La chiesa del complesso ex-Cottolengo a Castiglione Torinese: ipotesi di intervento conservativo
2. Il rilievo e l’analisi dello stato di fatto del manufatto
29
1. L’esame visivo e la documentazione fotografica
La conoscenza del manufatto è preliminare al progetto di restauro. Essa riveste
un’importanza fondamentale per la scelta della metodologia e delle tecniche di
intervento e consta di diverse fasi (analisi ambientale, indagine storica, esame visivo,
documentazione fotografica, rilievo), volte a garantire un’analisi accurata e quanto
più possibile completa dell’edificio in questione.
L’esame visivo permette di acquisire una conoscenza generale e immediata dello
stato di fatto dell’edificio, dei materiali utilizzati e delle manifestazioni di degrado
che interessano la struttura; contemporaneamente si rivela utile realizzare una
documentazione fotografica finalizzata alla diagnosi.
In questa fase si rivolge l’attenzione al numero, all’estensione e alla localizzazione dei
degradi macroscopici, nonché alla presenza di eventuali danneggiamenti in zone
particolari del manufatto (pluviali, spigoli, serramenti,…); tutti questi elementi
devono essere registrati e accuratamente annotati servendosi anche del repertorio
fotografico realizzato.
Riporto qui di seguito alcune delle fotografie che ritengo più significative al fine di
prendere conoscenza dello stato di fatto del manufatto.
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3. Analisi dei materiali
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Le decorazioni sulle volte e sul soffitto
L’affresco della cantoria
1. I materiali della chiesa
Il materiale maggiormente utilizzato per la finitura nella chiesa del complesso ex-
Cottolengo è un intonaco confezionato in calce e sabbia.
All’interno, il suo stato di conservazione è pessimo pur permettendo ancora di
distinguere alcune decorazioni (probabilmente originarie) realizzate su tutte le pareti
e sui soffitti, e il grande affresco situato sulla parete nord della cantoria. Per il
resto, le decorazioni di cui oggi abbiamo solo più qualche accenno erano realizzate
su tutta la superficie interna dell’edificio, ed è possibile ancora distinguere alcune
cornici realizzate sulle modanature al di sotto delle volte e gli interventi effettuati sui
soffitti.
L’intonaco esterno era, invece, di un colore giallo chiaro che è in parte ancora
visibile, nonostante gli importanti degradi riscontrati; esso presenta, infatti,
mancanze, patina, rigonfiamento, efflorescenze e macchie, e, infine, risulta essere
stato in parte sostituito con un intonaco di cemento nella fascia a diretto contatto
con il terreno.
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3. Analisi dei materiali
51
Il prospetto sud ancora parzialmente intonacato La fascia a contatto con il terreno in
intonaco di cemento
Quindi, proprio perché l’intonaco è il materiale di finitura principalmente impiegato
nella chiesa, ritengo interessante e doveroso fare alcuni cenni sul metodo del suo
confezionamento e sulle sue caratteristiche fisico-chimiche.
Le malte e gli intonaci di calce e sabbia, insieme alla pietra e ai mattoni, sono tra i
materiali più antichi impiegati dall’uomo nelle costruzioni.
La malta assolve ad un importante ruolo strutturale: collega gli elementi che
costituiscono le murature (laterizi o pietre), e trasmette i carichi da ogni corso a
quello sottostante attraverso i cosiddetti “letti di malta”, dal cui spessore e dalla
cui caratteristiche dipende in buona parte la resistenza della costruzione.
Le caratteristiche della malta di ancorarsi saldamente alla muratura, e di raggiungere,
ad indurimento avvenuto, una notevole resistenza, la rendono particolarmente adatta
per confezionare l’intonaco, la più antica e diffusa tecnica di finitura della muratura
sia interna, sia esterna. L’intonaco ha lo scopo di rendere regolari le superfici
murarie e di costituirne, contemporaneamente, una buona protezione.
