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settanta. E’ proprio in quel periodo che si diffonde la notizia che è stata creata una
commissione per elaborare il Codice di famiglia. Dopo innumerevoli proteste e
manifestazioni di opposizione, il Codice viene improvvisamente adottato il 9
giugno 1984. Esso rappresenta il primo grande compromesso tra il regime e gli
islamisti. Viene così sancita, in netto contrasto con la Costituzione, l’inferiorità
della donna, che è messa sotto tutela, relegata in uno status di minorenne a vita.
Nel corso degli anni, anche grazie all’introduzione del multipartitismo nel 1989, si
registra una vera e propria proliferazione di gruppi che appoggiano il movimento
democratico delle donne.
L’avanzata del movimento islamista negli anni novanta vede l’inevitabile scontro
con il movimento delle donne che, stuprate e poi sgozzate, cadranno a centinaia
sotto la violenza cieca degli integralisti. Dopo anni di incertezze e di paure, nel
1996, le Associazioni di donne hanno ripreso la lotta contro il Codice della
famiglia, senza aspettare che il terrorismo sia sconfitto
1
. “Altrimenti, ” sostengono
alcune moudjahidate (combattenti), ” faremo la fine che abbiamo fatto in passato:
durante la guerra di liberazione la priorità era mettere fine al colonialismo, poi
ricostruire il paese e i nostri diritti venivano sempre dopo. Così finita la guerra
siamo state rimandate a casa e nel 1984 ci siamo ritrovate con il codice della
famiglia. Questa volta non accadrà.”
2
1
“ Ci sono dei momenti nella storia in cui bisogna sapersi addossare le conseguenze dei propri
atti. La resistenza non è sempre rosea. Ma è il contrario del nero assoluto promesso
dall’islamismo.”. Così Khalida Messaoudi , Una donna in piedi, Arnoldo Mondadori, Milano,
1996, pag.139.
2
Sgrena Giuliana, Kahina contro i califfi, Datanews Ed., Roma, 1997, p.101
6
1
Cenni storici – Dall’indipendenza ad oggi
1.1) Movimento nazionale e laicizzazione dello stato 1.2) Socialismo e Islam. 1.3)
“Per una vita migliore”. 1.4) La rivolta del 1988 e la nuova Costituzione. 1.5)
Verso la crisi. 1.6) Le elezioni legislative. 1.7) Il golpe legale. 1.8) La presidenza
di Boudiaf.
1.1) Movimento nazionale e laicizzazione dello stato
L’Algeria di oggi trova le sue radici nel movimento nazionalista che portò
all’indipendenza del paese nel 1962. Il FLN, Fronte di liberazione nazionale,
attuò, subito dopo l’indipendenza, un compromesso con le concezioni religiose e
con una visione arabo-islamista, ispirata dai partiti nazionalisti mediorientali. Il
regime instaurato dopo l’indipendenza tentò di proporre una visione mitica
dell’algerinità, dell’unità della nazione e della coscienza nazionale, annullando la
pluralità e le diversità presenti nel movimento. La componente religiosa era solo
una parte della coscienza nazionale, a volte in netto contrasto con la lotta di
liberazione.
Il movimento nazionale aveva riconosciuto e rivendicato il carattere musulmano
dell’Algeria, ma non aveva basato le sue rivendicazioni su una visione
fondamentalista, anzi, prendendo come riferimento l’identità arabo-berbera,
proponeva una visione laica e moderna della società, alla quale si contrapponeva
quella arabo-islamista degli ulema (dotti religiosi), che considerava ogni apertura
culturale una perversione occidentale. Dai primi proclami del FLN emerge
chiaramente come l’obiettivo fosse quello di “instaurare uno stato algerino
7
sovrano, democratico e sociale, certamente nel quadro dei principi islamici, ma
anche nel rispetto di tutte le libertà fondamentali, senza distinzione di razza o di
confessione”.
Tuttavia, con l’indipendenza, la lotta per il potere scatenò uno scontro politico-
ideologico che doveva fare i conti con una società ancora arcaica e una coscienza
nazionale ancora in formazione. Una scelta a favore di uno stato moderno e
pluralista avrebbe senza dubbio rappresentato una rottura netta col passato.
