2
livello nazionale, regionale o locale. Vigilando sulla corretta applicazione di tale principio, il
Comitato consente un'efficace attuazione delle azioni comunitarie, difendendo al tempo stesso le
prerogative delle regioni nei settori che le riguardano.
La Commissione e il Consiglio consultano obbligatoriamente il Comitato delle regioni nei
settori che riguardano più direttamente le responsabilità delle collettività locali e regionali, vale a
dire la coesione economica e sociale (politica regionale e fondi strutturali), le reti transeuropee nei
settori del trasporto, delle telecomunicazioni e dell'energia; la sanità pubblica; l'istruzione, la
gioventù e la cultura; la politica dell'occupazione, la formazione professionale e la politica sociale;
l'ambiente e i trasporti.
Più in generale, il Consiglio, la Commissione o il Parlamento europeo possono consultare
il Comitato ogni volta che lo ritengono opportuno. Da parte sua, il Comitato può adottare di
propria iniziativa pareri su taluni temi quali l'agricoltura, la tutela dell'ambiente o la politica urbana.
Attualmente vi è l'ampliamento dell'Unione Europea che coinvolge ben dodici Paesi
1
,
destinati ad aumentare, ma inevitabilmente l'allargamento dell'Unione avrà delle ripercussioni
significative su tutte le attività dell'Unione, compresa quella del Comitato.
Il Comitato si prefigge l'obiettivo di favorire la cooperazione transfrontaliera per quanto
riguarda sia le frontiere interne sia quelle esterne.
L'allargamento dell'Unione europea, comporterà anche delle ripercussioni sulla struttura e
l'organizzazione del Comitato e in questo ambito il Comitato ha elaborato specifiche modifiche
indicate nel parere relativo agli aspetti istituzionali dell'ampliamento e nel parere in merito alla
Conferenza intergovernativa 2000; l'azione comunitaria può intervenire soltanto laddove
l'obiettivo non può essere raggiunto più efficacemente dal livello più vicino al cittadino.
A questo punto, questa analisi si propone di esaminare gli aspetti che hanno ostacolato e
che tuttora impediscono al Comitato di svolgere la sua attività in maniera efficiente, le proposte
che sono state elaborate per migliorarne la posizione nel sistema istituzionale europeo, le principali
modifiche apportate dai Trattati e le sue prospettive future.
1
Il processo di allargamento coinvolge due gruppi di Paesi: il primo interessa, Cipro, la Repubblica Ceca, l'Estonia, l'Ungheria, la
Polonia, e la Slovenia con i quali l'Unione europea ha avviato i negoziati nel marzo 1998; il secondo interessa la repubblica Slovacca,
la Romania, la Bulgaria, la Lituania, la Lettonia e Malta, che hanno iniziato i negoziati nel febbraio 2000.
3
CAPITOLO I
RUOLO DELLE REGIONI NELL’AMBITO DEL PROCESSO DI UNIFICAZIONE
EUROPEA
I.1 - IL PROCESSO D’INTEGRAZIONE EUROPEA E IL FENOMENO REGIONALISTICO
Negli ultimi anni si è assistito ad una rivalutazione della posizione delle Regioni all'interno
dell'ordinamento comunitario e del loro ruolo nella definizione della politica nazionale in sede
comunitaria in molti paesi membri dell'Unione Europea.
Un elemento che ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo del protagonismo delle
autonomie territoriali sul piano delle relazioni internazionali è rappresentato dal netto
rafforzamento del federalismo e del regionalismo sul piano degli ordinamenti interni che si è
prodotto, ad ondate successive, a partire dall’immediato dopoguerra. Si tratta peraltro di un
fenomeno finora localizzato prevalentemente in Europa, o comunque nel mondo
economicamente più avanzato. Alla base di tale crescente attenzione vi è la diffusione del
regionalismo nei paesi membri.
4
Gli ultimi decenni, infatti, sono stati caratterizzati dalla messa in discussione, se non
proprio dal superamento, dei tradizionali sistemi giuridici e istituzionali fondati sull’accentramento
statale, e dalla nascita o dal rafforzamento d’istituzioni di tipo regionale, laddove queste non erano
già elemento costitutivo della specifica tradizione nazionale. Si assiste in molte parti d’Europa,
dentro e fuori la Comunità, al risveglio d’identità culturali subnazionali o substatali che chiedono e
talvolta ottengono strumenti, anche istituzionali di protezione e di sviluppo autonomo.
