6
§1. IL MOMENTO CONSUMATIVO DEL REATO
Il reato è inscindibilmente legato alla
condotta umana. Esso appare innanzi tutto come
un fatto dell’uomo (art. 1 c.p.)
1
.
Problema fondamentale di questa ricerca è
segnare il confine tra il momento del compimento
del reato e tutto quello che ne segue, compreso la
condotta susseguente del reo penalmente
rilevante.
Si ritiene utile iniziare l’indagine partendo
dalla concezione dell’evento come elemento
indispensabile del reato
2
.
1
V. Manzini, Trattato di diritto penale, vol. I, Torino, 1948 pag. 531:
“Il reato, considerato nella sua nozione formale (concetto), è il fatto
umano (azione o omissione) con cui si viola un precetto giuridico
munito di quella sanzione specifica di coercizione indiretta, che è la
‘pena’ in senso proprio”; G. Maggiore, Principi di diritto penale,
Bologna, 1943, Vol. I, pag. 219.
2
Sul punto vedi G. Contento, Corso di diritto penale, tomo 2, Bari
1996 pagg. 28-29.
7
1.1 Concezione naturalistica e concezione
normativa dell’evento
Un’attenta analisi letteraria del codice pone
in evidenza come questo richieda sempre un
evento affinché esista un reato, ma la dottrina, al
riguardo, non concorda sullo stesso concetto di
azione e di reato. Due le concezioni che si
dividono il campo: la concezione naturalistica o
materiale dell’evento e quella normativa o
giuridica dello stesso.
La prima distingue nettamente l’evento
dall’azione. L’evento è l’effetto naturale della
condotta umana, esso è un’entità esteriore
all’azione. Per tale teoria, l’evento è rilevante solo
se tipico, cioè penalmente previsto dalla legge, sia
come elemento costitutivo del reato sia solo come
aggravante dello stesso. Si distinguono, pertanto,
i reati di evento (nei quali l’evento è elemento
8
costitutivo) da quelli di pura condotta (in cui è
l’azione in sé per sé ad essere perseguibile).
Gli autori che aderiscono a questa
concezione pongono in evidenza il fatto che per il
diritto penale “viene in considerazione in prima
linea la condotta dell’uomo”, l’evento, perciò, “in
senso tecnico è soltanto l’effetto della condotta
che il diritto prende in considerazione, in quanto
connette al suo verificarsi conseguenze di
carattere penale”. L’evento, pertanto, “è sempre
un quid diverso e distinto dal comportamento
umano”
3
.
Di contro la concezione normativa o
giuridica dell’evento considera insuperabile il
3
Cfr. F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano,
1969, pag. 171 ss., il quale aggiunge che “Esistono reati privi di
evento, il quale, di conseguenza, non può considerarsi elemento
essenziale del reato”. Contento, op. cit., pag. 32. F. Mantovani, Diritto
Penale, Padova, 1979, pagg. 159-160.
9
dettato dell’art. 43 c.p.
4
e, pertanto, ritiene
indispensabile che all’azione segua l’evento per la
configurabilità di un reato
5
. Tale concezione, nel
tentativo di superare la facile obiezione della
mancanza di eventi nei reati di pericolo,
individua l’evento sia nella lesione vera e propria,
ma anche nello stesso pericolo di lesione o, come
anche è stato detto, nell’offesa.
6
Di tale teoria ne è un interprete il Maggiore.
Egli propone la distinzione fra reati formali e reati
materiali: i primi sono quelli “in cui l’evento non
si distacca dall’azione, ma si immedesima con
4
Nel primo comma dell’art. 43 c.p. per differenziare l’elemento
psicologico del reato, il legislatore parla di eventi conseguenti
all’azione o all’omissione.
5
Scrive il Manzini, op. cit., Vol. I pag. 539: “Il reato è anzi tutto e
sempre un fatto produttivo di un evento, in quanto cagiona una
modificazione (illecita) o impedisce che si produca una modificazione
(doverosa) del mondo esterno, materiale o no che sia tale
modificazione.” Ed è proprio il riferimento a presunti eventi non
materiali che suscita i dubbi più seri tra gli autori della concezione
naturalistica: Mantovani, in op. cit., pag. 161, sottolinea la necessità,
avvertita dagli autori di scuola normativa, di distinguere i vari tipi di
eventi del codice.
