, dalle costruzioni alle opere pubbliche.
Mancavano le case, scarseggiava l‟acqua e le fognature non
erano all‟altezza di un numero così elevato di abitanti. I servizi
offerti erano minimi e spesso addirittura assenti. Al contempo i
salari erano più alti di quelli della popolazione agricola per cui
continuamente si avevano ondate di immigranti alla ricerca di
qualche ricchezza in più.
E‟ difficile immaginare oggi la durezza delle condizioni di vita
che dovevano sopportare allora i lavoratori spagnoli. Angel
Marvaud, uno studioso francese che nel 1908 visitò la Spagna
per analizzarne la situazione sociale, comprovò che il salario
4
J. Camino (1977): Intimas conversaciones con Pasionaria, pp. 187-188.
di un minatore di Vizcaya oscillava tra 3,25 e 3,50 pesetas
giornaliere. Per farsi un‟idea di ciò che questo significava in
termini di acquisto, conviene ricordare che allora, in Madrid,
un chilo di pane costava 40 centesimi, un chilo di piselli 1,20,
un chilo di lardo 2,20 e un paio di scarpe 10 pesetas. E‟ quindi
come dire che il salario di un minatore equivaleva al prezzo di
un chilo di piselli e uno di lardo, come se attualmente si
guadagnassero 5 euro al giorno, il che, invece, corrisponde a
molto meno di un terzo di uno stipendio minimo. E con questo
un minatore di Vizcaya poteva comunque ritenersi fortunato se
confrontava il suo stipendio con un agricoltore Andaluso il cui
salario, invece, oscillava attorno a 1,50.5
Questo fu il contesto in cui crebbe Dolores, i cui nonni
arrivarono al bacino minerario attratti dall‟espansione
lavorativa che si produsse dopo l‟ultima guerra carlista.
Quando suo padre Antonio si trasferì aveva diciotto anni.
Come quasi tutti quelli che arrivavano alla miniera era
analfabeta e mai imparò a leggere, però anni dopo gli piaceva
che sua figlia Dolores gli leggesse tutti i giorni il giornale.
Nell‟esercito carlista era stato artigliere e in miniera si incaricò
degli esplosivi, al che lo chiamavano Antonio “el Artillero”.
Era un lavoro delicato e ben pagato, però negli ultimi anni,
fino a che non morì a sessantasette anni, si ritrovò, come altri
vecchi minatori, a un‟occupazione che sua figlia ricorda con
tristezza, quella di raccogliere, scalzo nel ruscello, i pochi
frammenti di minerale presenti nelle acque.6
5
A. Marvaud (1910): La questión social en España, pp. 126-176.
6
J. Camino (1977), p. 27. A. Carabantes e E. Cimorra (1982): Un mito llamado
Pasionaria, p. 16. D. Ibárruri (1960), pp. 112-113.
Antonio era, secondo quanto ricorda sua figlia, “un basco
molto chiuso che parlava un casigliano maccheronico”.7
Sua madre, Juliana Gómez, la ricordava come una “castigliana
di puro sangue, molto cattolica, molto bella e molto alta”.
Qualità che, in parte trasformate, ereditò Dolores, della quale
si può dire che fosse molto comunista, molto bella e molto
alta. E entrambe dovevano avere un carattere ugualmente
forte. Juliana era nata in Castilruiz, una piccola località della
provincia di Soria, da dove era emigrata con la sua famiglia
per andare a Vizcaya. Lavorò in miniera, dove raccoglieva il
minerale in carriole che poi portava ai furgoni, fino a che a
diciassette anni si sposò con Antonio. Da allora si occupò di
casa e della loro numerosa prole. Ebbe undici figli, dei quali
solo sette arrivarono all‟età adulta, e per educare tutta quella
ciurma di ragazzini usava un metodo alquanto tradizionale,
con parole di sua figlia “aveva la mano leggera”. Dolores era
una delle piccoline, nacque come ottava, e secondo una sua
confessione non era certo la peggiore della casa, ma aveva un
carattere alquanto speciale e protestava energicamente fin da
bambina, quando credeva che la stessero castigando
ingiustamente e per questo era considerata una ribelle. Infine,
sua madre la picchiava spesso. Un motivo di dispute familiari
era il grande diletto di Dolores per la lettura. Ovviamente in
casa sua non c‟erano libri, però lei poteva leggere quelli che
c‟erano nel centro lavoratori, nucleo di riunioni dei minatori
socialisti, la cui presenza rappresenta un indizio importante
7
A. Carabantes e E. Cimorra (1982), p. 16. L. Haranburu e P. Erroteta (1977), pp. 67-
69.