Il primo, in particolare, si è caratterizzato per un’attenzione costante nei confronti delle
autonomie territoriali e dei loro problemi, che ha prodotto in particolare varie Convenzioni, tra le
quali appare fondamentale quella del 15 Ottobre 1985, relativa alla “Carta europea
dell’autonomia locale”, a cui si è affiancata la “Carta europea dell’autonomia regionale”. La
seconda ha attribuito a sua volta un ruolo crescente alle autonomie territoriali, fino all’istituzione
del Comitato delle Regioni, che ne rappresenta le opinioni e gli interessi a livello delle Istituzioni
comunitarie. Tali sviluppi si sono a loro volta riflessi nel dibattito costituzionale interno ai singoli
Stati,determinando in alcuni casi una sottolineatura del ruolo delle Regioni e delle altre autonomie
territoriali, specialmente per quanto riguarda i loro rapporti con l'Unione Europea.
Lo Stato, fonte originaria di legittimità e potere di governo, ha, infatti, cominciato a cedere,
gradualmente, parte delle sue competenze sia a livello sopranazionale, cioè comunitario, sia,
all'interno dei singoli paesi, a livello di governo locale. Questa evoluzione ha spinto il livello sub-
statale a cercare un collegamento a livello comunitario. D'altronde l'evoluzione sopra descritta ha
comportato il notevole aumento di materie sulle quali la competenza a livello nazionale si è
spostata alle regioni.
5
I.2 - TAPPE SIGNIFICATIVE DEL PRIMO COINVOLGIMENTO ISTITUZIONALE DELLE REGIONI
NELL’ORDINAMENTO COMUNITARIO
Il problema del ruolo delle autonomie locali, in particolare delle regioni, si è posto, in
modo ancora più stringente, nell’ambito dell'ordinamento comunitario. Tale crescente attenzione è
dovuta, oltre ai motivi sopra esposti, anche a fattori per così dire endogeni alla Comunità. Alla
base, vi è l’emergere di una crescente inadeguatezza, di una sempre più evidente non
corrispondenza alla realtà dei fatti, dell'originaria impostazione dei rapporti tra ordinamento
comunitario e ordinamenti statali come ordinamenti tra loro separati e reciprocamente
indipendenti. Questa reciproca impermeabilità si riallacciava alla configurazione
internazionalistica della Comunità, organizzazione fondata su un trattato stipulato tra Stati sovrani:
poichè gli obblighi assunti con i trattati istitutivi della Comunità sono obblighi di diritto
internazionale, come tali gravanti solo sugli Stati, solo questi hanno importanza di fronte alla
Comunità, restando, invece, irrilevanti le articolazioni che questi eventualmente conoscono al loro
interno. L' originaria estraneità tra ordinamento europeo e regioni è, del resto, ben percepibile nel
Trattato istitutivo del 1957, dove la presenza di Stati federati e di regioni è del tutto ignorata. La
Comunità economica europea, secondo il trattato, è un’organizzazione internazionale in cui gli
Stati membri sono gli unici soggetti originari dell’ordinamento giuridico comunitario. La
soggettività comunitaria è riconosciuta esclusivamente allo Stato membro.
Alcuni autori
2
hanno parlato di “cecità federale” per descrivere la totale indifferenza del
trattato istitutivo rispetto alla ripartizione delle competenze all’interno degli ordinamenti degli Stati
membri. Tuttavia nella seconda metà degli anni ’80 questa posizione d’indifferenza della
2
V., D’ATENA, Il doppio intreccio federale, cit., In Regioni, 1998, p. 1401 ss.
6
Comunità per tutto ciò che avviene nell’ordinamento interno degli Stati comincia ad incrinarsi,
sotto la spinta di due diverse esigenze: quella di assicurare l’efficacia delle politiche comunitarie, e
quella di garantire l’osservanza del principio democratico nella loro definizione ed attuazione.
