4
Sull’autore, che tutti i primi testimoni non esitano ad identificare quasi all’unanimità
coll’evangelista, Eusebio cita solo due voci di dissenso: il presbitero romano Gaio
(inizio del III secolo) e il vescovo di Alessandria Dionigi (metà del III secolo).
Il primo attribuiva l’Apocalisse all’eretico Cerinto, presunto fondatore di una setta
chiamata degli Ebioniti; l’altro fa riferimento invece a un certo Giovanni ‘presbitero’,
esistito ad Efeso nella seconda metà del I secolo.
Quello di Gaio sembra un tentativo polemico, privo di basi, in funzione anti-montanista,
visto che egli, oltre all’Apocalisse, rifiutava l’origine apostolica anche degli altri scritti
giovannei; Dionigi, per parte sua, non prende nettamente posizione, ma si limita a
seminare dubbi.
1
Oggi la tendenza della critica è del ritorno all’attribuzione all’evangelista e comunque il
problema non sembra così decisivo nell’economia generale dell’opera.
Un elemento più importante da sottolineare è che, nonostante- come si sa- l’Apocalisse
fosse interpretata spesso in chiave ‘millenarista’ o comunque usata da alcune sette
eretiche per avallare le loro posizioni, quasi mai- almeno in occidente- è messa in
dubbio l’origine ispirata del libro, anzi “l’Apocalisse è conosciuta, accettata,
commentata e utilizzata anche da quelli che non sono seguaci oppure sono avversari
dichiarati del millenarismo: Teofilo di Antiochia, Clemente alessandrino, Origene”
2
.
A parte l’autore, come si è già accennato il libro rimane al centro delle polemiche sull’
ortodossia dei contenuti, giacché i millenaristi e altri eretici si rifanno ad interpretazioni
di passi “apocalittici” per giustificare le loro posizioni.
Nel corso dei secoli i commenti si moltiplicano, ma spesso ciascun commentatore tende
a trascurare la visione d’insieme, per concentrarsi su singoli particolari o sulla
spiegazione di questo o quel simbolo: e.g. Ireneo comincia a vedere simboleggiati nei
1
Cfr. E. CORSINI, Apocalisse prima e dopo, Torino 1980, p. 20
2
Ibid. p. 30
5
quattro Viventi gli evangelisti.
3
Questo atteggiamento contribuisce a quella che
potremmo definire una visione “sfocata” dell’Apocalisse, in cui i particolari prendono il
sopravvento sull’opera compiuta e nell’interpretazione anche un po’ meccanica dei
simboli- il settimo sigillo, la donna, la bestia, la prostituta, il cosiddetto “regno
millenario”, ecc.- si esaurisce tutto lo sforzo esegetico.
Anche gli autori di commenti all’intera opera, Vittorino di Poetovio, Ticonio, Primasio
privilegiano alcuni elementi che sviluppano e affrontano in maniera più approfondita.
In particolare Vittorino
4
, il cui commentario, confluito nell’opera di Girolamo, è il più
antico che possediamo, inaugura l’utilizzo della teoria della ricapitolazione, secondo la
quale le numerose ripetizioni (o presunte tali) dell’A. sono approfondimenti successivi
dello stesso tema, ed evidenzia l’ecclesiologia, cioè il racconto di ciò che è accaduto ai
santi nel corso della storia.
Ticonio
5
è il vero punto di riferimento per tutti i commentatori dell’A. Al centro della
sua interpretazione è il ruolo occupato dalla Chiesa nell’ambito della rivelazione di Dio
e ogni visione è spiegata da quest’angolo d’osservazione.
Girolamo
6
occupa una posizione intermedia fra i due, comunque rifiuta le
interpretazioni letterali del millennio e difende l’ortodossia.