I primi a realizzare malte ed intonaci durevoli furono i Romani; indicazioni sugli
ingredienti, sulle modalità di lavorazione, e sulle procedure di realizzazione sono
riportate nel De Architectura di Vitruvio, manuale tenuto in grande considerazione
soprattutto a partire dal Rinascimento, quando si cercava di individuare i diversi
componenti dell’impasto e le “regole dell’arte” per una realizzazione ottimale delle
malte e degli intonaci.
Prima di passare ad un’analisi precisa dei due materiali, ritengo opportuno dare la
definizione di alcuni termini:
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3. Analisi dei materiali
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legante: è un prodotto inorganico sottoforma di polvere fine, che,
mescolato con acqua, genera un impasto plastico, di consistenza variabile in
relazione al tenore d’acqua utilizzato. Nel tempo l’impasto perde
gradualmente la plasticità (presa), diventa rigido, e sviluppa proprietà
meccaniche (indurimento);
pasta: è una miscela di legante ed acqua;
malta: è una miscela di legante, acqua e sabbia;
calcestruzzo: è una miscela di legante, acqua, sabbia e ghiaia (o
pietrisco)
1
.
2. La classificazione e le caratteristiche delle malte
Le malte possono essere classificate in base ai componenti con i quali sono
confezionate:
1. Malte aeree:
Malte di calce spenta o malte comuni;
Malte di gesso;
Malte composte o “bastarde” di calce e gesso.
2. Malte idrauliche:
Malte idrauliche plastiche;
Malte cementizie;
Malte composte o “bastarde”: di calce e cemento, cementizie
con calce idrata, di cemento e gesso, di calce idrata, di calce idraulica
e cemento,ecc.
Inoltre, in relazione alla grande varietà di impieghi, le malte si possono suddividere
in:
1
Tutte queste definizioni sono tratte da S. Pagliolico, Dispense per il Laboratorio di Restauro.
Legami chimici e proprietà dei materiali, Torino a. a. 2002-2003, pag. 5.31.
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3. Analisi dei materiali
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¾ Malte per muratura (di allettamento o riempimento), utilizzate per
legare tra loro elementi in laterizio, in pietra, o di altri materiali al fine di
erigere murature, volte, ecc.; nella chiesa del complesso ex-Cottolengo
sono visibili nelle pareti dove manca l’intonaco che lascia scorgere la
struttura muraria in laterizi e pietre.
¾ Malte per intonaci, adatte a realizzare strati di finitura e protezione
delle superfici murarie; sono presenti negli intonaci interni ed esterni.
¾ Malte per sottofondi, impiegate per il piano di posa dei pavimenti e
dei rivestimenti; sono state utilizzate per la posa delle piastrelle e dei
laterizi per pavimentazione.
¾ Malte speciali, adoperate per usi particolari (consolidamenti,
ripristini,…); sono state impiegate in restauri recenti per realizzare
stuccature sia all’interno, sia all’esterno dell’edificio.
2.1. Le malte per muratura
Le malte da muratura devono avere alcune importanti caratteristiche:
1. Resistenza meccanica: deve essere proporzionata a quella dei laterizi o
blocchi utilizzati, in quanto sarebbe inutile ed antieconomico utilizzare elementi di
Figura 3.1. Gli attrezzi per la
preparazione della malta di calce
aerea: in alto il mucchio di grassello
estratto dalle vasche di stagionatura
(in basso) e, sul piano in mattonato,
la marra per mescolare il legante con
la sabbia e il rullo per schiacciare
eventuali parti incotte presenti nella
calce.
(U. Menicali, I materiali dell’edilizia
storica. Tecnologia e impiego dei
materiali tradizionali, La nuova Italia
Scientifica, Roma 1992, pag. 132)
La chiesa del complesso ex-Cottolengo a Castiglione Torinese: ipotesi di intervento conservativo
3. Analisi dei materiali
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elevata resistenza con malte scadenti, o viceversa. La resistenza della malta
dipende dal tipo e dalla quantità dei leganti impiegati, e dalla dosatura della
sabbia e dell’acqua.
2. Lavorabilità: è l’attitudine degli impasti ad essere messi in opera con la minima
energia e nel più breve tempo possibile senza perdere omogeneità e
compattezza. Dipende dalla coesione e dal potere adesivo dell’impasto, e dalla
quantità d’acqua utilizzata. Aumentare la lavorabilità degli impasti aggiungendo
acqua è errato, in quanto, così facendo, si diminuisce la resistenza meccanica
della malta; occorre, invece, fare uso di aditivi fluidificanti.
