4
L'esperienza comunitaria iniziò a Parigi il 18 aprile 1951 con la 
fondazione della Ceca (Comunità Economica del Carbone e 
dell'Acciaio), per iniziativa di sei Paesi: Francia, Italia, Repubblica 
Federale di Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo, che misero 
insieme le loro forze, per poter disporre delle materie prime 
(necessarie alla ricostruzione del secondo dopoguerra) a prezzi più 
vantaggiosi.  
Tra le istituzioni della Ceca, ritroviamo "l'antenato" dell'attuale 
Parlamento Europeo: l'Assemblea Comune, di cui facevano parte i 
rappresentanti dei cittadini dei Paesi membri, che dovevano essere 
prescelti dai Parlamenti nazionali.  
Dopo un certo periodo di tempo, l'Assemblea Comune sarebbe stata 
eletta a suffragio universale, cioè da tutti i cittadini dei Paesi 
membri, in grado di esercitare il loro diritto di voto. 
Il modello di assemblea parlamentare indicato nel Trattato Ceca 
avrebbe dovuto avere ulteriori sviluppi qualora fosse stata istituita 
la Comunità europea di difesa (CED): se invero quest’ ultima 
riprendeva in toto il sistema istituzionale della Ceca (con un 
Commissariato in luogo dell’Alta Autorità), l’art. 38 del trattato che 
ne prevedeva l’istituzione affidava proprio all’Assemblea il compito 
di studiare le modalità della creazione di una organizzazione 
definitiva, di una comunità politica europea, fondata tra l’altro, su 
 5
un sistema rappresentativo bicamerale
1
 . Il fallimento della 
Comunità europea di difesa
2
 impedì questi sviluppi dell’Assemblea 
della Ceca e finì per confermare i caratteri nelle altre comunità 
europee create negli anni successivi.  
Pur con qualche variazione di compiti, più formale che sostanziale, 
dovuta forse alle funzioni parzialmente diverse attribuite alle altre 
istituzioni comunitarie (Commissione e Consiglio), lo stesso 
modello si ritrova infatti nell’Assemblea prevista in modo identico 
dal Trattato istitutivo della Comunità economica europea (Cee), 
firmato a Roma il 25 marzo 1957, e dal trattato, concluso nello 
stesso luogo e nello stesso giorno, istitutivo della Comunità europea 
dell’energia atomica (Euratom). 
A conferma di questi caratteri comuni, gli Stati contraenti firmarono 
contemporaneamente una convenzione relativa a talune istituzioni 
comuni alle Comunità europee, stabilendo che i poteri e le 
competenze attribuiti all’Assemblea dai trattati istitutivi delle tre 
Comunità sarebbero stati esercitati da un’Assemblea unica composta 
e designata con le modalità previste dai due nuovi trattati e 
modificando a tal fine nello stesso senso il trattato Ceca. 
Nell' Assemblea Comune sedevano i "rappresentanti dei popoli 
                                                 
1
  Cfr. Robertson, The European Political Community, in Brit.intern.Law, 1952, 383 ss.; Spinelli, Verso la 
Comunità politica Europea, Tivoli, 1953.   
2
 Il Trattato che istituisce la Ced viene firmato a Parigi il 27 maggio 1952 ma verrà respinto 
dall’Assemblea nazionale francese il 30 Agosto 1954. 
 6
riuniti dalla Comunità" (art. 137 Trattati di Roma), che dovevano 
essere eletti, dopo un periodo di aggiustamento, a suffragio 
universale, ma nell'immediato, i parlamentari europei furono eletti 
indirettamente, cioè dai Parlamenti nazionali. 
 A partire dal 1958, l'Assemblea Comune fu chiamata Assemblea 
Parlamentare Europea e nel 1962 fu stabilito che questa Assemblea 
prendesse il nome di Parlamento Europeo. 