Degni di nota sono anche Agostino
7
, che commenta i passi sul millennio, Apringio di
cui parleremo naturalmente più avanti, Primasio
8
che nei suoi cinque libri riprende
essenzialmente il lavoro di Ticonio emendandolo di ciò che è contrario all’ortodossia,
Beda
9
che segue in gran parte Ticonio, Beato
10
di Liebana, che mette assieme Apringio,
3
IRENEO, Adv. Haer., SCH
4
VITTORINO DI POETOVIO, Sur l’Apocalypse et autres écrits, Paris 1997
5
TICONIO, Fragmenta comm. in Apocalypsin, PLS I, 621
6
GIROLAMO, Recensio comm. in Ap. Victorini, CSEL
7
S. AGOSTINO, De civitate dei liber XX, CCL 48
8
PRIMASIO, Commentarius in Apocalypsyn, CCL 92
9
BEDA IL VENERABILE, Explanatio Apocalypsis, PL 93
10
E. ROMERO POSE, Commentarius in Apocalypsin di Beato di Liébana, Roma 1985
6
Vittorino e Ticonio, e tra i commentatori in lingua greca, che sono in numero
notevolmente minore, Andrea di Cesarea.
Durante tutto il Medioevo l’interesse per l’A. è fortissimo, specialmente riguardo al
giudizio finale, che pressoché tutti i commentatori considerano imminente: notissimo è
il commento di Gioacchino da Fiore, per il quale l’inaugurazione del Regno millenario
era ormai prossima.
I commenti moderni, pur con i meriti inconfutabili di aver dato contributi a volte geniali
e soprattutto di aver impostato l’esegesi su basi più salde, sia sotto l’aspetto filologico
sia letterario, a volte peccano di eccessivo personalismo e possono essere danneggiati in
parte da posizioni preconcette, da schemi precostituiti e troppo spesso “pretendono di
imporre teorie assolutamente slegate dal testo”.
11
Ad esempio Charles
12
, uno degli esegeti più autorevoli di questo secolo, per spiegare le
incongruenze e le ripetizioni ipotizza senza troppa un redattore finale non ben
specificato che avrebbe messo insieme vari spezzoni ‘apocalittici’ senza badare
ripetizioni e contraddizioni interne
13
, Allo
14
applica schematicamente quelle che con
troppa leggerezza definisce “leggi” e propone una divisione arbitraria del testo sulla
base del numero sette, mostrandosi comunque sempre impegnato a dimostrare
l’unitarietà dell’opera, postulata a priori.
Boismard dal canto suo sottopone il testo ad una vera e propria “vivisezione”, secondo
la definizione del Vanni
15
, e afferma senza un criterio scientificamente valido che l’A.
tal quale la conosciamo è il risultato della fusione di due testi “apocalittici” ad opera di
un fantomatico editore “dalla personalità schizofrenica e completamente privo di senso
11
cfr. U. VANNI, La struttura letteraria dell’Apocalisse, Brescia 1980
12
R.H. CHARLES, The Revelation of St. John, 1920
13
cfr. U.VANNI, Op. cit.
14
E. B. ALLO, L’Apocalypse de Saint Jean, Paris 1933
15
cfr.U. VANNI, Op. cit.
7
logico”
16
. Come possiamo vedere, gli errori più gravi e più evidenti in cui sono incorsi
tutti questi commentatori sono in primis la scarsa considerazione che hanno dimostrato
per le testimonianze e la capacità critica degl’interpreti antichi e il poco interesse ad
esempio per la tradizione del testo, che ci viene tramandato dai primi secoli fino ad oggi
senza variazioni di rilievo e soprattutto sempre come un’opera unitaria: eppure viene
continuamente stravolto, ricucito e trasformato in mille modi, per avallare le distinte
teorie.
Naturalmente non è questa la sede per discutere in maniera approfondita questi
problemi, però è necessario porre alcuni punti fermi per una lettura rispettosa del testo e
non inficiata da secoli di interpretazioni e di commenti non sempre disinteressati, come
quelli che si preoccupano di salvare l’ “ortodossia” di Giovanni o tentano di
“convertirlo” a questa o quella confessione cristiana
17
.