6
Contento, op. cit., pagg. 32-33
10
questa”, i secondi, invece, sono quelli che “per la
consumazione esigono l’avverarsi di un evento
materiale, il quale segue all’azione o
all’omissione”
7
.
Tale teoria porrebbe seri limiti alla nostra
indagine, in quanto ha un incontestabile
componente aprioristica
8
che costringe lo
studioso a ricercare un contenuto offensivo,
indipendente dalla fattispecie legislativamente
prevista, in reati che possono esserne privi.
La nostra preferenza va quindi accordata
alla concezione naturalistica con alcune
importanti precisazioni, e cioè, che sicuramente
ad ogni azione, in rerum natura, corrisponde un
evento, ma non è detto che il legislatore non
7
G. Maggiore, Op. cit., pagg. 251 ss. L’A. opera un’ulteriore
precisazione: egli scrive che “l’evento non è un elemento costitutivo
del reato, ma dell’azione o del fatto (…) Evento è in generale ogni
risultato ed effetto (…) Ma non ogni risultato dell’azione è evento, in
senso tecnico”.
8
Mantovani, Op. cit., pag.161.
11
possa punire l’azione di là delle sue effettive
conseguenze in natura. In altri termini, l’evento
diviene fattispecie tipica solo se legislativamente
previsto, altrimenti il reato è costituito dall’azione
in sé per sé considerata. In secondo luogo, come
è stato messo in luce
9
, l’evento può essere
rilevato a seconda del punto di vista.
Chiarificatore è l’esempio del delitto di
diffamazione: l’offeso percepisce solo l’azione del
reo che lo offende, se però ci si pone da un punto
di osservazione esterno si può cogliere sia
l’azione dell’offendere che l’evento costituito
dall’offeso diffamato.
Si può, pertanto, concludere che l’evento è
indispensabile all’esistenza del reato solo se esso
si definisce come la situazione finale di cui la
legge intendeva impedire il verificarsi, in quanto
9
Contento, op. cit., pagg. 35 ss.
12
lesiva di un bene o di un interesse protetto. Tale
definizione, è evidente, è ben differente da quella
di evento naturale.
La dicotomia evento-reato appare, dunque,
superata nel senso della unificazione dei due
concetti.
13
1.2 Il compimento dell’azione
Posta, pertanto, la necessità di prevedere un
evento come conseguenza di un’azione od
omissione legislativamente prevista
10
, ai fini della
nostra ricerca, è essenziale individuare il
compimento finale dell’azione costituente il reato.
Bisogna prima di tutto premettere che
l’azione è un comportamento dell’uomo rivolto ad
uno scopo
11
. Pertanto è indispensabile
individuare quando si ha una sola azione e
quando una molteplicità di azioni; e ciò solo non
basta, poiché è indispensabile stabilire anche se
la molteplicità di azioni, eventualmente
10
Anche dall’omissione deriva un evento nel senso indicato in quanto
il legislatore prevede un evento che non dovrebbe realizzarsi.
11
Antolisei, op. cit., pag.168
14
individuate, siano preordinate ad un solo o a
molteplici scopi
12
.
Anche in questo caso, a seconda dei punti
di vista, il momento finale dell’azione varia. Dal
punto di vista soggettivo l’azione si compie
definitivamente solo quando si consegue il
risultato voluto originariamente; nella realtà
giuridica, invece, è possibile che l’azione, non
ancora del tutto compiuta per il soggetto, abbia
già raggiunto dei risultati penalmente rilevanti.