L'evoluzione del Parlamento Europeo può essere divisa in tre 
decenni, durante i quali sono state prese delle importanti decisioni 
per la crescita della Comunità, delle istituzioni comunitarie e quindi 
anche del Parlamento Europeo. 
Nel corso degli anni '70, i Paesi membri hanno ampliato gli ambiti 
della loro cooperazione, includendovi anche la collaborazione 
politica: una delle conseguenze più evidenti di tale ulteriore 
consolidamento è stato l'allargamento delle competenze e dei poteri 
del Parlamento Europeo. 
Tra il 1970 ed il 1975 secondo le disposizioni del Trattato di 
Lussemburgo (1970) e del Trattato di Bruxelles (1975), il Consiglio 
dei Ministri doveva presentare il bilancio al Parlamento Europeo, 
che poteva modificarlo, o respingerlo se esisteva una giusta 
motivazione. 
 7
 Si trattò di un passo avanti di grande rilevanza, perché influendo 
sulla destinazione delle risorse economiche della comunità, il 
Parlamento Europeo acquisiva il potere di indirizzare le politiche 
comunitarie, seppure in modo molto ridotto e parziale. 
Il compito del Parlamento però non si esaurisce nell'approvazione 
delle spese, ma si estende anche al controllo su come vengono 
utilizzate le risorse comunitarie, valutando anno per anno la 
responsabilità politica della Commissione in materia di bilancio. 
 Nel 1976 venne compiuto un altro passo avanti fondamentale per il 
Parlamento Europeo: il Consiglio approvava un importante 
provvedimento: “Atto relativo all' elezione dei rappresentanti 
dell'Assemblea (del Parlamento Europeo) a suffragio universale 
diretto”. 
Quando venne istituita l'Assemblea Comune, sia nella Ceca che 
nella Cee, i Trattati prevedevano l'elezione diretta dei rappresentanti 
dei popoli dei Paesi membri
3
, tuttavia i deputati europei non furono 
mai scelti direttamente dai cittadini della Comunità Europea, 
durante i primi vent'anni di attività della Comunità. 
La decisione di realizzare questa disposizione dei Trattati (l'elezione 
a suffragio universale degli eurodeputati) ha contribuito a fare del 
Parlamento Europeo la voce dei cittadini dei Paesi membri 
                                                 
3
  Art. 137 del Trattato Cee, art. 20 del Trattato Ceca. 
 8
all'interno delle istituzioni comunitarie, e ad avvicinare le persone 
alla Comunità Europea stessa. La partecipazione diretta dei cittadini 
ha inoltre favorito il riconoscimento del ruolo del Parlamento 
Europeo come un' istituzione non più lontana e semi sconosciuta, 
ma come una parte integrante della vita quotidiana degli europei. 
Negli anni '80 è stata accelerata la "costruzione" dell' Unione 
Europea, con importanti conseguenze per il Parlamento Europeo.  
Nel 1983, fu approvata la Dichiarazione di Stoccarda sull'Unione 
Europea. In questo documento è stato allargato il potere di controllo 
politico del Parlamento Europeo sulla Commissione.  
Questo controllo ha luogo in due modi: attraverso la nomina del 
Presidente della Commissione ed attraverso l'espressione del voto di 
fiducia sul programma della Commissione. 
Nel 1987, l'Atto Unico Europeo (AUE) diede al Parlamento Europeo 
il diritto di esprimere un parere conforme, oggi indispensabile per 
gli accordi di associazione e di ammissione nella Comunità di un 
nuovo Stato, per la stipulazione di accordi internazionali, sul diritto 
di soggiorno dei cittadini dell'Unione, per l'organizzazione e gli 
obiettivi dei fondi strutturali e del Fondo di coesione, per 
individuare i compiti e i poteri della Banca Centrale Europea (BCE), 
sui quali dovrà essere presa una decisione secondo il principio della 
 9
maggioranza. Inoltre, secondo le disposizioni dell'AUE, il 
Parlamento deve partecipare attivamente a tutte le attività che 
riguardano la cooperazione politica tra i Paesi membri e tra le 
Comunità Europee ed altri Paesi esterni ad esse. Inoltre l'Atto Unico 
Europeo, accanto alla consultazione semplice (una sola lettura, 
quella prevista nei Trattati del 1957), introdusse la procedura di 
cooperazione per la politica sociale, per la realizzazione della libertà 
di stabilimento, per il mutuo riconoscimento dei diplomi, per la 
ricerca e lo sviluppo tecnologico, per la realizzazione della libera 
circolazione dei lavoratori, per il riavvicinamento delle legislazioni 
relative al mercato interno, per la coesione economica e sociale e 
per il coordinamento delle disposizioni per i cittadini stranieri 
relative all'ordine pubblico e alla sanità pubblica. 