3. Tempo di indurimento: è necessario che non sia troppo lungo, per consentire
la realizzazione della muratura in tempi ragionevoli, ma non così tanto da
provocare crepe o fessure da ritiro nella malta, che ne diminuirebbero la
resistenza meccanica.
2.2. Le malte per intonaci
Le malte per intonaci devono essere caratterizzate da:
1. Impermeabilità: è molto importante nel caso di intonaci realizzati all’esterno,
che devono resistere agli agenti atmosferici e proteggere la superficie muraria
sottostante. Generalmente l’impermeabilità aumenta con l’aggiunta di legante
all’impasto e la diminuzione della quantità d’acqua impiegata, accorgimenti che
rendono la malta più compatta e con meno pori capillari.
2. Resistenza a fessurazione: è l’attitudine a resistere a vari tipi di sollecitazione
(le cui cause possono essere diverse) che possono aprire fessure nell’intonaco,
diminuendone l’impermeabilità e la resistenza all’acqua. E’ quindi necessario che
la malta abbia un modulo di elasticità basso (E = s/e), dunque grande
deformabilità, e buona resistenza a trazione per assorbire i movimenti del
supporto. Queste caratteristiche di solito dipendono dalla natura del legante
utilizzato, dal suo dosaggio, e, in generale, dalla porosità più o meno elevata
della massa. In questo senso, gli intonaci migliori sono quelli confezionati con la
calce, e non con il cemento, anche se ciò va a discapito dell’impermeabilità e
della resistenza meccanica.
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4. Le cause del degrado: l’intonaco
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1. I fattori ambientali del degrado
I fattori ambientali che avvolgono un manufatto agiscono sui materiali da costruzione
in maniera assai complessa; inoltre, essi mutano continuamente, provocando
modifiche delle caratteristiche originarie dei materiali, cioè il loro deterioramento.
Si possono individuare cause estrinseche di degrado, che dipendono dall’ambiente
esterno, e cause intrinseche, dovute alla natura stessa del materiale.
1.1. Cause estrinseche di degrado
Un materiale è degradato per cause estrinseche quando subisce l’azione di fattori
esterni, quali agenti atmosferici oppure inquinanti di varia natura. Se ne possono
individuare alcuni:
¾ Il fattore termico. Un materiale in opera è soggetto a sbalzi termici e, quindi,
a variazioni dimensionali, sia durante la giornata, sia durante l’anno. Se
l’elemento considerato è libero di muoversi, la variazione dimensionale non
comporta problemi, ma se è vincolato nello spostamento, nascono delle
tensioni interne che possono portare alla rottura del materiale.
Il riscaldamento, inoltre, provoca l’evaporazione dell’acqua contenuta nei pori
capillari, con un conseguente spostamento di liquido dall’interno verso
l’esterno che, se ripetuto ciclicamente, può sfogliare il materiale in seguito
alla pressione esercitata dal vapore sugli strati più esterni.
¾ L’inquinamento atmosferico. La quantità e la tipologia degli inquinanti presenti
nell’atmosfera non dipende solo dalle sorgenti presenti, ma anche dalla
topografia della zona considerata, e dalle condizioni meteorologiche, che
condizionano il trasporto degli inquinanti (soprattutto il vento). Questo
fattore di degrado non è il principale per la chiesa del complesso ex-
Cottolengo, in quanto essa è situata in una località lontana da sorgenti di
La chiesa del complesso ex-Cottolengo a Castiglione Torinese: ipotesi di intervento conservativo
4. Le cause del degrado: l’intonaco
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inquinamento, e in una zona in generale poco ventosa, ma è stato comunque
possibile riscontrarlo.
Le sostanze inquinanti maggiormente responsabili del degrado dei materiali
sono sostanzialmente tre: l’anidride carbonica, l’anidride solforosa e
solforica, gli ossidi di azoto.