Quanto alla prima sollecitazione, essa si ricollega alla percezione progressivamente sempre più
netta che la Comunità viene acquistando dello stretto intreccio che si istaura necessariamente tra la
propria azione e quella regionale. Non solo, infatti, fin dal trattato istitutivo, non poche delle
politiche comunitarie erano venute ad incidere o a condizionare, per l’oggetto o per la materia
interessata, le competenze riconosciute in sede interna alle regioni, ma soprattutto la loro
attuazione, in molti casi, richiedeva l’intervento di strumenti amministrativi. Pertanto, nelle
materie in cui l’ordinamento interno dello Stato membro attribuiva una competenza alle
amministrazioni regionali o locali, il raggiungimento degli obiettivi dell’azione comunitaria
dipendeva necessariamente dall’efficienza di tali amministrazioni.
Ciò derivava, in primo luogo, dallo sviluppo delle politiche regionali, sulla base del
riconoscimento, da parte del trattato di Roma del 1957, istitutivo della CEE, che uno degli
obiettivi della fondazione era quello di "garantire uno sviluppo armonioso, riducendo le differenze
esistenti tra le varie regioni e l'arretramento delle regioni meno favorite" (Preambolo). Sebbene il
trattato CEE non preveda disposizioni specifiche per l’instaurazione di una “politica regionale”
nell’ambito delle politiche comuni, quest’obiettivo viene ribadito all’art. 2 (ex art. 2), nel quale si
afferma che gli Stati membri aspiravano, attraverso l’instaurazione del mercato comune e il
ravvicinamento progressivo delle politiche economiche a “uno sviluppo armonioso ed equilibrato
delle attività economiche nell’insieme della Comunità”. Le altre disposizioni integrano l’obiettivo
regionale nell’ambito del politiche comuni previste e delle regole del mercato comune.
7
La "politica regionale" della Comunità, abbozzata durante il Vertice europeo del 1972 in
vista dell’ingresso del Regno Unito, prende ufficialmente avvio nel 1975, concretandosi con la
creazione del Fondo Europeo di sviluppo regionale (F.E.S.R.), comunemente considerato come
una sorta di "stanza di compensazione" tra i maggiori beneficiari della P.A.C. la politica agricola
comunitaria, (principalmente la Francia) e il nuovo grande contribuente netto (la Gran Bretagna).
Il F.E.S.R. è finalizzato a finanziare programmi di sviluppo regionale a favore delle regioni più
svantaggiate, allo scopo di contribuire a ridurre gli squilibri socio economici tra le regioni della
Comunità.
“A livello europeo, il Fondo di sviluppo regionale diede vita ad una regionalizzazione
delle misure di politica economica della Comunità Europea che, a sua volta, incoraggiò le regioni
nel loro tentativo di presentarsi come partner maturi per il livello europeo”
3
.
Il Trattato CEE contiene inoltre delle disposizioni che indirizzano i mezzi finanziari
comunitari verso regioni meno favorite. Si pensi al Fondo sociale europeo che in base all’art. 146
(ex art. 125) ha come obiettivo il riempiego dei lavoratori a seguito di riconversione d’impresa e
indirizza gran parte dei suoi mezzi alle regioni economiche in difficoltà. L’impatto avuto dal F.S.E.
sulla realtà regionale è stato notevole
4
.
3
V., VAN DER KNAAP, Il Comitato delle Regioni: nasce una nuova “Europa delle regioni”?, in Queste istituzioni, 1995, p. 100.
4
In proposito basterà verificare i dati della relazione della Corte dei Conti al Parlamento europeo sul rendiconto 1984 ed inerente ai
progetti approvati dalla Commissione CEE nell’esercizio 1983. Secondo questo organo comunitario le regioni assorbono il 44%
delle erogazioni, gli enti pubblici ed assimilati il 29%, i progetti-quadro aziendali promossi dal Ministero del Lavoro il 24%, mentre il
residuo 3% riguarda progetti promossi da privati; in argomento v., CALVIERI C., I rapporti tra regioni e Comunità europea: il ruolo
delle regioni nelle partecipazioni alle politiche comunitarie, in “Politiche del diritto” 1989,p. 227. Attualmente il F.S.E. opera,
prioritariamente, per il finanziamento delle azioni tese a promuovere l’occupazione nelle regioni di "priorità assoluta" (dipartimenti
francesi d'oltremare, Irlanda, mezzogiorno italiano, Irlanda del nord).
