1.Il male vivere garfagnino, la lontananza dal "nido" ferrarese ed
il falso mito del "Ludovico della tranquillità"
Nam si ratio et prudentia curas,
non locus affusi late maris arbiter aufert,
caelum, non animum mutant, qui trans mare currunt.
Strenua nos exercet inertia: navibus atque
quadrigis petimus bene vivere. Quod petis, hic est,
est Ulubris, animus si te non deficit aequus
[Se la logica della saggezza, e non i luoghi
che dominano la distesa del mare,
allontana gli affanni,
chi solca il mare muta cielo, non natura.
Un'inquietudine impotente ci tormenta
e andiamo per acque e terre
inseguendo la felicità.
Ma ciò che insegui è qui, a Ùlubre,
se non ti manca la ragione]
(da Orazio, Epistole 1, 11 vv. 25-30; trad. M. Ramous)
I l ra pporto tr a l‟uomo e d il luog o in c ui e g li vive è da se mp re stre tt a m e nte lega to
a ll a que sti one d e ll a fe li c i tà. L ‟uomo è f e li c e a p re sc inder e da ll a b e ll e z z a de l luog o
in c ui vive? C ome e mer ge da ll ‟e pi g r a fe , la rispost a di Or a z io a t a le doman da è sì:
la felicità, il bene vivere or a z iano è d e ntro l‟uomo . È inut il e sog n a re g li splendor i
de ll e isol e g r e c h e o le be ll e z z e de ll e c it tà de ll ‟A sia Mi nore . I l bene vivere lo si
può trovare anche ad Ulubre, piccolo quanto misero paese, situato nei pressi delle
insalu br i pa ludi ponti ne . L ‟inse g n a mento or a z iano c i invi ta a pe rse g u ire una
metanoia int e rior e piut t osto c he lo g ist ica . L ‟ e quil ibrio int e rior e , pe rò, è una
conquista difficile. È una meta che come un miraggio, spesso appare tangibile, se
ne pregustano i benefici, ma poi la presa di coscienza della sua ineffabilità fa
ripiom ba re l‟uomo - viaggiatore nella accecante desolazione del deserto, del nulla
che sembra circondarlo. Lo sa bene lo stesso poeta di Venosa, quando si vede
3
costretto ad ammettere che la sua ric e r c a d e ll ‟e q uil ibrio dipende a nc or a i n buona
parte da fattori esterni, dai luoghi appunto («Romae Tibur amem ventosus, Tibure
Romam», affermerà in un altro passo famoso delle sue Epistole). Orazio sogna la
dolcezza della campagna romana, ma quando vi si trova immerso rimpiange la
caotica Roma.
Un luogo non è mai in via definitiva oggettivamente ameno o inospitale,
esteticamente bello o brutto, felice o triste. Orazio aveva compreso che non si
doveva cambiare il luogo per vivere bene, ma bisognava lavorare su se stessi. Il
grande dramma umano del poeta latino è condensato proprio nella consapevolezza
che tale paradigma non potrà essere declinato nel concreto, che tale idea rimarrà
c onfina ta ne ll ‟ iperuranio.
P re messo, dunque , c h e è l‟uomo a p e rc e pire i luog hi in relazione alla sua
condizione interiore, possiamo affermare allora che uno stesso territorio può
essere recepito in modi diametralmente opposti.
Su la nebbia che fuma dal sonoro
Serchio, leva la Pania alto la fronte
nel sereno: un aguzzo blocco d'oro,
su cui piovano petali di rose
appassite. Io che l' amo il vecchio monte,
gli parlo ogni alba, e molte dolci cose
1
g li dico [ …]
1
Cit. in G. PASCOLI, Canti di Castelvecchio, a cura di G. Nava, Milano, Rizzoli,
1983.
4
I versi appena citati sono quelli di The hammerless gun, lirica composta da
Giovanni Pascoli e contenuta in Canti di Castelvecchio . I l “ vecchio monte ” è la
Pania della Croce, uno dei monti più alti delle Alpi Apuane. Lo scenario è quello
2
della valle del Serchio .
Lo stesso luogo, o quasi (da Castelvecchio di Barga ci spostiamo solo di qualche
chilometro, giungendo a Castelnuovo di Garfagnana), qualche secolo prima
rispetto a quelli di Pascoli, viene così dipinto dai versi di un altro illustre
rappresentante della nostra poesia:
La nuda Pania tra l'Aurora e il Noto,
da l'altre parti il giogo mi circonda
che fa d'un Pellegrin la gloria noto.