Secondo la procedura di cooperazione, il Consiglio dei Ministri 
stabilisce una posizione comune, che verrà presentata al Parlamento, 
il quale a sua volta ha la facoltà di chiedere alla Commissione ed al 
Consiglio tutte le informazioni, che riguardano la posizione comune. 
Entro 3 mesi il Parlamento deve pronunciarsi positivamente o 
negativamente ed eventualmente proporre delle modifiche 
(emendamenti). Se il Parlamento non si pronuncia o da il suo 
appoggio alla posizione del Consiglio, quest'ultimo può adottare 
definitivamente l'atto, se invece non è d'accordo, il Consiglio potrà 
 10
adottare l'atto soltanto se tutti i suoi componenti lo avranno 
approvato .  
Gli anni '90 rappresentano un'importante fase nella realizzazione 
dell'Europa Unita, perché in questo periodo è stato raggiunto tra i 
Paesi membri l'accordo sull'attivazione di una cooperazione politica 
sempre più profonda, alla quale è stata data una priorità assoluta.  
Il Trattato di Maastricht nel 1992 sanciva la creazione dell'Unione 
Europea e della Moneta Unica. Per quanto riguarda il Parlamento 
Europeo, sono state moltissime le innovazioni che questo Trattato 
ha determinato.  
In primo luogo, è stato conferito al Parlamento Europeo il diritto     
di pre-iniziativa.  
Il Parlamento Europeo a maggioranza dei suoi membri può 
richiedere alla Commissione "di presentare adeguate proposte sulle 
questioni per le quali reputa necessaria l'elaborazione di un atto 
della Comunità ai fini dell'attuazione del Trattato CEE" (art. 138B 
Trattato Cee modificato, art. 20 A Trattato Euratom modificato). In 
altre parole, il Parlamento Europeo può sollecitare la Commissione 
ad occuparsi di alcuni problemi che devono essere affrontati con una 
legge dell'Unione Europea.  
Il Trattato di Maastricht estende inoltre ad altri settori la procedura 
di cooperazione: norme di esecuzione per quel che riguarda i fondi 
 11
sociali e regionali, l'ecologia e gli aiuti allo sviluppo, politica dei 
trasporti e aiuti pubblici.  
Infine, il Trattato di Maastricht ha introdotto la procedura di 
codecisione (art. 189  Trattato Cee modificato), riconoscendo al 
Parlamento Europeo il diritto di veto su questioni riguardanti: 
l'ambiente, la libera circolazione dei lavoratori e dei servizi, la 
protezione dei consumatori, il mercato interno, la cultura e 
l'educazione. Secondo le nuove disposizioni, i provvedimenti 
legislativi che regolano queste materie dovranno essere approvate 
dal Consiglio a maggioranza qualificata e da almeno 260 
parlamentari. Se non si raggiunge un accordo, è prevista la 
creazione di un "comitato di conciliazione", costituito da membri 
del Parlamento e da membri del Consiglio dei Ministri. Se il 
comitato non riesce a far raggiungere un accordo tra il Parlamento 
Europeo ed il Consiglio, allora il progetto di legge cadrà 
definitivamente.  