8
I.3 - MODI E FORME DEL COINVOLGIMENTO ISTITUZIONALE DELLE REGIONI
NELL'ORDINAMENTO EUROPEO PRIMA DEL TRATTATO DI MAASTRICHT
La presa di coscienza da parte delle istituzioni comunitarie dell'esigenza di un ruolo più
incisivo delle Regioni a livello europeo, si concretizza in una serie di atti comunitari, in cui la
partecipazione comunitaria delle Regioni non viene soltanto auspicata, ma assume forme e
modalità precise fino ad arrivare alla creazione del Comitato delle Regioni.
L 'analisi di questi atti mette in evidenza l'evoluzione del rapporto tra Comunità e regioni:
originariamente, come si è visto, la questione regionale assumeva la forma di politica regionale,
nella quale le regioni non avevano un ruolo autonomo, ma solo strumentale al conseguimento di
obiettivi comunitari. Si trattava della tendenza degli Stati membri a sviluppare le regioni meno
favorite del loro territorio per portarle allo stesso livello di quelle più avanzate. Con il tempo la
questione regionale comincia ad assumere forme istituzionali, in cui le Regioni rivestono un ruolo
più autonomo nella formulazione e nell'attuazione delle politiche comunitarie, anche se non sono
ancora riconosciute come soggetti comunitari.
9
I.3.1 - Segue: i Programmi Integrati Mediterranei
I Programmi Integrati Mediterranei (P.I.M.) sono stati creati dalla Comunità, sull'esempio
del precedente “pacchetto mediterraneo”
5
per rispondere all'esigenza di protezione delle aree
mediterranee interne nei confronti delle economie di Spagna e Portogallo in vista del loro
prossimo ingresso nella Comunità. I P.I.M. sono stati il risultato del tentativo della Comunità,
iniziato dalla fine degli anni '70, di unire l'esigenza di operare attraverso Programmi settoriali,
concentrando così le risorse, con il bisogno di coordinare gli strumenti finanziari per un
ampliamento degli effetti. Il regolamento n. 2088/85, approvato il 23 luglio 1985, ha costituito il
fondamento giuridico dei programmi integrati mediterranei e ha rappresentato un «modello di
intervento a carattere compensativo ideato dalla CEE per venire incontro alle esigenze delle aree
meno sviluppate».
6
L’art. 1 del regolamento individuava l’ambito territoriale dell’“azione comunitaria
specifica”: le regioni del Mediterraneo, in particolar modo, il Mezzogiorno italiano, le Midi
francese (a cui si aggiungono Liguria, Toscana, Umbria, Marche, il versante appenninico
dell'Emilia-Romagna e le zone lagunari adriatiche comprese tra Comacchio e Marano, nonché le
regioni di Aquitania e di Midi-Pirenees, i dipartimenti della Dròme e dell'Ardèche) e la Grecia (Il
testo del regolamento specifica che le regioni beneficiarie sono quelle meridionali della Comunità
5
Il "pacchetto mediterraneo" consisteva in una serie di misure adottate dalla Comunità in occasione del secondo allargamento nella
convinzione che il Mezzogiorno d'Italia e il Midi francese necessitassero di una protezione di fronte alla possibile concorrenza greca.
Secondo GUIZZI, I Programmi integrati della CEE per la crescita dell'area mediterranea, in Politica Internazionale, 1986, p. 81, « il
valore del pacchetto mediterraneo non risiedeva tanto nei finanziamenti a sostegno delle regioni mediterranee della Comunità, che
risultavano sostanzialmente inadeguati sotto il profilo quantitativo, ma piuttosto negli aspetti qualitativi. Si trattava di un primo
intervento coerente che si ispirava ai criteri di priorità e di concentrazione geografica in regioni obiettivamente sfavorite. L'altro
aspetto qualitativo interessante era quello della previsione, nelle misure strutturali di programmi o piani-quadro nei quali si sarebbero
poi inseriti i singoli progetti o piani specifici».
6
V., GUIZZI, I Programmi Integrati della CEE, cit. , in Politica Internazionale, 1986, p. 81.
10
«nella composizione attuale»; ciò per indicare che i P.I.M. erano finalizzati a compensare gli
eventuali effetti dell'ampliamento della Comunità a Spagna e Portogallo). L’obiettivo di tale
azione era quello di migliorare la struttura socio-economica delle regioni indicate.