dell‟ambiente in cui Dolores visse fin da bambina, marcato da
una militanza operaia alquanto sconosciuta negli altri paesi di
Spagna.8
Nelle sue Memorie del 1960, Dolores afferma che ha avuto
un‟infanzia triste e un‟adolescenza senza illusioni, il che
incastra perfettamente nell‟immagine di una militante
comunista che conosce fin da subito quanto dura è la vita dei
lavoratori sfruttati dal capitalismo.9 Ma dalle interviste che
concesse nei suoi ultimi anni, quando la semplice evocazione
dell‟infanzia s‟imponeva agli stereotipi dell‟immaginario
comunista, si deduce che la famiglia di Antonio el Artillero
beneficiò delle modeste ricchezze dovute allo sviluppo delle
miniere di Vizcaya. Diamole la parola:
“I miei genitori non vivevano male. Avevamo vacche, una
casa, un orto e tre salari in casa. Non vivevamo nella miseria
in cui stavano gli altri minatori, e noi mangiavamo bene e ci
vestivamo bene esattamente come corrispondeva a figli di
minatori, ma bene, senza miseria. Io non ho conosciuto quella
che si chiama povertà in casa dei miei genitori. L’ho
conosciuta dopo, in casa mia, ma in casa dei miei no”.10
8
R. Cruz (1999): Pasionaria, p. 30. D. Ibárruri (1960), p. 112. J. Camino (1977), p.
161. A. Carabantes e E. Cimorra (1982), pp. 15-16.
9
D. Ibárruri (1960), p. 112.
10
A. Carabantes e E. Cimorra (1982), pp. 38-40.
Secondo quanto raccontò in un‟altra intervista, viveva in una
casa molto grande, dipinta di rosso, con il centro lavoratori e la
stalla al primo piano e due mansarde di sopra.11
Come era normale in una famiglia di un secolo fa, le disgrazie
la visitarono presto. Non sappiamo perché morirono durante la
loro infanzia quattro degli undici figli di Antonio e Juliana,
una proporzione abituale per l‟epoca, però Dolores sì che
ricordava vari incidenti sul lavoro nella cava. Suo nonno
materno morì soffocato sotto un blocco di minerale, suo padre
fu schiacciato da un carrello poco prima di morire e un
giovane del quartiere, Bonifacio, perse la vita durante
un‟esplosione. Questo ultimo episodio dovette colpirla molto,
in quanto dedicò molte pagine delle sue memorie a Bonifacio
stesso. Lo descrive come un buon ragazzotto, che entrò a
lavorare in miniera che ancora era un bambino e a quindici
anni era già un operaio specializzato, si iscrisse presto nel
centro operaio e morì tentando di disattivare un blocco di
dinamite che non era esploso. I ragazzi del quartiere, ai quali
non fu concesso entrare nel cimitero, piansero sconsolatamente
il loro amico, il cui ricordo li ossessionò per molto tempo.12
Un‟esperienza che fu decisiva, perché le aprì le porte verso un
orizzonte mentale più ampio, fu la possibilità, unica all‟epoca
e per quell‟ambiente sociale, di frequentare la scuola fino ai
quindici anni. Nelle sue memorie del 1960 descrisse con
termini lugubri la scuola elementare dove andava. “Buia,
11
L. Haranburu e P. Erroteta (1977), pp. 70-71. A. Carabantes e E. Cimorra (1982), p.
38.