Questa è una fossa, ove abito, profonda,
donde non muovo piè senza salire
3
del silvoso Apennin la fiera sponda.
C ome si può fa c il mente notar e , la “ topogra fi a ” (qui int e sa n e ll a sua e t imologia
g r e c a , “ sc rive r e un luo g o ” ) de ll a stessa te rr a c a mb ia r a dic a lm e nte; la t a voloz z a de i
colori si scurisce. La Garfagnana descritta in questi versi è offerta al lettore in una
colorazione ben diversa da quella che ne dà il poeta dei Canti di Castelvecchio.
2
Segnaliamo che la Pania della Croce trova un'altra occorrenza prestigiosa nel
XX X II c a nto d e ll ‟ Inferno dantesco al verso 29 ( “vi fosse su caduto, o
Pietrapana” ).
3
Cit. L. ARIOSTO, Tutte le opere. Satire, Erbolato, Lettere, a cura di C. Segre,
G. Ronchi, A. Stella, Milano, Mondadori, 1984, p. 52. D'ora in avanti tutte le
citazioni delle Satire ariostesche verranno riprese dalla suddetta edizione critica.
5
L ‟ a utore di que ste due ter z ine è L udovico A rio sto. Esse fa nno pa rte d e ll a I V
satira, composta dal poeta ferrarese nel febbraio del 1523, esattamente un anno
dopo (20 f e bbra io 1522) l‟insedia mento a C a stelnuovo di Ga r fa g n a na dov e ric oprì
fino al giugno del 1525 la carica di Commissario per conto del Duca Alfonso
d‟ Este.
Ne i ve rsi a riostesc hi, la P a nia de ll a C roc e non ha più l‟a spetto be nig no di una
c ompa g na fe de le c h e a c c og li e l‟ e dulcor a ta qua nto c onsue ta a ll oc uz ione mattut ina
del poeta di Myricae, m a divi e ne meta fo ra sof foc a nte di un “ g iog o ” c he ti e ne
confinato in una regione feroce ed ostile il poeta estense.
Risulta interessante vedere nel proseguo della IV satira come Ariosto continua la
descrizione di quel luogo:
4
O stiami in Ròcca o voglio all'aria uscire,
accuse e liti sempre e gridi ascolto,
furti, omicidii, odi, vendette et ire;
sì che or con chiaro or con turbato volto
convien che alcuno prieghi, alcun minacci,
altri condanni, altri ne mandi assolto;
ch'ogni dì scriva et empia fogli e spacci,
al Duca or per consiglio or per aiuto,
sì che i ladron, c'ho d'ogni intorno, scacci.
Déi saper la licenzia in che è venuto
4
Per maggiori informazioni relative a questa rocca abitata da Ariosto e tuttora
esistente in Castelnuovo di Garfagnana, si veda G. FUSAI, Ludovico Ariosto
poeta e commissario in Garfagnana, Arezzo, E. Zelli, 1933, pp. 111-115.
6
questo paese, poi che la Pantera,
indi il Leon l'ha fra gli artigli avuto.
Qui vanno li assassini in sì gran schiera
ch'un'altra, che per prenderli ci è posta,
non osa trar del sacco la bandiera.
Saggio chi dal Castel poco si scosta!
Ben scrivo a chi più tocca, ma non torna
secondo ch'io vorrei mai la risposta.
Ogni terra in se stessa alza le corna,
che sono ottantatre, tutte partite
5
da la sedizïon che ci soggiorna.
L a Ga rf a g n a na a i tempi de ll ‟A riosto dove va e sse re sicur a mente un luo g o diver so
da quello in cui Pascoli qualche secolo più tardi deciderà di ricostruire il suo
“ nido”. L a Ga r fa g n a na in c ui Ar iost o viss e pe r t re a nni e ra un a ter ra dov e folte ,
impenetrabili boscaglie si inerpicavano lungo le impervie pendici dei monti. Lo è
ancora oggi, e lo era anche ai tempi dei Canti di Castelvecchio di Pascoli, si
potre bbe f a c il mente obie tt a re . C ‟è , p e rò, una dif fe re nz a sost a nz iale . A g li ini z i de l
XVI secolo quegli stess i “ sassi ” , c ome li de finisce c on tono non c e rto lusi ng hier o
l'illustre ferrarese, quelle stesse selve, quegli stessi anfratti fornivano un prezioso
riparo a temibilissimi gruppi di banditi. Una terra popolata da "gente inculta,
6
simile al luogo ove ella è nata e avezza" dirà lo stesso poeta nella VII satira,
5
Nell'ed. Segre cit., a p. 52.