L’anidride carbonica (CO
2
) è un componente prodotto, essenzialmente, dalla
respirazione degli esseri viventi, e presente in piccole quantità; viene
considerato un inquinante quando è prodotto dalla combustione, che ne fa
aumentare sensibilmente il contenuto nell’atmosfera. L’anidride carbonica si
scioglie nell’acqua producendo acido carbonico (H
2
CO
3
):
CO
2
+ H
2
O ο H
2
CO
3
L’acido carbonico è un acido debole, ma è comunque in grado di aggredire le
rocce che contengono carbonato di calcio e magnesio, e i leganti, come la
calce, il gesso e il cemento:
CaCO
3
+ H
2
CO
3
λ Ca(HCO
3
)
2
MgCO
3
+ H
2
CO
3
λ Mg(HCO
3
)
2
Il simbolo λ indica che la reazione è reversibile, cioè può procedere sia
verso destra (quando sul materiale arriva la pioggia), sia verso sinistra
(quando l’acqua evapora). I bicarbonati di calcio e di magnesio sono molto più
solubili dei rispettivi carbonati; questo significa che la pioggia che attacca il
manufatto trascina con sé il bicarbonato formatosi depositandolo sotto forma
di carbonato dopo l’evaporazione.
L’anidride solforosa (SO
2
) e l’anidride solforica (SO
3
) sono prodotte dalla
combustione di materiali contenenti zolfo (tutti i combustibili ne contengono
una percentuale). L’anidride solforosa si deposita sui manufatti, come i leganti
La chiesa del complesso ex-Cottolengo a Castiglione Torinese: ipotesi di intervento conservativo
4. Le cause del degrado: l’intonaco
78
e il marmo, contenenti carbonato di calcio, e, in presenza di acqua, reagisce
con quest’ultimo producendo solfito di calcio biidrato ed anidride carbonica:
SO
2
+ 2H
2
O + CaCO
3
ο CaSO
3
·2H
2
O + CO
2
Il solfito di calcio biidrato viene poi ossidato grazie all’ossigeno, e si
trasforma in solfato di calcio biidrato (gesso):
2CaSO
3
·2H
2
O + O
2
ο 2CaSO
4
·2H
2
O
L’anidride solforica, invece, reagisce con l’acqua producendo acido solforico:
SO
3
+ H
2
O ο H
2
SO
4
Questo acido, trasportato dalla pioggia sui manufatti, reagisce con il
carbonato di calcio per formare, di nuovo, gesso ed anidride carbonica:
H
2
SO
4
+ CaCO
3
+ H
2
O ο CaSO
4
·2H
2
O + CO
2
N.B.: il gesso è circa duecento volte più solubile del carbonato di calcio!
Gli ossidi di azoto (N
2
O, NO, NO
2
), infine, indicati con la formula generale
NO
x
, sono prodotti da processi microbiologici, dalle immissioni industriali, dal
traffico motorizzato, e dal terreno. Essi reagiscono con l’ozono (O
3
) e
formano anidride nitrica (N
2
O
5
), che, in presenza di acqua produce acido
nitrico:
N
2
O
5
+ H
2
O ο 2HNO
3
Nuovamente, questo acido aggredisce i manufatti a base di carbonato di
calcio, producendo nitrato di calcio, acqua ed anidride carbonica:
La chiesa del complesso ex-Cottolengo a Castiglione Torinese: ipotesi di intervento conservativo
4. Le cause del degrado: l’intonaco
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2HNO
3
+ CaCO
3
ο Ca(NO
3
)
2
+ H
2
O + CO
2
Gli ossidi di azoto, infine, sono in grado di trasformare (ossidare) l’anidride
solforosa in anidride solforica:
NO
X
+ SO
2
ο NO
Y
+ SO
3
L’inquinamento atmosferico è causa della formazione di depositi di colore
grigio o nero sulle superfici esterne degli edifici, soprattutto nelle zone più
riparate dal dilavamento delle acque meteoriche (nonostante a volte si
possano osservare anche in zone esposte al lavaggio meteorico). Questi
depositi si stratificano ed assumono spessori diversi, e, quando sono molto
compatte e fortemente ancorate al supporto, prendono la denominazione di
croste nere. Esse possono interessare sia il lapideo calcareo, sia il lapideo
siliceo, sia l’intonaco cementizio. La loro formazione su pietra è da attribuirsi
alla gessificazione dei carbonati a causa delle piogge acide:
CaCO
3
+ H
2
SO
4
(H
2
SO
3
) + H
2
O ο CaSO
4
·2H
2
O + CO
2
+ H
2
O
CaCO
3
: solubilità = 0,014 g/l a 20°C
CaSO
4
·2H
2
O: solubilità = 2,41 g/l a 20°C (molto solubile!)