12
D. Ibárruri (1960), pp. 112 e 131-139. R. Cruz (1999), p. 37.
fredda e umida, priva di una qualunque cosa che potesse essere
attraente”.
Era una scuola privata, invece, quella dove andò dopo. Qui
conobbe la signora Antonia, la maestra, che per quanto fosse
“molto cattolica” s‟incaricava che i suoi alunni avessero i
migliori libri per leggere e studiare.13 Fu lei che svegliò in
Dolores la passione alla lettura, che conserverà poi per tutta la
vita e che contribuirà a convertirla in un‟efficace
propagandista rivoluzionaria.
I ricordi più felici della sua infanzia si riferivano, come era
ovvio, ai giorni di vacanza, quando la madre lasciava i figli in
completa libertà. Percorrevano i sentieri più lontani che
portavano al monte e da là contemplavano il mare.
Raccoglievano more d‟estate e castagne in inverno. Le
installazioni della miniera si trasformavano in un parco di
attrazioni gratuito, in cui le ragazze spesso si rompevano il
vestito o le calze, e questo implicava un‟inesorabile
“ramanzina” al tornare a casa. Non mancavano neppure le
selvagge battaglie in cui i ragazzi dei diversi quartieri, in
squadroni, si lanciavano le pietre con le mani o con le fionde,
mentre le ragazzine componevano le file della retroguardia. E
nelle notti buie, quando i pochi lucernari a petrolio
illuminavano appena le strade del quartiere, c‟era anche la
possibilità di divertirsi facendo paura ai bambini o alle signore,
con teste di zucca scavate al centro e con intarsiati occhi, naso
13
A. Carabantes e E. Cimorra (1982), p. 17.
e bocca e illuminate da una candela, poste agli angoli più
oscuri delle strade. Un Halloween in versione Gallarta.14
Ricorda Dolores nelle sue memorie che quando nelle notti di
estate, seduti in qualunque angolo del quartiere, si
raccontavano storie dell‟oltretomba, sempre qualcuno le
stringeva la gola, quasi a volerla soffocare. E che viveva una
cultura popolare piena di superstizioni terrificanti. Nonostante,
infatti, in Chiesa e a scuola si ripetesse continuamente che le
streghe non esistono, la povera signora che veniva additata
come tale, di sicuro avrebbe vissuto nell‟ostilità più
tremenda.15
La stessa Chiesa non metteva in dubbio la possibilità di essere
posseduti dal diavolo. Così che un giorno, la mamma di
Dolores, probabilmente disperata per l‟indomito carattere di
sua figlia, che allora aveva dieci anni, la fece esorcizzare in
una chiesa di Deusto, nella quale si venerava San Felicísimo.
Qualcosa che era sintomatico, non solo della mentalità
dell‟epoca, ma anche del carattere ribelle di Dolores già da
piccolina. Lei stessa raccontò, molti anni dopo, che “era molto
inquieta, molto nervosa e molto contestatrice” e che per questo
le vicine dicevano che era stregata. Quando sua madre la portò
in questa chiesa e lei ascoltò cosa le chiedeva il parroco, andò
su tutte le furie dopodiché: “Allora sì che facevo ancora di più
14
D. Ibárruri (1960), pp. 123-130.
15
D. Ibárruri (1960), pp. 99-104 e 124-125. A. Carabantes e E. Cimorra (1982), pp. 19-
20.
diavolerie per dimostrare che san Felicísimo a me non mi
aveva esorcizzato”.16
Era ribelle, secondo lei, perché mai e poi mai poteva
sopportare le ingiustizie, ma era anche religiosa. Lei stessa
raccontò, in un‟intervista del 1977, che si confessava tutti i
sabati, che apparteneva all‟Apostolato dell‟Adorazione, che
sfilava incappucciata nelle processioni e che la emozionava
soprattutto l‟immagine della Dolorosa, ossia della Vergine
Maria che soffre davanti al corpo di suo figlio.
