propri impianti di smaltimento come nuove discariche ed, in taluni casi, con i primi
impianti di incenerimento o compostaggio. Avviene però negli anni ’70 la vera
espansione del problema legato all’impatto ambientale dello smaltimento, questo perché
iniziarono a manifestarsi i disagi delle popolazioni residenti in conseguenza delle
modalità di smaltimento tradizionali adottate fino a quel momento. Infatti gli inceneritori,
realizzati per fronteggiare la scarsità di spazi di discarica nelle aree più congestionate, si
scoprirono vere e proprie bombe ecologiche e le discariche, non adatte al recepimento di
materiali sempre più inquinanti, in diversi casi iniziarono ad avvelenare le falde acquifere.
Se da un lato si puntava sull’innovazione tecnologica con soluzioni cosiddette “end of
pipe”, ovvero basate sul trattamento dell’inquinamento a valle dei processi produttivi,
dall’altro il dissenso delle popolazioni ad ospitare nuovi impianti cresceva
esponenzialmente, andando quindi a delineare una situazione di eccesso di domanda di
smaltimento, dovuta anche all’aumento costante delle quantità di rifiuti prodotti, su
un’offerta stagnante.
1
Nella seguente Figura 1.1 è possibile notare i metodi di gestione dei
rifiuti solidi urbani adottati in Italia negli anni 1980 – 1981. La discarica risulta
ovviamente la soluzione di smaltimento più utilizzata con un valore stimato del 70,7%,
valore che, come si vedrà, sarà destinato ad aumentare fino ai primi anni ’90. Dopodiché,
si nota il ricorso all’incenerimento per un valore stimato del 20%, valore che negli anni
successivi diminuirà notevolmente, conseguenza dell’ostracismo da parte della
popolazione, angosciata dal timore di avere “nel proprio giardino” impianti, a quel tempo,
molto inquinanti. Si segnalano poi impianti di selezione per il 5,4% ed altri metodi di
gestione, per un valore del 3,4%.
2
Figura 1.1 Metodi di gestione RSU adottati in Italia in percentuali, anni 1980-1981.
3
3,40%
5,90%
20%
70,70%
AltriImpianti di selezioneIncenerimento/termovalorizzazione Discarica
1
Fonte ( Massarutto A. & Kaulard A., 1997, “La gestione integrata dei rifiuti urbani” )
2
Fonte ( Lorusso S., 1987, “Tecnologia ed innovazione nei processi di produzione” )
3
Fonte ( Elaborazione propria su dati forniti da: Lorusso S., 1987, “Tecnologia ed innovazione nei processi
di produzione” )
9
Per fronteggiare questa situazione le autorità pubbliche si adoperarono puntando sulla
pianificazione su scala regionale, con l’obiettivo di creare una capacità di smaltimento
idonea a soddisfare le necessità dei comuni, per i rifiuti urbani, e delle industrie, per i
rifiuti industriali. La pianificazione avrebbe dovuto regolare i mercati separati della
raccolta e dello smaltimento, stabilendo prezzi e luoghi in cui i comuni e i produttori
avrebbero potuto collocare i materiali da smaltire. Fu il Decreto del Presidente della
Repubblica n. 915 del 1982, attuante anche la Direttiva quadro sui rifiuti 75/422/CEE, che
istituì questo modello di pianificazione regionale. In esso erano contenuti principi ancora
oggi validi come quello di promuovere, con l’osservanza di criteri di economicità ed
efficienza, sistemi tendenti a riciclare, riutilizzare i rifiuti o recuperare da essi materiali ed
energia, nonché quello di favorire sistemi tendenti a limitare la produzione dei rifiuti.
L’applicazione di questi principi fu molto difficile, proprio perché in quel tempo mancava
chiarezza anche nella stessa definizione di rifiuto, infatti, per rifiuto si intendeva
qualunque oggetto abbandonato o destinato all’abbandono. Esisteva pertanto un criterio
soggettivo, l’abbandono, e un criterio oggettivo, l’essere destinato all’abbandono. Ma non
era affatto chiaro quando si potesse intendere che un oggetto o una sostanza fosse
destinata all’abbandono. Solo a partire dalla fine degli anni ‘80, con la Legge 475 del
1988, che prevedeva disposizioni per l’attuazione del Dpr. n. 915, si ha l’introduzione del
concetto di materie prime seconde, di recupero e di riutilizzo, e si è ottenuta una maggiore
chiarezza, seppur non definitiva.