6
Ivi, p. 83.
7
infestata da ladri di ogni genere e da spietati assassini ed afflitta dalla più
soffocante indigenza.
La Garfagnana, inoltre, era una regione che, come la sua travagliata storia tra
Quattrocento e Cinquecento dimostrava, mal tollerava l'assoggettamento politico.
L a re g ione e ra stata luc c he se fino a l 1426 (la “ Pantera ” di c ui pa rla A riosto è
proprio Lucca), anno in cui passò sotto il dominio di Ferrara e degli Estensi con
alcune brevi parentesi nelle quali la Garfagnana tornò ad essere lucchese (durante
le guerre di Giulio II, e più precisamente nell'ottobre del 1512) e poi, nel
settembre del 1521 quando, dietro consiglio del papa mediceo Leone X (il
“Leone ” di c ui pa rl a Ar i osto ne ll a sua sa ti ra ), divenuto in quegli anni acerrimo
nemico degli estensi, venne conquistata dai fiorentini. La morte del pontefice,
avvenuta il 1° dicembre di quello stesso anno, permise agli estensi di rientrare in
possesso del loro antico dominio, aiutati in questo dai notabili di Castelnuovo, i
quali scacciarono il commissario pontificio (l'8 dicembre), richiedendo nel
contempo la protezione di Ferrara, memori della larga autonomia che gli estensi
stessi avevano concesso alla provincia nel periodo precedente. Si narra che
proprio in quella occasione, i garfagnini consegnarono alla memoria dei posteri
l'evento, facendo scolpire sulla porta d'ingresso di Castelnuovo un leone simbolo
7
del papato, che soccombeva all'aquila estense.
L'ostilità dei garfagnini verso Firenze (sebbene risulti utile ricordare l'esistenza
anche di una potente fazione filo-medicea e filo-papale in quelle terre) risultò
palese quando nel novembre del 1523, dopo i due anni di pontificato del
fiammingo Adriano VI, fu eletto papa un altro esponente della famigli de' Medici,
7
M. CATALANO, Vita di Ludovico Ariosto ricostruita su nuovi documenti,
Genève, Olschki, 1930-1931, vol. I p. 536.
8
Giulio, il quale si impose il nome di Clemente VII; la popolazione garfagnina
avvertì in quel momento il pericolo di un possibile reintegro del proprio territorio
tra i domini di Firenze. Ariosto, che in quel momento era ancora nel pieno della
sua carica commissariale, descrisse la reazione degli abitanti di Castelnuovo nella
lettera del 23 novembre inviata al duca Alfonso:
[...] Appresso mi venne una lettera da Lucca che mi avisava come Medici era
creato papa; la qual nuova come si udì da questi di Castelnuovo, parve che a tutti
fosse tagliata la testa, e ne sono intrati in tanta paura che furo alcuni che mi volean
persuadere che quella sera medesima io facessi far le guardie alla terra; e chi
pensa di vendere,e chi di fuggir le sue robe. Io mi sforzo di confortarli, e dico lor
ch'io so che stretta amicitia è tra vostra excellentia e Medici, e che non hanno da
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sperar se non bene [...].
I garfagnini imbracciarono addirittura le armi, allorquando nell'estate del 1524 si
trattò, come vedremo più innanzi, di scacciare dalle proprie terre le truppe
fiorentine.
Un‟ ist a nz a di sost a nz iale indi pe nde nz a poli ti c a fu c iò c he pe rmise a g li estensi,
unici a garantirla, di entrarne in possesso definitivamente nel dicembre del 1521.
Dunque, una terra difficile da governare per le forti spinte autonomistiche, che
regolavano e muovevano, sebbene in direzioni opposte, l'operato di due diversi
"partiti". I notabili garfagnini si dividevano, infatti, in due fazioni: una, detta
“ it a li a na ” c he , c ome g i à de tt o, e ra filo -ecclesiastica e filo- fior e nti na , l‟a lt ra ,
de finita “ fr a nc e se ” , in qu a nto vi c ina a l Duc a d‟E st e , a ll e a to della F r a nc ia.
8
L. ARIOSTO, Lettere, a cura di A. Stella, Milano, Mondadori, 1965, pag.238.
Tutte le citazioni delle Lettere ariostesche saranno tratte da questa edizione.