Figura 4.1 Processo di formazione delle croste nere
La chiesa del complesso ex-Cottolengo a Castiglione Torinese: ipotesi di intervento conservativo
4. Le cause del degrado: l’intonaco
80
Il degrado provocato dalle croste nere è da imputare proprio alla formazione
di gesso; a causa della sua elevata solubilità in acqua, esso è facilmente
dilavato dalla pioggia che, quindi, nelle zone esposte degli edifici, porta via le
croste. Nelle zone riparate dall’acqua, invece, non avviene il dilavamento ma,
essendo il gesso molto poroso, c’è tendenza all’accumulo di sporcizia (sono
particelle carboniose nere); i depositi divengono via via più spessi con il
passare del tempo e, il diverso comportamento meccanico e termico rispetto
al supporto, fa sì che dopo un po’ le croste nere si stacchino. La caduta
delle croste nere disgrega il supporto già deteriorato, sul quale il processo
di accumulo di depositi ricomincia nuovamente da capo, in un ciclo continuo.
Per quanto riguarda l’intonaco cementizio (cemento idratato e sabbia),
ricordiamo che i componenti prodotti sono: CSH (silicato di calcio idrato),
CAH (alluminato di calcio idrato), ed ettringite. Il processo che si verifica è:
Ca(OH)
2
+ CO
2
ο CaCO
3
+ H
2
O
Le conseguenze che si sviluppano sono poi le stesse del caso del materiale
lapideo.
Altri inquinanti presenti nell’atmosfera sono, infine, il cloro (Cl
2
), l’acido
cloridrico (HCl) e l’acido fluoridrico (HF), particelle tutte provenienti da
impianti industriali.
¾ I fattori biologici. Indipendentemente dai materiali utilizzati, su ogni
costruzione possono impiantarsi delle strutture biologiche, dovute ad
organismi viventi che si sviluppano sulla superficie dei materiali dopo che
questa ha subito un processo di degrado. Gli agenti atmosferici, infatti,
aumentano la superficie specifica dei materiali creando piccole rugosità,
microfessurazioni, e accumulo di sporco, che favoriscono l’insediamento di
qualche forma biologica che trovi le condizioni adatte per svilupparsi. I
biodeteriogeni, quindi, si ancorano alla superficie del materiale ed utilizzano
come nutrimento sia i minerali del supporto, sia i depositi superficiali presenti;
La chiesa del complesso ex-Cottolengo a Castiglione Torinese: ipotesi di intervento conservativo
4. Le cause del degrado: l’intonaco
81
contemporaneamente, con il loro metabolismo, producono e liberano nel
substrato acidi ed enzimi in grado di solubilizzare il materiale.
I biodeteriogeni possono essere autotrofi oppure eterotrofi; i primi sono in
grado di sintetizzare i composti organici per il loro metabolismo a partire
dall’anidride carbonica, tramite processo di fotosintesi, mentre i secondi
utilizzano sostanze già presenti sul substrato. Le forme biologiche più comuni
che attaccano i manufatti sono rappresentati da alghe (le più diffuse), licheni,
muschi, e piante infestanti. Un problema notevole è, inoltre, rappresentato
dall’insediamento degli uccelli, e, in particolare in Italia, dei piccioni, che
provocano fenomeni di degrado a causa dell’azione chimica dei loro
escrementi e dell’azione meccanica prodotta da unghie e becco.