La situazione però non si risolse, la pianificazione proseguì a rilento con un’emergenza
rifiuti sempre più marcata, a cui le regioni cercarono di porre fine ricorrendo a
provvedimenti estemporanei come ordinanze, soluzioni transitorie, autorizzazioni
temporanee, facendo così la fortuna dei detentori degli impianti esistenti, i quali poterono
speculare avvalendosi di una vera e propria rendita di scarsità. Sul piano tecnico, la logica
basata sul trattamento “end of pipe” iniziò ad essere messa in discussione, non solo per la
sua inefficacia nel risolvere i problemi ambientali, ma anche per la difficoltà di
accettazione degli impianti da parte delle comunità locali e per gli elevati costi economici
che queste soluzioni comportavano. Si delineò quindi una situazione in cui più del 90%
dei rifiuti finiva in discarica con un livello di recupero del 5-6% ed uno scarso utilizzo di
metodi di smaltimento alternativi.
4
Nella seguente Tabella 1.1 è possibile notare i
quantitativi di rifiuti urbani prodotti in Italia dal 1990 fino al 2006, espressi in tonnellate,
4
Fonte ( Massarutto A., febbraio 2008, “I rifiuti vanno gestiti, non rimossi”, Consumatori, diritti e mercato
- www.altroconsumo.it)
10
e le quantità di questi rifiuti che sono state smaltite in discarica nel nostro Paese. I dati,
forniti da uno studio dell’Apat, in alcuni anni sono stati ricostruiti interpolando
linearmente la quantità di rifiuto prodotto per l’anno in cui il dato non era disponibile.
Ciononostante, possono, questi dati, adempiere perfettamente alla loro funzione di fornire
un livello indicativo delle percentuali di rifiuti avviati in discarica nel periodo di tempo
considerato. Osservando i primi anni ’90, questi sono gli anni in cui il ricorso alla
discarica raggiunse il suo apice in termini percentuali, arrivando a più del 92%,
dopodiché, come si vedrà in seguito, questa soluzione di smaltimento inizia a segnalare
un trend decrescente, come diretta conseguenza dell’applicazione della normativa europea
nel quadro normativo nazionale.
Tabella 1.1 Quantità di rifiuti urbani in discarica, anni 1990-2006.
5
Anno Rifiuti prodotti (t) Rifiuti in discarica (t) % sul totale
1990 22.230.754 20.259.627 91,13
1991 23.199.000 21.482.274 92,6
1992 24.436.249 22.241.091 91
1993 26.386.422 23.531.707 89,18
1994 26.910.747 23.675.165 87,97
1995 25.780.023 22.044.438 85,5
1996 25.959.980 21.623.467 83,29
1997 26.605.200 21.275.185 79,96
1998 26.846.726 20.767.673 77,35
1999 28.363.914 21.102.752 74,4
2000 28.958.542 20.965.984 72,4
2001 29.408.872 19.733.353 67,1
2002 29.863.728 17.768.918 59,5
2003 30.033.721 16.038.007 53,4
2004 31.149.584 16.135.484 51,8
2005 31.663.548 15.388.484 48,6
2006 32.522.650 15.578.349 47,9
Data la situazione di fine anni ‘80, sul piano legislativo si attuarono maggiori controlli
sulle emissioni degli impianti di trattamento e si iniziò a promuovere il recupero dei
5
Fonte ( Gonella B., 2005, “Rifiuti”, Apat )
11
materiali e dell’energia. Questo portò all’adozione, da parte di alcuni comuni, di
esperienze di gestione dei rifiuti comprendenti sistemi di raccolta differenziata cercando
di ridurre l’impiego della discarica.
Ma il vero cambiamento che influenzerà il sistema italiano avviene però a livello europeo
con l’emanazione della Direttiva 91/156/CEE, la quale modifica la precedente direttiva
quadro sui rifiuti. Questa direttiva è l’espressione di una nuova concezione della gestione
dei rifiuti, che mira a considerare questi ultimi all’interno delle politiche ambientali,
concentrando l’attenzione dalle fasi di raccolta e smaltimento all’intero sistema
complessivo di gestione, a partire dalla progettazione e produzione dei beni e dai processi
di consumo sino allo smaltimento. Si punta quindi all’affermazione di un sistema di
gestione moderno, in cui i soggetti di raccolta si integrano a valle realizzando capacità di
smaltimento in proprio o acquisendola con contratti di lungo termine, andando a
realizzare quello che è comunemente definito come sistema di gestione integrata.