Questo aumento di potere non ha riguardato il secondo (PESC) e il 
terzo pilastro (CGAI): nel quadro del secondo pilastro, al 
Parlamento europeo vengono espressamente attribuiti solo il potere 
di essere informato e quello di essere consultato. Dispone infatti 
l’art. 21 TUE che la Presidenza consulta il Parlamento europeo sui 
principali aspetti e sulle scelte fondamentali della politica estera e 
 12
di sicurezza comune e provvede affinché le opinioni del Parlamento 
europeo siano debitamente prese in considerazione. Si tratta di una 
consultazione meramente facoltativa perché rimessa ad una 
valutazione discrezionale del Consiglio su ciò che può ritenersi 
costituire un aspetto principale o una scelta fondamentale di politica 
estera. Manca perciò nella materia ogni forma di partecipazione 
all’esercizio di poteri normativi. 
Nell’ambito del terzo pilastro il Parlamento svolge una funzione 
meramente consultiva: l’art. 39 TUE dispone infatti che il Consiglio 
consulta il Parlamento europeo prima di adottare qualsiasi misura 
di cui all’art. 34, paragrafo 2, lettere b), c) e d), e ciò in un termine 
«non inferiore a tre mesi», in modo da contrastare la precedente 
pratica del Consiglio di informare il Parlamento solo poco tempo 
prima dell’adozione dell’atto e dare così tempo sufficiente per la 
formulazione dei pareri
4
 (Consiglio dell’Unione europea, 
Metodologie di lavoro nel settore GAI, doc. n. 10336/01). 
Per concludere, l’istituzione sembrerebbe ricoprire quel ruolo 
meramente “decorativo” che la caratterizzava alle origini dello 
sviluppo del settore comunitario, ruolo che porta alla riapertura del 
problema del deficit democratico anche in questi due pilastri. Si 
tratta però di una problematica solo apparente in quanto ogni 
                                                 
4
  Le modalità concrete di emissione del parere sono regolate dal regolamento interno del Parlamento 
europeo. 
 13
confronto tra il primo pilastro e gli ulteriori due dell’Unione non 
può prescindere dalla considerazione della profonda e radicale 
diversità tra il metodo comunitario (che marginalizza il ruolo dei 
governi nazionali a favore delle istituzioni europee), che si applica 
nel primo, ed il metodo intergovernativo (che attribuisce tutto il 
potere decisionali agli Stati membri), che vige negli altri due. Tale 
diversità comporta che il giudizio sul deficit democratico deve, da 
un lato, tener conto che alla mancanza di poteri del Parlamento 
europeo corrisponde la conservazione, da parte dei parlamenti 
nazionali, di prerogative che essi hanno perso in materia 
comunitaria; dall’altro, in prospettiva, deve assumere come misura 
privilegiata di democratizzazione nel secondo e nel terzo pilastro 
l’aumento di potere dei parlamenti interni che consenta a questi 
ultimi di disporre di più efficaci strumenti di informazione e di 
controllo rispetto ai propri governi operanti nel Consiglio (G. 
CARELLA).  
Il Trattato di Maastricht prevedeva all’art. 48 (ex art. N) la 
convocazione, nel 1996, di una conferenza dei rappresentanti dei 
governi degli Stati membri allo scopo di “esaminare, 
conformemente agli obiettivi stabiliti negli articoli A (ora  art. 1) e 
B delle disposizioni comuni, le disposizioni del presente trattato per 
le quali è prevista una revisione”. La Conferenza intergovernativa, 
 14
apertasi a Torino nel marzo del 1996 e conclusasi ad Amsterdam nel 
giugno del 1997, ha però risposto solo parzialmente alle aspettative, 
conseguendo risultati deludenti  negli ambiti della politica estera, 
delle questioni sociali e istituzionali. 
Ciononostante, il Trattato di Amsterdam ha segnato anche alcuni 
progressi. 
Innanzitutto, la partecipazione del Parlamento europeo, con la 
doppia approvazione, alla procedura di nomina della Commissione e 
del suo presidente costituisce un importante passo avanti verso una 
maggiore legittimazione democratica. 