In base all'art. 2 i P.I.M. erano delle azioni pluriennali della durata di 7 anni, il cui contenuto
poteva riguardare investimenti nei settori produttivi, nella realizzazione di infrastrutture e per la
valorizzazione delle risorse umane. Per quanto riguarda l’ambito settoriale di applicazione i campi
di attività economica previsti sono: l'agricoltura, la pesca, l'industria agro-alimentare, l'energia,
l'artigianato, l'industria e i servizi
7
.
In merito alle procedure di elaborazione e approvazione dei programmi, l'art. 5 § 2 del
regolamento stabiliva che essi fossero «elaborati all'opportuno livello geografico dalle autorità
regionali o dalle altre autorità designate da ciascuno Stato membro interessato»; si prevedeva
pertanto l'adozione di programmi, frutto della collaborazione tra la Commissione europea e le
autorità nazionali, ivi comprese quelle regionali.
Lo stesso regolamento n. 2088/85 prevedeva la stipulazione, in seguito all'approvazione
del progetto di programma da parte della Commissione, del "contratto di programma" firmato
dalla Commissione, dallo Stato membro e dall'autorità locale, nel quale vengono ad essere
puntualizzati tutti gli aspetti esecutivi ed attuativi.
Il contratto di programma attribuiva alla regione il ruolo di “parte contraente”
8
che le
consentiva di assumere una responsabilità propria all'interno dell'ordinamento comunitario; del
7
V., SICO, I programmi integrati mediterranei, in Foro Italiano, 1987, vol. IV, p. 421, il settore primario d'intervento per i P.I.M. era
l'agricoltura, in cui si tentava di incidere sulla struttura delle aziende agricole, sulla produzione, sulla rete di distribuzione dei prodotti
agricoli. Per quanto riguarda il settore della pesca, le misure riguardavano la ristrutturazione delle flotte, il miglioramento degli
impianti di conservazione dei prodotti ittici. «Particolare rilievo è poi riconosciuto all' obiettivo di estendere la presenza delle piccole e
medie imprese nelle aree d'intervento e di consentirne lo sviluppo».
8
V., SIRIANNI, La partecipazione delle regioni, cit., p. 12.
11
resto l'ente regione rivestiva un ruolo significativo in tutta la disciplina riguardante i P.I.M.: nella
fase della loro elaborazione (art. 5 § 2), nella fase della stipulazione dei contratti di programma
(art. 9 § 2) e in quella della loro esecuzione (allegato IV del reg. n. 2088/85)
9
.
I Programmi integrati mediterranei hanno permesso alle Regioni, attraverso la previsione
di uno strumento negoziale, di instaurare con la Comunità e con lo Stato un rapporto diretto che
consentiva loro di assumere una posizione di sostanziale parità finora negata dall'ordinamento
comunitario.
I.3.2 - Le riforme dei fondi strutturali (reg.. n. 2052/88 e reg. n. 2081/93)
La tendenza verso una maggiore integrazione degli interventi comunitari e degli
strumenti finanziari, avviata con i Programmi integrati mediterranei, trova una base giuridica
nell'Atto Unico Europeo che, come abbiamo già notato, introduce nel trattato CEE il titolo V
«Coesione economica e sociale». L 'art. 130A precisa che la Comunità ha lo scopo di ridurre le
differenze tra le varie regioni e il ritardo delle regioni meno sviluppate; l'art. 130C riconosce il
Fondo europeo per lo sviluppo regionale come l'organo principale al fine di partecipare «allo
sviluppo e all'adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo nonché alla
riconversione delle regioni industriali in declino».
9
V., CARTEI, Gli accordi di programma nel diritto comunitario e nazionale, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario,
1991, p. 49.
12
Nel perseguire questi obiettivi l’Atto unico europeo consente (art. 130D) la riforma dei tre
fondi strutturali volta a migliorare l'efficacia delle loro azioni, consentendo una riorganizzazione
dei compiti, delle risorse e del loro coordinamento. Il regolamento n. 2052/88 approvato
all'unanimità dal Consiglio il 24 giugno 1988
10
disciplina le linee generali della prima riforma dei
fondi Strutturali .
Ad esso si aggiungono il regolamento n. 4253/88
11
il cosiddetto regolamento orizzontale
d’attuazione, e i regolamenti n. 4254/88, 4255/88, 4256/88
12
relativi ciascuno a ognuno dei tre
fondi strutturali.