6
In
questo ambito, i principi che la Direttiva 91/156 introduce sono stati recepiti
dall’ordinamento italiano col Decreto Legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997, il cosiddetto
Decreto Ronchi, e sono i seguenti:
ξ principio di prossimità: afferma che i rifiuti devono essere smaltiti il più vicino
possibile ai luoghi dove si sono generati;
ξ principio di autosufficienza: sancisce che ogni territorio omogeneo deve
predisporre di una capacità di smaltimento adeguata, con lo scopo, assieme al
principio precedente, di evitare le movimentazioni di rifiuti;
ξ principio “chi inquina paga”: stabilisce che il costo dello smaltimento deve essere
sostenuto da colui che genera i rifiuti, ossia dev’essere incorporato nei prezzi di
vendita dei prodotti o sopportato direttamente dalle comunità interessate;
ξ principio della responsabilità estesa del produttore: per diverse frazioni
merceologiche le industrie produttrici e di distribuzione finanziano dei sistemi il
cui compito è quello di garantire il raggiungimento degli obiettivi di recupero,
secondo diverse modalità e accorgimenti, che si basano sulla costituzione di
soggetti operanti lungo le varie filiere merceologiche, finanziati indirettamente dai
consumatori.
ξ principio della scala: istituisce un preciso ordine di priorità, che vede al primo
posto la riduzione dei volumi di rifiuti e della loro pericolosità, in modo da
6
Fonte ( Massarutto A. & Kaulard A., 1997, “La gestione integrata dei rifiuti urbani” )
12
semplificarne la gestione a fine vita, seguono poi il riuso, il riciclo diretto nei cicli
produttivi, il recupero di sottoprodotti come materiali secondari ed energia, ed
infine la riduzione dell’impatto inquinante delle strategie di smaltimento finale,
destinando in discarica il rifiuto che non può essere soggetto ad ulteriore
valorizzazione .
In Italia col Decreto Ronchi il territorio è stato diviso in ambiti territoriali, coincidenti in
genere con le Province, all’interno dei quali gli enti locali hanno avuto il compito di
creare un sistema di gestione unitaria dei rifiuti, intendendo con questo termine il
superamento della frammentazione delle gestioni. E’ stato inoltre fissato un obiettivo
minimo di raccolta differenziata che prevedeva che questa fosse pari al 15% entro due
anni dall’emanazione dello stesso decreto, al 25% entro 4 anni, ed al 35% a partire dal
sesto anno successivo all’emanazione di questa norma, lasciando poi ai diversi ambiti la
scelta se svilupparla ulteriormente o ricorrere ad altre tecnologie di recupero. Il principio
di autosufficienza è stato applicato alla scala dell’ambito territoriale ottimale con qualche
limitata possibilità di espanderlo alla scala regionale, ed in caso di insufficienza, sono
previste misure di commissariamento straordinario. Il principio di prossimità riguarda i
rifiuti urbani non pericolosi, che devono essere trattati entro l’ambito di provenienza,
mentre per i sottoprodotti e gli scarti si stabilisce che possano essere collocati come scarti
industriali, e dunque in qualsiasi impianto autorizzato anche al di fuori dell’area in cui
sono stati prodotti.
L’aspetto fondamentale di queste disposizioni, è la realizzazione di un sistema di gestione
basato su un approccio che può prevedere molteplici soluzioni alternative, che si possono
adattare alle diverse frazioni merceologiche. Le variabili che influenzano la scelta di
queste soluzioni sono molte, e vanno dalla possibilità di sfruttare al meglio le economie di
scala di certe fasi, al ridurre al minimo le diseconomie della logistica e del trasporto. Si
tratta di una vera e propria transizione tecnologica che non inciderà solo sull’industria del
settore ma anche sulle abitudini di vita e di consumo della popolazione. Per la prima volta
entra in gioco una coordinazione nel concepire le strategie di raccolta e smaltimento,
andando ad individuare i trattamenti più appropriati per le diverse frazioni merceologiche,
con la consapevolezza che le diverse tecnologie non sono antagoniste tra loro, ma anzi
contribuiscono insieme alla realizzazione del sistema. Pertanto, da un sistema a filiera
semplice, caratterizzato prevalentemente da fasi labour-intensive, si passa ad un sistema a
filiera complessa, in cui gli aspetti principali sono di carattere organizzativo e progettuale.
Iniziano ad assumere importanza le industrie che possono riutilizzare, con opportuni
13
adeguamenti tecnologici, i rifiuti o i loro derivati, nei propri cicli produttivi, costituendo
una capacità di smaltimento aggiuntiva ed influenzando la progettazione dell’intero
circuito, in modo da concepire i rifiuti come prodotti, e quindi tener conto delle loro
opportunità di valorizzazione successiva.