Rilevante è anche l’estensione della procedura di codecisione a 
numerosi ambiti
5
, nonché la sua semplificazione, che va a vantaggio 
del Parlamento conferendogli un ruolo veramente paritario 
nell’adozione degli atti. 
Il Trattato di Amsterdam come detto non è riuscito però a sciogliere 
il nodo delle riforme istituzionali necessarie per rendere più consone 
ad una Unione composta di 20, 27 stati membri, le istituzioni e le 
procedure pensate per una comunità di sei Stati membri, e già 
adattate con fatica ad una Unione di 15. 
Il compito è stato quindi affidato ad una nuova Conferenza 
Intergovernativa riunitasi alla fine del 1999 e poi per tutto il 2000 
                                                 
5
  Il campo di applicazione della codecisione è stato esteso a 38 settori contro i 15 previsti dal Trattato di 
Maastricht. 
 15
(CIG   2000) i cui lavori sono stati pesantemente condizionati da 
quell’eredità negativa lasciata dalle mancate riforme di Amsterdam. 
Il Trattato di Nizza, approvato dal Consiglio europeo di Nizza nel 
dicembre 2000 e firmato il 26 febbraio 2001, si è presentato quindi 
in primo luogo come il trattato delle riforme istituzionali. 
Per quanto concerne il Parlamento Europeo, il Trattato ha in primo 
luogo modificato il numero massimo dei suoi membri, 
aumentandolo di 32 unità e portandolo così da 700 a 732. La nuova 
disciplina è completata dal protocollo sull’allargamento che, al suo 
art. 2, prevede modifiche all’art. 190, par. 2, 1° comma del Trattato 
CE a partire dalla legislatura 2004-2009.  
Da quel momento muterà il numero dei rappresentanti da eleggere in 
ogni Stato, con l’eccezione della Germania, che ha ottenuto di 
mantenere gli attuali 99 deputati, in considerazione delle dimensioni 
della popolazione del paese e quale contropartita dell’accettazione 
della riduzione del numero dei commissari, e del Lussemburgo, che 
conserva gli attuali 6. 
Il numero dei parlamentari da eleggere in ogni paese è pertanto il 
seguente: Germania 99, Italia, Francia, Regno Unito 78, Spagna 54, 
Paesi Bassi 27, Belgio, Grecia, Portogallo 24, Svezia 19, Austria 18, 
Danimarca, Finlandia 14, Irlanda 13, Slovenia 7, Slovacchia 14, 
 16
Polonia 54, Malta 5, Lituania 13, Lettonia 9, Ungheria 24, Estonia 
6, Repubblica ceca 24, Cipro 6 e Lussemburgo 6. 
Venendo alle altre modifiche che hanno riguardato il Parlamento, va 
segnalato che, con riferimento allo statuto e alle condizioni generali 
per l’esercizio delle funzioni dei suoi membri, è previsto dal nuovo 
testo dell’art. 190 del trattato CE che il Consiglio esprima la propria 
approvazione preventiva non più all’unanimità, bensì a maggioranza 
qualificata, onde evitare che in un’Unione allargata sia 
eccessivamente complessa la decisione. Rimane invece necessario il 
raggiungimento dell’unanimità in seno al Consiglio per la 
determinazione delle norme relative al regime fiscale dei membri e 
degli ex membri.  
Non è stata pertanto accolta la richiesta avanzata dal Parlamento che 
non riteneva necessario l’intervento delle altre istituzioni per la 
determinazione dello statuto e delle condizioni relative all’esercizio 
delle funzioni dei suoi membri in quanto questioni attinenti al 
proprio funzionamento interno. 
Infine di significativa importanza sono l’ampliamento delle 
competenze del Parlamento, risultante dall’aumento dei casi in cui 
le decisioni vengono assunte secondo la procedura di codecisione e 
del parere conforme.