Se l’essere musulmano era stato l’elemento discriminatorio usato dai francesi per
escludere dalla cittadinanza, paradossalmente il nuovo stato fece riferimento
all’essere musulmano per definire la nazionalità algerina, limitando così il diritto
stesso alla cittadinanza. Si assiste così, subito dopo l’indipendenza, all’affermarsi
di discorsi identitari basati sui valori arabo islamici. Anche la libertà
confessionale, tra i principi della guerra di liberazione, venne vanificata
dall’introduzione dell’islam come religione di stato nella Carta d’Algeri del 1964.
Queste sono le radici di quello che El Hachemi Cherif, riconoscendo le
responsabilità dei “ patrioti e democratici algerini”, definisce “il compromesso
storico con l’islamismo politico che gli ha conferito una legittimazione storica”.
3
Una legittimazione consolidata dalla politica del FLN e soprattutto dai padri
dell’Algeria che, nei trent’anni successivi, hanno favorito lo sviluppo
dell’integralismo.
Ricordiamo l’ossessione per l’arabizzazione del primo presidente algerino Ahmed
Ben Bella, con le sue campagne di moralizzazione e il richiamo nel paese di molti
3
El Hachemi Cherif, Integralismo e modernità, Edizioni lavoro, Roma , 1995, p.171. L’autore del
libro è il segretario generale del movimento Ettahaddi – Tafat, comunista.
8
Fratelli Musulmani egiziani. Ma è doveroso ricordare come tutti i presidenti
algerini, da Ben Bella fino ad oggi, abbiano usato la componente conservatrice e
islamista del FLN per isolare ed indebolire una parte del paese, quella più a
“sinistra” e progressista.
1.2) Socialismo e Islam
Con Boumedienne, salito al potere nel 1965, due sono le idee forza dello stato:
modernizzare l’economia e la società algerina sul modello sovietico
dell’industrializzazione forzata, e promuovere la giustizia e l’uguaglianza sociale.
Boumedienne non era socialista per scelta ideologica, ma per pragmatismo.
Riteneva il socialismo l’unica strada possibile per realizzare i suoi obiettivi,
diffidando dell’occidente e volendo riprendersi una rivincita sulle umiliazioni che
la storia coloniale aveva imposto all’Algeria. Fu sicuramente un capo militare, un
populista. Per quanto riguarda la religione, riteneva l’Islam un freno morale
contro gli eccessi della società occidentale, quindi un efficace strumento di
controllo. Confermando nella costituzione “l’Islam religione di stato”,
Boumedienne puntò soprattutto a una supremazia dello stato sulla religione.
Sottovalutando le implicazioni politiche che questa riaffermazione avrebbe avuto,
non soppesò abbastanza quanto pericolosa potesse essere l’intromissione della
religione nel sistema educativo.
Fu soprattutto l’idea forza della giustizia sociale che gli diede popolarità,
garantendo alla popolazione algerina educazione (per tutti, uomini e donne),
assistenza sanitaria gratuita e lavoro: la disoccupazione fu ridotta dal 70% del
9
1964 al 19 % del 1978, grazie soprattutto alle entrate per la vendita di gas e
petrolio, di cui il paese è ricco.
Nel 1978, con la morte di Boumedienne, l’Algeria uscì da un periodo di
industrializzazione forzata che aveva sacrificato il settore agricolo, allora
“morente”. L’Algeria da paese esportatore di prodotti agricoli (primo a livello
mondiale per il vino e secondo per i datteri), era divenuto importatore e
dipendente dal mercato mondiale, provocando così l’abbandono delle terre e,
conseguentemente, un’urbanizzazione selvaggia.
1.3) “ Per una vita migliore”
4
Alla morte di Boumedienne (1978), il prezzo del petrolio era ancora tale da
permettere al suo successore, Chadli Benjedid, di lanciare un programma “per una
vita migliore”, che avrebbe dovuto aiutare gli algerini a recuperare, sul terreno dei
consumi, quanto sacrificato fino allora in nome di un’imponente
industrializzazione. Ma, a partire dal 1984, con l’inizio del crollo dei prezzi del
petrolio, anche l’Algeria avrà gli stessi problemi che avevano già provocato
rivolte di protesta nei paesi vicini. Già nel 1985 le entrate in valuta non riuscirono
a coprire le importazioni, mentre la deindustrializzazione cominciava a far sentire
i suoi effetti: la curva di disoccupazione, fino ad allora in discesa, iniziò a salire.
Riesplosero i conflitti sociali, e nel 1984 si registrarono le prime rivolte
studentesche. E sul livello della produzione agricola, alla fine l’Algeria del 1988
produceva meno alimenti di quella del 1962.