Dall'analisi del regolamento n. 2052/88
13
emerge che la caratteristica principale di tale
riforma è la definizione dei cinque obiettivi prioritari d'intervento.
In base all'art. 1 del regolamento n. 2052/88 i cinque obiettivi prioritari sono: promuovere
lo sviluppo e l'adeguamento strutturale delle regioni il cui sviluppo è in ritardo; riconvertire le
regioni, regioni frontaliere o parti di regioni gravemente colpite dal declino industriale; lottare
contro la disoccupazione lunga durata; facilitare l'inserimento professionale dei giovani; nella
prospettiva della riforma del politica agricola comune, accelerare l'adeguamento delle strutture
agrarie e promuovere lo sviluppo delle zone rurali, e l’indicazione dei fondi responsabili.
Inoltre l'azione dei fondi strutturali si articola in tre tappe. In primo luogo gli Stati membri,
sulla base delle proposte delle autorità competenti regionali o locali, definiscono le loro esigenze in
piani di sviluppo regionale. Tali piani non soltanto evidenziano gli obiettivi dello Stato e delle
10
V., G.U.C.E., 151uglio 1988, n. L 185. Sul tema si veda: FALQUI-FAVOINO-ONALI, Le regioni europee, oltre Maastricht. Dalla
riforma dei fondi strutturali comunitari ad un federalismo ecologico europeo, Firenze, 1994; SIRIANNI, La partecipazione delle
regioni, cit.; VAUCHER, Realite juridique, cit., in RTDE cit.; GUIZZI,, Manuale di diritto e politica dell' Unione Europea, Napoli;
GALLIZIOLI, I fondi strutturali delle Comunità Europee, Verona, 1992.
11
V., G.U.C.E., 31 dicembre 1988, n. L 374.
12
V., G.U.C.E., 31 dicembre 1988, n. L 374.
13
In tal senso vedi: FALQUI-FAVOINO-ONALI, Le regioni europee, cit.; SAPIENZA, I problemi regionali nel mercato unico
europeo, 1991, Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno.
13
autorità locali, ma impegnano loro a destinare le risorse eventualmente ottenute soltanto agli
obiettivi indicati. In un secondo momento la Commissione adotta i cosiddetti Quadri comunitari
di sostegno. Quest' ultimi, definiti dalla Commissione insieme alle autorità competenti dello Stato
membro, comprendono le linee prioritarie scelte per l'intervento strutturale della Comunità, le
forme di tale intervento, il programma di finanziamento e la durata degli interventi.
La fase finale riguarda l'attuazione, il controllo e la valutazione dei quadri comunitari di
sostegno ad opera della Commissione e dello Stato membro interessato
14
.
Come è stato notato da alcuni autori
15
, la riforma dei fondi strutturali ha introdotto alcuni
importanti principi: la programmazione, la complementarità e la partnership. L'elaborazione di
programmi consente all'azione comunitaria di avere maggiore flessibilità e incisività. Infatti
«trattandosi di un'azione comunitaria pluriennale basata sul concorso dei fondi strutturali, della
Banca europea degli investimenti e degli altri strumenti finanziari, essa avrebbe dovuto meglio
adattarsi ai mutamenti delle realtà regionali»
16
. L 'art.4 del reg. n. 2052/88 introduce direttamente il
principio di complementarità in base al quale l'azione comunitaria è complementare alle azioni
nazionali corrispondenti o vi contribuisce, ma è il principio della partnership l'elemento innovativo
della riforma. L’art. 4 del regolamento sostiene che l'azione comunitaria debba essere «il risultato
della stretta concertazione tra la Commissione, lo Stato membro interessato e le competenti
autorità designate da quest'ultimo a livello nazionale, regionale, locale o altro, i quali agiscono in
qualità di partner che perseguono uno obiettivo comune». Sebbene il principio della partnership
14
V., SAPIENZA, I problemi regionali, cit., sostiene che il Piano di sviluppo regionale e il Quadro comunitario di sostegno non
danno vita a un unico atto vincolante per le parti. La decisione con la qual la Commissione approva il Quadro comunitario di
sostegno è una semplice dichiarazione d'intenzione non vincolante per le autorità statali; non si arriva come nel caso del reg. 2088/85
che disciplina i P.I.M. un accordo di programma che definisce diritti e obblighi delle parti contraenti.