Nelle sue memorie menziona alcuni dei dubbi che iniziarono a
far barcollare la sua fede cattolica. Il primo è caratteristico
delle problematiche che sorgono quando un‟intelligenza
precoce si confronta con le apparenti contraddizioni
indissolubili della dottrina: se i giudizio di Dio sono
immutabili, perché le nostre anime dovrebbero aleggiare nel
Purgatorio e soffrire fino a non aver scontato le pene? La
seconda spiegazione, invece, sembra più strana. Il tutto
avvenne davanti all‟altare della passione nella chiesa di
Gallarta, oggi scomparsa. “Su quell‟altare –ricordava- si
concentrava la mia fede. La madre straziata dal dolore e il
figlio morto mi emozionavano fino a piangere.” E a volte,
quando le lacrime di cristallo dell‟immagine brillavano per il
riflesso del vetro, sembrava come se la Vergine Maria
piangesse davvero. Quello che mai Dolores si era chiesta fino
ad allora era di cosa fossero fatte quelle statue. Quel giorno, la
sua maestra, appartenente alla confraternita del Cuore di Gesù
Cristo, si occupava, come tutte le settimane, di sistemare
16
A. Carabantes e E. Cimorra (1982), p. 41.
l‟altare e Dolores la aiutava. E fu allora che vide
improvvisamente che due suore avevano spogliato la statua, la
quale risultava essere, salvo la testa e le mani, un manichino,
quasi uno spaventapasseri. L‟impressione fu talmente grande
che quella stessa notte Dolores sognò spaventapasseri vestiti
con abiti scuri.17 Forse era semplicemente troppo bambina. O
forse la superstizione superava la sua religiosità ed era caduta
in confusione tra l‟immagine materiale e l‟essenza divina che
alcune religioni cercano di evitare radicalmente mediante la
proibizione di immagini stesse.
Accanto a questa cultura tradizionale, più o meno intrisa di
superstizione, era sorta nella Vizcaya dei minatori di fine XIX
secolo una nuova ideologia che avrebbe marcato
profondamente la vita di Dolores Ibárruri, l‟ideologia
socialista. La contrapposizione tra queste due culture era
visibile persino nelle distinte canzoni che intonavano i bambini
del suo quartiere.18 A scuola si apprendevano canti che
esaltavano l‟educazione religiosa, ma per strada si divertivano
a canticchiare canzoni che avevano imparato al centro operaio.
Questi canti rivoluzionari erano lo specchio di una realtà
sociale; il bacino minerario di Vizcaya era forse l‟unica
regione di tutta la nazione in cui i socialisti potevano contare
sull‟appoggio delle masse.19 Lo avevano conquistato a partire
dal grande sciopero del 1890, nel quale una grande
mobilitazione operaia con la mediazione del capo militare
17
D. Ibárruri (1960), pp. 120-122.
18
D. Ibárruri (1960), pp. 88-92 e 122.
19
J. P. Fusi (1975), pp. 81-82.
aveva richiesto la riduzione della giornata lavorativa a dieci
ore e l‟abolizione dell‟obbligo per i minatori di risiedere nelle
baraccopoli. Tutto questo era successo cinque anni prima che
Dolores nascesse, ma nuovi scioperi si succedettero con
frequenza durante la sua infanzia e adolescenza. Tra il 1890 e
il 1910 ci furono nella miniera vizcaína non meno di cinque
scioperi generali e trenta parziali.
Erano scioperi, di per sé moderati, in cui si rivendicavano
migliori condizioni lavorative, ma erano sempre marcati da
violenze, sottoforma di sabotaggi alle imprese e aggressioni
agli impresari o ai crumiri. Tramite queste manifestazioni si
voleva ricompensare i lavoratori per la loro scarsa possibilità
negoziatrice, derivante dalla semplicità tecnica del proprio
lavoro nelle miniere a cielo aperto che, a differenza delle
gallerie sotterranee di altre miniere, non esigevano il
mantenimento di importanti istallazioni durante il periodo di
sciopero, né richiedevano un numero elevato di operai
specializzati. Molti dei minatori erano immigranti temporanei,
arrivati per guadagnarsi qualche soldo in più durante pochi
mesi, che non erano interessati alla lotta solidale. E gli
impresari potevano sempre procurarsi manodopera non
specializzata dalle province limitrofe disposta a rimpiazzare gli
operai in sciopero. Non esisteva nemmeno una vera e propria
organizzazione sindacale, anzi, della lotta si incaricavano i
piccoli raggruppamenti socialisti dei paesi minerari.