¾ L’acqua. Tra i vari agenti che possono provocare degrado nei materiali,
l’acqua, è, nei suoi diversi stati di aggregazione (vapore, solido, liquido),
certamente tra i più importanti. L’acqua porta sempre con sé altri inquinanti
gassosi che, in soluzione, aumentano la loro aggressività sui materiali; inoltre,
passando dallo stato liquido a quello solido aumenta di volume provocando
tensioni interne che possono causare rottura.
Acqua sotto forma di vapore
Ogni materiale poroso può adsorbire una certa quantità di vapore acqueo,
definito come umidità igroscopica. Materiali diversi esposti alla stessa umidità
relativa (UR% = rapporto tra la massa M di vapore esistente in un certo
volume e la massa M
0
che dovrebbe esserci per renderlo saturo
1
) assorbono
quantitativi differenti di vapore acqueo in relazione al contenuto di umidità
igroscopica, il quale, a sua volta, dipende dalla porosità del materiale e dalla
pressione parziale del vapore contenuto nell’aria che circonda il materiale
stesso. Alcune volte il vapore acqueo può condensare all’interno della
muratura, se in qualche punto viene raggiunta la temperatura di rugiada
(temperatura alla quale il vapore diventa saturo e, quindi, incomincia a
condensarsi ed a trasformarsi in un liquido
2
). L’umidità provocata dalla
1
S. Pagliolico, op. cit., pag. 5.55.
2
Idem, pag. 5.57.
La chiesa del complesso ex-Cottolengo a Castiglione Torinese: ipotesi di intervento conservativo
4. Le cause del degrado: l’intonaco
82
condensazione presenta una sintomatologia che permette di localizzare la
zona d’insorgenza del fenomeno, che si manifesta con la comparsa di
efflorescenze.
In effetti, i danni provocati dall’acqua non derivano dal suo ingresso
nell’edificio, ma dalla sua evaporazione.
La velocità d’evaporazione dipende da diversi fattori:
temperatura (una temperatura elevata favorisce l’evaporazione),
velocità dell’aria (in assenza di ventilazione l’aria stagnante a contatto
con il materiale si satura di umidità e si determina una situazione di
equilibrio),
umidità relativa (nei nostri climi non scende quasi mai sotto il 30%, e
quindi nessun materiale è completamente asciutto),
dimensione e quantità dei pori del materiale (i pori di grandi dimensioni
favoriscono l’evaporazione).
Quando l’acqua evapora, i sali in essa disciolti tendono a cristallizzare; la
cristallizzazione provoca un aumento di pressione nei pori del materiale, che
può portare a fessurazione o rottura. I sali, inoltre, cristallizzano
preferibilmente nei pori di grandi dimensioni, e solo quando questi sono pieni,
il processo si estende anche ai pori più piccoli.
Se i sali cristallizzano all’interno dei pori, il fenomeno prende il nome di
subflorescenza; se, invece, i sali cristallizzano sulla superficie della muratura, si
generano dei depositi biancastri, noti come efflorescenze.
La situazione più gravosa si presenta senza dubbio quando i sali si depositano
all’interno dei pori (subflorescenza), ad una certa profondità dalla superficie;
in questo caso, una evaporazione molto lenta dell’acqua verso l’esterno
consente ai sali di cristallizzare proprio all’interno dei pori, esercitando
sollecitazioni sul materiale circostante. La conseguenza è lo sgretolamento di
uno strato sottile del materiale superficiale, la formazione di bolle,
l’esfoliazione, oppure ancora l’alveolizzazione (quando l’evaporazione
dell’acqua avviene nei pori immediatamente al di sotto della superficie del
materiale ed è accompagnata da forti venti).
Le efflorescenze, inoltre, possono essere costituite da:
La chiesa del complesso ex-Cottolengo a Castiglione Torinese: ipotesi di intervento conservativo
4. Le cause del degrado: l’intonaco
83
calcite, se l’atmosfera è relativamente povera di SO
2
e SO
3
; in questo
caso, l’anidride carbonica presente nell’acqua che bagna le pietre
calcaree, i marmi, la calce o il cemento (costituiti da CaCO
3
) discioglie il
carbonato di calcio presente in certe zone, ridepositandolo in altre;
gesso, se l’atmosfera è inquinata è presenta quantità rilevanti di anidride
solforosa e solforica.