15
V., SIRIANNI, La partecipazione delle regioni cit.; SAPIENZA , I problemi regionali, cit.; FALQUI-FAVOINO-ONALI,, Le regioni
europee, cit.; ENGEL, VAN GINDERACHETER, Le pouvoir regional et local dans la Communautè europèenne, Paris, 1992.
16
V., FALQUI-FAVOINO-ONALI, Le regioni europee, cit.
14
abbia costituito un ulteriore passo in avanti verso un decentramento dell'azione comunitaria, non
sono mancate osservazioni critiche al riguardo
17
. Gli Stati membri infatti godono di un'ampia
discrezionalità per quanto riguarda la designazione delle autorità regionali o locali; in tal caso il
termine "autorità regionale" può essere riferito tanto ai Lander tedeschi che alle agenzie
regionalizzate di sviluppo che agiscono sotto lo stretto controllo dei ministeri centrali.
Il principio di partnership viene meglio precisato nel regolamento n. 2081/93
18
adottato
dal Consiglio il 20 luglio 1993 per un 'ulteriore riforma dei fondi strutturali. Tali modifiche sono
state rese necessarie al fine di accrescere l'efficacia dell'azione strutturale, di semplificare le
procedure e di esercitare un controllo più stretto sull'utilizzazione dei fondi. La nuova
regolamentazione, relativa al periodo 1994-1999, aumenta i mezzi finanziari e interessa anche il
nuovo Fondo di coesione introdotto dall'art. 130D del trattato di Maastricht.
Ai fini di questa analisi, l'elemento più interessante della nuova riforma è, come prima si
accennava, il rafforzamento del principio di partnership. L 'art. 4 del reg. n 2081/93 definisce la
compartecipazione come «una stretta concertazione tra la Commissione, lo Stato membro
interessato e le autonomie territoriali, in quanto partners di un obiettivo comune, e si precisa
ulteriormente che tale compartecipazione-partnership deve avvenire nel pieno rispetto delle
competenze istituzionali, giuridiche e finanziarie di ciascun partner»
19
.
Come si è riscontrato nel caso dei Programmi Integrati Mediterranei, anche nella riforma
strutturale non si provvede a una definizione del termine 'Regione'; per la Comunità europea
l'organizzazione interna degli Stati rimane irrilevante. Secondo la dottrina
20
, tuttavia, in entrambi i
17
V., ENGEL, VAN GINDERACHETER, Le pouvoir regional et local dans la Communautè europèenne, Paris, 1992, 31.
18
V . , G.U.C.E., 311uglio 1993, n. L 193.
19
V., SIRIANNI, La partecipazione delle regioni cit., 16.
20
V., SIRIANNI, La partecipazione delle regioni cit., 14.
15
casi la posizione delle regioni subisce un'evoluzione arrivando a stabilire un legame diretto con la
Commissione nel caso dei P.I.M e a sfumare il ruolo dello Stato membro nel caso della riforma
dei fondi strutturali.
Diventa evidente come le regioni assumano sempre più un ruolo rilevante, sia nel contesto
dei processi interni di attuazione, sia in quello di decisione comunitaria; di conseguenza è
facilmente intuibile come la partnership sia uno dei principi fondamentali su cui si basa il lavoro
del Comitato delle regioni, come sarà meglio affrontato in seguito.
I.3.3 - La cooperazione transfrontaliera
La mobilitazione delle Regioni sullo scenario europeo, nel tentativo di imporsi come
soggetti attivi nel processo d’integrazione europea, si è concretizzata anche nella creazione di
importanti organizzazioni regionali agenti a livello europeo.
Così nel 1985 è stata creata l’Assemblea delle regioni Europee; in essa erano rappresentate
gran parte delle realtà regionali europee. L’ A.R.E ha istaurato con il tempo una stretta relazione
con la Commissione soprattutto per quanto riguarda le materie relative ai fondi strutturali.
Dall’A.R.E sono pervenute le pressioni maggiori per l’istituzione del Comitato delle Regioni, per
una rappresentazione dei rappresentanti regionali al Consiglio dei Ministri europeo e per
l’introduzione del principio di sussidiarietà di cui si avrà modo di parlare. L’ A.R.E si aggiunge al
precedente Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa, istituito nel 1951 con l’“obiettivo