4
Questo motto fu adottato dal governo fin dal 1979.
10
Intanto venne meno anche il ruolo giocato in campo internazionale dall’Algeria
nel dopo-indipendenza, insieme all’Egitto di Nasser e ad altri movimenti di
liberazione africani. Il “nuovo ordine economico internazionale” impose le sue
regole dovunque. L’apertura al settore privato di Benjedid fece emergere una
classe di nuovi ricchi, mal tollerata da quei settori che più pagavano gli effetti
della crisi petrolifera. In questa situazione, l’Algeria, ancora in un sistema
monopartitico, vide l’avanzare di nuove reazioni popolari, che ricercavano da un
lato rifugio nel ritorno al proprio clan o alla propria regione, dall’altro una
maggiore sicurezza in un sistema di corruzione dilagante che non risparmiava
nessun settore statale.
Il malessere sociale diffuso e la corruzione verranno poi assunti e strumentalizzati
dagli islamisti che, attraverso le moschee, costruiranno reti di solidarietà per la
popolazione più bisognosa, anche a fronte dell’incapacità dello stato di rispondere
ai bisogni più elementari.
1.4) La rivolta del 1988 e la nuova costituzione
A stravolgere la storia dell’Algeria sul finire degli anni Ottanta ricordiamo la
protesta dell’ottobre 1988, nota come “rivolta del cous cous”, questa non fu di
ispirazione islamista, ma fu soprattutto una rivolta spontanea contro l’ingiustizia.
5
Un evento così drammatico- con circa 500 vittime e centinaia di arrestati e
torturati- segnò profondamente la storia e la coscienza stessa dell’Algeria: “Niente
sarà più come prima”, diceva uno slogan di allora.
5
Sgrena Giuliana, Kahina contro i califfi, DATANEWS Ed., Roma, 1997, pag.19.
11
Il 10 ottobre, sedata la rivolta, Benjedid annunciò per il 3 novembre un
referendum per emendare la costituzione. Sarà solamente un secondo referendum,
il 23 febbraio dell’anno successivo, indetto dopo la sua rielezione a presidente il
22 dicembre, a introdurre cambiamenti sostanziali rispetto alla costituzione del
1976: innanzitutto il multipartitismo.
La nuova costituzione del 1989 conferma l’Islam come religione di stato, afferma
la libertà di coscienza e il rispetto dei diritti dell’uomo, mantiene nel settore
pubblico alcune attività strategiche (energia, miniere, acqua e foreste, trasporti e
telecomunicazioni), ma riduce decisamente il ruolo dello stato. Soprattutto, nel
nuovo testo, viene eliminato ogni riferimento al socialismo, pur senza fornire un
progetto di società alternativo. Per quanto riguarda il pluripartitismo, la
definizione è ancora limitata al diritto di creare “associazioni a carattere politico”.
1.5) Verso la crisi
Il nuovo testo costituzionale introdusse elementi di democratizzazione, ma la
stabilità politica non si era ancora consolidata nel paese. In pochi mesi il
panorama politico era completamente cambiato: il numero dei partiti che chiesero
l’autorizzazione fu impressionante, alla fine furono una sessantina. Per alcuni – il
Fronte delle forze socialiste (Ffs), diretto da Hocine Ait Ahmed, creato nel 1963;
il Partito dell’avanguardia socialista (Pags)
6
fondato nel 1966; il Movimento per il
rinnovamento algerino (Mra), creato nel 1967 e il Partito socialista dei lavoratori -
si trattò di un’autorizzazione che permise l’uscita dalla clandestinità. Per altri si
6
Il Pags nacque clandestinamente nel 1966, dopo che il Partito comunista algerino era stato sciolto
da Ben Bella il 28 novembre 1962.
12
trattò invece del riconoscimento legale, dopo che i loro militanti avevano lottato
contro il regime: il Raggruppamento per la cultura e la democrazia (Rcd) e il
Fronte islamico di salvezza (Fis). Quest’ultimo, pur essendo un partito di recente
formazione, godeva del sostegno importante delle moschee, intorno alle quali si
svolgevano attività di propaganda, di solidarietà e di commercio.