L’Apocalisse, nonostante il nome, non è un libro “apocalittico” vero e proprio, cioè non
è assimilabile a tutta la serie di scritti di carattere escatologico, che fiorirono in ambito
ebraico fra il I secolo a. C. e il II d. C.
I modelli di Giovanni sono piuttosto da ricercare nell’Antico Testamento e soprattutto
nei libri profetici, specie Daniele ed Ezechiele. Profezie da intendere nel senso
veterotestamentario del termine, cioè come spiegazioni di eventi già avvenuti alla luce
del messaggio divino e nell’ottica di una storia della salvezza che per Daniele ed
Ezechiele era promessa e riservata al “popolo eletto” e per Giovanni si è già realizzata
per tutti gli uomini: “Dopo questo vidi, ed ecco una folla dalle molte schiere che
nessuno poteva contare, da ogni nazione, tribù, popoli e lingue, in piedi dinanzi al
trono e dinanzi all’Agnello, avvolti in vesti bianche, con palme nelle loro mani”.
18
16
Ibid.
17
cfr. E. CORSINI, Op. cit., pp. 41-42
18
Ap. VII, 9
8
Sia la profezia sia l’apocalittica svelano l’opera segreta o le azioni future di Dio per
rafforzare le speranze dei buoni, però mentre i profeti còlgono circostanze storiche
determinate e le chiariscono, sono cioè predicatori, gli apocalittici si occupano
esclusivamente della fine dei tempi e sono dunque narratori.
L’A., pur non rientrando pienamente in nessuna di queste categoria per l’originalità
dell’ispirazione e dello stile di Giovanni
19
, certamente mutua gran parte delle immagini
e dei simboli dalla tradizione profetica veterotestamentaria- specie dei profeti posteriori
all’esilio- , anche se poi li rielabora e li ricollega alla rivelazione evangelica, che si
rivela come la realizzazione piena delle promesse messianiche.
Per questo carattere tutto speciale non è semplice delineare una struttura del libro o
descriverne seppur per linee generali il contenuto, se non scegliendo uno schema e
applicandolo all’intera opera. Consideriamo quindi più utile alla comprensione una
lettura completa e continua dell’Apocalisse.
Forse in questo modo, liberandoci dai preconcetti che ci portiamo dietro, potremo
riscoprire l’essenza più vera di quest’opera e il significato che per i primi lettori, come
Vittorino, era chiaro: quello di Rivelazione (che è poi il vero significato di αποκαλύψις
del mistero di Cristo come promessa di salvezza già realizzata per tutti gli uomini,
attraverso l’Incarnazione, Morte e Resurrezione di Gesù, che ha inaugurato la Nuova
Gerusalemme in cui non c’è più bisogno di tempio, “perché il Signore Dio onnipotente
e l’Agnello sono il suo tempio”
20
.
19
Non pretendiamo che la questione sia chiusa, ma per comodità di espressione col nome di Giovanni
indichiamo l’autore chiunque sia.
20
Ap. XXI,22
9
CAPITOLO II
2.1 NOTIZIE BIOGRAFICHE
Le notizie che possediamo su Apringio sono molto scarse e naturalmente spicca fra esse
la “voce” Apringio che Isidoro di Siviglia gli dedicò nel capitolo XVII del suo De viris
illustribus, che in forza della sua antichità (primi anni del VII secolo) è una fonte
autorevolissima. Il testo recita:
“Apringius ecclesiae Pacensis Hispaniarum episcopus, disertus lingua et scientia
eruditus, interpretatus est Apocalipsin Iohannis apostoli, subtili sensu atque illustri
sermone, melius pene quam veteres ecclesiastici exposuisse videntur. Scripsit et
nonnulla quae tamen ad notitiam nostrae lectionis minime pervenerunt. Claruit
temporibus Theudi principis Gothorum”.
“Apringio, vescovo della chiesa di Pax in Spagna, facondo scrittore e studioso
coltissimo commentò l’Apocalisse dell’Apostolo Giovanni, con acume interpretativo e
stile ricercato, quasi meglio di quanto pare che abbiano fatto gli antichi commentatori.