Infine, i sali più comunemente rinvenibili nelle efflorescenze sono:
Solfati. Il solfato di calcio (CaSO
4
·H
2
O) e il solfato di sodio (Na
2
SO
4
) sono
i sali che si trovano con maggior frequenza; la loro origine è dovuta
all’acqua di risalita e all’inquinamento atmosferico.
Cloruri. I cloruri (NaCl, KCl, CaCl
2
·6H
2
O) si ritrovano nelle efflorescenze di
edifici posti vicino al mare, e dunque hanno un’origine marina; sono molto
solubili, e dunque molto pericolosi.
Nitrati. I nitrati (KNO
3
, NaNO
3
) sono particolarmente abbondanti nelle
efflorescenze degli edifici situati nelle zone rurali, in quanto derivano dalla
decomposizione di sostanze organiche, che generalmente contengono
azoto.
Carbonati. I carbonati di calcio e di magnesio sono poco solubili, ma
possono essere trasformati in bicarbonato per azione di acqua contenente
anidride carbonica; i bicarbonati sono circa cento volte più solubili.
Acqua allo stato liquido
L’acqua allo stato liquido può provocare fenomeni di degrado sia per risalita
capillare dal sottosuolo, sia sottoforma di precipitazioni.
La risalita capillare interessa i piani cantinati e il livello immediatamente al di
sopra del piano di campagna, ed è direttamente influenzata dalla dimensione
dei capillari stessi. Il fenomeno si riscontra solo fino ad una certa altezza
dell’edificio dal suolo (a meno che la muratura non sia rivestita da uno o
entrambi i lati, fino ad una certa altezza, con un materiale poco poroso),
perché, al crescere del livello della risalita, aumenta anche l’evaporazione,
che, oltre un certo limite, impedisce un ulteriore sviluppo del degrado. Il
problema della risalita capillare interessa tutto il terreno di fondazione di un
manufatto, e, pertanto, molto difficilmente si possono effettuare interventi
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4. Le cause del degrado: l’intonaco
84
che effettivamente siano in grado di intercettare all’origine l’acqua
proveniente dal sottosuolo.
L’acqua può infiltrarsi nelle murature anche sotto forma di precipitazioni, che,
oltre a penetrare a causa di lesioni accidentali dell’edificio (quali, ad esempio,
la rottura della copertura o la perdita delle grondaie), può trovare via
d’accesso anche lungo i muri perimetrali. La pressione del vento, infatti,
facilita l’ingresso dell’acqua lungo i giunti di malta disposti tra i mattoni o i
conci, e attraverso i materiali porosi; una volta che la parete dell’edificio è
bagnata, la direzione secondo la quale si muove l’acqua può essere
orizzontale (lungo i giunti di malta, molto porosi, nel caso di pareti di
spessore limitato), oppure verticale (nel caso, invece, di murature con uno
spessore elevato e materiali misti, come le murature a sacco).
Acqua allo stato solido
Quando l’acqua congela, il suo volume aumenta del 10% circa; il degrado dei
manufatti, quindi, è connesso alla formazione di ghiaccio e alla variazione di
volume che si verifica. Se l’acqua congela nei pori superficiali direttamente
comunicanti con l’esterno, l’incremento di volume non provoca tensioni sulla
loro superficie, perché si verifica per semplice estroflessione. Se, al
contrario, il ghiaccio si forma nei pori più interni, si determinano sollecitazioni
rilevanti, per la formazione delle quali non basta addurre come motivazione una
variazione di volume, ma sono state avanzate alcune ipotesi.
La prima ammette che i cristalli di ghiaccio si formino nei pori più grandi,
accrescendosi successivamente a spese dell’acqua contenuta nei pori
circostanti, e, quindi, esercitando una pressione proprio sulle pareti dei pori.
La seconda ipotesi, invece, sostiene che alcune sacche di acqua rimangano
intrappolate tra due fronti di ghiaccio; se la temperatura scende, il ghiaccio
avanza e comprime l’acqua, che provoca una pressione sulle pareti dei pori.