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Come se non bastasse, il primo commissario della nuova stagione di dominio
estense su quella provincia, avrebbe dovuto mettere in conto anche la riottosità di
ciascuno degli ottantatre comuni posti sotto la sua giurisdizione ("Ogni terra in se
stessa alza le corna / che sono ottantatre, tutte partite / da la sedizïon che ci
soggiorna", dirà ancora nella IV satira), divisi in quattro vicarie: Castelnuovo,
Camporgiano (o Camporeggiano), Trassilico e Terre Nuove.
Ludovico Ariosto aveva fin da subito compreso che quella carica gli avrebbe
fruttato ben pochi onori e tanti rischi; infatti, il poeta conosceva già la regione, dal
momento che vi era andato in due occasioni. La prima escursione in terra
garfagnina l'aveva compiuta nel marzo del 1509, quando il gaudente cugino
Rinaldo, in quel tempo commissario estense a Castelnuovo, lo volle per il disbrigo
di alcuni uffici relativi al suo terzo matrimonio con Contarina Farnese. Come si
può ben vedere, il commissariato garfagnino fu un vero e proprio destino di
9
famiglia .
Il secondo soggiorno, sicuramente più turbolento rispetto al primo, ebbe luogo nel
1512, quando Ariosto, che scappava insieme al duca Alfonso dalle grinfie degli
scherani di Giulio II, venne ospitato dall'allora commissario estense, il medico
10
Guido Postumo, che aveva sostituito in quell'incarico Rinaldo.
Semmai vi fossero dei dubbi su quanto la Garfagnana fosse una regione ostica e
complicata da gestire, possiamo citare la testimonianza fornita dallo stesso Guido
Postumo, che sofferente ed esasperato, in una missiva inviata nel settembre del
1512 al cardinale Ippolito d'Este, scriveva:
9
Per una trattazione esaustiva sul commissariato garfagnino di Rinaldo si veda M.
CATALANO, op. cit. , vol. I p. 504.
10
Ivi, pp. 538-539.
10
Quella Vostra Signoria mi mandò qua per le occurrentie de questa provincia, la
quale ho gubernato cum sincera fede et non ho manchà in cosa alcuna, in modo
che, o per la fatica o per altro, mi sono infirmato di una febra continua, trista, che
non me movo da lecto, che invero non sono più bono per lo paese per la infermità
mia, e più presto sono per nocere per la fama ch'io sia malato; et perché etiam io
vado di male in pezo, et certo in pochi dì, per li gran fastidi ch'io ho da questi
homini inobedienti, e per lo mal grande io ho, gie lasserò la vita, se Vostra
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Signoria non mi remove da qua.
In virtù di quanto appena detto a proposito delle condizioni della Garfagnana negli
anni venti del XVI secolo, può essere molto fondata l'impressione di Antonio
B a ldi ni, il qua le e viden z ia c ome « l ‟impe tuosa e ride nte g iovenili tà de ll ’ Orlando
furioso» sc ompai a ne ll e letter e ga rf a g nine pe r las c iar e spaz io a d « un‟impr e ssi one
di g ri g io, di c hiuso e di morti fic a to e c i re ndo no l‟imm a g ine di una pe rsona
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freddolosa, preoccupata e guardinga». Non b a sta, pe rò, a tt ribuir e a ll ‟inosp it a li t à
de l luog o tut ta l‟insoddi sfa z ione, que ll ‟ir re quiete z z a , que l male vivere per citare
ancora Orazio, quell'afflizione così lontana dalle «divine emozioni che ispirano i
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Canti pascoliani» , che trasudano dalle lettere inviate dal poeta, relegato nella sua
torre di Castelnuovo, al duca Alfonso. Insoddisfazione già colta nella IV satira e
che riemergerà nella VII, anch'essa composta nella rocca di Castelnuovo.
11
Cit. in G. SFORZA, Documenti inediti per servire alla vita di Ludovico Ariosto,
Modena, Soc. Tip. Modenese, 1926, p.105; cit. in E. BRESCIANI, Il «libro» dei
conti dei balestrieri di Messer Ludovico Ariosto commissario ducale in
Garfagnana, nell'archivio statale di Modena, in Atti dei convegni Lincei,
Ludovico Ariosto, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1975, p. 177.
12
A. BALDINI, Ariosto e dintorni, Palermo, Sciascia, 1958, p.105
13
M. CATALANO, op. cit., vol. I p. 540.
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