Scrisse anche qualche altra opera, che tuttavia è giunta in minima parte ai nostri occhi.
Brillò al tempo di Theudis principe dei Goti.”
10
Dal testo possiamo dedurre che Isidoro visionò il commentario di Apringio, come del
resto sua prassi nella composizione del de viris ill.,- altrimenti non si sarebbe
preoccupato di informarci che al contrario non aveva avuto l’opportunità di consultare
gli altri scritti apringiani (nonnulla)- e ne formulò giudizio più che lusinghiero, tanto
sotto il profilo formale (illustri sermone) quanto interpretativo (subtili sensu ), al punto
da valutarlo quasi superiore ai commenti che si consideravano già a quel tempo
“classici”.
21
Apprendiamo ancora che Apringio visse all’epoca del regno di Theudis (531-548), ma il
claruit può essere interpretato sia nel senso tradizionale di “maturità”, di vita o artistica,
sia in riferimento alla consacrazione episcopale
22
, il che dovrebbe farci spostare un po’
in avanti la data probabile di composizione.
Il problema che ha fatto discutere più a lungo riguarda la sede episcopale di Apringio,
nella nostra traduzione trascritta volutamente Pax. Ora, all’epoca del Nostro esistevano
in Spagna due sedi episcopali con questo nome: Pax Augusta, l’attuale Badajoz in
Extremadura (Spagna), e Pax Iulia, l’attuale Beja in Portogallo (ci permettiamo di
ricordare che il Portogallo si rese indipendente dalla corona di Castilla soltanto nel XII
secolo e fino ad allora non costituiva una realtà autonoma all’interno della penisola
iberica). La parola definitiva a questo proposito fu pronunciata dal Florez, che nel suo
Espaňa sagrada
23
dirimette la contesa a favore della città di Beja, giacché nella lista
autentica dei prelati di questa chiesa compare al primo posto il nome, del resto poco
usato, di Apringio.
21
Secondo MANUEL C. DÌAZ Y DÌAZ, Scrittori della penisola iberica, in Patrologia IV “è probabile
che questo giudizio di Isidoro supponga che Apringio tenne conto dell’opera di quelli e si sforzò di
superarli”.
22
Ancora DÌAZ Y DÌAZ. Op. cit.
23
FLOREZ, España sagrada, t. XIV (1786), p.230-244
11
2.2 IL COMMENTARIO DI APRINGIO
24
Abbiamo visto come la nostra unica fonte, Isidoro, parli in termini entusiastici
dell’opera di Apringio e ne sottolinei l’acume esegetico insieme all’abilità
nell’esposizione.
Naturalmente l’autorità di Isidoro spinse molti letterati e studiosi del tempo a ricercare
e consultare il Commentario, ma a quanto pare la sua diffusione fu sempre molto
limitata e il reperimento notevolmente difficoltoso.
Un esempio di tale stato di cose ci viene fornito dallo scambio epistolare tra Braulione
di Saragozza ed Emiliano di Toledo nel VII secolo
25
.
Il primo chiede che gli venga recapitata una copia del Commentario per farlo copiare a
sua volta e si dice fiducioso nel risultato sia per il buon nome di Emiliano sia per la
ricchezza delle biblioteche di Toledo; purtroppo Emiliano dà una risposta negativa, pur
dichiarando di aver profuso il massimo impegno nella ricerca.
San Beato di Liebana (VIII sec.), invece, nel prologo del suo commentario
all’Apocalisse dichiara di aver consultato e utilizzato proficuamente il lavoro di
Apringio.
Nei secoli successivi non si hanno più notizie dell’opera e le uniche citazioni di
Apringio non fanno che esprimere il rammarico per la perdita di un testo così
importante.
24
Per questa sezione mi sono rifatto essenzialmente all’introduzione di M. FEROTIN, Apringius de Beja.
Son commentaire de l’Apocalypse, Paris 1900
25
L. RIESCO TERRERO, Epistolario de San Braulio, Sevilla 1975
12
Nel XVII secolo un beneficiario della cattedrale di Sevilla, Luis de Sanllorente,
possedette una copia del Commentario e tentò di pubblicarne un’edizione, ma la morte
glielo impedì.