L’Algeria si presentò al primo voto libero dalla fine del colonialismo con 25
partiti legalizzati. Le elezioni amministrative che si svolsero il 12 giugno 1990
videro l’inaspettata e schiacciante vittoria del Fis. I risultati furono l’estrema
conferma della crisi ideologica e politica che attraversava il paese: nel maggio
precedente, alla vigilia delle elezioni, un milione di persone aveva manifestato
contro l’intolleranza del movimento islamista. Queste elezioni testimoniarono
come la crisi di rappresentanza del regime e dell’ex partito unico non aveva
avvantaggiato i partiti progressisti. Da una parte la recente nascita di queste
organizzazioni le rendeva inevitabilmente deboli, dall’altra le forze democratiche
e laiche, tralaltro divise, avevano pagato il prezzo di una repressione lunga anni
che ne aveva ostacolato l’organizzazione.
Diversi sono gli elementi che contribuirono alla vittoria del Fis. Innanzitutto il
voto di protesta contro il FLN. In secondo luogo, il fatto che gli uomini poterono
votare per la madre, la moglie /i, le figlie, semplicemente presentando il libretto di
famiglia, favorì il Fis che non candidava donne. Ma soprattutto il Fis portò avanti
anche un discorso che recuperava i grandi temi del nazionalismo algerino alla luce
delle tesi islamiste, opponendo agli ideali “stranieri”, l’identità islamica della
comunità dei credenti (la Umma). All’indomani delle elezioni così Abassi
13
Madani, leader del Fis: “ Il multipartitismo così come è regolato dalla nuova
costituzione algerina è inaccettabile perché lascia al berberismo e al comunismo
la possibilità di esprimersi.”.
7
1.6) Le elezioni legislative
Furono comunque le elezioni legislative del 26 dicembre 1991 a stravolgere il
futuro dell’Algeria. Grazie ad una legge elettorale e ad una suddivisione delle
circoscrizioni a tutto vantaggio del Fis, questo, con un quarto dell’elettorato e
meno della metà dei voti espressi, riuscì a sfiorare la maggioranza assoluta dei
seggi parlamentari fin dal primo turno. Occorre esaminare attentamente l’iter di
queste elezioni, cruciali per capire la situazione estremamente drammatica
dell’Algeria di oggi. Circa un milione di certificati elettorali non furono mai
distribuiti, molti di coloro che si recarono agli uffici elettorali li trovarono chiusi:
per l’occasione l’orario degli sportelli era stato ridotto.
I brogli nei seggi furono spesso plateali. Il metodo più usato fu quello della busta
vuota: il primo a entrare nel seggio era un militante del Fis il quale ritirava la
scheda ma depositava la busta vuota. La scheda portata fuori veniva consegnata
all’elettore seguente, il quale metteva nella busta la scheda ma doveva uscire con
la sua, che sarebbe stata consegnata all’elettore successivo
8
.
Inoltre l’astensione del popolo fu fortissima. Su 13.258.554 aventi diritto al voto,
si recarono a votare solo 6.897. 719 (il 52.02%). 3.260.222 voti (il 47,27 % dei
voti espressi, il 24,54 degli aventi diritto) andarono al Fis. I 232 seggi assegnati al
7
Sgrena, Giuliana, Kahina contro i califfi, DATANEWS Ed., Roma, 1997, pag.40.
8
Sgrena Giuliana, opera citata, pag.43.
14
primo turno furono così ripartiti: 188 al Fis, 25 al Ffs, 16 al FLN e 3 agli
indipendenti. Evidentemente una legge maggioritaria alla francese non era l’ideale
per un paese che organizzava le elezioni pluralistiche per la prima volta dopo
trent’anni di partito unico.
Se prima delle elezioni il Fis si era limitato a promettere lo stato islamico, dopo le
minacce divennero molto meno velate: dalla moschea di Oued Koriche,
Mohammed Said annunciò che per il futuro sarebbe stato necessario uniformarsi
alle prescrizioni divine per quanto riguardava i costumi e l’alimentazione. Rabar
Kebir aggiunse che coloro che erano contro il Fis avrebbero dovuto cambiare
paese. E Madani, già molto tempo prima delle elezioni: “ Noi non ci
comporteremo come i comunisti che hanno indotto la paura. Se il malato ha
paura di prendere le medicine, cercheremo di convincerlo a prenderle per non
morire, ma non possiamo imporre la vita a qualcuno che non la vuole.”
9
Il 2 gennaio venne organizzata una grandiosa manifestazione con circa mezzo
milione di persone che rifiutavano il risultato elettorale, auspicando anche un
intervento militare per evitare che l’Algeria si trasformasse in uno stato islamico,
come l’Iran.