7
Nella gestione integrata dei rifiuti la normativa italiana e le direttive europee indicano
come priorità il recupero dei materiali dai rifiuti seguito dal recupero energetico,
effettuato sui residui non riciclabili. Per questa ragione, l’espansione delle raccolte
differenziate, rappresentanti la prima fase della gestione integrata, è stata accompagnata
dallo sviluppo e dall’affermazione di tecniche impiantistiche di supporto all’attività di
riciclaggio. Pertanto, successivamente alla raccolta differenziata di materiali secchi, si
hanno trattamenti delle frazioni preselezionate che sono indispensabili per l’accettazione
dei materiali da parte delle industrie di recupero come vetrerie, fonderie di ferro e altri
metalli, cartiere, utilizzatori di plastica recuperata.
L’interfaccia fra raccolta differenziata e riciclo è caratterizzata da piattaforme in cui si
eseguono operazioni diverse, sia per separare frazioni merceologiche omogenee, raccolte
congiuntamente nella raccolta multi - materiale, sia per migliorare la qualità del materiale
raccolto, sia per selezionare all’interno della stessa frazione qualità diverse da avviare a
differenti tipologie di impianti produttivi. Attraverso una selezione più spinta, si realizza
la produzione di materiali rispondenti a standard nazionali o internazionali od a specifiche
tecniche dettate dall’industria che definiscono i requisiti necessari per introdurre i
materiali nelle linee di lavorazione ed indicano i limiti delle impurezze accettabili per
l’utilizzazione. Una piattaforma di lavorazione generalmente si caratterizza come una
piccola unità operante in rapporto stretto con le industrie di riferimento.
Caratteristica peculiare di questo settore è che la produzione di rifiuti, conseguente alla
selezione del materiale in ingresso, deriva dalla necessità di eliminare le impurezze ed
esige che la selezione sia completa al fine di produrre materiali facilmente più allocabili
sul mercato. Per questa ragione la produzione di rifiuti dipende molto dal metodo di
raccolta e va considerata all’interno del sistema di gestione dei rifiuti nel suo complesso.
Tipologia diversa di impianti è quella che riguarda il trattamento intermedio dei rifiuti
urbani e speciali indifferenziati residui della raccolta differenziata. Questi impianti sono
inseriti in schemi in cui il recupero energetico è effettuato su una frazione ottenuta da
trattamenti diversi che vanno da semplici triturazioni, o separazione della frazione fine,
7
Fonte ( Massarutto A. & Kaulard A., 1997, “La gestione integrata dei rifiuti urbani” )
14
alla separazione dell’umido ed alla produzione di combustibile derivato dai rifiuti. La
scelta, in questo contesto, dipende dalle alternative d’uso come i forni dedicati, il co-
incenerimento o la co-combustione e dal tipo di combustore utilizzato.
Attualmente le linee programmatiche, sono contenute nel Decreto Legislativo del 3 aprile
2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”. Entrato in vigore il 29 aprile 2006, esso
sostituisce la legislazione quadro vigente in materia di rifiuti e bonifica dei siti
contaminati, procedure di VIA, VAS e IPPC, difesa del suolo e lotta alla desertificazione,
tutela delle acque dall'inquinamento e gestione delle risorse idriche, tutela dell'aria e
riduzione delle emissioni in atmosfera e, infine, di tutela risarcitoria contro i danni
all'ambiente. Con il suddetto decreto diverse norme sono state abrogate, tra cui il Decreto
Ronchi, al fine, oltre di unificare e coordinare le diverse fonti normative nazionali, di
apportare modifiche, in molti casi di rilievo sostanziale, alla disciplina dei vari settori
normativi, introducendo varie novità in attuazione delle direttive comunitarie. Tra le
novità citate, il Testo unico ambientale fa espressamente riferimento all’attuazione di una
gestione integrata dei rifiuti, la quale si deve realizzare secondo criteri di efficacia,
efficienza, economicità e trasparenza. Si persegue, più nettamente che in precedenza,
l’obiettivo dell’unicità del governo dell’ambito attraverso l’istituzione obbligatoria delle
Autorità d’ambito, nonché si prescrive l’affidamento a terzi, mediante gara, dell’intero
servizio. Tra le varie leggi che hanno modificato il Testo unico ambientale, la legge n.