Per il resto un velo ricopre l’opera di Apringio fino alla scoperta del manoscritto di
Copenhagen nel 1892.
Il manoscritto fu copiato da uno più antico a Barcellona nel 1042, secondo una nota
posta nel secondo folio. In seguito a svariate peripezie finì prima in Germania, a Kiel, e
finalmente a Copenhagen, dove fu recuperato dal Ferotin.
Il testo presenta alcune particolarità degne di nota.
Molte parole sono accentate e questo, secondo il Ferotin, potrebbe farci pensare a una
destinazione del manoscritto di Apringio alla lettura liturgica e quindi all’esigenza di
facilitarne appunto la lettura a chi non avesse una buona conoscenza della lingua latina.
Riteniamo, però, che in tal caso la diffusione dell’opera sarebbe stata maggiore di
quanto non fu in realtà, quanto meno nell’ambito della penisola iberica.
Per quanto riguarda le particolarità ortografiche le vocali e ed i sono spesso confuse:
e.g. intellegat, eligantia; d è usata per t: inquid, fid; g per c: rubigundo, e per j: adgecit;
q per c: qur, quoram. Molte di queste sostituzioni sono dovute ad errori del copista, ma-
dice Ferotin- “la plupart tutefois concordent trop bien avec ce que nous savons du latin
du VI siècle, pour que l’on puisse hésiter à les attribuer à Apringius lui-meme”.
26
Ancora sottolineiamo l’uso frequente dell’accusativo assoluto,
27
che crea non pochi
problemi al traduttore.
26
M. FEROTIN, Op. cit., p.XIX
27
cfr. Ibid.
13
Quanto al contenuto, il manoscritto presenta il commento ai primi capitoli, da I,1 a V,7
e agli ultimi, da XVIII,6 fino alla fine; la sezione centrale è costituita da un commento
che il copista definisce di San Girolamo, ma che è riconosciuto come opera del beato
Vittorino di Poetovio. Probabilmente il copista credette opportuno completare il
commento a tutta l’Apocalisse inserendo parti di un’altra opera nella sezione mancante.
Da questa situazione è nata una disputa sulla reale natura del Commentario di Apringio,
se cioè il vescovo di Beja compose davvero un commentario a tutta l’Apocalisse o più
semplicemente scelse alcuni passi che riteneva di maggiore interesse e si limitò ad
interpretare quelli.
La testimonianza di Isidoro sembra indicare piuttosto la prima possibilità, anche se non
è esplicito in proposito, e lo stesso Ferotin propende più per questa tesi, che cioè il
manoscritto sia solo ciò che resta di un originario commentario a tutta l’Apocalisse.
Decisamente contraria è la posizione di Vega
28
che nella sua edizione del Commentario
tenta di dimostrare che quello che possediamo corrisponde a tutto ciò che Apringio
realmente compose, chiamando a sostegno tra le altre una spiegazione liturgica, che
cioè il Concilio di Toledo aveva stabilito che nelle domeniche da Pasqua a Pentecoste si
leggesse e spiegasse il libro dell’Apocalisse e, data l’estensione del libro, non era
possibile commentarlo tutto.
Come nota argutamente la Codoňer Merino
29
non sarebbe difficile rivolgere contro di
lui la sua stessa argomentazione, postulando che l’estensione del commentario di
Apringio abbia costretto i suoi lettori a ridurlo, per includerlo fra i testi usati nella
liturgia, visto che il Concilio di Toledo (633) è posteriore alla composizione del
Commentario.
28
A..C. VEGA, Apringii Pacensis episcopi tractatus in Apocalipsim, El Escorial 1941
29
C. CODOŇER MERINO, Isidoro, de viris illustribus, Salamanca 1964
14
In ogni caso la questione è ancora lontana da una soluzione definitiva, che anzi, a meno
di nuove scoperte, sembra impossibile.