Si consideri l’ipotesi del rapinatore che, dopo
aver svaligiato la cassa di una banca, si dirige
verso la cassaforte per prendere quanto lì
custodito. È evidente che dal suo punto di vista
12
La distinzione, nel diritto penale, è fondamentale: si pensi, ad es.,
all’art. 455 c.p. che, nel punire la spendita e introduzione nello Stato
di monete falsificate, esclude l’applicazione dello stesso articolo a chi
falsifica o altera le monete (reati puniti più gravemente dai due
articoli precedenti). La ratio della norma è evidentemente quella di
non punire due volte il colpevole per un delitto (la falsificazione o
l’alterazione delle monete) che ha, è evidente, un solo fine pur se
composto da più atti penalmente e autonomamente rilevanti. Si veda
oltre al capitolo 3 par. 2.
15
l’azione non è ancora del tutto compiuta, al
contrario per la legge egli è già penalmente
perseguibile.
Antolisei propone, come soluzione, per
stabilire se più atti sono preordinati ad un solo
scopo, di valutare se essi si svolgano in un unico
contesto
13
.
Tale teoria appare la più appropriata. Di
conseguenza, tutto quello che segue, fa già parte
del postfatto. Sull’argomento, comunque, si
discuterà più ampiamente più aventi.
Circa, invece, il momento di conclusione
dell’azione-reato, il problema in dottrina è risolto,
quasi unanimemente, individuandolo nel
momento in cui il divenire causale dei fatti esce
dal controllo dell’agente che lo aveva messo in
moto.
13
Antolisei, op. cit., pag. 168.
16
Si pongono però le premesse per
un’ulteriore dicotomia. Da una parte la perdita
del controllo del divenire causale si può intendere
nel senso che, una volta orientate le proprie
azioni alla realizzazione del fine illecito, l’agente
non debba fare più niente per realizzare l’evento
pur, potendo, in caso, intervenire (si pensi ad un
assassino che miscela del veleno con il caffè che
sta offrendo all’ipotetica vittima).
Il perdere il controllo del divenire causale si
può intendere, però, anche in un senso più
drastico e, cioè, esso può coincidere con il
momento in cui l’agente non può più nulla per
impedire la propria azione (un sicario nel
momento in cui ha già sparato).
A noi sembra che la preferenza vada
accordata alla concezione che vuole il
compimento dell’azione nel momento in cui
17
l’agente perde il controllo del divenire causale,
nel senso che, per impedire l’azione, è necessaria
una contro-azione. L’azione non è compiuta
finché l’agente è ancora signore del fatto
14
; in
altre termini finché nulla e nessuno è in grado di
impedirgli di neutralizzare l’efficacia causale degli
atti posti in essere, se non egli stesso.
Nel reato colposo, invece, il compimento
dell’azione coincide con il momento in cui
l’agente non può più nulla per impedire
l’accadimento dell’evento: neanche un’azione
positiva può interrompere il processo ormai
inesorabilmente avviato a conclusione.
Posto, dunque, il momento in cui viene ad
esistenza il reato, il fatto, il postfatto si può,
prime facie, distinguere come “un comportamento,
cronologicamente successivo al compimento di un
14
Contento, op. cit., pag. 56
18
fatto già penalmente rilevante, per effetto del
quale il trattamento sanzionatorio del fatto stesso
risulti, in tutto o in parte, diverso da quello che
avrebbe dovuto o potuto essere se l’agente non
avesse realizzato il detto comportamento”
15
.
15
Contento, La condotta susseguente al reato, Bari, 1965, pag. 14.
19
1.3 Il momento consumativo del reato
Un problema che da sempre interessa la
dottrina e che appare doveroso superare per
chiarire quando si può parlare di postfatto, è
quello dell’individuazione della consumazione del
reato.
Se problemi particolari non si pongono per
molti tipi di reati, anche detti a consumazione
istantanea, tanti altri sono ancora oggi occasione
di dibattito (e si pensi al reato permanente o a
quello continuato).
La teoria del reato consumato elaborata dalla
Scuola classica e la più recente dottrina italiana.
La teoria del reato esaurito considera
perfezionato il reato nel momento in cui l’agente
non può più tornare indietro. Il reato di spergiuro
o di falsa testimonianza, ad esempio, si