Alla violenza dei minatori, le autorità rispondevano con la
dichiarazione di stato di guerra e l‟uso dell‟esercito per
ristabilire l‟ordine pubblico. Ma questo non sempre era uno
svantaggio per i lavoratori delle miniere. Visto, infatti, che
l‟interesse del governo e delle autorità militari era quello di
ristabilire l‟ordine, erano spesso disposti non solo a combattere
energicamente contro i minatori, ma anche a spingere gli
imprenditori affinché rispondessero alle rivendicazioni dei
lavoratori, di modo che spesso si guadagnavano così le
simpatie dell‟opinione pubblica. Così fecero il generale Loma
nello sciopero del 1890 e il generale Zappino nel 1903.20
La rivendicazione dello sciopero del 1903 fu la sostituzione
del sistema di pagamento mensile in vigore nelle miniere con
un sistema settimanale. Dietro questa richiesta se ne
intravedeva un‟altra, non meno importante, e che consisteva
nel riconoscimento da parte degli imprenditori di
rappresentanti degli operai. Lo scioperò si prolungò per dodici
giorni, ci furono momenti di grande tensione in cui la violenza
superò quello che i dirigenti socialisti ritenevano prudente, si
mossero le truppe e finalmente il comando militare, dopo
essersi consultato con Madrid, impose agli imprenditori il
pagamento settimanale. Uno degli episodi centrali del conflitto
avvenne appunto in Gallarta dove migliaia di operai riuniti in
assemblea rifiutarono una soluzione intermedia proposta dal
governatore e decisero di lottare fino alla soddisfazione
completa delle loro rivendicazioni.21
Nei ricordi di Dolores, che allora aveva solo otto anni, lo
sciopero del 1903 rimase impresso in modo incancellabile.
Nelle sue memorie del 1960 uno scontro che ebbe luogo in
Gallarta appare come un esempio delle epiche lotte del
20
J. P. Fusi (1975), pp. 94-104.
21
J. P. Fusi (1975), pp. 233-242.
proletariato. Quel giorno si aspettava l‟arrivo dei crumiri, al
che le donne del quartiere della miniera dovettero mettersi in
fuga, ma alla vigilia il governatore aveva decretato lo stato di
guerra e al quartiere non arrivarono solo le forze della Guardia
Civile, come ci si aspettava, ma anche le truppe dell‟esercito
stesso. All‟albeggiare, i ragazzi e le ragazze del quartiere, che
erano saliti su un ponte per vedere che cosa stesse succedendo,
si incontrarono con uno spettacolo impressionante davanti ai
loro occhi. Le donne al vedere i soldati erano uscite allo
scoperto, per le strade, e avevano rotto le fila, ma sebbene non
fu usata forza contro di loro, non riuscirono in ogni caso a
frenare l‟avanzata dei crumiri. Lo fece, invece, l‟esplosione di
una carica di dinamite che li obbligò alla ritirata. Era deciso il
risultato dello sciopero.22
Non raccontò in quelle memorie, forse perché non s’incastrava
del tutto con quello che doveva essere la lotta di classe
secondo l‟ortodossia comunista, un piccolo episodio di cui fu
protagonista sua madre e che Dolores rivelò solo anni più tardi
in un‟intervista. Juliana aveva allora uno dei suoi figli
militante nell‟esercito e quando vedette che un soldato stava
cadendo al suolo, si avvicinò, non senza allarmare gli altri
soldati che erano comunque intimoriti dalla combattività delle
donne della miniera, e se lo portò a casa perché potesse
riposare e ristabilirsi. Per Dolores, però, non si poteva essere
caritatevoli con i soldati.23
22
D. Ibárruri (1960), pp. 104-112.
23
A. Carabantes e E. Cimorra (1982), p. 18.