1.7) Il golpe legale
Di fronte ad una situazione di allarme, avallata dalla paura e da tensioni sociali
sempre più pericolose, si cercò di trovare un modo “legale” per bloccare un
processo elettorale che pesava sul destino algerino come una bomba già innescata.
9
Il Manifesto, 14 giugno 1990, pag. 3
15
Il timore che il Fis potesse vincere anche il secondo turno portò l’Algeria ad
appoggiare un vero e proprio golpe. L’unico espediente per bloccare il secondo
turno erano le dimissioni del presidente della repubblica, la cui sostituzione
sarebbe diventata prioritaria rispetto alle legislative. Fu la “pressione” militare a
far sì che l’11 gennaio il presidente Chadli Benjedid presentasse le sue dimissioni:
queste divennero inevitabili nel momento in cui il presidente venne abbandonato
dall’esercito: 181 ufficiali sottoscrissero una petizione che chiedeva le sue
dimissioni, non intendendo più appoggiarlo. L’8 gennaio l’Anp (Esercito
nazionale popolare) schierava le proprie forze ad Algeri, Costantina e Orano. Tre
giorni dopo Chadli rassegnò le dimissioni. Il golpe militare aveva ottenuto i suoi
effetti in pochissimi giorni.
Il commento di Khalida Messaoudi, “combattente” storica per i diritti delle donne
in Algeria, sull’interruzione del processo elettorale: “ Credo che all’estero non si
sia ben capito cosa significavano esattamente per noi quei risultati. Nego a
chiunque il diritto di giudicarci prima di aver tenuto conto, sinceramente e
onestamente, di questa considerazione: quando si sa quale pericolo mortale
rappresenti il fascismo per una nazione, si ha o no il diritto di sbarrargli la
strada, quale che sia la sua popolarità?…”.
10
Contemporaneamente il regime algerino organizzò “l’aspetto più istituzionale,
formale” del colpo di stato, per riempire il vuoto di potere creatosi.
Si pensò, data la situazione di emergenza e di incertezza, ad una presidenza
collegiale. Venne costituito l’Alto comitato di stato (Hce), formato da cinque
10
Messaoudi Khalida, Una donna in piedi, Arnoldo Mondadori Ed., Milano, 1996, pag.139.
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membri tutti scelti con estrema cura. A presiedere questo organismo e assumere le
redini del paese in un momento così delicato venne chiamato Mohammed
Boudiaf. Uno tra i primi fondatori del FLN, entrato poi in conflitto con i metodi
dittatoriali di Ben Bella, Boudiaf creò il primo partito dell’opposizione, il Partito
della rivoluzione socialista. Arrestato da Ben Bella, poi liberato, prese la strada
dell’esilio, durato fino al 1992. Boudiaf era uno dei padri della patria, godeva
quindi della legittimità storica necessaria. Tornato in patria promise la lotta alla
corruzione e all’integralismo.
1.8) La presidenza di Boudiaf
Il 12 gennaio 1992, l’Alto consiglio di sicurezza decise l’annullamento del primo
turno delle elezioni legislative e l’interruzione del processo elettorale. Due giorni
dopo il potere passava all’Alto comitato di stato presieduto da Boudiaf. Il Fis
cercò di mobilitare il popolo, ma la credibilità di Boudiaf come padre della patria
si rivelò più forte.
I gruppi islamisti però cominceranno di lì a poco a organizzarsi seguendo una
linea di violenza e, in un crescendo sempre più tragico, il numero dei morti si
moltiplicherà sempre più velocemente. Il 4 marzo, alla vigilia dell’inizio del
Ramadan, il tribunale di Algeri decise lo scioglimento del Fis. Successivamente, il
29 marzo, furono sciolti molti consigli comunali e provinciali governati dal Fis.
Con Boudiaf il paese visse un periodo di rinnovata fiducia, in cui gli obiettivi
primari furono la lotta all’integralismo e alla corruzione. Il 29 giugno 1992
Boudiaf venne ucciso dal sottotenente Boumaarafi Lembarek, che si proclamò
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militante del movimento islamista ma senza legami con partiti. Con la morte di
Boudiaf, morì una speranza in Algeria.
Gli successe Ali Kafi, anche lui protagonista della guerra di liberazione.
Dopo la morte di Boudiaf la situazione in Algeria precipitò. I gruppi armati
passarono al terrorismo contro la popolazione civile. A tutt’oggi i caduti sotto la
violenza integralista sono quasi centomila.