296 del 27 dicembre 2006 modifica gli obiettivi minimi per la raccolta differenziata,
stabilendo:
ξ almeno il quaranta per cento entro il 31 dicembre 2007;
ξ almeno il cinquanta per cento entro il 31 dicembre 2009;
ξ almeno il sessanta per cento entro il 31 dicembre 2011.
Per quegli ambiti territoriali ottimali all'interno dei quali non siano conseguiti gli obiettivi
sopra riportati, si stabilisce che la regione, previa diffida, provveda tramite un
commissario ad acta a garantire il governo della gestione dei rifiuti al fine di realizzare
rilevanti risparmi di spesa ed una più efficace utilizzazione delle risorse.
8
Oltretutto, è necessario anche considerare che tra gli strumenti di attuazione delle
politiche di gestione dei rifiuti, in aggiunta agli strumenti normativi, vi sono anche gli
strumenti economici come misure fiscali, incentivi e disincentivi finanziari ed ecotasse,
schemi di deposito rimborsabili, nonché gli strumenti di gestione, come i piani di gestione
8
Fonte ( Legge n. 296 del 27 dicembre 1996 )
15
dei rifiuti, gli accordi negoziali tra pubbliche autorità e operatori economici, ed i
monitoraggi sull’applicazione delle norme.
Un aspetto importante da tenere in considerazione è che, attualmente, alcuni dei principi
sanciti a livello comunitario, inerenti la gestione dei rifiuti, vengono rimessi in
discussione. Per quanto riguarda il principio di priorità, alcuni ritengono che molte attività
di riciclaggio in realtà implichino costi ambientali rilevanti, anche se diversi studi
testimoniano la preferibilità per un certo livello di recupero mediante la raccolta
differenziata. Un altro principio oggetto di discussioni è quello di prossimità ed
autosufficienza, in quanto lo smaltimento potrebbe essere considerato una normale attività
industriale e, pertanto, potrebbe essere regolato, almeno in parte, da meccanismi di
mercato, attraverso i quali si potrebbero evitare i rischi connessi a dotazioni
impiantistiche eccessive nei vari ambiti.
La regolamentazione sarebbe necessaria, soprattutto in considerazione del fatto che il
mercato dei rifiuti è un mercato molto opaco, in cui i prezzi dello smaltimento sono
negoziati direttamente e a trattativa privata, i prezzi di conferimento sono definiti su
accordi politici ed il controllo pubblico degli impianti di smaltimento non è di per sé una
garanzia.
9
Si tratta di un settore di monopolio non regolato in cui spesso è stata accertata
la presenza, nel nostro Paese, di mercati clandestini in cui intermediari, a volte in contatto
con organizzazioni malavitose, si adoperavano per offrire capacità di smaltimento che si
rivelava assolutamente illegale, ed in cui la destinazione dei rifiuti spesso non è
identificabile. A questo proposito, sono molti i rapporti di Legambiente che attestano il
verificarsi di tali situazioni.
9
Fonte ( Massarutto A., febbraio 2008, “I rifiuti vanno gestiti, non rimossi”, Consumatori, diritti e mercato
– www.altroconsumo.it)
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1.2 I dati del cambiamento
La situazione relativa ai rifiuti urbani in Italia, all’entrata in vigore del Decreto Ronchi è
delineata nella seguente Figura 1.2. I dati presentati, derivano dal secondo rapporto
ANPA sui rifiuti urbani, e sono riferiti al 1997. Essi costituiscono il "punto zero" dal
quale, attraverso l’attuazione della normativa, si è potuto monitorare l’evolversi,
dell’intero sistema gestionale dei rifiuti urbani.
Figura 1.2 Rifiuti urbani prodotti in Italia nel 1997.
10
Dalla figura è evidente che già nel 1997 esisteva una disparità nelle metodologie di
raccolta dei rifiuti urbani tra il Nord Italia ed il Sud, infatti, le prime esperienze di raccolta
differenziata sono state effettuate da comuni nel Nord Italia e questo spiega la percentuale
del 17% contro l’1.4% del Sud.
Nella successiva Figura 1.3 si possono notare le diverse frazioni merceologiche derivanti
dalla raccolta differenziata nel 1997, i materiali maggiormente raccolti sono la carta, il
vetro e l’organico, questo anche perché le prime esperienze di raccolta differenziata sono
state fatte con tali frazioni merceologiche, e pertanto, prevalentemente al Nord, in
quest’anno si rivelano già abbastanza collaudate.
10
Fonte ( ANPA, 1999, “Secondo rapporto sui rifiuti urbani, sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio” )
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